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Autore: elfin emrys    11/09/2013    1 recensioni
La vedeva ogni volta, ogni mattina, la vedeva entrare nel bar, prendere il suo cornetto semplice, il suo latte e uscire per andare a scuola.
Tanti modi di vedere la stessa persona, semplicemente.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beauty

 

 

La vedeva ogni volta, ogni mattina, la vedeva entrare nel bar, prendere il suo cornetto semplice, il suo latte e uscire per andare a scuola. Era diventata quasi una figlia, per lui, che non aveva mai avuto nessuno da poter chiamare così.

Non ne conosceva il nome, né l'età, sapeva che andava a quel liceo lì davanti. Ogni mattina lei entrava, mormorava un sommesso “Buongiorno”, mangiava e beveva velocemente, pagava e, senza neanche controllare il resto, entrava a scuola, un libro di storia sotto al braccio.

Ottavio si compiaceva del fatto che sua “figlia” fosse così bella e vivace, così ben educata. Semplice, sembrava una di quelle ragazze che si guardavano poco allo specchio, senza trucco, coi capelli sempre un po' scarmigliati.

Pallida, fresca, a volte pareva essere con la testa fra le nuvole: allora neppure salutava, faceva tutto distrattamente. Più spesso, però, sembrava concentrata, leggermente accigliata, come se ci fosse qualcosa che la preoccupasse.

E Ottavio le voleva bene così, nei suoi quarantasette anni: sua “figlia”, che non l'aveva mai conosciuto, era lì davanti a lui.

Un giorno, forse, l'avrebbe salutata.

 

Daniele spesso la vedeva entrare nel suo bar la mattina. Non le faceva molto caso, gli sembrava la classica ragazza noiosa e fredda, troppo piccola per lui e, in ogni caso, troppo bruttina per interessargli. L'unica cosa per cui, ogni tanto, le veniva in mente, era quanto quella ragazza fosse timida.

Entrava -con la testa costantemente bassa- e salutava con una voce sottile e quasi inudibile, cui lui mai rispondeva. Chiedeva il suo cornetto, il suo latte, gli occhi che puntavano al bancone che, uh, quanto le pareva interessante evidentemente. Pagava. Velocemente, come se volesse scappare. E poi effettivamente scappava.

Daniele sospirò, vedendola entrare, poco più in ritardo quella mattina. Le sorrise e lei distolse lo sguardo.

Quanto gli dava sui nervi quella ragazza.

 

Stefano era nella classe accanto a lei. L'aveva notata dopo quasi un anno perchè un giorno le era quasi andato a sbattere contro. Ogni tanto la guardava, quando gli capitava. Era sempre un piacere incontrarla. Lei aveva quel modo indifferente eppure delicato di fare le cose, di parlare e di scostarsi i capelli dal viso -ma camminava come un militare, i suoi passi lunghi e precisi, le sue braccia a fare avanti e indietro. I suoi amici ogni tanto lo prendevano in giro, dicendo che lei era veramente poco carina.

Ma a lui piaceva.

Il seno povero, che pareva ancora acerbo, ma i fianchi tondi, le gambe flessuose. Il viso ovale, anonimo era vero, ogni tanto qualche brufolo sul mento o sulla guancia, ma per lo più pulito, bianco. Le sopracciglia scure erano sempre lievemente incurvate al centro, come fossero state imbronciate -anche se a lui sembravano così malinconiche.

Piccola, gli arrivava al petto; così affettuosa con chi la circondava, con le sue (poche) amiche, gentile, silenziosa. Ogni tanto la vedeva sgridare qualche suo compagno per aver risposto alla professoressa, ma quasi scherzando con la voce, ma solo con quella, perchè in viso aveva uno sguardo severo. Si preoccupava, ma sembrava forte, sicura, nonostante la ritrosia. Piacevole.

Stefano sorrise.

Come una madre.

 

Aveva quasi paura di incontrarla, quella ragazza. Non ne conosceva il nome, anche se l'aveva chiesto a qualcuno. Nessuno sembrava averla notata, eppure a Lorenzo sembrava davvero splendente. Quando scendeva dall'autobus, passando davanti al bar, ogni tanto la vedeva seduta a fare colazione. Lui non entrava.

Guardandola bene, magari in quei dieci minuti di pausa, durante l'intervallo, sentiva una stretta allo stomaco. Si chiedeva come fosse possibile non vederla, non vedere solo lei. Le dita lunghe e affusolate, il viso e il collo bianco, i capelli lunghi. Gli sembrava fatta apposta per essere presa, baciata, conquistata, fatta sua. Voleva, voleva toccarla, afferrarla per un braccio, spogliarla. Una volta, fu sicuro di averla addirittura sognata.

Quando la vedeva, gli veniva l'impulso di andare verso di lei, ma ogni volta si frenava.

Porco.

 

Francesco era nella sua classe ormai da qualche anno e ogni volta che la vedeva sentiva di detestarla di più. Gli pareva strafottente, arrogante, sembrava che guardasse sempre tutti con diffidenza e aria di sufficienza. Era sempre arrabbiata, evidentemente, perchè era sempre imbronciata. E certo, non poteva mica stare con loro comuni mortali!

Gli dava fastidio quella totale assenza di trucco, come per dire “Sono bella anche senza”, gli dava fastidio che si vestisse come se non le importasse. Perchè Francesco non ci credeva. Inoltre, e questo era qualcosa di oggettivo, quella ragazza lo disgustava: se fosse stata l'ultima ragazza del pianeta, avrebbe preferito fare le cose da solo, piuttosto che rivolgersi a lei, peggio, sarebbe diventato gay!

Era veramente, veramente brutta, disordinata, senza senso. Però, in fondo, non si parlavano quasi mai, poteva pure ignorare la sua presenza... Sì, poteva farlo, se non fosse stata tanto sciocca. Aveva quella stupidità tipicamente femminile, peccato che lei di femminile avesse poco e nulla.

Quando la professoressa lo spostò accanto a lei, Francesco alzò gli occhi al cielo.

 

Carlo era un uomo bello e fatto da ormai molto tempo, ma mai si sarebbe stupito abbastanza della straordinaria bellezza delle donne mature, della sua stessa età. Stava tornando dal lavoro, dove aveva incontrato una cliente davvero molto carina. Anche se alla fine non avevano concluso nulla -in tutti i sensi- gli aveva fatto piacere vederla.

Ci pensò, quando il traffico lo bloccò davanti alla scuola. Vide una ragazza scendere le scale, il pugno chiuso. La seguì con lo sguardo, gli occhi si persero quando lei scomparì fra la folla. Ridacchiò: che strana camminata.

Scosse le spalle. Se ne dimenticò subito dopo.

 

Emma si guardò dietro, fissò la scuola per qualche secondo, poi continuò a camminare.

   
 
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