Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |      
Autore: lithi    13/09/2013    1 recensioni
After "The Angels Take Manhattan"
_____________________________________________________________________________________
“Non è detto.” Gli afferrò la mano e lo tirò giù fino a quando non si ritrovò in ginocchio vicino a lei. “La mia mamma diceva sempre che quando due persone si amano tanto, prima o poi riusciranno a ritrovarsi. Diceva che è come la storia del sole e della luna: si inseguono sempre, ma non si raggiungono mai. Però una volta ogni tanto, riescono a stare insieme nel cielo, che diventa tutto scuro per farli stare un po’ da soli. Così il sole può splendere solo per la luna e la luna può splendere solo per il sole.”
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amy Pond, Nuovo personaggio, Rory Williams
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti. Mi chiamo Giulia e questa è la prima ff che scrivo su Doctor Who.
E dato che se non piango non sono contenta, ho scritto questa OS che prende posto subito dopo l'addio ad Amy e Rory in The Angels Take Manhattan.
DISCLAIMER: i personaggi non sono miei, anche perché sennò non staremmo tutti così male ogni volta che parte la sigla. Ma d'altro canto, Doctor Who è bello anche per i pianti che ci facciamo davanti allo schermo, mangiando biscotti e strngendoci alle varie coperte. Quindi forse è meglio così.

 

Waiting for You - The Moon and the Sun

Amelia

Il cimitero era silenzioso quando arrivò.

Il vento sferzava freddo e pungente tra le lapidi grigie e un canto saliva dal terreno umido. In lontananza un pettirosso cantava la sua canzone d’amore all’autunno, le zampette poggiate sopra a una lapide squadrata e lucida, e nella melodia si poteva trovare tutta la malinconia della sua attesa. Le gioie, i dolori, la solitudine che avevano portato di nuovo a quell’incontro.

Le nuvole si diradavano sopra la città di New York e il sole riprendeva a risplendere tra i grattacieli. Quei grattacieli che sembravano una riproduzione del cimitero: alti e imponenti come quelle lapidi volevano essere, freddi ed eterni come la tristezza che scorreva via tra i sentieri del campo santo.

E al centro di tutto questo, una ragazza stava in piedi tremante ed appoggiata ad una lapide.

I suoi capelli rossi volavano sulle ali del vento come le foglie di Central Park, come le fiamme di un fuoco indomabile ai margini della foresta. La bocca era aperta in un grido muto che le era rimasto in gola, seppellito dalle lacrime che rotolavano sulle guance appena arrossate dal primo freddo. Gli occhi erano pieni di un dolore che solo chi ha perso molte cose può capire. E di storie. Storie che raccontavano di una piccola, grande cabina blu persa nel tempo, che volava impazzita tra le stelle e che non sembrava volersi fermare mai.

E al suo interno, un uomo. Un uomo che aveva vissuto mille vite solitarie. Un uomo che non aveva volto, perché ne aveva avuti tanti, ma che era stampato a fuoco nel suo cuore. Quanto ci sarebbe da raccontare su quell’uomo. Si potrebbero scrivere e stampare e rilegare miliardi di pagine, di libri, di biblioteche, ma non si finirebbe mai di raccontare le vite che ha vissuto, le battaglie che ha affrontato, le perdite che ha subito.

E lei aveva detto addio a quell’uomo, al suo Dottore, perché non poteva sopportare che dentro quell’infinita cabina blu non ci fosse più la sua risata. Aveva abbandonato i sogni, le avventure, in nome di un sogno, di un’avventura più grande, perché non osava immaginare i lunghi corridoi del Tardis orfani di quell’ombra lunga e dinoccolata che l’aveva aspettata per duemila anni fuori da una scatola, dandole tutto senza chiedere mai nulla in cambio.

Amy si passò una mano sul volto, girandosi per cercare quell’ombra, fidandosi di un destino che sembrava riderle in faccia, ma non c’era nessuno nel cimitero.

Solo una statua la osservava beffarda da sopra una lapide in lontananza.

 
Rory
 
Non capì subito quello che era successo.

Gli ci vollero alcuni secondi per realizzare che di fronte a lui si estendeva un mare di verde e bianco, privato di vita come solo un cimitero sa essere. E fu allora che pianse.

Pianse per lei, per lui, per loro. Pianse per una figlia che gli era sfuggita dalle mani, ma che era sempre tornata. Per un amico che avrebbe dato la sua vita per lui, e lo aveva già fatto. Per una donna che amava con ogni fibra del suo essere e che non era riuscito a proteggere da quel dolore.

E poi pianse per se stesso. Per le risate che non avrebbe ascoltato, le lacrime che non avrebbe versato, il corpo che non avrebbe più stretto. Pianse per un futuro che gli era stato portato via di nuovo senza che potesse fare nulla per aggrapparsi ad esso.

Senza neanche una scatola a cui fare la guardia per duemila anni.

 
Amelia
 
Le ore erano diventate giorni.

I giorni, settimane.

Le settimane, mesi.

I mesi, anni.

Amy faticava a ricordare come avesse vissuto i primi tempi.

E dire che la sua memoria era la cosa più importante dell’universo. Era grazie a lei e ai suoi ricordi che il mondo, l’universo, tutta la realtà era ancora lì, brillante e splendente a prendersi gioco di lei e del suo cuore spezzato.

Aveva vissuto come in un sogno il suo primo girovagare nella città quando la fame l’aveva costretta ad allontanarsi da quel cimitero, immergendosi negli anni ‘40 della città che non dorme mai.

Ricordava a malapena le grida preoccupate della donna che l’aveva trovata quasi sfinita accasciata a terra, o le settimane che aveva passato in un letto d’ospedale in preda alla febbre.

Il suo primo, vero ricordo di quella nuova vita era stato quello della notte di Natale, quando si era svegliata con davanti agli occhi il viso preoccupato di una giovane donna che le aveva sorriso.

“Come ti senti?”

Amy aveva stretto gli occhi, accecata da troppa luce.

Aveva aspettato qualche secondo prima di aprire bocca, cercando di sistemarsi sui cuscini prima che una mano svelta la aiutasse a sedersi senza affaticarsi molto.

“Ecco, non ti sforzare.” Un leggero movimento alla sua sinistra aveva preceduto la frase successiva. “Bevi, forza.”

Aveva deglutito un po’ dell’acqua che la ragazza le porgeva prima di avere la forza di aprire gli occhi di nuovo.

“Dove sono?” La voce le era uscita roca, come se non la usasse da tempo.

“Sei in ospedale. Sei qui da diverse settimane ormai.”

“Come sono arrivata qui?”

“Ti ci abbiamo portata dopo averti trovata fuori. Stavi congelando e avevi la febbre alta. Per fortuna adesso il peggio è passato.”
Amy si era guardata intorno. Il peggio non era passato. Il peggio era essere lì, senza di lui, senza il suo Centurione dal naso troppo lungo e il cuore troppo grande.

“Come ti chiami?”

Ci aveva pensato un po’ prima di rispondere.

“Amy. Amy Williams.”

Non più Amelia. Non più Pond.

Perché quello era un nome che apparteneva ormai a qualcun altro. Qualcuno rimasto solo tra le stelle, che avrebbe dovuto trovare un altro motivo per correre.

La ragazza le aveva sorriso e le aveva stretto la mano tra le sue.

“Molto piacere di conoscerti Amy. Io sono Judy. Judy Hudson. La tua infermiera.”

 


Judy era stata la prima vera amica di Amy in quella città. L’aveva accolta nella sua casa quando era stata dimessa dall’ospedale e l’aveva aiutata a cercare un lavoro quando le forze glielo avevano consentito.

Aveva visto il sorriso rifiorire su quel volto così giovane ma così segnato dalle perdite subite, e aveva ascoltato i suoi racconti quando la ragazza era stata pronta.

Aveva riso per le sue battute e aveva pianto con lei in quei momenti in cui i ricordi sembravano sommergerla con il loro peso.

Dopo essersi sposata, aveva cercato senza successo di convincere Amy a fare altrettanto, a cercare qualcuno con cui passare il resto della sua vita.

Certamente non le mancavano i corteggiatori, bella com’era.

A volte sembrava di poter vedere le stelle dentro i suoi occhi, le comete tra i suoi capelli. Dalle sue labbra uscivano canti che sembravano appartenere a mondi lontani, e dalla sua penna, storie così vere da domandarsi dove iniziasse la realtà e finisse la fantasia.

Ma Amy rispondeva di no. Che non voleva. Che non poteva. Che stava aspettando.

“Ma che cosa stai aspettando?” Le aveva chiesto una volta, tra le mura della casa che Amy aveva preso in affitto grazie al suo lavoro al giornale.

Amy aveva guardato fuori dalla finestra prima di risponderle.

“Il ragazzo che ha aspettato.”

Judy aveva sbuffato come si permetteva di fare solo in presenza dell’amica, che l’aveva contagiata con i suoi modi da scozzese di cui andava tanto fiera.

“E cosa significa? Come puoi aspettare qualcuno che ha aspettato?”

Amy aveva alzato lo sguardo al cielo e stretto la fede nuziale che portava ancora al dito.

“Lui ha aspettato me per duemila anni fuori da una scatola. Da solo, senza nessuno con cui parlare, senza una spalla su cui piangere. Io sto aspettando da soli tre anni.” Si era voltata verso Judy sorridendo. “So che lui mi ritroverà, l’ha sempre fatto. Si è spinto oltre mille galassie per tornare a stringere la mia mano e sono sicura che in questo momento lui sta venendo da me.”

Judy aveva evitato di commentare quello che l’amica le aveva appena detto, abituata alle stranezze di cui parlava. Si era semplicemente seduta al suo fianco e le aveva preso la mano.

“Come lo sai? Come fai ad esserne così sicura?”

Amy l’aveva guardata negli occhi e le aveva sorriso.

“Perché io sono la ragazza che ha aspettato. E perché è come il Dottore diceva: l’universo è grande e vasto e bizzarro. E qualche volta avvengono i miracoli.”

 
Rory
 
Un rumore lo fece voltare di scatto e si accorse di una bambina dai profondi occhi neri e dai capelli biondi, che lo fissava con la testa leggermente reclinata, lo sguardo pensieroso.

“Ciao.”

Rory si alzò lentamente, asciugandosi gli occhi con le lunghe dita.

“Ciao.”

“La tua giacca è strana.”

Rory afferrò il tessuto della felpa verde e lo strinse tra le dita: quella felpa l’aveva comprata lei. L’aveva scartata poche settimane prima per il suo compleanno e l’aveva amata fin dal primo momento. Non che fosse una felpa particolare o particolarmente costosa. Non era una di quelle cose con cui si fa l’amore già dalla vetrina. Ma lei aveva pensato a lui nel vederla e questo la rendeva la felpa più bella dell’intero universo. Si schiarì la voce prima di rispondere.

“È una felpa. Quelle con il cappuccio sono molto comode quando arriva la pioggia.”

La bambina rimase in silenzio, soppesando le parole che quel ragazzone alto e dagli occhi tristi le aveva appena detto.

“Felpa…”

Mormorò quella parola sulle labbra, assaporandone il sapore. Miss Holden le aveva sempre detto di non fidarsi degli estranei, ma la voce di quell’uomo era dolce nel suo dolore, e gentile nella sua disperazione. Quando decise che, si, la cosa aveva un senso e che no, non avrebbe corso alcun pericolo parlando con lui, si avvicinò con la mano tesa.

“Posso toccarla?”

Rory le fece un cenno con il capo.

“È davvero morbida. Dove l’hai presa? Ne voglio una anche io.”

“Mia…” Rory dovette schiarirsi di nuovo la voce prima di continuare “…mia moglie me l’ha regalata.”

La bambina inclinò la testa di lato per guardarlo meglio. C’è un fatto sui bambini che molti non considerano: i bambini vivono nel loro mondo immaginario, un mondo fatto di fate e folletti, che compare solo se si sa bene dove guardare. E qualche volta riescono a vedere le sensazioni, i pensieri degli adulti meglio di loro, spiazzandoli. Perché gli adulti hanno dimenticato come si fa a vedere e si limitano ad osservare.

“L’hai persa?”

Rory però aveva viaggiato con un uomo che lo aveva portato a vedere le bellezze dell’universo. Lo aveva portato su pianeti dove le stelle cantano e gli alberi danzano, dove i mari si gettano nei fiumi e le cascate volano verso l’alto. Rory, così vecchio eppure così giovane, aveva imparato di nuovo a vedere la realtà con gli occhi di un bambino, assaporandola con la saggezza di un uomo.

Perciò non ci fu sorpresa nella sua risposta.

“Si. E non credo che la ritroverò mai.”

La bambina strinse le spalle.

“Non è detto.” Gli afferrò la mano e lo tirò giù fino a quando non si ritrovò in ginocchio vicino a lei. “La mia mamma diceva sempre che quando due persone si amano tanto, prima o poi riusciranno a ritrovarsi. Diceva che è come la storia del sole e della luna: si inseguono sempre, ma non si raggiungono mai. Però una volta ogni tanto, riescono a stare insieme nel cielo, che diventa tutto scuro per farli stare un po’ da soli. Così il sole può splendere solo per la luna e la luna può splendere solo per il sole.”

Rory annuì silenzioso mentre la bambina continuava.

“Io ho perso la mia mamma e il mio papà, ma so che stanno bene adesso e che sono insieme. Miss Holden dice sempre che fino a quando io li terrò stretti nel mio cuore loro saranno lì ad aspettarmi e a volermi bene. E allora aspetto anche io, perché che senso ha aspettare qualcuno se anche l’altro non aspetta di vederti?”

E Rory lo capì. Capì perché era rispuntato in quel cimitero all’ombra di New York.

In fin dei conti era quello il suo destino, aspettare. Il ragazzo che ha aspettato, lo chiamava il Dottore. E aspettare di rivedere la sua Amy era la cosa che sapeva fare meglio.

“Io mi chiamo Emma. Tu come ti chiami?”

“Rory.”

Emma scoppiò a ridere.

“Rory. Che nome buffo.”

“Già…”

Il ragazzo si strofinò le mani sulle ginocchia ossute ridacchiando triste mentre la memoria di un’altra bambina riaffiorava nella sua mente. Le lapidi del cimitero divennero i giochi del parco di Leadworth, il vento si riempì delle voci dei bambini.

Che nome buffo.

Anche lei lo aveva detto la prima volta. E lui si era innamorato del sorriso negli occhi di quella bambina tanto più alta di lui.

Si alzò in piedi guardandosi intorno e cercando di controllarsi. Emma non poteva essere da sola, e infatti in lontananza intravide la figura di una donna bruna che cercava qualcosa dietro ogni lapide che trovava sul suo cammino.

Si rigirò verso la bambina sorridendo.

“Sei scappata.” Non era una domanda.

La piccola incrociò le braccia sul petto.

“No. Io non scappo. Io girovago.”

Rory le tese una mano.

“Andiamo a girovagare da quella parte allora.” Disse indicando la donna che stava per avere una crisi isterica.

Emma gli afferrò la mano e la strinse forte, desiderando con tutta se stessa che quell’uomo gentile potesse trovare ciò che stava aspettando.

 
Amelia
 
Aveva aspettato.

I mesi avevano continuato a susseguirsi e lei aveva cercato in ogni secondo, in ogni attimo, un segno di lui e della sua presenza.

Aveva cominciato a fare ricerche sui vecchi giornali della biblioteca nel suo tempo libero, per essere sicura che non fosse già arrivato, spulciando foglio per foglio tutti i dati che riusciva a trovare.

Era andata nei centri di assistenza, aspettandosi di vederlo spuntare da dietro un angolo con quel suo sorriso tutto storto.

Era persino tornata a Winter Quay, accompagnata da Judy che proprio non riusciva a capire la sua avversione alle statue. Si era guardata intorno circospetta prima di lasciare un sospiro di sollievo quando l’angelo all’entrata non si era mosso. Ma non c’era traccia di Rory. L’appartamento era vuoto, nessun nome al campanello, e le statue non nascondevano più il loro volto.

Erano quasi passati altri due anni quando il pensiero si era affacciato nella sua mente per la prima volta.

Forse Rory non sarebbe arrivato. Forse stava aspettando solo un fantasma.

“Forse non arriverà mai.”

Judy aveva alzato la testa dalla rivista, colpita dalle parole dell’amica.

“Hai deciso di smettere di aspettare?”

Amy l’aveva guardata negli occhi.

“Mai.”

Amy non avrebbe mai smesso di aspettare il suo Rory, ma qualcosa dentro di lei si stava muovendo. Non riusciva più a fare la vita che aveva avuto nei quattro anni e mezzo appena trascorsi. Pensare di alzarsi tutte le mattine e andare in ufficio a sbrigare le carte che i giornalisti d’assalto le buttavano sotto al naso non le andava più bene.

Aspettare andava bene, ma nessuno le aveva detto che mentre lo faceva non potesse correre.

Fu così che cominciò.

Per non dimenticare tutto quello che aveva vissuto, imparato. Per non svegliarsi un giorno con il dubbio che tutto - il Dottore, River, Rory - fosse stato solo un sogno.

Fu così che cominciò a scrivere.

 

“Amy! Amy!”

La voce di Judy riempì le scale del palazzo mentre saliva i gradini quattro a quattro, la mano ferma a trattenere il cappellino che rischiava di cadere dalla sua testa.

Si fermò per riprendere fiato solo davanti alla porta di legno blu dietro cui abitava la sua amica prima di riprendere a chiamarla a gran voce, bussando freneticamente.

La porta si aprì di scatto, rivelando un assonnata Amy ancora in camicia da notte e lo sguardo omicida.

“Judy. Sono le otto di sabato mattina. Spero che tu abbia una buona spiegazione per tutto questo o la mia vena scozzese potrebbe prendersela con te.”

I capelli rossi sparati in tutte le direzioni le davano un’aria più comica che terrificante, ma Judy non si lasciò influenzare né dall’una né dall’altra.

“Ho incontrato il postino per strada. Aveva questa.”

Amy guardò per un decimo di secondo la busta che Judy aveva in mano prima di strappargliela dalle mani e portarla vicino al viso.

“È quello che penso? Judy, è quello che penso?”

“Aprila. Andiamo.”

La busta color crema finì sul pavimento in men che non si dica, mentre occhi famelici leggevano le parole impresse sulla carta.

Dopo qualche minuto passato con la lettera tra le mani, Amy alzò gli occhi verso l’amica che stava addentando un biscotto dietro il tavolo della cucina senza staccarle gli occhi di dosso.

“Lo pubblicano.”

Il silenzio cadde improvviso nella stanza chiara, illuminata dalla luce del sole che filtrava dalle tende.

“Lo pubblicano.” Le fece eco Judy dopo qualche minuto, lasciando cadere il biscotto smangiucchiato che ancora teneva in mano.

Il viso di Amy si aprì in un sorriso prima che cominciasse a gridare saltando per la stanza.

“Lo pubblicano!”

 

Judy se ne andò poco dopo, continuando a gridare le sue congratulazioni all’amica che non riusciva a smettere di ballare al centro della stanza.

La camicia da notte bianca svolazzava allegra tra le ombre lievi delle tende chiare, sorretta dalle note che uscivano fuori dal grammofono.

Amy si fermò di fronte allo specchio e finalmente si riconobbe: negli occhi vide quella luce scomparsa da tanto tempo ricominciare a brillare, sulle labbra fioriva un sorriso più luminoso e il rosso dei suoi capelli era più accecante dei girasoli.

Si avvicinò all’armadio e afferrò il vestito più colorato che avesse, del blu più blu che si possa immaginare. Si arricciò i capelli secondo la moda del tempo, infilò i guanti bianchi, sistemò il cappello e uscì a respirare l’aria di New York.

Camminò per qualche isolato, spostata dal vento che volava tra le strade della Grande Mela, prima di rendersi conto della direzione che aveva preso.

Si fermò solo quando fu davanti al cancello scuro del cimitero, con la statua di un angelo a guardarla e un gruppo di persone che venivano verso di lei.

E poi cominciò a correre.
Rory

“Mi scusi.”

La donna bruna si girò di scatto, i capelli in disordine e il viso preoccupato.

“Credo di aver trovato qualcosa che le appartenga.”

Miss Holden si lasciò cadere a terra di fronte ad Emma non appena la vide e le afferrò le spalle.

“Emma. Stai bene? Ero preoccupata da morire. Quante volte ti ho detto di non andare in giro da sola?”

La bambina abbassò la testa colpevole.

"Mi scusi Miss Holden."

La donna lasciò andare un sospiro.

"Non fa niente. Ma non farlo mai più. E ringrazia il signore. Se non fosse stato per lui chissà che fine avresti fatto." Si girò verso Rory con gli occhi colmi di gratitudine. "Non so davvero come ringraziarla."

Rory accennò un piccolo sorriso prima di dirle di non preoccuparsi. Che i bambini spesso vanno in giro da soli e si perdono nel loro mondo.

"Ne parla come se a lei succedesse sempre con qualcuno dei suoi."

Rory si tormentò le mani e prese un respiro profondo prima di rispondere.

"Già. Mia figlia. Va e viene come le pare e piace, ma torna sempre."

Miss Holden fece un cenno col capo e prese la mano di Emma.

"Bè, noi andiamo. Posso fare qualcosa per ricambiare la sua gentilezza?"

"In effetti..." Rory si mosse in avanti. "Non vorrei essere di troppo disturbo, ma saprebbe indicarmi un posto dove passare la notte? Sono appena arrivato e non so dove andare."

Miss Holden si aprì in un sorriso.

"Ma certamente. Proprio accanto al nostro orfanotrofio c'è un rifugio. Credo che possa stare lì senza problemi."

Rory le sorrise riconoscente.

"La ringrazio molto."

Si stavano avviando verso l'uscita del cimitero quando lo sentì di nuovo e alzò gli occhi di fronte a sè, rimanendo paralizzato.

Il vento soffiava freddo tra le strade di New York e una ragazza in blu era ferma all'entrata del campo santo.
 
Emma

A distanza di anni, Emma non riusciva a togliersi dalla testa quel giorno.

Ricordava tutto perfettamente: il vento ululare tra le lapidi, le foglie cadere dai rami degli alberi e ricoprire il terreno di tutte le variazioni possibili di arancio e rosso e giallo, il profumo dei fiori messi davanti alle tombe, il cielo blu, senza uno straccio di nuvola ad oscurare la luce che portava sul mondo.

E poi ricordava un altro blu. Il blu più blu che avesse mai visto.

Lo ricordava abbracciato ad una felpa verde che lo stringeva come se fosse la cosa più preziosa al mondo, inondato da capelli più rossi del fuoco e bagnato dalle lacrime più felici e più tristi che si possano mai versare.

Ricordava baci scambiati senza vergogna e mani che non sapevano dove posarsi, perché tutto quello che avevano davanti era da adorare allo stesso modo.

Ricordava parole sussurrate su labbra tremanti e una donna che veniva fatta roteare contro il cielo azzurro, sorretta da una risata spezzata.

E ricordava che quello era stato il momento in cui lo aveva pensato per la prima volta.

Questo è quello che succede quando finalmente, dopo tanto aver aspettato, dopo tanto aver sofferto, la luna e il sole stanno di nuovo insieme.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: lithi