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Autore: Rosmary    15/09/2013    2 recensioni
Sprazzi di vita dell'ultima erede donna di Salazar Serpeverde.
Il dolore, la gioia e ancora il dolore.
La storia di una principessa, che in un castello orrendo viveva e, inerme, moriva.
"Aveva lineamenti disarmonici e i suoi capelli somigliavano a paglia bruciata tanto erano ispidi e sbiaditi. Invero, aveva anche delle labbra perennemente tremolanti e vogliose d’incresparsi in sorrisi amorevoli e uno sguardo gentile e appassionato. Ma, più d’ogni altra cosa, del suo aspetto era evidente una singolare espressione che solo a lei apparteneva, un modo tutto particolare che avevano i suoi tratti di atteggiarsi, esprimendo una voglia di vivere che andava al di là del sentire comune."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Orfin Gaunt, Orvoloson Gaunt, Tom O. Riddle, Tom Riddle Sr.
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la oneshot è scritta senza alcuno scopo di lucro.




 
Come lancette di un orologio


 
Il mondo parlava e lei ascoltava e a nulla valeva quel che le diceva era in una stanza…

“Smettila.”

…ballando come usanza e più non si fermava se in terra non cascava la bella principessa…

“Ho detto smettila.”

…che viveva tutta oppressa in un tetro castello che non era tanto bello e quando il mondo svaniva…

“Zitta! Hai capito? Sta’ zitta!”

“…e lei sul letto dormiva un mostro senza cuore le dava tanto orrore e quando rinveniva la principessa illusa…

Moriva.”

“Sì, ma dovevo dirlo io.”

“Sei una sciocca, Merope, e farai la fine della tua principessa.”

“Perché sei così cattivo?”

“Tu, piuttosto, perché vuoi farci vergognare come se fossimo la più infima stirpe di maghi?”

La bambina assottigliò lo sguardo e digrignò i denti, seduta com’era a terra, con le ginocchia sul pavimento e le braccia tese in avanti, somigliava al cucciolo più aggressivo di una qualche indomabile bestia, intento a mettersi in equilibrio sulle quattro zampe con scarsi risultati. Non rispose al fratello, il quale, rivolgendole l’ennesima espressione disgustata, uscì dalla trasandata e sudicia camera da letto. ‘Merope cantava ancora quella filastrocca Babbana, padre’ sentì dire da Orfin la piccola Merope e d’istinto s’appiattì contro il pavimento, strisciando verso il letto, così da nascondersi agli occhi di Orvoloson Gaunt. Ma, come spesso accadeva, i suoi movimenti erano troppo lenti e l’uomo riusciva ad afferrarle le caviglie e trascinarla fuori bruscamente.

“Stupida donna,” l’etichettò il padre, mettendola in piedi e schiaffeggiandola con forza. “La mia rovina sei! La mia rovina! Stupida, stupida donna.”

Ogni ‘rovina’ e ogni ‘stupida’ e ogni ‘donna’ erano uno schiaffo sul volto scarno di quella dodicenne. Merope, incapace di contenere qualsivoglia emozione, si lasciava andare al pianto, sempre. Ogni lacrima infervorava ancora di più l’animo corrotto del padre, che la riteneva sciocca e infinitamente debole. Un padre che, se non fosse stato per la capacità ch’aveva quella ‘stupida donna’ di parlare ai serpenti, non l’avrebbe creduta figlia propria e con immenso piacere l’avrebbe rinnegata dinanzi all’intera comunità magica.

“Non devi vederla mai più, quella sozzura,” impose Orvoloson con l’ultimo schiaffo.

La figura smagrita di Merope s’accasciò in terra, sembrava esamine. Aveva il volto tumefatto, le labbra sanguinanti e tremava in modo innaturale, come se ad attraversarla fossero scosse elettriche. L’uomo rimase impassibile a quello spettacolo, v’era sin troppo abituato, mentre Orfin, rimasto indifferente durante la tortura, ghignò con evidente soddisfazione, sputò verso la sorella e si dileguò una seconda volta dalla camera da letto.
Quando seppe d’essere sola, la dodicenne a tentoni si rimise in piedi, tastò il proprio volto e inorridì immaginando quale aspetto dovesse avere. Si portò allo specchio barcollando, ancora non riusciva a stare bene in equilibrio – teneva le braccia divaricate verso le pareti o qualsiasi altro appiglio, così d’avere la certezza di potersi aggrappare a qualcosa quando le gambe avrebbero ceduto.
Fu inciampando sui propri piedi che sedette sullo sgabello.
Osservandosi, pianse ancora e con rabbiosa cura bagnò uno straccio con dell’acqua e lo passò sul proprio volto, lavando via il sangue ancora fresco e quello rappreso, strofinando i lividi allo scopo di cancellarli, senza sortire effetto. Così malridotta era orrenda quanto il castello della filastrocca. Non che in condizioni normali fosse bella Merope, anzi. La bellezza non le apparteneva affatto. Aveva lineamenti disarmonici e i suoi capelli somigliavano a paglia bruciata tanto erano ispidi e sbiaditi. Invero, aveva anche delle labbra perennemente tremolanti e vogliose d’incresparsi in sorrisi amorevoli e uno sguardo gentile e appassionato. Ma, più d’ogni altra cosa, del suo aspetto era evidente una singolare espressione che solo a lei apparteneva, un modo tutto particolare che avevano i suoi tratti di atteggiarsi, esprimendo una voglia di vivere che andava al di là del sentire comune. Voleva vivere ogni emozione vivibile e sopra tutte voleva vivere l’amore, che mai aveva conosciuto nella casa paterna.

…che vive tutta oppressa in un tetro castello che non è proprio bello…” riprese a canticchiare a voce bassa, sorridendo man mano che il sangue spariva.

Aveva udito quella filastrocca un pomeriggio di quattro mesi prima, quand’era sgattaiolata via, recandosi al paesino Babbano vicino casa. Un gruppetto di coetanei aveva attirato la sua attenzione nell’immediato e li aveva spiati mentre giocavano assieme: tutti a tenersi per mano e a camminare in tondo, canticchiando la filastrocca senza senso; alla fine della canzoncina, uno dei bambini si faceva avanti, confessava un segreto e poi tornava a far parte del cerchio – e via, tutto da capo. Merope ne rimase affascinata. Non aveva mai avuto modo di giocare con dei bambini della sua età; a ben pensarci. non aveva mai avuto modo di giocare.
Era prigioniera di quella casa sin dal primo giorno di vita: non le era concesso uscire, parlare con estranei, mostrarsi. Neanche una bacchetta le aveva concesso quel tiranno di suo padre. Ma Merope sapeva d’essere una strega, sapeva d’avere abbastanza potere per condizionare la vita propria e altrui, e trascorse gli anni con questa convinzione, in attesa.

Fu terrificante la pazienza di cui dispose quella giovane e non stupida donna. Una pazienza concessale dalla totalizzante passione che l’aveva resa cieca e l’aveva istruita schiava del rintocco delle lancette.
Nessuno degli uomini della sua vita teneva a lei, una realtà strabiliante quanto crudele – ma lei avrebbe atteso l’ultimo rintocco per ognuno di loro, che ne avrebbe segnato a turno la fine.
Tre rintocchi. Tre come tre erano i Peverell, tre come tre erano i Doni che rendevano sovrani della morte. E lei sovrana sarebbe stata, sovrana della morte e della vita stessa, con o senza cimeli, perché li avrebbe soggiogati tutti, quegli stolti uomini, e di ognuno avrebbe distrutto il bene più prezioso.
Rise di gusto quando la porta si chiuse dietro Orvoloson e le guardie di Azkaban: la lancetta era rintoccata un’ultima volta per lui. Con crudele malizia, quella non più innocente bambina, ch’aveva ancora sul volto le tracce dei maltrattamenti, trafugò il Medaglione dell’antenato e fece scempio dell’intero casato, sposando un Babbano e facendosi vanto di un sozzo nome: Riddle.

“A cosa pensi, Tom?”

“Nulla, Merope… Mi sembrava solo…”

“Solo?”

“No, temo di star delirando, perdonami.”

Gli sorrise Merope, un sorriso che non era più spontaneo e amorevole, ma insinuante e sinistro.
Era la prima volta ch’erano insieme in pubblico, mostrando al paesino Babbano la loro unione. Merope sapeva che non sarebbero trascorsi troppi minuti prima che Cecilia, l’illusa, si mostrasse a Tom. Ma la magia di una Gaunt era potente oltre ogni immaginazione, neanche i capelli dorati e le labbra piene e rosse di quella Babbana avrebbero potuto far vacillare il giovanissimo Riddle, reo d’essere venuto al mondo talmente bello, talmente affascinante, talmente perfetto, d’esser divenuto ossessione perenne dell’erede di Serpeverde.
Merope indirizzò uno sguardo sprezzante alla rivale e, in barba a ogni buon costume, divorò con un famelico bacio le labbra di Tom, che soggiogato dal Filtro non seppe ritrarsi, anzi assecondò con notevole impeto lo slancio dell’ormai fidanzata ufficiale.

“Conosci la filastrocca della principessa, Tom?”

“La conoscono tutti in paese.”

“Allora, cantala.”

Il mondo parlava e lei ascoltava e a nulla valeva quel che le diceva era in una stanza ballando come usanza e più non si fermava se in terra non cascava la bella principessa che viveva tutta oppressa in un tetro castello che non era tanto bello e quando il mondo svaniva e lei sul letto dormiva un mostro senza cuore le dava tanto orrore e quando rinveniva la principessa illusa…

Moriva.”

Le sorrise Tom, dandole il bacio della buonanotte e infilandosi sotto le coperte. La mano di Merope massaggiava il proprio ventre, presto avrebbe smesso di apparire denutrita: un altro essere umano cresceva in lei.

“Lascerò a te mio fratello, bambino mio. Io ho già fatto abbastanza per noi,” sibilò verso il proprio ombelico, artigliando la carne che gli era intorno con possessività.

Suo era, tutto suo. Se l’era conquistata, quella vita, con le unghie e con i denti e con ogni altro muscolo e osso e tutto ciò di cui un umano corpo dispone.
La lancetta di Tom era rintoccata appena un mese dopo quella di Orvoloson. Se l’era cercata il suo Tom. Sciocco, sciocco e ancora sciocco. Non l’aveva capito, ch’erano venuti al mondo per stare insieme. Lei aveva dovuto agire per il bene di entrambi. Dare uno spintone al destino le era parso più che necessario, perché di questo s’era trattato, Merope ne era convinta ogni giorno di più: uno spintone, poiché Tom avrebbe scelto lei comunque, ma ci avrebbe impiegato troppo tempo e lei aveva i minuti contati, Orvoloson non sarebbe stato rinchiuso per sempre.
Tic toc… Il tempo s’assottigliava e lei l’aveva beffeggiato agendo in fretta e furia.
Era tutto straordinariamente perfetto, era felice… Ma la felicità era una strana belva, mansueta quando le voltavi le spalle, così d’attirarti nuovamente a lei, e spietata quando eri di nuovo nella sua rete. Fu un istante malato e Merope si ritrovò sola e infelice, di nuovo.
Niente amore per quella giovane donna dal mento troppo squadrato e le pupille in antipatia tra loro, che si sfidavano a guardare l’una a destra e l’altra a sinistra in contemporanea, per non incrociarsi mai.
Senza che Merope potesse opporre resistenza, la sua lancetta rintoccò impertinente, consegnandola alla morte di cui era stata serva e non padrona, lasciandola digiuna non solo della rivalsa su Orfin, affidato al figlio, ma anche della vendetta, che inconsapevolmente bramava, ai danni dello sciagurato marito.
Ma nessun Gaunt abbandonava la vita senza tramandare qualcosa ai posteri e lei lasciò tutto il suo odio per un mondo che non l’aveva voluta, due rintocchi di lancette e il desiderio di vendetta della ‘bella principessa che viveva tutta oppressa in un tetro castello’ ormai consapevole che, presto o tardi, sempre ‘la principessa illusa moriva’.


 
*

“Chi sei?” chiese un uomo maturo, ma di bell’aspetto.

“Tom Orvoloson Riddle.”

“Tom… Cos… Va’ via!”

“Andrò via, ma prima i convenevoli, padre.”

Non lo sapeva il giovane Riddle, che una lancetta sarebbe di lì a poco rintoccata.





 
Note:
1La filastrocca è di mia invenzione, ho cercato di seguire gli schemi delle filastrocche che i bambini intonano mnemonicamente. Volutamente non ho inserito punteggiatura nel testo della filastrocca.
2Il gioco che fanno i bambini visti da Merope è frutto della mia fantasia, ma anch'esso ricalca molto i giochi che sono soliti fare i bambini, non escludo che una formula identica possa esistere realmente.
3Riguardo al 'rintoccare delle lancette', so che in genere si associa il 'rintocco' alle campane o all'orologio, ma in questa storia ho trovato fosse più efficace ed evocativa l'immagine data dal rintocco della singola lancetta.
4Ho inserito la nota OOC perché, come mi è stato fatto notare nella recensione, la caratterizzazione di Merope può apparire fuori dai canoni dell'originale, essendo la trattazione del personaggio una mia personale interpretazione dei dettagli forniti da J.K. Rowling.
   
 
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