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Autore: Gracedanger    13/09/2013    0 recensioni
"Fifona!" urlò a pieni polmoni dal fondo della strada. Mi voltai di scatto.
"Come scusa?"
"Hai sentito bene. Sei una fifona, Elizabeth."
Il solo fatto che non mi avesse chiamata 'Lizzie' come faceva inevitabilmente dal giorno in cui ci eravamo conosciuti, mi fece uno stranissimo effetto. Stavamo davvero litigando?"
...
E se Frankie fosse stato adottato? E se Nick fosse costretto sulla sedia a rotelle? E se Joe fosse così meraviglioso da non sospettare mai l'enorme peso che si porta dietro giorno dopo giorno? E se stare sola per Elizabeth, che si era trasferita in quella minuscola città con il suo stesso nome, non la rendesse più così felice come prima? E se avesse bisogno di qualcuno ma ci rinunciasse per più grandi motivi? E come hanno fatto due incidenti stradali a cambiare la vita di così tante persone?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Sei sempre il solito: “Amore, ho una riunione, faccio tardi, puoi andare tu a prendere Elizabeth a scuola?”. Fai così da quando è nata. Non sai neanche chi frequenta!”
“Perché? Ha un ragazzo?”
“Mh, visto? Sei patetico, non sai niente di tua figlia.”
“Beh, scusa se non sono abbastanza informato, ma qualcuno deve pur lavorare in questa casa!”
“Lavorare? Si, certo.. occhio caro che qui dentro l’unica che lavora dalla mattina alla sera sono io.”
“Come mai questo sarcasmo?”
“Guarda che ti ho visto con la segretaria, l’altro giorno!”
“Ma che diavolo dici, Margaret?”
 

Attesi un momento di silenzio nel loro litigio per aprire la porta e entrare in casa.
Avevo appena realizzato che la porta della nuova casa era troppo sottile e le loro urla si riuscivano a sentire dall’esterno, sapevo che litigavano, lo facevano spesso e da tanto, ma mai quando c’ero io o quando potevo sentirli. Questa piccola svista da parte loro mi è costata un brutto quarto d’ora passato sulla veranda ad aspettare un buon momento per entrare.
“Mamma, sono tornata!”
Li interruppi e lo sapevo. Ma ero stanca di aspettare e l’unica cosa che volevo era stendermi sul letto e cercare di dimenticare i tristi avvenimenti di quella giornata.
Volevo dimenticarmi di tutti, tutti tranne Joe. Joe che mi aveva salvata da quei bulli, Joe che mi proteggeva sempre e comunque, Joe che migliorava le mie giornate.
“Oh ciao papà.”
“Ciao Elizabeth cara.”
Ne seguì un silenzio imbarazzante. Sembravamo una famiglia di sconosciuti. Avevamo tutto da dirci, ma nessuno aveva il coraggio di prendersi troppa confidenza.
“Io…vado a studiare.”
“Il pranzo è quasi pronto, amore.”
“Ok, mamma.”
Corsi su per le scale ma la voce di papà mi fece sobbalzare.
“Elizabeth cara, hai per caso un fidanzato?” Mi chiese imbarazzato, feci finta di non sentire e continuai a salire le scale. Mi sfuggì comunque un sorriso da bambina, lusingata che mi avesse prestato attenzione.
 

Un nuovo giorno.
Un nuovo giorno che era cominciato non nel migliore dei modi.
Joe non poteva accompagnarmi a scuola.
Arrivai davanti all’entrata, e con occhio vigile scrutai in giro nel caso i bulli del giorno prima fossero lì e avessero intenzione di fare un secondo round.
Per mia fortuna non li vidi.
Stavo camminando per il corridoio quando inciampai in un foglio, lo bloccai con il piede e lo presi in mano, sembrava il testo di una canzone. Riuscii a leggere solo le prime righe.

“Got the news today, doctor said I have to stay a little bit longer, and I’ll be fine.”

“Ehi, scusami, quel foglio sarebbe mio.” disse una voce maschile alle mie spalle.
Mi girai e poco distante da me un ragazzo con i capelli neri sulla sedia a rotelle mi sorrideva.
Rimasi inevitabilmente interdetta per un paio di secondi e poi mi avvicinai a lui evitando di assumere qualsiasi stupida espressione di pena o compassione come avrebbe fatto qualcun altro.
“Scusa, ecco.”
“Ma di che, grazie a te per avermelo raccolto.”
La campanella suonò prima che riuscisse ad aggiungere altro.
“Devo andare.” Sussurrai accennando un sorriso.
“Okay, ciao.” mi sorrise dolce.
Mi girai e mi allontanai lentamente pensando di aver incontrato più persone interessanti nelle prime due settimane in quella minuscola città di nome Elizabeth che in tutta la mia vita a Baltimora.
Continuai a guardarlo con la coda dell’occhio quando..
“Io mi chiamo Nick!” disse a voce alta dal fondo del corridoio.
Mi girai per rispondergli ma trovai solo una folla di ragazzi che correvano da un lato all’altro del corridoio.
L’avevo perso.
 
Avevo cercato con lo sguardo Nick nei corridoi durante i cambi dell’ora e anche all’uscita di scuola ma niente.
Volevo mandare un messaggio a Joe, volevo vederlo, senza neanche una scusa plausibile, era solo voglia di stare bene, perché lui mi faceva stare bene più di ogni altra cosa al mondo.
Purtroppo ogni volta che provavo a digitare qualcosa le dita mi si bloccavano e il cervello si inceppava, non sapevo che scrivergli e mi mancava il coraggio di premere il tasto invio, figuriamoci di chiamarlo.
Tornai a casa a piedi, fissando il marciapiede grigio, persa tra centinaia di pensieri che torturavano la mia mente.
Non c’era nessuno in casa. I miei genitori erano ancora a lavoro. Odiavo stare troppo tempo nel silenzio di quella casa, ora che non c’era nemmeno più Molly a romperlo. L’unico segno di vita proveniva da un post-it lasciato sul tavolo della cucina, con la grafia tondeggiante di mia madre:

“Amore, il pranzo è nel microonde torno stasera tardi. E ho trovato un maestro che ti darà lezioni di pianoforte. Verrà qui alle quattro, è un ragazzo adorabile.”

Rimasi con la bocca spalancata per pochi attimi.
Cosa aveva fatto? E perché? E chi le aveva dato la magnifica idea di chiamare “ragazzi adorabili” a darmi lezioni di piano senza dirmi assolutamente niente?
Accartocciai il post-it e lo gettai distratta verso la pattumiera mancando inevitabilmente il canestro.
Non volevo davvero prendere lezioni di piano, l’avevo detto forse una volta come se fosse un pensiero a voce alta, ma mia madre non perdonava.
Ero bloccata in quella maledetta situazione.
Stavo pianificando una gran scenata piena di rabbia da attuare appena mia madre sarebbe tornata a casa quando il campanello suonò.
“Arrivo, ragazzo adorabile..” sussurrai tra me e me.
Aprì la porta e fui costretta a portare lo sguardo una decina di centimetri più in basso.
Nick aveva la mia stessa espressione stupita che si dissolse un attimo dopo in un sorriso gentile.
“Beh, questa non me l’aspettavo.” dissi senza pensare.
Lui scoppiò a ridere e io arrossì per la vergogna.
Mi feci da parte per farlo entrare.
Lui si spinse sulla sedia a rotelle e entrò in casa.
“Scusa ma, stamattina a scuola non ho capito il tuo nome.” Disse girandosi a guardarmi.
 “Lizzie.” dissi d’impatto.
Rimasi in silenzio per un paio di secondi.
“Lizzie?” ripeté Nick accennando un sorriso.
 
Non ci potevo credere, avevo davvero detto quel nome? Ecco l’effetto che mi faceva Joe. Ero convinta che mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia.
“Ehm...Elizabeth.” Dissi con le guance rosse come pomodori.
“Ho capito. Allora hai mai preso lezioni di piano?”
“Ehm, no.”
“Okay, allora possiamo cominciare subito.”
Lo portai nel salone dove ad un angolo della stanza giaceva il grande pianoforte a coda che mio padre aveva regalato a mia madre un natale di nove anni fa. Quando tutto era bello. Quando eravamo una vera famiglia.
Mise la sedia a rotelle a lato della panca che era davanti al pianoforte.
“Vuoi una mano? Posso prenderti in braccio e metterti sulla panca.” Dissi un’altra volta senza fermarmi a pensare neanche un secondo.
“No tranquilla, non serve.” Mi sorrise lui sempre dolcemente.
Fece forza sulle braccia e si spostò da solo sulla panca.
Rimasi ferma davanti a lui a bocca aperta.
“Tranquillo, mi prenderei a schiaffi da sola se solo le dita non mi servissero per suonare.” Dissi sussurrando mentre mi avvicinavo a testa bassa alla panca.
Nick scoppiò a ridere e mi sentii un po’ meglio.
“Con cosa cominciamo? Mad World? O preferisci The scientist?”
“Ehi, non correre. Devo prima insegnarti le note.” Ridacchiò lui.
“Ma quale sarà la prima canzone che mi insegnerai?”
“Vuoi proprio saperlo?” mi chiese facendo spuntare una leggera fossetta all’angolo delle labbra.
“Si!” esclamai entusiasta.
“D’accordo, è questa.” disse.
“Un, due e tre.”
Cominciò a suonare delle note staccate.
“Do sol la si, do sol la si.” Continuava a scandire lentamente ad ogni tasto che sfiorava.
Lo guardai impaziente, alzai le braccia dalle gambe e con le dita sfiorai i tasti del piano, provando a imitare quello che stava facendo Nick, solo più velocemente, per capire cosa ne sarebbe venuto fuori.
E infatti venne fuori un motivetto molto semplice che sembrava…no, quello era la marcia di topolino.
“Ma questi non sono i Coldplay, questo è Topolino!” protestai.
Lui si fermò e mi guardò con i profondi occhi a mandorla e dopo un paio di secondi sorrise enigmatico.
“E’ così che si comincia, Lizzie.” disse non staccando le dita dai tasti bianchi.
 
 
“Un, due, tre..”
  
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