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Autore: singstherevolution    15/09/2013    1 recensioni
Ma lui la interruppe, facendosi ancora più vicino. Finalmente capì cosa la turbava e ricordò che la sera precedente Rose era di ronda per i corridoi. Doveva averlo visto con Catherine e questo fu per lui come una sferzata di frusta in pieno viso, perché era stato lui ad averla fatta soffrire in quel modo. E chissà per quanto tempo lei era stata così male per lui, per quanto tempo lui aveva parlato e lei era rimasta in silenzio perché non si sentiva abbastanza. Avrebbe voluto dirle che lei non era abbastanza, no, lei era persino troppo. Che si sarebbe volentieri attorcigliato una ciocca dei suoi capelli attorno alle dita, che avrebbe voluto accarezzarla e tenerla stretta, guardarla negli occhi e dirle che sarebbero rimasti insieme per sempre, che non doveva aver paura, perché lei – lei, con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni - era perfetta.
E loro erano giusti.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Some things we don't talk about,
better do without
and just hold a smile.
Falling in and out of love,
a scene their proud of
together all the while.


Era una normale domenica pomeriggio di metà febbraio e Hogwarts era, come ogni domenica pomeriggio, silenziosa e sonnecchiante. Gli studenti, che di certo dopo una lunga dormita ristoratrice per riprendersi da  una settimana di fatiche avevano preferito intrattenersi nei propri dormitori o nelle proprie sale comuni, non affollavano i corridoi col loro consueto chiacchiericcio e le loro risate allegre, il cortile era pressoché deserto, dal momento che non aveva ancora smesso di nevicare da quella mattina presto e, ovviamente, anche la biblioteca – un luogo che anche durante la settimana la maggior parte degli studenti tendeva ad evitare – era rimasta vuota, immensa e silenziosa. Tanto silenziosa che Rose Weasley, nascosta dietro uno dei tanti scaffali a riordinare volumi su volumi antichi e impolverati, avrebbe potuto giurare – e con non poco fastidio – che chiunque nel giro di almeno un centinaio di metri, avrebbe potuto sentire il ronzio quasi assordante dei suoi pensieri.
E questo era strano, si disse, perché di solito varcava la soglia della biblioteca, cominciava a sfogliare i libri man mano che li riponeva al loro posto e qualsiasi pensiero svaniva, si estraniava totalmente dal mondo in cui viveva per andare ovunque lei volesse andare, per essere chiunque lei volesse essere. Ed era bello, anche se per poche ore alla settimana, immaginare un mondo diverso – un mondo in cui lei era contemporaneamente chiunque e nessuno in particolare, in cui non era Rose Hermione Weasley e non aveva il peso delle aspettative del mondo e delle sue paure da portare sulle spalle.
Ma quel giorno non ce la faceva proprio, a spiccare il volo, qualcosa – sperava di non sapere cosa, o meglio, chi – la teneva ancorata al pavimento. E non aveva mai desiderato scappare quanto lo desiderava quel pomeriggio, coi ricordi della serata precedente che si ripetevano in successione nel suo cervello ogni volta che cercava di allontanarli.
Il perché cercasse di allontanarli, poi, era così maledettamente complicato da sembrare semplice. Così assolutamente sbagliato da sembrare giusto.  Tutto si riduceva a un solo nome.
Scorpius.
Scorpius la sera prima. Scorpius ogni giorno. Scorpius in un corridoio deserto. Scorpius dappertutto, soprattutto nella sua testa. Scorpius con un’altra ragazza.
 Scorpius che, la sera prima, in un corridoio deserto, baciava un’altra ragazza. E lei era perfetta.
La cosa peggiore, pensò,non era nemmeno il fatto che quella ragazza davvero rappresentasse tutto ciò che Rose non sarebbe mai riuscita ad essere: i capelli scuri, lisci e setosi, il corpo sinuoso ed elegante, la sicurezza disarmante. La cosa peggiore era che nemmeno aveva avuto bisogno di guardare attentamente, per riconoscerlo e capire che era lui. Che nemmeno aveva avuto la forza di rimanere, attirare la loro attenzione e punirli – perché lei era Caposcuola e il coprifuoco era già scattato da ore – e invece avrebbe dovuto.
La cosa peggiore era che Scorpius non l’aveva impedito.
E invece avrebbe dovuto.
Rose aveva voltato loro le spalle ed era semplicemente scappata, e la cosa peggiore era che aveva il cuore in gola e le lacrime le pungevano fastidiosamente gli occhi e il suo stomaco si era stretto dolorosamente e all’improvviso.
E si disse, mentre correva, che non poteva essere, che non poteva assolutamente sentirsi così, perché nulla sarebbe cambiato e lui non avrebbe mai capito. Perché lei era Rose Weasley e Scorpius Malfoy era suo amico. Perché lei aveva i capelli ricci, rossi e crespi, le lentiggini, e allo specchio si vedeva brutta. Perché era timida e aveva il viso perennemente nascosto dietro un libro.  Era quella a cui lui poteva raccontare ogni cosa senza che si stancasse di ascoltarlo, a cui poteva chiedere di tutto senza che lei pretendesse mai nulla in cambio, quella che, alla fine, si lasciava sempre convincere a lasciargli copiare i compiti anche quando lui non lo meritava affatto.
E niente sarebbe mai cambiato, lei lo sapeva. Rose sapeva sempre tutto. Rose seppe, in quel momento, di amarlo.
E si sorprese a chiedersi se tener segreto un amore così fosse come mentire.


 
***


 
Quella mattina, quando si era alzato, aveva trovato i letti dei suoi compagni di dormitorio sfatti e la stanza vuota. Aveva lanciato uno sguardo all’orologio che teneva sul comodino al lato sinistro del suo letto e si era accorto di quanto, in realtà fosse tardi. Segnava mezzogiorno e mezzo. Si girò dall’altra parte e si schiaffò il cuscino sopra la testa.
La verità era che, la notte precedente, Scorpius Malfoy non era riuscito a chiudere occhio. E in quel momento si stava chiedendo cosa ne sarebbe stato di lui se si fosse alzato e fosse sceso in sala grande: come tutti quanti avrebbero guardato i suoi capelli spettinati, la sua divisa stropicciata (era andato a letto vestito) e le occhiaie pesanti che gli cerchiavano gli occhi. Albus si sarebbe sicuramente accorto che qualcosa non andava, ma Scorpius si rese conto che avrebbe volentieri fatto a meno delle domande di chiunque, quella mattina. Anche di quelle del suo migliore amico. Un raggio di quel sole invernale ormai a metà del cielo lo colpì in volto, mentre la sua mente scattava rapida alla causa della sua insonnia. Tornò al corridoio deserto del quarto piano, al bacio che lui e Catherine Goldstein si erano scambiati e a quanto avesse sentito sbagliato il contatto di quelle labbra perfette sulle sue. Tornò al modo in cui l’aveva allontanata da sé per dirle che non poteva farlo e poi andarsene, lasciandola sola al buio a chiedersi che problemi avesse quel ragazzo.
La verità era che se lo stava chiedendo anche lui, e che aveva continuato a chiederselo tutta la notte senza riuscire a smettere di pensarci. Girando intorno a una risposta che – nel profondo – sapeva di conoscere già.
Si era reso conto che a nulla valeva baciare una ragazza perfetta, se poi non era quella giusta.
Si era sentito come se qualcuno lo avesse visto baciare quella ragazza per poi prenderlo a schiaffi per quel che aveva fatto, perché aveva sbagliato in tutti i modi in cui una persona avrebbe potuto sbagliare. La consapevolezza che quella ragazza mai e poi mai si sarebbe davvero interessata a lui, a quel che pensava, che mai e poi mai gli avrebbe chiesto quali fossero i suoi sogni e i suoi desideri più segreti, e mai e poi mai sarebbe andata oltre il suo cognome, lo aveva colpito in pieno come un fulmine durante un temporale.
Perché Scorpius Malfoy non era solo il suo cognome. E per anni aveva cercato qualcuno che lo capisse.
Decise, finalmente, di alzarsi dal letto e tornare al mondo reale, sperando che tutti i suoi problemi rimanessero chiusi in dormitorio. Forse il avrebbe affrontati più tardi, riaprendo la porta. Si avvicinò allo specchio per constatare in che stato si trovasse effettivamente, se davvero il suo aspetto fosse così pessimo come si aspettava che fosse: se i suoi genitori lo avessero visto in quel momento, si sarebbero messi a urlare. E poi, una volta finita la voce, lo avrebbero disconosciuto. E diseredato, ovvio. Si passò una mano tra i capelli nel (vano) tentativo di sistemarli e cercò di lisciare con le mani le pieghe della sua divisa, chiaramente senza ottenere chissà quale risultato.  Sembrava un reduce di guerra, ma decise di fregarsene.
Tornò a sedere sul letto per infilarsi le scarpe (l’unico pezzo di abbigliamento che aveva avuto il buonsenso di togliere prima di abbandonarsi sul materasso), per poi alzare nuovamente lo sguardo sul comodino, notando alcuni fogli di pergamena srotolati, scritti in una grafia che – ne era certo – non era la sua.
I caratteri erano tondi, la scrittura fitta come la foresta proibita, e l’inchiostro era blu. Avrebbe riconosciuto quella grafia ovunque, forse anche ad occhi chiusi: quelli erano gli appunti di Storia della magia che Rose gli aveva prestato qualche giorno prima. Eppure, pensò, credeva di averglieli restituiti. Se non glieli avesse riportati al più presto avrebbe certamente dato di matto.
Si soffermò a pensare a Rose. La sua amica Rose. No, la sua Rose.
Pensò a come le sue orecchie sarebbero diventate rosse se si fosse arrabbiata, al fatto che gli avrebbe rifilato ogni insulto possibile e poi avrebbe lasciato che lui l’abbracciasse stretta, a come avrebbe sollevato il sopracciglio destro riprendendosi i suoi preziosi appunti di storia della magia. Pensò che Rose era l’unica ragazza – l’unica – a non aver mai preteso niente da lui, se non che fosse semplicemente se stesso. Lei era l’unica ad avergli dato tanto, senza mai chiedergli niente. E poco gli importava che fosse irritante, irascibile, lunatica e maniaca del controllo – sarebbe sempre stata la sua Rose. E per lui era perfetta così.
Si lasciò scappare un sorriso.
Poi si rese conto che la voce che, in chissà quale angolo del suo cervello, gli aveva urlato – implorandolo, quasi – di staccarsi da Catherine e andare via non poteva che essere la sua.
Perché c’era sempre Rose, nella sua testa.
Anche se erano amici e non avrebbe dovuto esserci, lei era lì. E Scorpius se n’era accorto troppo tardi, e non poteva – non voleva – mandarla via.
Prese i rotoli di pergamena e si avviò a passo spedito fuori dalla Sala comune, diretto verso l’unico posto in cui era certo di poterla trovare. L’avrebbe vista nascosta tra montagne di libri e si disse che non avrebe potuto farci niente, avrebbe pensato che fosse bellissima. Corse su per le scale con un unico pensiero.
A nulla valeva baciare una ragazza perfetta, se non era quella giusta.
A nulla valeva baciare una ragazza, se non era Rose Weasley.


 
***



Non sapeva quanto tempo fosse trascorso – potevano essere secondi, minuti, ore – ma non le importava. Tra quelle mura, tra quegli scaffali pieni di polvere e di storie si sentiva protetta, si sentiva al sicuro. E più a lungo vi fosse rimasta, più a lungo sarebbe riuscita ad evitare incontri spiacevoli. E con spiacevoli, sì, intendeva Scorpius e la sua espressione intontita dopo quella che il ragazzo avrebbe sicuramente definito una nottata da ricordare. Era passata a riordinare il reparto dei romanzi babbani, il suo preferito. Perché non importava quanto la realtà fosse diversa e lontana da quelle storie mai successe, lei avrebbe sempre saputo come perdersi e poi ritrovarsi tra le pagine, in ogni parola di ogni personaggio, in ogni virgola, in ogni respiro. E proprio mentre riponeva al suo posto Orgoglio e Pregiudizio, una voce – non una voce qualunque, una voce calma e profonda, una voce che avrebbe riconosciuto tra mille altre – la liberò, finalmente ed improvvisamente, da tutti quei pensieri.
- Sapevo che ti avrei trovata qui –
Il libro le cadde di mano.
- Malfoy – lo salutò malamente, raccogliendo il volume per poi riporlo sullo scaffale, (nemmeno a dirlo) al posto sbagliato.
Per quale motivo le era piombato alle spalle? Per quale motivo era andato da lei? Voleva forse raccontarle di quanto fosse felice con la sua nuova ragazza? Perché no, Rose non sarebbe rimasta ad ascoltarlo. O forse l’avrebbe fatto, tenendo la testa bassa per paura d’incontrare i suoi occhi, quegli occhi che tradivano tutto e niente. Così difficili da leggere per chiunque, ma non per lei. Quegli occhi che, anche in quel momento, le facevano terribilmente paura. Tanta paura che ancora non si era voltata a fronteggiarlo.
- Siamo tornati a chiamarci per cognome, adesso? – chiese lui, sapendo per certo che, quel pomeriggio, c’era qualcosa in Rose che non andava. 
Lei, infatti, non rispose, continuando imperterrita nel suo lavoro. Le faceva male ignorarlo, essere arrabbiata con lui; le faceva male non parlargli e, soprattutto, le faceva male averlo così vicino e avere la maledetta consapevolezza di non poterlo raggiungere mai per davvero.
Le immagini della sera precedente che tornavano a infestarla. Scorpius nel corridoio deserto del quarto piano. Scorpius dietro di lei. Scorpius che bacia un’altra ragazza. Scorpius che non bacia lei.
Sospirò profondamente, per ricacciare indietro le lacrime.
Lui le posò una mano sulla spalla, delicatamente, aspettando che fosse lei a voltarsi e chiedendosi perché stesse ancora aspettando che lo facesse.
- Rose. -  la chiamò, e nel sentirgli pronunciare il suo nome in quella maniera quasi rabbrividì, quasi le venne voglia di voltarsi e dirgli che andava tutto bene, che non importava che lui avesse baciato un’altra, finchè le fosse rimasto vicino, perché lei non desiderava nulla più di questo, averlo vicino. E probabilmente, pur di riuscirci, sì, le sarebbe rimasta amica per sempre.
- Lasceresti perdere quei libri per un momento, e dirmi cosa diamine ti prende? –
Rose scosse la testa, raccolse tutto il coraggio da Grifondoro che sapeva di avere, da qualche parte e, finalmente, si voltò e riuscì a guardarlo negli occhi. 
- Lo sai che li preferisco alle persone. Soprattutto ad alcune in particolare. – gli rispose, e seppe che non sarebbe mai sembrata tanto arrabbiata quanto in realtà era. Perché fargli del male era l’ultima cosa che voleva.
- Mi spieghi cos’è successo, per favore? – insistette Scorpius, ora turbato e del tutto impotente di fronte al comportamento dell’amica. Non sapeva cosa poteva averla indisposta a quel modo, ma lo vedeva – lo sentiva – che non lo stava facendo perché era lunatica, non lo stava facendo per dispetto, che non avrebbe mai voluto farlo.
Rose scosse la testa, in risposta, ma non abbassò lo sguardo. Anche se le si stava annebbiando, anche se il cuore non le reggeva più e si era irrimediabilmente spezzato. Inchiodò l’azzurro del suo sguardo al ghiaccio dello sguardo di Scorpius.
Tener segreto un amore così era come mentire.
Continuò a guardarlo e Scorpius le si avvicinò, perché era preoccupato e voleva vederla sorridere, perché la voleva sentire vicina e sentire il suo respiro, prenderle la mano e contare le sue lentiggini. Perché lei era lì ed era bellissima e si rese conto che no, lei non lo aveva mai soltanto guardato, lei lo aveva sempre visto.
- Tu sei successo – gli disse, con un tono di voce così basso che quasi pensò di averlo immaginato.
Tu sei successo.
E lui rimase inchiodato sul posto. Lui seppe che quello era il posto giusto in cui stare. E nemmeno se ne accorse, ma era lui, era il suo corpo, a tenere Rose così vicina, a tenerla con la schiena appoggiata allo scaffale in legno. Perché non voleva che se ne andasse.
- Tu sei successo e non importa quanto io tenti di tenerti lontano –
- Non devi tenermi lontano –
Rose aveva smesso di capirci qualcosa quando lui le aveva posato la mano sulla spalla, aveva smesso di capire cosa lui volesse da lei, perché gli fosse così vicina da sentire il suo respiro sulle guance, così vicina da distinguere quegli sprazzi di cielo nella tempesta dei suoi occhi.  Perché era il suo migliore amico e solo qualche ora prima aveva baciato un’altra e ora stava per baciare lei e tutto – tutto – era così maledettamente sbagliato.
- Sì, Scorpius. Sì, devo tenerti lontano e so che non sarò mai in grado di farlo. Dovrei tenerti lontano perché non sono giusta per te e non sono perfetta, e tu hai una ragazza che invece lo è e non rimpiangerai mai la distanza, e –
Ma lui la interruppe, facendosi ancora più vicino. Finalmente capì cosa la turbava e ricordò che la sera precedente Rose era di ronda per i corridoi. Doveva averlo visto con Catherine e questo fu per lui come una sferzata di frusta in pieno viso, perché era stato lui ad averla fatta soffrire in quel modo. E chissà per quanto tempo lei era stata così male per lui, per quanto tempo lui aveva parlato e lei era rimasta in silenzio perché non si sentiva abbastanza. Avrebbe voluto dirle che lei non era abbastanza, no, lei era persino troppo. Che si sarebbe volentieri attorcigliato una ciocca dei suoi capelli attorno alle dita, che avrebbe voluto accarezzarla e tenerla stretta, guardarla negli occhi e dirle che sarebbero rimasti insieme per sempre, che non doveva aver paura, perché lei – lei, con tutti i suoi difetti e le sue imperfezioni - era perfetta.
E loro erano giusti.
- Non ho nessuna ragazza, Rose – le disse, e mentre lei cercava di ribattere, lui continuò. – Lo so che mi hai visto, ieri sera. E so che non avrei dovuto e che sono un idiota. –
- Lo sei – assentì Rose. Il cuore che le martellava il petto e sembrava voler uscire e scappare via.
- Non avrei mai voluto farti soffrire, mai. E non avrei mai voluto che mi vedessi, perché …-
- Perché così non ti saresti sentito in colpa, non è vero? –
Scorpius scosse la testa, ansioso di dirle solo quanto lui avesse sbagliato e quanto, in realtà si fossero sbagliati entrambi.
- Perché ho capito subito che stavo baciando la ragazza sbagliata. – si affrettò a risponderle. E nello sguardo che le rivolse c’era tutto quello che nemmeno lui avrebbe mai pensato di dirle in tutti quegli anni.
Scusami se ci ho messo così tanto e sono arrivato tardi, ma sono qui, adesso. E prima che tu possa chiederlo, no, non me ne vado. E se proprio devo andare, ti porto con me. E se proprio non vorrai venire io ti aspetterò. E ora smettila di essere triste perché sei bellissima e non te l’ho mai detto ma, quando fuori piove e tu sorridi, io il sole lo vedo spuntare comunque.
- Ho capito che quella giusta ce l’ho davanti ora. –
Rose non si fermò nemmeno a chiedersi se quello fosse un sogno o se stesse succedendo sul serio. Forse due secondi più tardi si sarebbe risvegliata sul pavimento della biblioteca e si sarebbe resa conto di essere sola e che fuori ormai era buio. Ma decise di non pensarci e di chiudere gli occhi, mentre la mano di Scorpius si posava con leggerezza sulla sua guancia e il cuore sembrava essere impazzito dentro al suo petto, mentre Scorpius posava le labbra sulle sue e niente, nient’altro a parte loro – la penombra di quel corridoio vuoto nella biblioteca immensa – sembrava avere più senso.
Tutto si riduceva sempre ad un solo nome.
Scorpius.
Rose.
Lui aveva smesso di essere orgoglioso.
Lei aveva smesso di pensare troppo.
E loro, insieme, erano giusti.




Note:
Ri-salve a tutti! Sono ricomparsa dopo mesi e senza aver nemmeno finito l'altra storia che ho (ancora) in sospeso! Spero di rimediare non appena avrò almeno una qualche parvenza di ispirazione! In ogni caso, questi sono Rose e Scorpius in versione indicibilmente diabetica... Non so cosa mi sia preso. So solo che da tanto volevo scrivere di loro e l'altra notte mi è saltata in mente questa scena, così ho pensato di metterla giù. C'è qualcosa che non mi convince, ma non saprei dire esattamente cosa. So solo che, ora come ora, uno Scorpius lo vorrei anche io, ecco.. Okay, Irene, evita. Allora, beh, a voi l'ardua sentenza e a presto. :)

Irene

 
  
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