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Autore: Sheriarty    12/09/2013    2 recensioni
Sua sorella Lila era uscita con suo marito per festeggiare l'anniversario di matrimonio e gli aveva lasciato suo figlio Alec, il quale dormiva per miracolo.
Aveva appena iniziato a rilassarsi che il citofono aveva brutalmente squartato il silenzio presente in casa, svegliando così anche Alec. Prese in braccio il bimbo, cullandolo, ed andò ad aprire la porta.
Era stata una giornata orribile, e forse poteva ancora peggiorare.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piano C - #13. Genitori per Caso
 

Autore: LivingTheDream

Titolo: Di dentini e dannate cene d'anniversario

Personaggi/Pairing: Greg Lestrade/Mycroft Holmes, mini!Alec

Wordcount: 2613 (fiumidiparole)

Rating: Pg-13

Warnings: Slash, Parentstrade (© Faust_Lee_Gahan <3), ironia spicciola (la mia), seghe mentali

Riassunto: “Sua sorella Lila era uscita con suo marito per festeggiare l'anniversario di matrimonio e gli aveva lasciato suo figlio Alec, il quale dormiva per miracolo.
Aveva appena iniziato a rilassarsi che il citofono aveva brutalmente squartato il silenzio presente in casa, svegliando così anche Alec. Prese in braccio il bimbo, cullandolo, ed andò ad aprire la porta.
Era stata una giornata orribile, e forse poteva ancora peggiorare.”

Note: Ispirato al prompt #13 del piano C della torre dei cliché di clichéclash: genitori per caso!

Musica: Find A Way, SafetySuit.

 

 

Era una sera tranquilla.

Era.

Non lo sarebbe rimasta a lungo.

 

Mycroft Holmes mise un piede fuori dalla lunga limousine nera, poi cacciò il naso e l'aria di Londra lo fece sorridere, dopo tanti giorni chiuso in ufficio per sventare la minaccia di una guerra nucleare – era già la terza volta, quel mese.

Quella mattina Anthea si era presentata a lavoro con degli squisiti muffin dietetici e con un sorriso che andava da un orecchio a un altro. Aveva avuto il tempo di farsi un rilassante bagno prima di uscire e lo chauffeur era riuscito a raccontare delle barzellette talmente divertenti da averlo convinto ad aumentargli lo stipendio, appena possibile. Nella mattinata aveva obbligato suo fratello a telefonare alla loro madre almeno per il suo compleanno ed aveva ricevuto il commento entusiasta di quest'ultima allo stupendo bouquet che le aveva spedito. Victor aveva apparentemente smesso di chiamarlo domandando della salute di Sherlock, e, a proposito del suo fratellino, i suoi uomini avevano quasi finito di esaminare i possibili coinquilini: finiti i laureandi, in poco sarebbero passati ai congedati dalla marina e poi a quelli dell'esercito, sperando in qualcuno di adatto.

Mosse pochi passi ed alzò l'ombrello, premendo con precisione il pulsante del citofono di un condominio da lui ben conosciuto.

Era stata un'ottima giornata, e prometteva di concludersi ancora meglio.

 

Gregory Lestrade alzò anche l'altro piede sul bracciolo del divano, stendendosi e finalmente sospirando di sollievo. Dopo pochi minuti gli arrivò al naso l'odore della carne bruciata sul fuoco, e fu praticamente strisciando che raggiunse la cucina e gettò tutto nella pattumiera, ignorando lo stomaco brontolare per concentrarsi sulla bellezza del silenzio appena conquistato.

Tornò a stravaccarsi sul divano e decise che avrebbe chiuso gli occhi per una mezz'oretta. Quella mattina il barista gli aveva sevito il caffè totalmente bruciato, ed era arrivato a Scotland Yard così di cattivo umore che non pensava qualcosa avrebbe potuto peggiorare la situazione. Invece Gregson si era già appropriato di due nuovi casi ed aveva consegnato all'archivio una cartella di resoconto che gli aveva allegramente rubato dalla scrivania. Anderson gli aveva portato un altro caffè per tirarlo su di morale, versandolo sulle schede dell'ultimo omicidio, e come se non bastasse Sherlock lo aveva chiamato perché si annoiava, e aveva passato un'altra mezz'ora buona a spiegare a quel ragazzino che le persone non sono oggetti e così via, all'infinito. E, per finire in bellezza, sua sorella Lila era uscita con suo marito per festeggiare l'anniversario di matrimonio e gli aveva lasciato suo figlio Alec, il quale dormiva per miracolo.

Aveva appena iniziato a rilassarsi che il citofono aveva brutalmente squartato il silenzio presente in casa, svegliando così anche Alec. Prese in braccio il bimbo, cullandolo, ed andò ad aprire la porta.

Era stata una giornata orribile, e forse poteva ancora peggiorare.

 

«Mycroft!»

«…»

«Ciao Mycroft, che ci fai qui?»

«…»

«Mycroft? Stai bene?»

«Certo, Gregory, cercavo solo di capire che ci fai con un neonato in braccio».

Lestrade guardò prima il bambino, stranamente quieto, poi l'uomo che da qualche mese frequentava con non poco piacere.

«Oh. Lui. È Alec, il figlio di mia sorella Lila!»

«Tuo nipote».

«Mio nipote, sì. Ma tu che ci fai qui?»

«Beh, stavo per offrirti una cena al ristorante, ma a quanto vedo sei occupato», rispose Mycroft, squadrando l'uomo che sostava sulla porta in boxer e canottiera ed un bambino in braccio. Lestrade dovette notarlo, perché arrossì leggermente e si ritirò dietro la porta, aprendola.

«Sei gentilissimo, ma come vedi... Perché non entri?»

«Entrare, dici...»

«Sì. Sistemo Alec e beviamo qualcosa, vediamo un film, magari ordiniamo cinese o italiano, se vuoi».

Mycroft non rispose ma sorrise, ed entrò, lasciando che Greg gli chiudesse la porta alle spalle ed andandosi a sistemare sul divano, gli occhi che saettavano lungo il piccolo appartamento.

«Tua moglie è in vacanza, eh?»

«... Ormai mi sa che smetto anche di chiederti come fai», sospirò Greg.

«Faresti meglio, già».

«E comunque sì, è in vacanza con non so quale macho di turno», confermò, passandosi una mano tra i capelli che, da che erano neri, ultimamente stavano iniziando a diventare sempre più chiari. «E non la definirei mia moglie, ormai viviamo su due pianeti diversi».

«Beh, legalmente-»

«Lascia stare. Vado a vestirmi».

«E a che pro?», rispose serio Mycroft, e Greg si bloccò sulla soglia, voltandosi giusto in tempo per vedere l'altro sorridere. Poche settimane prima si erano visti a casa di Mycroft ed erano finiti a fare l'amore sul suo monumentale letto, e da quel giorno ogni notte sentiva il suo corpo urlargli che lo voleva ancora una, due, tre volte. Da quando c'era Mycroft si sentiva un ragazzino, e la cosa lo spaventava – e gli piaceva – molto.

 

Tornò qualche minuto dopo con almeno un paio di pantaloni ed una camicia addosso, e Alec sembrava tornato tranquillo, quindi lo sistemò nella carrozzina dietro al divano e raggiunse Mycroft in cucina.

«Allora», disse Greg, sorridendo, «cinese?»

Mycroft annuì lentamente, sorridendo a sua volta, e Lestrade non poté fare a meno di notare quanto quell'uomo stonasse con il resto della casa – o forse era la casa che stonava con l'eleganza e la compostezza di quell'uomo.

Ordinò la cena con modi così automatici e sbrigativi che Mycroft non poté fare a meno di preoccuparsi delle sue abitudini alimentarsi, poi tornarono a sedersi sul divano – cosa che Mycroft stesso aspettava sin dal momento in cui era sceso dalla limousine.

Si sedette poggiandosi sull'ombrello, stendendolo poi al lato del divano, e guardò Greg lasciarsi cadere sul bracciolo opposto. Ne rimase un po' deluso.

«Come mai devi badare al bambino?»

«Lila ed il marito sono a cena fuori a festeggiare l'anniversario di matrimonio. È stata una giornata assurda, ma glielo devo, dopo tutto».

«Obbligo sociale verso i familiari?»

«Obbligo sociale verso i familiari», confermò Greg, ridacchiando a quella buffa parafrasi.

Scese un silenzio che Gregory giudicò altamente imbarazzante, al contrariò Mycroft ne approfittò, sistemandosi meglio nel suo angolo di divano ed inclinando leggermente la testa, sempre con lo sguardo fisso sull'altro. La sua espressione era un romanzo di frasi che Greg comprese solo in parte, e deglutì a vuoto, scivolando giù dal bracciolo, seduto ad almeno mezzo metro da Mycroft che ancora lo guardava in quel modo. Era come se gli stesse parlando con voce chiara e profonda, e gli stava dicendo di avvicinarsi, di non aver paura, che aveva pensato all'altra sera e no, non era stato uno sbaglio, e che voleva farlo di nuovo. Ma la testa gli diceva anche che poteva sbagliarsi, che magari si stava immaginando tutto e Mycroft era solo lì per troncare la cosa in modo gentile.

Decise di avvicinarsi di poco. Ecco, ecco, ora le loro ginocchia si toccavano. Andava bene così, no? O era troppo?
Mycroft appoggiò con fare tranquillo una mano sulla gamba di Lestrade, ed in quell'istante il campanello suonò, svegliando Alec e facendolo piangere.

A Greg, quei suoni parvero puro caos.

 

Con le buste del takeaway sul tavolino, Alec sulle gambe e la televisione accesa su un cartone animato a caso, Greg sospirò e guardò Mycroft affondare di nuovo le bacchette nei suoi spaghetti di soia. Stava cullando il bambino nel tentativo che questo prendesse di nuovo sonno, ma sembrava che Greg stesso fosse l'unico a stare per addormentarsi, con quella sorta di carillon del programma per bambini in sottofondo. Lo sguardo di Mycroft vagava tra i suoi spaghetti e il tavolo con il suo bicchiere, e questo strinse lo stomaco a Greg. Quella mano sulla gamba poteva significare molte cose, e certo Mycroft non stava facendo nulla per attirare la sua attenzione, in quel momento.

Dopo essersi scolato un intero biberon di latte caldo, finalmente Alec si riaddormentò e fu rimesso al suo posto, e Lestrade si sedette a mangiare.

«Vuoi un raviolo?», domandò Mycroft, e Lestrade rispose un distratto sì, grazie!

Quando si voltò, Mycroft glielo stava porgendo con le sue bacchette – stessa espressione di prima, solo più accentuata, più evidente, come per dire ma come, Greg, non capisci?, e no, lui non capiva. Non aveva mai capito niente.

Rimase qualche secondo a fissare il raviolo, avrebbe dovuto mangiarlo dalle sue bacchette o prenderlo? Doveva sembrare molto stupido, in quel momento.

Alla fine Mycroft si rassegnò ad avvicinare il boccone alle labbra di Lestrade, che le schiuse lentamente e si fece imboccare. Quando Mycroft sorrise lui lo seguì a ruota, ed il suo stomaco parve sciogliersi un po'.

La cena proseguì tranquilla, con qualche altro momento di imbarazzo da parte di Greg, fortunatamente sempre meno confuso e timoroso. Mycroft stava raccontando di quando aveva mangiato cinese l'ultima volta, a pranzo con un'alta carica di cui Lestrade non aveva ben capito il nome. Dopo aver gettato la spazzatura e ripulito il tavolo era tornato al divano, sedendosi subito accanto a Mycroft, il quale lo stava osservando con il leggero sorriso soddisfatto di chi è sazio.

«Dovrai darmi il nome del ristorante», ruppe il silenzio, avvicinandosi di più a Lestrade, «Ho trovato tutto ottimo!»

«Ne sono contento! Sai, il proprietario è un vecchio amico, prima lavorava con noi ma dopo un incidente ha dovuto...» Lestrade rallentò un secondo quando Mycroft si voltò verso di lui, poggiandogli una mano sulla coscia e guardandolo negli occhi, «... sai, cambiare... lavoro...»

«Capisco», sussurrò Mycroft, leccandosi le labbra. Lestrade seguì il movimento con gli occhi leggermente sgranati, e tutto gli sembrò così lento quando poi l'altro schiuse le labbra e si avvicinò per baciarlo. Greg poteva già sentire il sapore di tabacco mascherato dal cibo sulla sua lingua e il sangue corrergli nelle vene alle guance e alle orecchie e al basso ventre e dovunque ma non al cervello, quando il mormorio sommesso ed ignorato di Alec scoppiò in un pianto disperato che fece sussultare entrambi.

«E che diamine!» esordì Greg, pentendosi della sua espressione praticamente all'istante.

Invece Mycroft sorrise e scosse la testa, rilassandosi di nuovo nei cuscini vecchi ma comodi del divano.

 

«Un pannolino. Tutto per un fottutissimo pannolino», borbottò Greg facendo ballonzolare il piccolo tra le sue braccia che borbottava a sua volta – anche se il suono ne usciva molto più distorto a causa del saliscendi – e la scena sarebbe stata comica se non fosse stata tragica. Greg voleva bene a Lila e alla sua famiglia più di ogni altra cosa, ma il pianto di quel bambino lo aveva colto coinvolto ed eccitato, e se non avesse smesso di piangere all'istante avrebbe urlato. Fortunatamente il bambino sembrò comprendere la situazione e si calmò, lasciando anche che lo zio lo sistemasse di nuovo nella sua carrozzina, accuratamente scostata dal divano, ora. Greg tornò in punta di piedi da Mycroft, scuotendo la testa e sgranando gli occhi in un espressione che lo fece ridere.

Questo a Greg piaceva da morire, il fatto che Mycroft fosse così simile eppure così diverso da Sherlock. Era come se il maggiore fosse capace di controllare i propri sentimenti, di chiuderli in gabbia e di lasciarli liberi solo quando ce ne fosse stato bisogno, e questo lo rendeva freddo e attento sul lavoro e premuroso, quasi dolce quando ti invitava a sederti sul suo letto con un bicchiere di vino tra le dita ed un sorriso invitante e sospeso fra le guance.

«Mycroft, ascolta, io- mi spiace, davvero, mi spiace per come sta andando la serata. Tu sei paziente, e premuroso, e sono contento che tu sia rimasto qui nonostante tutto, figurati che all'inizio temevo tu fossi qui per dirmi che l'altra notte era stata uno sbaglio e che dovevamo finirla qui e io non potevo davvero accettarlo», iniziò, e si rese conto di non star nemmeno controllando quello che diceva. «Quindi se tu potessi dirmi che intenzioni-»

Mycroft era intelligente, ma non serviva un genio per capire che l'unica cosa giusta da fare, in quel momento, era appoggiargli una mano dietro la testa, nei capelli neri appena macchiati di grigio, e farsi venire incontro con le sue labbra, ed aprire le proprie, e baciarlo e morderlo e lentamente scivolare fino a sdraiarsi sul divano con lui sopra.

L'ombrello cadde dalle gambe di Mycroft e si infilò sotto il tavolo mentre Lestrade si inginocchiava tra le gambe di Mycroft, carezzandogli le guance ed il collo e sciogliendogli la cravatta senza smettere un attimo di baciarlo.

Quando però si dovette alzare per lasciare che Mycroft si togliesse le scarpe fin troppo costose per essere semplicemente gettate via, vide Alec che, sveglio, li fissava dalla propria carrozzina. Alzò gli occhi al cielo mentre l'eccitazione gli si squagliava nello stomaco e i polmoni lasciavano andare un sospiro esasperato.

«Dannazione, Lila», sussurrò, mentre fissava quel bambino dagli occhi così simili a quella della donna appena maledetta.

 

Greg non poteva sopportare il dover cullare Alec mentre Mycroft lo osservava con i capelli leggermente in disordine, la camicia aperta sotto il gilet e senza scarpe, i suoi piedi quasi timidi che si nascondevano l'uno dietro l'altro mentre semplicemente giaceva appoggiato ad una parete. Quella situazione portò solo ad una maggiore agitazione, e a Lestrade sembrò che Alec avrebbe pianto per sempre. Aveva finalmente capito che gli facevano male i dentini, e stava rovistando nella borsa che Lila gli aveva lasciato per un qualche rimedio.

Nel momento in cui le sue orecchie parvero abituarsi a quel rumoroso caos, nemmeno un qualche dio ce l'avesse con lui, la sua vita e tutto ciò che essa rappresentava, squillò il cellulare. Per un qualche strano istinto rovinò il meraviglioso quadro che era Mycroft in quel momento mollandogli in braccio Alec e corse nella cucina, rispondendo con un ringhio.

«Greg! Tutto bene? Come sta Alec?»

«Lila, spero tu ti stia godendo la tua serata perché sto per sparare a tuo figlio!»

«Non essere ridicolo, anche se lo facessi dopo saresti capace di arrestarti da solo. Che succede?»

«Non la smette di piangere!»

«Benvenuto nel mio mondo. Pannolino?»

«Pulito!»

«Latte?»

«Tracannato come birra all'Oktoberfest»

«Hai provat-»

«Ho fatto di tutto, Lila!», quasi urlò. «Ho addirittura pensato al fatto che stesse mettendo i dentini, e con tutta la pomata non vuole smettere di...»

Greg abbassò il telefono e si rese conto che il silenzio era tornato nell'appartamento. Si sentiva solo il ridacchiare di un bambino, e lentamente si diresse verso il salotto. Trovò Mycroft dove lo aveva lasciato, rigidamente in piedi, che teneva Alec da sotto le braccia paffute. Il piccolo stava tendendo le mani aperte verso il viso dell'Holmes, e rideva di gusto mentre veniva fissato con uno sguardo perplesso.

Perplesso.

Un Holmes perplesso.

Lestrade avrebbe dovuto scattare una foto.

«Greg? Greg! Che succede? Greg!», la voce lontana di Lila arrivava dal cellulare.

«Sì, senti, lascia stare, è tutto ok. A domattina, divertitevi e non provate a generare un altro di questi mostri. Buonanotte!», concluse distrattamente ed attaccò, abbandonando il cellulare da qualche parte nel disimpegno.

Qualche minuto di silenzio ristagnò nella stanza, mentre Alec rideva e i due uomini lo osservavano.

«Mycroft. Come diavolo hai fatto?»

«Io non ho fatto nulla. Mi ha guardato e si è messo a ridere. Dovrei ritenerla un'offesa?»

«Io- io non credo, no...» ridacchiò Lestrade, ma quando provò a riprendere Alec in braccio questo minacciò di scoppiare a piangere di nuovo.

Lestrade sospirò. «Aspetta Myc, ti faccio vedere come tenerlo».

Mycroft alzò le sopracciglia. Nessuno lo aveva mai chiamato Myc prima d'ora.

 

Alec dormiva, finalmente.

La televisione era spenta, la notte stava calando, e anche i rumori esterni lentamente venivano attutiti.

Lestrade prese la cravatta sciolta di Mycroft e gliela poggiò dietro il collo, attirandolo a sé e facendosi seguire in camera da letto.

«Non aspettarti un letto mastodontico come il tuo», scherzò Greg.

«Avrai meno spazio per scappare da me», rispose Mycroft, e a Lestrade salì un brivido.

Spinse leggermente Mycroft sul letto e si arrampicò su di lui, sfilandogli il gilet e baciandogli la pelle scoperta sul collo. Mycroft gli sbottonò la camicia e gliela sfilò dalle spalle, sorridendogli nella penombra, stavolta senza nessun messaggio sottinteso.

Greg stava per sfilare i pantaloni a Mycroft quando entrambi udirono chiaramente un singhiozzo di neonato provenire dal salotto, e si congelarono sul posto. Quando il baby monitor tornò a trasmettere solo il suo respiro leggero, Greg scosse la testa e rise, seppellendo il naso nella morbida pancia dell'uomo più bello che avesse mai visto.

 

   
 
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