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Autore: Amens Ophelia    13/09/2013    3 recensioni
[ShikaTema]
Un ragazzo profondamente annoiato, che trova piacere solo nel contemplare le nuvole.
Una ragazza dallo spirito indomito, che non si lascia certo mettere i piedi in testa da nessuno.
Un incontro/scontro, in una calda giornata estiva.
Una certezza in più, più calda del sole.
***
"Si toccò le guance, improvvisamente avvampate, tinte dello stesso colore del fiore, sorridendo senza ritegno, mentre Shikamaru si allontanava con il suo passo tranquillo, di fronte a lei. Non l’avrebbe fermato, o non ne sarebbe uscita viva, con il suo cuore".
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikaku Nara, Shikamaru Nara, Temari, Yoshino Nara | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tulipani rossi


 
Shikamaru osservava con la consueta espressione annoiata il paesaggio fuori dalla sua finestra, ormai da un’ora buona. Le verdi foglie degli alberi erano mosse da una leggera brezza calda, estiva, mentre il cielo era qua e là attraversato da qualche innocua nuvola. Una giornata come tante altre, monotona, senza missioni da svolgere o allenamenti cui sottoporsi. Non che lui fosse il tipo pronto a scattare entusiasta alla notizia di un combattimento, anzi! Ultimamente, però, non trovava nemmeno più la voglia di giocare a Shogi e suo padre si stava seriamente preoccupando.
«Yoshino, pensi che stia male?», aveva chiesto Shikaku alla moglie, in un bisbiglio, mentre loro figlio era seduto sul gradino del portico, qualche giorno prima.
«È soltanto dannatamente pigro», aveva minimizzato la donna, sbuffando. Ancora si chiedeva come un quoziente intellettivo che superava i duecento punti potesse sopportare l’idea di appartenere ad un ragazzo tanto apatico.
Li aveva sentiti benissimo, ma si era limitato a sospirare, chiudendo gli occhi. «Che seccatura!», aveva bofonchiato sottovoce, alzandosi e tornando in camera sua.
 
Quel ricordo recente gli era tornato in mente e lui aveva nuovamente svuotato i polmoni, portandosi le mani alla fronte e girandosi verso la porta. Aveva avvertito i passi di sua madre salire per le scale e aveva bisogno di concentrarsi per l’ennesima sfuriata.
Tre, due, uno. Contatto, o meglio, porta aperta con impeto, tanto da sbattere contro la parete.
«Adesso tu ti alzi da lì e vai a comprarmi…». Cosa? Cosa doveva comprare, dato che alla spesa aveva provveduto quella stessa mattina lei in persona? «Dei fiori! Voglio dei tulipani, chiaro? Nove tulipani rossi!», urlò la donna, guardandolo dritto negli occhi.
Shikamaru alzò un sopracciglio, scettico. «Sono proprio indispensabili?».
«Non discutere con me! Ho detto che mi servono!», ribadì la tiranna, sbattendo la porta alle spalle e scendendo in cucina.
Il ragazzo sbuffò e si alzò lentamente, stirandosi e facendo scrocchiare la schiena. Non aveva possibilità di svignarsela, ne era consapevole. Prese il portafoglio e strisciò pesantemente i piedi fino all’uscio.
«Nove e rossi», gli ricordò Yoshino, mentre gettava nel bidone delle giunchiglie non ancora del tutto sfiorite.
«Sì, mamma», sussurrò arrendevole.
«Bravissimo, tesoro! Su, su, non perdere tempo!», gli sorrise raggiante. Che fosse bipolare? Il figlio cominciava a sospettarlo.
 
Il Nara s’incamminò verso il negozio degli Yamanaka con le mani in tasca e gli occhi persi a osservare le nuvole. Adorava fissare il cielo; era l’unica cosa che non sarebbe mai riuscito ad annoiarlo.
Fu un miracolo se non si scontrò con qualche altro passante distratto e, finalmente, raggiunse la meta.
 
La piccola bottega lo accolse con una vampata di profumo floreale fortissima e il ragazzo, ogni volta che vi entrava, si chiedeva come Ino potesse resistere tante ore là dentro. La bionda emanava sempre una fragranza arborea e ormai lui si era convinto del fatto che nelle sue vene non scorresse sangue, ma pura linfa. Temeva che da un giorno all’altro le sarebbero spuntati dei rami dalle braccia e che la sua chioma si sarebbe mutata in fronde, proprio come era successo alla mitologica Dafne.
Mentre respirava quell’effluvio di petali e polline, seppur disturbato, pensò a quanto fosse fortunato rispetto alla nausea che avrebbero provato Kiba e Akamaru, là dentro.
«Shika!», esclamò felice Ino, da dietro il bancone. «Come posso esserti d’aiuto?».
«Mia madre vuole dei fiori rossi», rispose atono.
«Sii più preciso! Delle rose?».
«No… aspetta, quei fiori orribili, allungati… tulipani, ecco!», si ricordò, chiudendo gli occhi.
«I tulipani sono bellissimi!», protestò la kunoichi, afferrando un vaso di quella varietà color vermiglio acceso. «Allora, quanti ne vuoi?».
«Ha detto che gliene servono nove». E indicò il numero con le dita, per sottolineare il concetto. Non che ritenesse Ino una stupida, ma delle volte era troppo distratta, proprio come in quel momento.
Shikamaru si girò e vide cosa aveva catturato la sua attenzione: una ragazza dai capelli rosa stava discutendo con un giovane pallido e moro. Alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa; le donne rimanevano delle inutili possessive!
«Maledetta Sakura! Lei e la sua insulsa fronte spaziosa! Prima Sasuke, adesso Sai… perché a lei tutte le fortune? Perché non posso essere in squadra con un bel fusto?», piagnucolò Ino, abbandonando la testa sul bancone.
«Beh, grazie per la considerazione. Io e Choji ne siamo proprio felici», sbottò il ragazzo, prendendo il mazzo incartato che la Yamanaka aveva appena confezionato.
«Non essere stupido, non intendevo offendervi! Sai bene quanto sia legata a voi due! Solo che Sai è proprio carino!», affermò sognante, con il mento fra le mani e le ginocchia morbide.
«Sarà, ma sembra anemico. Senza contare che deve essere mezzo alieno», osservò lui, con disappunto.
«È affascinante!», precisò lei, con gli occhi dolci.
«Strambo!».
«Sensuale…».
«Sono schifato», si arrese Shikamaru, appoggiando una banconota sul tavolo. «Tieni pure il resto. Ciao, Ino!», la salutò, dandole le spalle e uscendo dal negozio.
Fece un cenno di saluto anche ai due ragazzi che stavano chiacchierando fuori dalla bottega degli Yamanaka e si chiese perché mai le persone cadessero così irreparabilmente vittime dei sentimenti, soprattutto d’amore.
 
Una volta uscito dal negozio, il giovane non trovò la forza, né la voglia di tornare subito a casa. A che scopo? Probabilmente sua madre avrebbe ancora avuto qualcosa da ridire o di cui lamentarsi, mentre suo padre gli avrebbe proposto una nuova partita a Shogi, invito che lui avrebbe immancabilmente rifiutato. Shikamaru non capiva cosa gli stesse prendendo: d’accordo essere pigro, ma questo era troppo! Si asciugò la fronte dalle piccole gocce di sudore con la manica, arrivando alla conclusione che, forse, la causa di quell’apatia stava nel caldo.
Camminava lentamente, sollevando i piedi quel tanto necessario per non inciampare in qualche sasso, sempre osservando il cielo, finché il tetto del tempio non entrò nella sua visuale. Abbassò lo sguardo e l’engawa fu un richiamo irresistibile.
Si stese supino, a braccia aperte, abbandonando il mazzo di tulipani a mezzo metro dalla sua destra, godendosi così il fresco e la pace che il luogo emanava. Gli occhi tornarono a fissarsi nell’azzurro sconfinato sopra la sua testa, lo spirito si era perso altrove, per radure sconfinate, da nobile cervo qual era.
 
«Ehilà, per chi sono quei fiori?».
Il Nara strizzò gli occhi, infastidito. Perché lo stavano ridestando così presto? Mica doveva andare in missione!
«La sveglia non è suonata», mormorò a denti stretti, coprendosi gli occhi con un braccio.
«Apri gli occhi, è pieno pomeriggio, stupido!», rise forte quella voce.
Shikamaru, controvoglia, si sollevò e cominciò a stropicciarsi gli occhi. Man mano che li sfregava, la scena si faceva più chiara: non era in camera sua, non era mattina e quella non era sua madre! Osservò le assi di legno su cui era seduto e si ricordò del tempio, della contemplazione del cielo… dannazione, si era addormentato! Doveva sbrigarsi a tornare a casa, o le rogne sarebbero lievitate.
«Allora, per chi sono questi fiori?», ripeté la ragazza bionda, prendendo i tulipani e annusandoli.
«Per mia madre!», esclamò il ragazzo, strappandole il mazzo di mano e balzando in piedi.
«Oh, sei proprio un bravo bambino, crybaby!», ridacchiò lei.
«E tu una seccatura, Temari», sbuffò, dandole le spalle. «Salutami i tuoi fratelli, ci si vede!», tagliò corto, riprendendo a camminare controvoglia, stavolta concentrandosi solo sulla strada, senza scrutare il cielo.
 
La ragazza strinse i pugni e digrignò i denti, spazientita. Come poteva prendersi la libertà di trattarla in quel modo? Non erano forse diventati amici… almeno quello? Durante gli ultimi soggiorni alla Foglia da ambasciatrice del Villaggio della Sabbia, lei e Shikamaru avevano trascorso diverse giornate insieme, un po’ per questioni lavorative, un po’ per scambiare quattro chiacchiere. D’accordo, quel ragazzo non era mai stato il massimo dell’allegria, spesso e volentieri si lamentava di qualche commissione, soprattutto domestica, ma non le era mai pesato passare del tempo con lui. Anzi, le ore erano sempre volate, in sua compagnia! Evidentemente era stata un’impressione tutta sua, se adesso lui la stava lasciando lì, ammutolita ed irritata.
Non era certo la tipa che si sarebbe lasciata trasportare nell’autocommiserazione da qualche psicodramma, diamine! Lei era Temari Del Deserto, mica una smidollata bambolina di Konoha! Fissò bene a mente quella riflessione, mentre un ghigno sconcertante le stava accarezzando le labbra. “Peggio per te, piagnucolone!”, pensò maliziosamente, affilando lo sguardo e osservando la fontanella sul lato del tempio.
 
«Ehi, Nara!», urlò in sua direzione, con il tono più naturale che potesse fingere.
Il ragazzo arrestò i passi, alzando gli occhi al cielo, arrendendosi. Le donne, ecco il guaio dell’essere un uomo. Si girò lentamente, ma non fece in tempo a chiedere cosa volesse che un gavettone gli scoppiò in faccia.
Rimase incredulo a guardarla, mentre dei sottili rivoli d’acqua gli scorrevano giù per il viso, fino alle clavicole, sotto la maglia. La sensazione fresca del liquido, quasi alleviante, passò in secondo piano, di fronte a quel gesto impudente.
«Che ti è saltato in mente?», chiese a mezza voce, ancora stordito dalla situazione.
«Pensavo che ti servisse una rinfrescata alle idee», rispose beffarda. «Questa, poi, è solo la prima parte: a casa tua madre ti darà una bella lavata di capo!». Non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere di gusto, osservandolo impallidirsi.
«Il sole del deserto vi deve aver carbonizzato i neuroni», urlò il giovane, posando i fiori per terra ed avvicinandosi a grandi falcate.
«Eh sì, sei proprio un piagnucolone!», commentò altezzosa Temari, appoggiando una mano sul fianco, per niente intimorita, mentre nell’altra teneva una nuova bomba d’acqua.
 
Osservò il ragazzo bloccarsi a mezzo metro da lei, inginocchiandosi e portando le mani di fronte al viso, con le dita intrecciate in una posizione che lei conosceva bene. Temari sorrise e non tardò a tirargli un secondo palloncino, colpendolo al torace.
«Cominci a fare cilecca, biondina», ridacchiò, socchiudendo gli occhi e invocando la tecnica del controllo dell’ombra.
Stavolta fu più rapido lui. Un filamento scuro partì dai suoi piedi e raggiunse velocemente la mano sinistra della kunoichi, che stava invano cercando qualcosa a tentoni, dietro la schiena. Il filo d’ombra si era poi diviso e aveva incatenato anche l’altra mano della bionda, stesa lungo il fianco. Non appena fu sicuro della presa salda, Shikamaru riaprì gli occhi, sorridendo soddisfatto.
«Bene, ora tocca a me», affermò compiaciuto, alzando il braccio destro e portandolo sopra la testa. Come se si trattasse di un gioco di specchi, Temari osservava il suo ripetere quel movimento automaticamente, guardando con timore quel gavettone che le sue dita ancora stringevano.
«Giochi sporco», sussurrò lei, mostrandosi ancora fiera e il più imperturbabile possibile, mentre il ninja si avvicinava lentamente, accorciando quel filo d’ombra che li legava.
Le dita cercavano invano di lanciare lontano il palloncino, ormai ricoperte dall’oscurità di quell’abilità innata. Le dava fastidio essere bloccata, impotente, totalmente controllata da qualcun altro. Sentiva un formicolio nel braccio teso, un bruciore che più che alla circolazione, era dovuto alla rabbia. Più di ogni altra cosa, le rodeva il fatto di essere stata intrappolata da Shikamaru, così pigro da non prendersi il disturbo di agire fisicamente, affidandosi alla sua tecnica a distanza. Ma fu un disturbo che durò poco perché, mentre osservava i suoi occhi neri avvicinarsi, fu quasi lieta di essere bloccata lì.
Il ragazzo allungò la mano verso quella alzata della giovane, senza interrompere il contatto tra sguardi. Vedeva le pupille scure palpitare in quell’oceano color acquamarina e capì che era agitata, più impaurita di quanto volesse dissimulare. Sorrise maliziosamente, strappando dalle dita della kunoichi il gavettone.
Indietreggiò lentamente di qualche passo, godendosi quel momento di gloria e rivincita, senza perderla di vista per un secondo. Il ghigno si allargava sul suo volto, tanto intensamente da fargli quasi male. Non ricordava da quanto le sue labbra non si stirassero in quel modo naturale, spensierato, divertito; non gli tornava in mente quale fosse stata l’ultima occasione in cui aveva sorriso, ma in cuor suo era lieto che ciò fosse avvenuto proprio ora, nel momento più opportuno della sua vita, quando ormai il tedio l’aveva assalito quasi irreparabilmente.
 
Nove, dieci. Tanti erano i passi indietro che aveva percorso, con la fronte alta, fiera, rivolta alla bionda, e il busto eretto. Si fermò e, per quanto ormai fosse al limite delle sue capacità, trattenne ancora per qualche secondo il controllo dell’ombra.
«Sei tuttora in tempo per chiedermi scusa», dichiarò con fare magnanimo.
«Casomai, quello spetta a te», si accigliò la kunoichi, infastidita.
«Bene, ti sei giocata anche la carta del perdono», bisbigliò lui, preparandosi a prendere la mira e a rilasciare il controllo sulla ragazza.
Non appena l’ombra abbandonò Temari, Shikamaru scagliò la bomba d’acqua con forza contro di lei; voleva dimostrarle che non era tanto meschino da attaccarla senza darle la possibilità di difendersi, ma sogghignava, immaginando che non sarebbe mai stata tanto rapida da schivare quel colpo. La traiettoria del tiro, infatti, non lasciava adito a speranze e ciò lo avevano intuito anche gli occhi della giovane, che si erano chiusi di scatto, pronti al contatto.
La mano che era ferma da alcuni minuti dietro la schiena sfilò rapidamente il ventaglio, con un gesto fluido, sventolandolo a difesa del corpo. Il gavettone si schiantò violentemente, in tutta la sua fastidiosa innocuità, sui tre astri viola dell’arma della ragazza, lasciando Shikamaru di stucco.
Adesso la situazione si era capovolta: quello cui tremavano le pupille, indistinguibili dalle iridi della stessa tonalità corvina, era lui. Conosceva la potenza che la ragazza sfoderava con quel ventaglio gigante, librato nell’aria.
Temari gli lesse quella paura sul volto e dipinse sul suo quel sorriso beffardo che il Nara aveva mostrato prima. Decise di chiudere il ventaglio e di riporlo alle sue spalle, con la stessa velocità con cui l’aveva aperto.
«Ti grazio», affermò, soddisfatta di quella piccola vittoria.
Shikamaru non si era mosso di un centimetro, né aveva battuto ciglio al suono di quelle parole. Non capiva bene perché la bionda si fosse accontentata di così poco, avendo il coltello dalla parte del manico per poter inferire su di lui. Osservava quella smorfia appagata sul suo volto e, per un istante, aveva desiderato rifletterla anche sul proprio, perché si sentiva felice, nonostante tutto. Tuttavia, la consueta serietà, la razionalità che non l’avrebbe abbandonato nemmeno di fronte all’evento inaspettato più incredibile, non glielo permise.
 «Me la sarei comunque cavata, lo sai», affermò con un fare che voleva essere sprezzante, ma che uscì come una battuta. La ragazza dovette infatti trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia. Lo osservava con la solita posa: testa piegata di lato, sorriso ironico, mano sul fianco e sguardo interrogativo. Shikamaru credeva nelle proprie capacità e ne aveva diritto, grazie alla sua intelligenza, ma non stavolta. Oggi non aveva il permesso di farla sentire inferiore a nessuno.
La mano destra recuperò dalla tasca gli ultimi tre palloncini che le erano rimasti e li lanciò al ragazzo, uno dietro l’altro, come una raffica di mitraglia. Non sbagliò un colpo, centrando il viso, il petto e i pantaloni del ragazzo.
Il ninja capì che quei tre bersagli ben distanziati tra loro erano stati accuratamente scelti per colpirlo in ogni punto del corpo, per marchiare la netta superiorità di Temari in quel gioco.
Sbuffò sonoramente, osservando lo stato in cui i suoi vestiti versavano.
«Sei davvero fastidiosa», commentò poco dopo, decidendo di non vendicarsi.
«Allora perché stai ridendo?», chiese lei, avvicinandoglisi.
Perché stava ridendo, aveva chiesto? Non lo sapeva, o forse sì, ma non voleva ammetterlo a se stesso. Finalmente, forse, aveva trovato una piccola, innocente cura contro la noia.
 
Il ragazzo raccolse il mazzo di fiori, ancora sano e salvo dopo la furia di quella scherzosa battaglia, e si sedette su un gradino del tempio, seguito poi da Temari, che gli si affiancò. Shikamaru buttò la testa all’indietro, alzando gli occhi al cielo per osservare le nuvole, che cominciavano a tingersi di un colore più caldo, proprio come il sole. Era tardi, sua madre l’avrebbe sicuramente sgridato per bene, ma questo pensiero, anziché stimolarlo a tornare a casa di gran carriera, gli fece desiderare di ancorarsi lì ancora un po’, fintanto che gli era possibile.
«Cosa ci trovi di speciale, lassù?», chiese lei, osservandolo scetticamente. Aveva già avuto modo di notare quel silenzioso passatempo del Nara, ma non si era mai sentita abbastanza in confidenza da chiederglielo. Oggi era diverso; lei aveva vinto, le spettava una ricompensa, e aveva appena deciso che sarebbe stata quella: carpire un frammento di Shikamaru, un lato nascosto del suo animo, un suo segreto.
«Tutto quello che non c’è quaggiù», rispose lui, come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo. «Luce, tranquillità, silenzio…».
«Piccioni e relativi “regalini”!», s’intromise lei, ridendo.
«Il sole del deserto, già. Forse l’unico a non aver subito ancora troppi danni, tra voi, è Kankuro, visto che ha il buonsenso di coprirsi la testa», commentò il moro, scuotendo il capo e massaggiandosi la fronte, sbalordito e imbarazzato dall’esclamazione della kunoichi.
 «Mi stai dando della squilibrata?», chiese incredula.
 «Secondo te?», domandò retoricamente.
 Certo, certo che lo era; era pazza, ma non capiva ancora bene per cosa. O per chi.
 
«Dove li hai presi?», domandò Shikamaru, passandosi una mano nei capelli per constatarne lo stato. Erano ancora bagnati, sua madre l’avrebbe notato subito. Se li avesse sciolti, il danno sarebbe stato ancora più evidente, perciò decise di mantenerli legati, incrociando le dita perché questa si rivelasse essere la scelta più azzeccata.
«Ti riferisci ai palloncini?». Il giovane annuì e Temari impallidì, sorpresa da quella domanda. Emise dei colpetti di tosse, cercando di farsi venire in mente qualche idea plausibile, finché non ne trovò una che, per quanto ridicola, poteva passare almeno per verosimile. «È il compleanno di un bambino del villaggio, dovevo procurargli dei palloncini per la festa e…».
Shikamaru scoppiò a ridere e lei arrossì, incapace di proseguire con quella menzogna. Sperava che lui non se ne fosse accorto e vedendolo osservarla con attenzione, cercò di debellare l’imbarazzo con la sua solita veemenza.
«Ma a te che cavolo importa, scusa?», chiese spazientita, agitando le mani. Maledetto crybaby e maledetto quoziente intellettivo smisurato!
 Il ragazzo si alzò in piedi, parandosi davanti a lei. Quest’ombra che le proiettava addosso non era prodotta da nessuna tecnica ninja, era la naturale oscurità prodotta da un corpo frappostosi alla luce del sole. Non avrebbe mai potuto temere quest’ombra, proprio come quel giovane che la proiettava.
«Tieni». Le porse un tulipano, grattandosi la nuca.
Temari fissò stupita quel fiore rosso, per poi spostare lo sguardo su Shikamaru, che la guardava con difficoltà.
«Vuoi proprio che la tua mamma ti punisca, eh masochista? Non pensi che basti già il fatto che sei fradicio e probabilmente in ritardo, a farla andare su tutte le furie? Allora trovi davvero giovamento dal piangere, crybaby!», scherzò lei, cercando di spazzare via l’impaccio che l’aveva colta mentre aveva accettato il tulipano.
Il moro ignorò quelle parole, trovando la forza di fissarla senza timori.
«È il 23 agosto. Auguri, Temari!».
La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa. Come lo sapeva? Glielo aveva detto lei? Non ricordava, parlava sempre troppo agevolmente con lui, dannazione!
Si toccò le guance, improvvisamente avvampate, tinte dello stesso colore del fiore, sorridendo senza ritegno, mentre Shikamaru si allontanava con il suo passo tranquillo, di fronte a lei. Non l’avrebbe fermato, o non ne sarebbe uscita viva, con il suo cuore.
 
Quando giunse a casa, il sole era ormai basso sull’orizzonte e la sua ombra, proiettata sul muro della facciata, era ormai lunga e contornata di rosso. Si accarezzò la maglia ancora troppo umida e contò i fiori, sorridendo. Era tutto vero.
Prese un respiro profondo e attraversò la cucina, giungendo da sua madre. Depositò il mazzo sul tavolo e uscì sull’engawa, come sempre.
           
«Shikaku! Tuo figlio è incorreggibile, non so più come comportarmi con lui! Avevo detto nove tulipani e lui me ne ha portati otto! Ti sembra normale? Questo ha tutta l’aria di essere un dispetto!», strillò Yoshino, non appena accomodò i fiori nel vaso di vetro e si rese conto del loro numero.
«Gliene sarà sfuggito uno», lo giustificò il marito, senza alzare gli occhi dal giornale.
«Oppure deve averlo lasciato per strada, chissà…», sussurrò la donna, osservando il dolce sorriso sul volto del figlio, che tingeva le sue guance dello stesso colore del tramonto.
 
Shikamaru era disteso sulle assi di legno scure, con la testa rivolta al cielo, come sempre. Fissava le nuvole, stavolta riuscendovisi a perdere con troppa facilità, mentre cercava di far asciugare i vestiti e i capelli sciolti sotto gli ultimi raggi del sole. Non amava quell’umidità, ma cominciava ad apprezzarla, in quanto era diventata una sorta di certezza.
“È davvero una seccatura”, pensò chiudendo gli occhi e piegando le labbra verso l’alto.
Proprio perché era una seccatura, era certo che l’avrebbe rincontrata molto presto.







Ciao a tutti! :D questa è la mia prima ShikaTema, spero che vi abbia in qualche modo strappato un sorriso. 
Trovo questa coppia davvero azzeccata e sono felice che Kishimoto sia stato tanto gentile da regalarci qualche istante dei due insieme (vabbé, non si è sprecato molto, a dirla tutta... ma almeno ci lascia lo spazio per fantasticare XD)
Grazie per aver letto questa one shot! :D Se vi va, fatemi sapere la vostra opinione... ne sarei lieta! 
Alla prossima, 

Ophelia

 
   
 
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