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Autore: BirthOfBrokenDreams    11/09/2013    2 recensioni
“Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“La macchina fotografica può rivelare i segreti che l’occhio nudo o la mente non colgono, sparisce tutto tranne quello che viene messo a fuoco dall’obiettivo. La fotografia è un esercizio d’osservazione.”

Questo l’ha detto Isabel Allende, una stimata scrittrice latinoamericana. Io sono Amelia Criss, e non sono una “stimata scrittrice latinoamericana”. Vivo in un buco a Los Angeles con il mio migliore amico Jake Gray, e mi manca solo un anno per laurearmi in Scienze della Comunicazione. Non scrivo libri, ma lettere in cui chiedo ai miei genitori di mandarmi i soldi per pagare l’affitto,  dato che le tasse universitarie ti succhiano via i soldi come un vampiro ti succhierebbe via tutto il tuo sangue;  e non riesco a pagare tutto solo con i soldi del mio lavoro temporaneo al Candy’s Paradise. Sì, è un negozio di dolci.
In ogni caso… la fotografia è un esercizio d’osservazione. Non sono d’accordo. Non sono famosa e saggia, perciò a nessuno importerà ciò che ho da dire, ma io lo dirò lo stesso; non sono d’accordo perché la fotografia è molto più di un esercizio d’osservazione. Con la fotografia impariamo a fare attenzione ai dettagli di ciò che abbiamo davanti, va bene, ma non è questo il vero scopo della fotografia.
Perché scattiamo foto?
Tutti, almeno una volta, abbiamo scattato una foto. Ve la ricordate la vostra prima foto? Io sì. Avevo undici anni e mio nonno mi portò in spiaggia, era inverno. Amo da sempre andare in spiaggia quando fa freddo e c’è vento, e mio nonno lo sapeva. Volevo bene a mio nonno più che a ogni altra persona al mondo, anche più che ai miei genitori. Il mio nonno aveva cinquant’otto anni, ed era stato un fotografo molto importante; la sua vita girava intorno alla fotografia – senza la quale non avrebbe conosciuto sua moglie, una modella che lo ingaggiò per un servizio fotografico – e durante la sua carriera aveva collezionato almeno una dozzina di macchine fotografiche. Quel giorno sulla spiaggia, con il vento forte che gli scombinava i capelli brizzolati, aveva con sé una macchina fotografica istantanea. Era stata la sua prima macchina fotografica, e per lui era preziosa quasi quanto mia madre, la sua unica figlia. Malgrado quell’affarino avesse almeno quarant’anni, era in migliori condizioni di tutte le altre macchine fotografiche che possedeva il nonno. Quello fu uno dei giorni più belli che passai con lui. Presto arrivò quel magnifico risplendere di luci fiammeggianti e rosee che noi chiamiamo tramonto; il nonno iniziò a scattare foto a non finire e, quando ormai restava solo un ultimo spicchio di sole sulla linea dell’orizzonte, mise la sua macchina fotografica tra le mie mani e mi disse di fare una foto. Mentre osservavo bene da vicino la macchina fotografica il sole lanciò quello che sarebbe stato l’ultimo raggio fiammeggiante del giorno. Avevo pochi secondi per scattare una foto, ma puntai la macchina fotografica non verso il tramonto mozzafiato, ma verso mio nonno.  Aspettai che la foto uscisse, la presi per un angolino e feci per restituire l’istantanea a mio nonno, ma lui scosse la testa, mostrandomi un sorriso tenero. Disse che la macchina fotografica era mia. All’inizio non capii, mi sembrava impossibile; ma lui disse che era mia fin dal giorno della mia nascita, solo che aveva aspettato il momento giusto per darmela. L’ultimo spicchio di sole sparì, inghiottito dal mare, e subito il cielo parve rabbuiarsi, ma io neanche me ne accorsi. Ero così felice che tutto mi sembrava magnifico. Se la mia felicità avesse avuto lo stesso potere di una fusione termonucleare allora avrei potuto illuminare io tutto ciò che avevo intorno, come una stella. Rivolsi un’ultima occhiata soddisfatta alla foto che avevo scattato e la stavo per posare in borsa quando il nonno me la prese dalle mani. Disse che quella voleva tenerla lui, e che l’avrebbe conservata come un tesoro. E io gli avevo creduto, capivo quanto fosse importante per lui conservare almeno un’oggetto che gli ricordasse la sua prima macchina fotografica. Ma lui disse che l’avrebbe conservata e protetta da tutto solo per non dover mai dimenticare quel giorno, per non dover dimenticare me, e allora non capii… semplicemente non capivo perché avrebbe dovuto dimenticarmi. Ma lui mi disse che aveva l’Alzheimer.
Non capivo perché non sapevo cosa fosse l’Alzheimer. Lui mi spiegò tutto, e io non gli credetti. O non volevo credergli. Lui, mio nonno, l’Alzheimer… no. Non poteva essere vero. Ma lo era, ogni singola parola lo era. Mio nonno, la persona che volevo bene più di ogni altra al mondo, aveva l’Alzheimer. Sapete cos’è l’Alzheimer? Sapete di cosa si tratta? È una malattia, una demenza degenerativa. Significa che avrebbe dimenticato tutto, ogni cosa. Poco a poco avrebbe dimenticato in che anno vivevamo, come leggere, come mangiare, chi erano i suoi genitori e chi era lui. Avrebbe dimenticato tutto. Anche me.

“Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia.”

Questo lo diceva Robert Doisneau, un fotografo francese. Io sono d’accordo con lui. Sono d’accordo con lui quando dice che siamo tutti destinati a scomparire, e che scattiamo foto per impedire al tempo di scorrere; così come mio nonno disse che non avrebbe mai voluto dimenticare quel giorno e che non avrebbe mai voluto dimenticare me.
Perché scattiamo foto?
Noi scattiamo foto per non dimenticare, scattiamo foto per rendere degli attimi infiniti. Scattare fotografie non è follia, è compiere una magia. La fotografia ha un qualcosa di magico. La fotografia è magia. È una delle formi migliori della magia a mio parere, perchè riesce a trasformare un ricordo, un attimo, un’emozione in un oggetto, riesce a catturare tutto questo e a renderlo eterno nella nostra mente, nel nostro cuore, risvegliando ogni volta quell’emozione che non sarà mai dimenticata.
 Niente è eterno, le fotografie sì.



 
  
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