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Autore: HernameisGiuls    12/09/2013    4 recensioni
«Si chiama Harry», bisbigliò Alex, «E' all'università con me, ma non ci conosciamo. E' un amico di Niall, quello che ti dicevo prima, quindi è più grande di noi», spiegò ad Ivy.
Alex ricominciò a parlare, riprendendo il discorso da dove l'aveva interrotto ma Ivy smise di ascoltarla e si perse un attimo ad osservare la figura slanciata di quel ragazzo bellissimo. Era magro - si notava dalle gambe fasciate dai pantaloni scuri e aderenti -, altissimo e con i capelli particolarmente ricci e scuri semi nascosti da un capello nero di lana.
Come se Harry sapesse che lo stesse osservando si girò verso Ivy ed ella si perse nel verde dei suoi occhi.
«Ecco il resto» Il ragazzo scosse la testa sbattendo più volte le palpebre. Sorrise al barista, prese il resto e tornò poi alla sua bevanda più concentrato che mai.
Harry.
Ivy si impresse quel nome nella testa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Painting flowers
 
Ad Erica,
perchè mi ha aiutato a scrivere la prima stesura
e ha sopportato i miei piagnistei quando l'ho persa



 
When I wake up, the dream isn’t done.
I wanna see your face, and know I made it home.
If nothing is true, what more can I do?
I am still painting flowers for you 



Fallimento.
Una macchia indelebile e gigantesca, così scura e irremovibile che nella vita di Ivy andava via via espandendosi.
A vent'anni non aveva lavoro, non aveva casa, non aveva nemmeno un bel rapporto coi genitori.  
A vent'anni aveva solo dei pennelli, delle matite, e dei fogli bianchi che trasformava in quadri bellissimi dandole da vivere.
 
Ivy aveva tre anni quando scarabocchiò il muro di casa con una matita. Sua madre si arrabbiò moltissimo ma capì che sua figlia era troppo piccola per capire, così lasciò perdere.
Ivy aveva sei anni quando disegnò un fiore con dei sassi colorati sul cancelletto d'entrata. Suo padre si arrabbiò moltissimo perchè aveva tinteggiato quel cancello solo il giorno prima ma capì che sua figlia era ancora piccola per capire, così lasciò perdere.
Ivy aveva dieci anni quando diventò sorella maggiore. Era così felice che la piccola Lucy era entrata a far parte della sua famiglia che decorò la culla con tantissimi punti colorati, come un campo pieno di fiori, con le tempere. I suoi genitori si arrabbiarono moltissimo, era il regalo dello zio Joe, e la misero in punizione perchè Ivy non era più così piccola per non capire.
Da quel giorno, rimasta seduta sul letto per ore a cercare di capire cosa avesse fatto di sbagliato, Ivy capì di avere qualcosa di speciale nelle mani: le dita affusolate maneggiavano pennelli di ogni tipo e creavano dipinti stupendi, disegni bellissimi per una bambina della sua età. Il suo era un talento naturale. E passò quella giornata chiusa in camera, come le aveva ordinato la madre, a disegnare le restanti pagine del quaderno di matematica invece di riflettere. Disegnò sua madre in lacrime pronta a partorire, suo padre con la testa china in una preghiera, la sua sorellina che apre gli occhi per la prima volta.
Il giorno dopo Ivy tornò a casa con una nota dalla maestra di storia: «Di che stiamo parlando, Ivy?» e la piccola non seppe rispondere perchè era troppo concentrata a contornare le pagine del libro con dei fiori colorati. Inutile dire che la madre le fece rizzare i peli con i suoi rimproveri.
E tra una nota di demerito, un voto basso qui e lì, e qualche passeggiata dal preside, Ivy aveva concluso la scuola con il minimo dei voti - tranne in arte, s'intende. E quando sua madre scoprì che per quattro anni aveva seguito i corsi di disegno anziché quelli di economia e business si sentì morire per la vergogna: sua figlia che disegnava a scuola e neanche lo sapeva! Il bello dove stava? I suoi disegni li vedeva tutti i giorni, poggiati sulla scrivania, ma non si era mai soffermata ad osservarli.
Suo padre, non da meno, si era tolto gli occhiali sospirando rassegnato, incapace di vedere davvero.


Per otto anni entrambi i genitori seguirono i piccoli passi, avanti e indietro, di Lucy, nata con un problema che, per parecchio tempo, nessuno aveva capito quale fosse: la piccola aveva difficoltà nel capire il linguaggio e quindi nell'esprimersi. E così, per gli anni successivi, i genitori presero a tempo pieno la sua vita per aiutarla.
Ivy era alla conoscenza dei problemi della sorella e non ha mai messo in discussione il fatto che i genitori seguissero attentamente la piccola senza prendere in considerazione ciò lei che suggeriva.
Voleva solo un po' di attenzione e parlare con qualcuno delle sue preoccupazioni, magari.
Poi incontrò Harry ed ogni brutto pensiero svanì.
 
Era una mattina fredda di Febbraio quando Ivy vide per la prima volta Harry.
Alex, una vecchia amica d'infanzia di Ivy, era solita passare al bar per un caffé prima di andare all'università di Economia della città (proprio quella che la madre di Ivy aveva scelto per sua figlia), e proprio quella mattina, al bar dell'incrocio, trovò Ivy.
Era ancora presto e le due cercarono di recuperare i mesi perduti in poche ma concise chiaccherare fino a che il campanellino del locale non fece destare entrambe. Un ragazzo bellissimo fece capolino dall'entrata, diretto ad ordinare un cappuccino e un croissant alla crema.
«Si chiama Harry», bisbigliò Alex, «E' all'università con me, ma non ci conosciamo. E' un amico di Niall, quello che ti dicevo prima, quindi è più grande di noi», spiegò ad Ivy.
Alex ricominciò a parlare, riprendendo il discorso da dove l'aveva interrotto ma Ivy smise di ascoltarla e si perse un attimo ad osservare la figura slanciata di quel ragazzo bellissimo. Era magro - si notava dalle gambe fasciate dai pantaloni scuri e aderenti -, altissimo e con i capelli particolarmente ricci e scuri semi nascosti da un capello nero di lana.
Come se Harry sapesse che lo stesse osservando si girò verso Ivy ed ella si perse nel verde dei suoi occhi.
«Ecco il resto» Il ragazzo scosse la testa sbattendo più volte le palpebre. Sorrise al barista, prese il resto e tornò poi alla sua bevanda più concentrato che mai.

Harry.
Ivy si impresse quel nome nella testa.

Era una mattina tiempida di Marzo quando Ivy decise di andare di nuovo - come nelle precedenti settimane - sul viale di fronte al bar dell'incrocio per disegnare. Adorava quel punto della città: alle sue spalle c'era la città, piena di grigio e cemento, con qualche albero spoglio che veniva dimenticato davanti al Tamigi, bello e cristallino, e con lo splendido panorama inglese come sfondo. Era il luogo ideale per dare sfogo al fitto labirinto dei suoi pensieri, così si armò di pennelli, cavalletto e tutto ciò che le sarebbe servito per dipingere.
Quella mattina i raggi del sole che filtravano attraverso le poche nuvole in cielo davano al luogo una bellezza in più. L'acqua, leggermente increspata dalle barche e dal vento, brillava di riflessi che spinsero Ivy ad usare gli acquerelli, per ricreare quella croccantezza nei colori.
Aveva disegnato quel posto così tante volte che in pochi secondi il paesaggio era esattamente lì, sul foglio, vivo come una fotografia. Prese un respiro pronta a intingere il pennello nei colori per creare quello più simile al cielo quando un odore acre le fece arricciare il naso. Non c'era cosa che odiava di più al mondo, oltre a un pennello spelacchiato e il colore seccato nel tubetto, delle sigarette. Girò lo guardo per maledire mentalmente chi stesse fumando proprio mentre il vento soffiava nella sua direzione e un nome cominciò a lampeggiarle nella testa.
Harry.
Se ne stava lì, a una decina di metri, seduto sul muretto con le gambe a penzoloni sull'acqua, a fumare contro il vastissimo panorama con sguardo assente. 
Per un attimo le parve di vedere il suo stesso sguardo vuoto, quello che ogni mattina si rifletteva sullo specchio.
Si morse il labbro frastornata. Vederlo così concentrato verso l'infinito le fece nascere una nuova voglia di disegnare, di cambiare soggetto, colori, tecnica, tutto.
Mise il disegno in fondo all'album e ne tirò un foglio nuovo in una velocità impressionante. Prese il carboncino - il suo preferito, seguito dai colori ad olio - e cominciò a disegnare il muretto, l'albero qualche metro più indietro, l'acqua con i suoi riflessi, il paeseaggio e quel ragazzo bellissimo che, dal loro primo incontro, vedeva persino nei suoi sogni.
Era così concentrata che sua madre dovette scuoterla per farsi sentire. Ivy si spaventò, e rimase sorpresa quando la vide insieme alla sorella.
«Che fai qui?», domandò la madre, aspra.
«Quello che vedi», rispose quasi in un sussurro, poi si rivolse alla piccola «Ciao Lucy, dove vai di bello?»
La bambina, rimasta ad osservare una barca, si girò sorridendo quando sentì la voce della sorella. Non le rispose, così come non faceva nell'ultimo periodo, e l'abbracciò. Ivy, come qualvolta che capitava, sentì il cuore sgretolarsi.
«Abbiamo preso dei fiori per un lavoretto che Lucy deve fare a scuola» spiegò paziente la madre «Adesso vado a prendere un caffè. Sono già stanca. Lucy, rimani con la sorellina?» la piccola, che non sembrava volersi staccare dalla sorella, non le diede attenzione. «Stai attenta» continuò con freddezza prima di allontanarsi. Ivy sospirò, ormai abituata a quel genere di trattamento.
«Ma che bei fiori!» disse allegra per attirare l'attenzione della sorella «Mi sai dire che colore è questo?» tentò indicando un fiore rosso. La bimba si guardò la punta delle scarpe, così Ivy insistette scrollandole un poco la mano «Dai, dimmelo» ma Lucy non rispose «Non è difficile, Lucy. Che colore è?» la piccola cominciò a tremare sul posto, muovendo di poco i piedi, prese il fiore che la sorella aveva indicato e lo lanciò davanti a lei. «Lucy!» Non ebbe il tempo di alzarsi per raccogliere il fiore che una mano stava già tesa davanti a lei con il fiore in mano.
Per un attimo il mondo smise di girare, gli uccelli di volare, Ivy di respirare.
Rimase letteralmente incantata da quegli occhi così verdi e brillanti, dalle lunghe ciglia, e dalla forma delle labbra carnose. E quel nome riprese a lampeggiare nella testa una volta che il cuore riprese a battere.
«Tieni» disse Harry con voce calda, come l'aveva immaginata, e gli angoli della bocca gli si erano alzati.
Ivy arrossì.
Tese una mano per prendere il fiore dalla mano di Harry, grande come non si aspettava, e in quell'attimo in cui le dita sfiorarono le sue una folata di vento fece cadere la scatola degli acquarelli e l'album con tutti i disegni che si sparpagliarono per la strada.
«Merda, no!» Ivy si alzò di scatto cercando di recuperarne il più possibile e quando ne vide alcuni in mezzo alla strada che continuavano a muoversi si sentì gli occhi pizzicare per la rabbia. Si voltò verso Lucy e le parole severe della madre le echeggiarono in testa, così la prese per mano pronta ad attraversare in velocità.
«Ci penso io» Harry guardò prima a destra, poi a sinistra per controllare le macchine, poi passò veloce e si inchinò per raccogliere quei quattro fogli. Il suono di un clackson lo fece sussultare e ritornò rapido sul viale.
«Appena in tempo» rise tra sé facendo spuntare due bellissime fossette ai lati della bocca che ad Ivy fecero girare la testa. Allungò i disegni verso la ragazza ma quando buttò l'occhio sui fogli, giusto per curiosità, ritirò la mano. Nel primo, leggermente sporcato dall'asfalto, era raffigurata Bond Street e una donna, tirata di tutto punto, che usciva piena di borse da Tiffany & co., nel secondo un anziano seduto in una panchina del parco mentre leggeva. «Ma sono meravigliosi...» si lasciò scappare. Nel terzo un ragazzo seduto sul muretto con i piedi verso il molo. Harry rimase ad osservare attentamente quel disegno, quel soggetto tanto familiare, poi inarcò le sopracciglia sorpreso.
Ivy allungò lo sguardo per vedere su cosa si fosse soffermato e il suo cuore fece una capriola. Tese le mani in un lamento ed Harry arretrò perplesso. «Ma sono io? Quando l'hai fatto?» poi si ricordò che solo poco prima era seduto in quella posizione e si lasciò scappare un sorriso, grattandosi il collo in imbarazzo. Aprì bocca pronto a complimentarsi finchè la voce stridula di una donna non lo fece spaventare: «Ivy, che diavolo fai!» urlò sua madre correndo verso Lucy che passeggiava da sola.
Ivy, tornata coi piedi per terra, riprese i fogli con prepotenza e scappò a prendere la sorellina. «Grazie!» disse mentre arretrava e l'imbarazzo spariva.
Harry rimase ad osservare quei capelli corvini ondeggiare e la ragazza incucciarsi verso la bambina e la madre che le raggiunge urlando. Rimase interdetto, poi guardò il suo orologio rendendosi conto di quanto fosse tardi. Si sistemò la tracolla della borsa e corse verso l'Università, ancora perplesso e meravigliato per quel disegno.
Quando Ivy tornò al suo cavalletto si lasciò cadere sul muretto. Le parole offensive della madre le risuonavano nella testa, forti e martellanti, e si sentiva una stupida. Aveva lasciato la sorella da sola un istante solo per un ragazzo. Ma il problema erano quegli occhi verde mare e quel nome che non voleva dimenticare.
Si stropicciò gli occhi e il resto della faccia per asciugare le lacrime e passò le dita tra i capelli troppo lunghi e crespi. Si alzò di malavoglia per raccogliere ciò che era caduto e sistemare i disegni nell'album, sospirando amareggiata.
Una signora era rimasta ad ossevare un disegno del Tower Bridge mentre il ponte si apriva per far passare un battello completamente ricoperto di fiori. Bizzarro ma bellissimo. Era fatto con gli acrilici e l'anziana rimase meravigliata dalla combinazione cromatica. «Oh, ma è meraviglioso» disse alla ragazza piena di sincerità, usando le stesse parole di Harry. «Quanto lo vendi?»
Ivy respirò a fondo, scacciando via i brutti pensieri «15 sterline» cercò di sorridere. La donna prese il portafoglio dalla borsa e mortificata replicò: «Ne ho solo 12, il resto mi servono per la spesa»
«Non importa» rispose cortese Ivy «Vanno bene lo stesso, non si preoccupi» e prese una busta trasparente per sistemare il disegno.
«Ti ringrazio» sorrise la donna, dandole i soldi «Buona giornata»
«A lei» rispose rincuorata. Il primo incasso della giornata.
Decise di darsi una regolata e continuare il disegno del Tamigi a cui stava lavorando meno di un'ora prima e dimenticare ciò che era accaduto, ma la sua mente quella mattina le giocava brutti scherzi. Riusciva solo a pensare a quegli occhi, a quella voce, a quel sorriso. Lo aveva sentito ridere, toccato le sue mani, visto da vicino. E si sentì arrossire di nuovo. Si toccò le guance ormai rosse come quel fiore che aveva raccolto, come la sciarpa che aveva la prima volta che si videro.
Sospirò.
Sapeva già come sarebbe finita.
C'erano dei momenti in cui le sue mani prendevano il sopravvento, in cui se il soggetto era un semplice vaso queste lo arricchivano con fiori di ogni colore e dimensione - così come per quel disegno comprato dalla signora - anche se la testa voleva disegnare solo quel vaso. Adorava i fiori, le mettevano allegria. Era qualcosa che non riusciva a spiegare.
Ossessione.
Harry era diventato un ossessione, come i fiori.
E allora mise da parte quel foglio e ne prese un altro cominciando a disegnare pochi tratti di un volto, un viso bellissimo. Spuntarono due occhi grandi, una bocca con labbra a cuore, un naso dritto, dei capelli ricci, una mano grande e un fiore rosso come le guance di Ivy.
Ne fece uno, due, poi sette, quindici e più disegni. Uno con l'acquerello, l'altro con le tempere, un altro ancora col carboncino, in uno se l'era immaginato nel grande istituto dove lui e Alex andavano, in un altro mentre leggeva e in un altro addirittura con una ghirlanda di fiori in testa.
Li guardò uno dopo l'altro rendendosi conto di avere un vero problema; prima solo con i fiori, adesso anche con quel ragazzo.
«Ottimo tocco» disse la voce di un uomo rimasto alle sue spalle ad osservarla disegnare «E' di tua invenzione?»
Ivy socchiuse la bocca, colta in flagrante «No, no... E' un ragazzo che ho incontrato questa mattina» rispose incerta. L'uomo sorrise, «Una bella cotta, allora, eh?»
«Cosa? No, no... Assolutamente no!» e in cuor suo sapeva che non esisteva bugia più grande.
«Dicevo per dire... Ci sono tanti disegni con questo ragazzo e così sono saltato alle conclusioni, scusami» sorrise furbo.
Ivy rimase completamente sorpresa da quelle parole e rimase a rimuginare su ciò che quell'uomo aveva appena detto. «Aveva qualcosa... negli occhi, una luce particolare. C'eravamo già visti in quel bar e il suo sguardo... era molto intenso, bellissimo. E quel verde... non riesco a dare la giusta sfumatura... Sono davvero bellissimi» mormorò, persa nei suoi meandri. Poi si rese conto di essere davvero nei guai. Scoppiò a ridere coprendosi la faccia con le mani, diventando man mano sempre più rossa, e l'uomo non resistì nel seguirla. «Che danno! Aiuto» sto impazzendo! pensava triste.
«Capita, diciamo quindi che è il vostro giorno fortunato»
«Vostro di chi?»
«Non è lui? Il ragazzo, intendo...» Ivy seguì il dito dell'uomo rivolto all'incrocio dall'altra parte della strada, dove due ragazzi stavano giusto aspettando il verde per attraversare. Assottigliò lo sguardo, poi sbiancò.
«Ma dove scappi? Non lo aspetti? Volevo comprare un tuo disegno!» disse confuso e al tempo stesso divertito mentre Ivy raccoglieva le sue cose per andarsene. Sistemò il tutto nel cestino della sua bici che, fortunatamente, era grande abbastanza da contenere il cavelletto richiuso, l'album e tutto il resto.
Si girò un solo istante, giusto per vedere Harry sventolare un braccio nella sua direzione.
Senza pensarci partì mentre il ragazzo, confuso, cominciò a correre per raggiungerla, urlando qualche "Fermati".
Per quanto cercasse di andar via veloce, la bici sembrava non funzionare. Buttò l'occhio sulla ruota per scoprirla, con orrore, letteralmente a terra.
«Ti prego, fermati!»
Frenò di botto andando addosso ad un albero che non aveva visto, scese e piena di rabbia calciò la bici ormai morta sul viale.
«Ma... che hai da... correre...» Harry, dal canto suo col fiatone, non riusciva a spiegarsi quella corsa sfrenata e improvvisa. «Volevo... Ecco... rivedere quei disegni e... magari comprarne qualcuno» continuò, ma Ivy gli dava le spalle. Harry si accorse del tremolio del suo corpo e dei fogli sparsi attorno a lei, proprio come alla mattina. Quella volta non ci volle molto a capire chi fosse il soggetto e le domande poste già alla mattina volevano uscire di nuovo per chiarire quel dubbio che lo aveva distratto per l'intera mattinata.
«Ehi...» le prese lentamente le spelle cercando di girarla «Tutto okay? Perchè piangi?» domandò dispiaciuto e terribilmente perplesso. Ivy abbassò le mani dal viso rendendosi conto della vicinanza con quel ragazzo così bello e alla fine... Sì, scoppiò a ridere.
Harry, confuso più che mai, non sapeva che fare. Se allontanarsi o chiamare qualcuno per rinchiudere quella ragazza in qualche clinica. Ma c'era qualcosa, una voce che gli diceva di restare.
«Sono pazza... Sono pazza...» mormorò tra sé Ivy piena di vergogna «Mi dispiace... Io... Dio, ma che ho di sbagliato!» urlò al cielo, calciando di nuovo la bici. Harry si morse il labbro, lottando contro se stesso per non scoppiare a ridere, ma non ci riuscì e così cominciarono a ridere entrambi. Un po' per la pazzia, un po' per quella strana situazione, un po' perchè entrambi ne avevano voglia.
Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli e si abbassò per sistemare i disegni caduti, come alla mattina, ed Ivy non mosse un dito nemmeno quella volta, incapace di muoversi.
Più i fogli scorrevano, più Harry ne voleva vedere. Sorrise incredulo per la bellezza di quei disegni e alzò lo sguardo su Ivy, intenta a mangiucchiarsi le unghie. «Beh, fatti dire che sei eccezionale. Sono bellissimi» disse sincero, lasciandosi ad un sorriso «Ma perchè io? Voglio dire...» gli mancarono le parole, ma il concetto c'era, o così credeva.
«Non lo so» sbuffò Ivy sedendosi sul muretto, decisa a liberare quel macigno dal petto «Un mese fa ci siamo visti al bar, non so se ricordi... E ho iniziato a vedere il tuo volto ovunque e... stamattina ti ho visto sul viale e non ho resistito. Poi mi hai raccolto i disegni e tutto il resto. Insomma... Non so che mi è preso, mi dispiace... Anzi, posso anche strapparli, se vuoi»
«Li compro tutti» Ad Ivy ci volle qualche secondo per capire e infine esalò: «Credo di non aver capito...»
«Li compro tutti» ripetè paziente «Così per farne degli altri, magari più belli, dovremmo rivederci» sorrise malizioso.

E quello fu l'inizio di tutto.
L'ora del pranzo era già passato ed Harry accompagnò Ivy a casa sua, portando la sua bici.
I due continuarono a parlare per tutto il tragitto, come se fossero amici da sempre. Parlarono dell'Università di Harry, degli hobby - oltre al disegnare - di Ivy, delle loro famiglie, ed Harry le chiese per Lucy, se il suo fosse un semplice disturbo o qualcosa di più serio. Erano entrati in una fitta conversazione che proprio davanti al cancelletto dei Bolton dovettero interrompere.
«Grazie per avermi accompagnata, non dovevi...»
«Non mi ha costretto nessuno» sorrise Harry, alzando le spalle
«Ma come torni a casa, adesso? Abiti distante? Posso chiamare mio padre e ti accompagna lui, se vuoi»
«Non preoccuparti, ho avvisato un mio amico. Gli do l'indirizzo e mi passa a prendere. Comunque, sono Harry» disse ed Ivy non aveva pensato al fatto che ancora non si fossero presentati. «Lo so» si lasciò scappare, poi si morse il labbro e si corresse dicendo: «Volevo dire: io Ivy» tese la mano di nuovo in quell'imbarazzo claustrofobico che, una volta a contatto con quella mano grande e morbida, sparì.
«E' stato un piacere, Ivy» mormorò Harry, sincero. Ivy annuì sorridendo pensando a quanto fosse bello il suo nome pronunciato da quella voce profonda. Aprì il cancelletto di casa tenendo la bici con una mano. Il tempo giusto di rientrare che Harry urlò: «Quando ci rivediamo?»
Ivy sorrise, forse finalmente tranquilla, «Stesso posto e ora di questa mattina? Così posso disegnarti in santa pace»
«Intendevo per uscire, per i disegni c'è sempre tempo» ammiccò malizioso
«Allora cominciamo con un bel cappuccino e un croissant alla crema»
Harry rimase sorpreso e sorrise raggiante mostrando quel bellissimo sorriso che ad Ivy piaceva tanto. E quel sorriso rimase immutabile fino al giorno successivo quando al bar dell'incrocio trovò Ivy intenta a disegnare l'interno del locale abbellito, ovviamente, da tantissimi fiori.

Sogno.
Ivy aprì gli occhi e sorrise. Non era un sogno. Harry era proprio lì davanti a lei, come le precedenti mattine.
Rimase qualche minuto ad osservarlo, ad ascoltare il respiro pronfondo e il cuore battere lentamente.
Si girò sul lato guardando la sveglia segnare le 6:13 del mattino. Sbuffò. Odiava alzarsi troppo presto.
Si voltò di nuovo verso Harry e una strana e familiare sensazione prese vita dentro di lei. Ogni qualvolta che vedeva quel bellissimo viso scattava in lei un'irrefrenabile voglia di disegnarlo, di perdersi in quei dettagli che ormai conosceva ad occhi chiusi.
Harry se ne stava beatamente a pancia in giù, perso in chissà quale sogno, e nemmeno il tocco delicato di Ivy lo svegliò. La ragazza strisciò più vicina al suo ragazzo sentendo immediatamente il calore che il suo corpo irradiava. Avrebbe voluto accocolarsi accanto lui, lasciandosi riscardare e perdersi di nuovo nel sonno, ma la mano era un tremolio continuo. E allora gli spostò dal viso qualche ricciolo caduto, nonostante li avesse tagliati da poco, e con la mano disegnò il contorno del suo viso, delle labbra tenere, del naso, fino all'incavatura del collo. E poi la spalla e il braccio muscoloso e la mano grande e protettiva. La linea della schiena scoperta dal lenzuolo, la pelle abbronzata era rovente a contatto con le sue dita ma era un bruciore terribilmente bello e arrossì nel vedere i loro corpi nudi, ripensando alla notte precedente.
Si sedette passandosi una mano sul viso arrossato, un rossore che non lasciò mai le sue guance sin dal prima volta in cui Harry la guardò negli occhi.
Si mise a pensare a ciò che era prima di incontrarlo, alla matassa aggrovigliata di pensieri che aveva nelle testa, a tutte le sue frustazioni che la accompagnavano ogni giorno e a come tutto sia cambiato in un attimo. Una mattina disegna paesaggi e tizi sconosciuti, un'altra si innamora di due occhi verdi. Una mattina rivede quegli occhi verdi e da quel momento li rivedrà ogni giorno al suo risveglio.
Ripensò a cosa diventerebbe la sua vita ora se Harry scomparisse lasciando un vuoto incolmabile nella sua vita, lo stesso vuoto che lui stesso aveva riempito con le sue attenzioni e con i suoi piccoli gesti.
Grazie a lui, pian piano stava rimettendo al loro posto i tasselli della sua vita cominciando dai genitori che, per quanto ci avesse provato, rimasero con le stesse idee. Ma non si diede per vinta e i disegni che Harry aveva comprato e fatto appendere nella sua università le diedero il trampolino giusto per fare una mostra - ovviamente rimase inevitabilmente senza soldi, spendendo tutto ciò che aveva guadagnato negli ultimi due anni per mettere su la galleria, ma li riguadagnò in velocità grazie ai suoi quadri. Uno dei più belli, tempere su tela, ritraeva una griglia con sedici quadrati: nel primo dai colori tetri una bambina con gli occhi allegri che dipingeva dei fiori e man mano che il disegno procedeva questa cresceva e i suoi occhi diventavano scuri e sfumati, finchè non incontra un altro individuo; da lì il disegno prende una piega diversa, i colori diventando più brillanti e gli occhi della ragazza riprendono vita via via che lui è con lei, fino a che nell'ultimo riquadro i due dipingono insieme altri fiori colorati. La loro storia, in poche parole.
Sospirò.
Se solo Harry sapesse quanto gli fosse riconoscente... Lei glielo diceva sempre, ovviamente, ma lui se ne usciva con frasi sdolcinate come "Era destino che ci incontrassimo".
Non riuscendo più ad aspettare, si alzò lentamente dal letto, cercando di fare il meno rumore possibile, e si rimise l'intimo e la sua maglia buttata a terra. Prese l'album da schizzi che aveva lasciato a casa di Harry - visto che era da lui per la maggior parte del tempo - e iniziò a disegnarlo. Si morse l'interno delle guance concentrata finchè il disegno non prese vita su quel foglio poi girò lo sguardo per la camera, mancava qualcosa. Sopra la scrivania c'era la rosa rossa in carta pesta che Lucy gli aveva regalato per il compleanno un anno dopo e che lui, a distanza di mesi, non aveva ancora buttato. Era poggiata dentro un bicchiere, dando l'impressione di un vero fiore. Lo prese con delicatezza e lo poggiò sul letto, proprio dove lei era coricata, e disegnò pure essa. Iniziò col chiaro-scuro e si perse nella fronte corrugata, nella piega strana dei capelli che ormai conosceva a memoria.
Talmente persa nel disegno che non si accorse nemmeno di Harry in piedi dietro di lei ad osservare le sue dita agili muoversi per il foglio. 
«Ti disturbo?» le sussurrò all'orecchio facendola spaventare. Lo guardò incredula e poi si voltò verso il letto vuoto e poi di nuovo ad Harry e scoppiò a ridere. «Ho avuto persino il tempo di lavarmi e di rivestirmi»
Ivy rimase in silenzio, non sapendo come scusarsi, e fece spallucce.
«E questo ennesimo disegno di me che dormo dove lo mettiamo?» la prese in giro, togliendole l'album di mano «Lo sai che fai crescere il mio ego se continui a disegnarmi» rise.
«Dai dammelo, che lo stropicci» si lamentò, alzandosi dalla sedia.
«E quindi?» domandò scettico «Hai il vero Harry Styles, in carne ed ossa, e non ti basta?»
«Non mi sazio mai, che posso dire» sorrise tranquilla, avvicinandosi al suo ragazzo che interpretò la frase in malo modo. La guardò con aria maliziosa, quel tanto da farle colorare ancora di più le guance. Posò l'album sulla scrivania e, come la prima volta al bar, fissò i suoi occhi blu, così belli e profondi da non risalire più a galla.
«Che c'è?» domandò Ivy, vedendo in Harry di nuovo quello sguardo vuoto che spesso e volentieri tornava.
«Nulla» scrollò le spalle «Mi piacciono i tuoi occhi» Semplice e diretto.
Ivy sorrise, «Beh, la cosa è reciproca» Presa da un attimo di tenerezza, poggiò la testa sul suo torace che si alzava e abbassava lentamente e l'abbracciò. Con un gesto automatico, Harry agganciò le braccia al suo collo facendola avvicinare.
Stretti in un unico essere, sospirarono.
«Hai impegni, oggi?» domandò di punto in bianco Harry. Ivy rimase a pensare a cosa avesse da fare, ci pensò per un po' ma poi scosse la testa «Oggi, giornata relax» scherzò «Perchè? Vuoi andare da qualche parte?»
«A casa tua»
Ivy rimase sorpresa «E a fare cosa?»
«A sistemare la tua roba»
«La mia roba...»
Harry si mise a ridere, sconvolto dall'ingenuità della sua ragazza. Si staccò prendendole le guance, avvicinò di poco il viso e... «Per trasferirti qui. Per cosa, se no?» mormorò con fare diplomatico. Ivy rimase in silenzio, perplessa. «Sempre se vuoi...» continuò, leggermente confuso. Era convinto che avrebbe fatto i salti di gioia a quella proposta, ma magari si sbagliava. Forse aveva usato le parole sbagliate.
«Ma certo che voglio... Fosse per me ti sposerei anche oggi stesso. Semplicemente non pensavo che me l'avresti chiesto. Insomma, stiamo insieme da poco più di anno e...»
«Cosa hai detto?» l'interruppe.
«Non pensavo che me l'avresti chiesto»
«Prima»
«Ma certo che voglio?» sorrise, già in imbarazzo. Aveva capito dove voleva andare a parare.
«Dopo...» mormorò, avvicinandosi ancora «Fosse per me...»
«Ti sposerei anche oggi stesso» disse piano.
«Oggi?»
«Visto che non ho impegni...» sorrise ironica. Si alzò sulle punte, quel poco che bastava ad essere più vicini «Anche adesso» sussurrò tra le sue labbra prima che Harry stesso la baciasse.


 
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Salve a tutti:)
Si, ogni tanto mi faccio viva con qualche chilometrica oneshot (scusate, ma quando inizio non riesco più a smettere) quando potrei, che so, aggiornare la fanfic che ho inizato un po' di tempo fa, ma non importa ahahah
Allora, quest'estate, presa da uno dei miei soliti crampi allo stomaco e dall'influenza, ho iniziato a scrivere una oneshot ispirata a Painting Flowers degli All time low (canzone bellissima e che consiglio di ascoltare) e ho chiamato Erica perchè è l'unica che riesce a calmare le mie (insulse) crisi di panico. Così io scrivevo e chiedevo a lei come andava e poi, una volta finita, PUFFF la sd del mio cellulare dove avevo salvato la os si è misteriosamente rotta. Aaaah mi stavano venendo i capelli bianchi perchè ero riuscita per la prima volta a scrivere qualcosa di veramente decente, ma ahimè mai una volta che vada come dica io. Comunque sia sarà qualche settimana che ho iniziato a scrivere questa e a fatto compiuto devo dire che preferisco di grn lunga questa ahahah E', forse, esageratamente lunga ma, come già detto, non riesco più a fermarmi una volta che inizio.
Detto questo, taglio corto e spero che vi sia piaciuta :)
Giulia
 
 
 
   
 
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