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Autore: Kessi    14/09/2013    0 recensioni
Congiunse le mani e mi guardò, come se fosse stupito di vedermi.
Odiavo quando si comportava in questo modo.
"Ciao Laurel", mi salutò, mentre maneggiava al computer. Poi spostò l'attenzione verso di me. "Che ci fai qui?"
"Che ci faccio qui?" sibilai "Hai dimenticato che giorno è oggi?".
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You arent'here for Me



Guardavo fuori dalla finestra di quel grattacielo che spiccava in New York. La pioggia cadeva insistentemente, finiva sui vetri, creando gocce che si rincorrevano disperatamente tra loro.
La stanza intorno a me era lucida, pulita, con tutto sistemato perfettamente. Non c’era una sola cosa fuori posto.
Mi girai di scatto, quando entrò, parlando, ovviamente, al telefono “Sì, signor Jacobs. Non c’è problema”, mi guardò per un istante, poi fece il giro della scrivania e si sedette dietro la scrivania, sulla poltrona di pelle nera, di fronte a me.
Si sistemò l'abito da milioni di dollari che indossava e continuò la conversazione. “Sì, è perfetto. Arrivederci”, poi chiuse la chiamata e posò il suo prezioso Blackberry, con delicatezza, sul tavolo.
Congiunse le mani e mi guardò, come se fosse stupito di vedermi.
Odiavo quando si comportava in questo modo.
"Ciao Laurel", mi salutò, mentre maneggiava al computer. Poi spostò l'attenzione verso di me. "Che ci fai qui?"
"Che ci faccio qui?" sibilai "Hai dimenticato che giorno è oggi?".
Fece una faccia smarrita, cosa che mi irritò ancora di più.
"E' la vigilia di Natale!" sbraitai "Ma te ne sei dimenticato, non è così?"
Guardò l'orologio che aveva al polso, di inestimabile valore e sorrise "E' ancora presto. Sono le 19.30" mi disse in modo ovvio.
"Questo non ti giustifica. Avevi detto che saresti arrivato per le 18. Esattamente un'ora e mezzo fa".
Lui sbuffò "Sai che non dipende da me", replicò, duro.
"Ah no?" chiesi, con aria di sfida.
"Ora piantala di assumere questo atteggiamento ostile nei miei confronti, Laurel". Assunse il tono professionale, quello che usava quando lavorava, cioè sempre.
"Io dovrei smetterla? Hai promesso a Katie di venire oggi! C'era la sua prima esibizione!".
"Mi dispiace, okay? Ho avuto un impegno all'ultimo, non programmato", mi disse alzando le mani, in segno di resa.
"Perchè il tuo lavoro è sempre più importante della tua famiglia? Perchè non riesci a metterlo, per una volta, in secondo piano?!" urlai, ormai fuori di me.
"Santo cielo, ora piantala. Stai facendo una scenata inutile e fuori luogo".
"Non mi sembra di averti chiesto tanto! Non ci sei mai stato per me, ma almeno per Katie ...", farfugliai, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Non potevo piangere davanti a lui.
"Non è stata colpa mia!" ribadì il concetto.
"Non me ne frega un cazzo!".
"Laurel!" mi riprese per aver detto una parolaccia, come se avessi ancora 8 anni.
"E' stata colpa tua, invece! Avresti potuto rifiutare!".
"Non mi è stato possibile!", ora anche lui aveva perso il controllo. Aveva gettato la maschera da perfetto avvocato.
"Almeno a cena devi esserci". Sospirò. Sapevo già la risposta.
"Non posso. Ho un appuntamento importante. Devo discutere le ultime cose prima del processo contro ....". Ma non lo ascoltai più. Mi rifiutai di sentire le sue scuse patetiche.
Eppure provai la stessa identica delusione di quando ero bambina e la mattina di Natale, non trovai mio padre che apriva con me i regali.
Ritornai al presente, stringendo i pugni.
"Sai che cosa ti dico? Vaffanculo".
"Sei ridicola, Laurel, assolutamente ridicola.".
"Qui il ridicolo sei tu! Non ho mai avuto un padre, praticamente, per colpa del tuo stupido lavoro!".
Lui sbattè i pugni sulla scrivania, facendo tremolare i soprammobili che vi erano sopra.
"Il mio stupido lavoro, ha fatto in modo che tu andassi nel college più prestigioso d'America, ha permesso di pagare ancora oggi la scuola di tua figlia, e ha permesso, da quando eri piccola, di mandarti sempre in vacanza!".
Presi il mio cappotto, e mi alzai "Dannazione! Ma non riesci proprio a capirlo?! Non ti ho mai chiesto niente di tutto questo! Non ti ho costretto a pagare i miei studi, nè tantomeno quelli di mia figlia! Ti avevo chiesto solo di esserci, cosa che non hai fatto. Hai promesso che saresti stato presente per Katie, ma oggi, al suo primo saggio, e sai quanto ci teneva, guardava tra le file speranzosa di vederti e tu non c'eri! E sai cosa? Da ora in poi, la scuola di mia figlia la pago io. Non ti chiederò più niente.
Tu, hai distrutto i miei sogni e le mie speranze, ma non ti permetterò di fare lo stesso con Katie!", mi avviai verso la porta, quando mi afferrò per un braccio.
"Sai che non me lo merito!" piagnucolò. "Io sono tuo padre e Katie è mia nipote!"
"Ed è mia figlia!" sottolineai. "Ti chiederei di non entrare più nella sua, nella nostra vita, ma non serve. Tu non ci sei mai, comunque.".
Nel frattempo, un tuono squarciò il cielo della grande mela, e il buio era calato ornai da un pò. La pioggia non accennava a smettere.
"Lei sa che ci sarò sempre per lei."
"Da oggi non lo sa più".
Scosse la testa, come per non accettare la realtà, come un bambino a cui hanno appena detto che quest'anno si è comportato male e per cui non riceverà i suoi doni.
"Ma sa che le voglio bene".
"Non lo sente più."
Mi divincolai dalla sua presa, ed afferrai la maniglia della porta. "Ti prego! Farei qualsiasi cosa per lei!".
Feci una smorfia. Avevo già sentito queste parole
"Non è abbastanza." conclusi, poi gli rivolsi un ultimo sguardo "Buon Natale, papà" dissi con sarcasmo ed astio.
Chiusi la porta alle mie spalle, lasciandolo al centro della stanza.
Ignorai le lacrime che scendevano lungo il mio viso e mi avviai per le strade affollate di Manhattan.
Mio padre non c'era mai stato per me. Lo vedevo raramente.
No, quell'uomo non era mio padre. Non più.
Che razza di padre non si curerebbe mai della propria figlia?
Sentii in lontananza una musichetta natalizia, e mi asciugai le lacrime col dorso della mano.
Era riuscito a rovinarmi il Natale, come sempre. Riusciva e riesce ancora a rovinare tutto.
Tante grazie, Papà, per avermi atto odiare la festa che più amavo.

Note: Scritta in realtà due anni fa, la ripropongo.
Non c'è molto da dire su questa one shot, oltre che l'ovvio! Parla di una ragazza sempre trascurata dal padre per via del proprio lavoro e questa è una lite che è causata dalla mancanza del padre alla recita della nipote.
Scritta di getto e non corretta.
Spero commentiate.

Franci

  
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