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Autore: Birra fredda    16/09/2013    1 recensioni
È successo tutto in tre cazzo di giorni.
Esatto. Tutto in tre giorni.
Mi è crollato tutto addosso senza che avessi il tempo di rendermene conto. La rabbia altrui mi ha soffocato prima di lasciarmi il tempo di prendere fiato.
Nulla ha più senso adesso.
Nulla.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È successo tutto in tre cazzo di giorni.
Esatto. Tutto in tre giorni.
Mi è crollato tutto addosso senza che avessi il tempo di rendermene conto. La rabbia altrui mi ha soffocato prima di lasciarmi il tempo di prendere fiato.
Nulla ha più senso adesso.
Nulla.
L’altro ieri a mezzanotte e mezza mi ha chiamato mia madre per dirmi che mia sorella si è sentita male dopo cena. Erano in ospedale, tutti tranne me. I miei genitori erano in ospedale a sorvegliare la loro seconda figlia in preda a un attacco di mal di pancia senza precedenti.
Era un’infiammazione dell’appendicite. Solo una fottuta stronzata che non ha avuto neanche bisogno di essere operata.
Non dovrei essere giù di morale per una simile futilità, lo so. Vic, tra l’altro, è anche stato categorico nel dirmi che se mi avesse visto triste mi avrebbe mollato danti di quegli schiaffi da farmi dimenticare il mio nome.
Ed è stato per la sua minaccia se mi sono imposto di sorridere l’altro ieri e ieri. È stato per i miei amici se ho finto che andasse tutto bene.
Ma oggi non ce l’ho fatta. Oggi proprio no.
Oggi mia madre ha richiamato per dirmi che eh insomma Tony, qui stiamo tutti bene e tua sorella sta prendendo gli antibiotici, grazie per averlo chiesto. E allora ho capito cosa nelle sue parole mi aveva fatto stare uno schifo anche in precedenza: il sarcasmo.
Mi sono sentito un fallimento. Un totale disastro ambulante agli occhi della mia famiglia. Mi sono sentito minuscolo, un verme strisciante sull’asfalto rovente della California.
Io sono in tournèe con i miei amici, suono, mi diverto e realizzo il mio sogno mentre loro restano inghiottiti dalla morsa della routine quotidiana.
Sono un figlio ingrato, un fratello maggiore da non prendere come esempio.
Mentre lei parlava avrei tanto voluto farmi del male. Avrei voluto tirare cazzotti al muro fino a sentire le ossa delle dita rompersi, spaccare una bottiglia e stringere i cocci tra le mani per farle sanguinare, bermi tutta la scorta di alcolici presente nel frigobar del tour-bus e fumare dieci canne una dietro l’altra.
Sarei voluto scomparire, mentre lei mi vomitava addosso tutta la sua rabbia. Avrei voluto dirle che mi mancavano, tutti loro, ma sono rimasto zitto.
Come sempre.
Come un fottuto coglione che non sa prendere in mano le situazioni per affrontare a testa alta.
Sono rimasto zitto mentre mi insultava, mentre mi diceva che non si sentiva più una madre amata, mentre si rimproverava per aver sempre supportato il mio sogno di fare musica.
Alla fine della telefonata ho pianto come una checca isterica. Mi sono raggomitolato nel letto dell’albergo dove tutt’ora alloggiamo e ho pianto mentre gli altri se la spassavano nella stanza di Mike.
Avrei dovuto raggiungerli. Avevo detto loro che entro un quarto d’ora mi sarei aggiunto e invece sono dovuti venire loro da me.
Mi hanno lasciato piangere per un po’ e poi mi hanno allungato una bottiglia di vodka. Tutto è confuso, nella mia mente, fino a un’ora fa.
Stavamo tornando in camera dopo cena e ci stavamo mettendo d’accordo per passare la nottata in bianco in camera di Kellin Quinn con gli Sleeping With Sirens. Tipi a posto, quelli, e Vic e Kells sono ormai amici, quindi ci siamo dentro tutti.
Comunque, sono tornato in camera e ho chiamato su Skype la mia ragazza.
E lei mi ha lasciato.
Non ho capito molto delle sue parole, perché ero troppo occupato a non scoppiare a piangere davanti a lei, che, da parte sua, continuava a proferirsi in scuse e non la smetteva di snocciolare parole su parole riguardo quanto io sia un bravo ragazzo.
È da quando ho chiuso la chiamata Skype che non riesco a fare niente. Me ne sto stordito come una bambola di pezza seduto sul letto e fisso il vuoto.
È così, quindi, perdere la persona che ami?
Quindi è questa la sensazione che si prova quando si realizza che non si sta più insieme alla persona che ci ha fatti innamorare?
È normale sentire nel petto una voragine che scava dentro e che lascia aperture e perdite ovunque?
È normale avere voglia di morire?
Suppongo di sì, perché il mio corpo sta già procedendo. Ho già tirato fuori la bottiglia di vodka piena a metà di oggi pomeriggio e senza quasi rendermene conto la sto ingurgitando. Mando giù la vodka e intanto penso che mi sono portato dietro i sonniferi.
Non c’è di meglio, vero? Non c’è niente di meglio dei sonniferi?
Se poi qualcosa dovesse andare storto potrei dire che volevo solo dormire e direi addirittura una mezza verità.
E poi ho anche una paio di bottiglie di birra con me. Ogni tanto lo faccio: scippo una o due bottiglie di alcolici dal nostro frigobar e me le porto in camera per scolarle in piena notte nel caso l’insonnia non mi lasci riposare in santa pace.
Oh, ma da oggi in poi riposerò benissimo. Sarà il sonno più lungo di sempre. Sarà una dormita eterna e neanche più l’insonnia potrà turbare i miei nervi.
Mi sento bene a pensare queste cose, così mi preoccupo di agire al più presto. Finisco la vodka e subito dopo mi bevo una delle due birre.
Una me la lascio per mandare giù i sonniferi.
Prendo il tubetto delle pillole miracolose, ma aspetto un po’ a mandarle giù.
Voglio godermi per qualche istante la sensazione di andare a morire.
Sto per uccidermi e non ho paura.
Sto per morire e tutti staranno meglio, senza di me.
Non ho paura.
Mi gira la testa, così decido di sedermi. Vado a sedermi sul piccolo balconcino della mia stanza. Insomma, non credo ci sia modo migliore di andarsene se non addormentandosi e guardando la luna con la fresca brezza marina di questa città di cui non ricordo il nome che mi solletica la pelle.
Sto per morire.
Me ne sto raggomitolato in questo piccolo spazio e apro il tubetto. Guardo le pasticche e faccio per prenderne una nel momento esatto in cui sento la porta della mia stanza spalancarsi e la voce di Jaime che mi chiama.
Cazzo.
Devo muovermi.
In un attimo mi ritrovo una manciata di pillole in una mano e subito dopo le metto in bocca. Senza riflettere e senza avere il tempo di pensare razionalmente che davvero sto per ingoiare troppi sonniferi dopo aver bevuto.
Non ho il tempo di portare la birra alle labbra, che le figure di Mike e Jaime mi si stagliano davanti.
“Che cazzo hai messo in bocca?!” strepita Jaime accovacciandosi di fronte a me e togliendomi dalle mani sia i sonniferi che la birra.
Merda.
“Turtle, per cortesia, non fare il coglione e...” comincia Mike, abbassandosi di fianco al bassista, che però lo interrompe.
“Sonniferi” decreta Jaime fissandomi adirato e lasciando il tubetto e la birra al batterista. “Avanti, sputa” continua afferrandomi il viso con una mano e schiacciando le dita contro le mie guance.
Col cazzo.
Cerco di scostarmi dalla sua presa scuotendo il capo ma lui non molla. Sento le sue unghie che mi si conficcano nella carne e cerco, allora, di allontanarlo spingendolo per le spalle con la poca forza che mi è rimasta.
Lui si incazza ancora di più.
“Sputa le fottute pasticche che hai in bocca, idiota” grida, incazzato come l’ho visto solo altre poche volte in vita mia, stringendo sempre di più la presa sul mio volto. “Muoviti, tanto io e Mike non ci smoviamo da qui.”
Mi metto a piangere, alle sue parole. Piango un po’ per la mia ragazza che non c’è più e un po’ perché mi rendo conto di essere fottutamente debole.
Perché già lo so che alla fine sputerò tutto, lo so che se davvero fossi stato forte avrei già ingoiato tutte le pillole.
Le lacrime scorrono sulle dita di Jaime che non si scompone.
Restiamo tutti e tre immobili per qualche secondo, e alla fine cedo.
Cedo sempre io. Va a finire così ogni volta che sfido qualcuno o che cerco di essere cattivo.
Sono troppo fottutamente buono e torno sempre sui miei passi.
E mi odio. Mi odio alla follia per questo.
Mi lascio andare in avanti e sputo fuori tutti i sonniferi sulle luride piastrelle del balcone, nel poco spazio che divide il mio corpo da quello di Jaime.
“Adesso, cortesemente, ci spieghi che cazzo avevi intenzione di fare” mi dice Jaime, facendomi sentire come un bambino cattivo delle elementari che è appena stato messo in punizione dalla maestra.
Scuoto la testa mentre continuo a piangere, nascondo il volto tra le mani e cerco di domare i singhiozzi.
Sono così fottutamente idiota che non riesco neanche a uccidermi.
“Riportiamolo dentro” dice Mike.
“Non se lo merita” gli risponde Jaime freddo. “Se non fossimo arrivati noi, sarebbe morto.”
“Lo so.”
Non oppongo resistenza quando li sento che mi afferrano per le braccia e mi fanno alzare. Li assecondo cercando di camminare seguendo una linea dritta e non protesto quando mi scaricano sul letto, mi tolgono le scarpe e i jeans e mi coprono col lenzuolo.
Non me lo merito, ha ragione Jaime.
Non me lo merito per un cazzo.
Mi avrebbero dovuto lasciare a marcire lì fuori, alticcio e singhiozzante.
E invece non solo mi hanno impedito di uccidermi, ma si comportano anche da amici premurosi.
“Non è finita qui, Turtle” mi dice Jaime facendomi voltare il viso verso la sua faccia così da assicurarsi che io lo stia guardando. “Resto qui a controllare che tu non faccia stronzate, ma non ti gonfio di botte solo perché sei sbronzo. E domani ci dici che cazzo ti è passato per la testa, siamo d’accordo?”
Ha un tono di voce fin troppo minaccioso e io non posso far altro che annuire debolmente con il capo.
“Io vado” dice Mike, sedendosi al mio fianco e lasciandomi una carezza tra i capelli. “Cerco di far staccare mio fratello da Kellin, così magari gli racconto quello che ha combinato questo idiota.”
“Mh” commenta Jaime sedendosi su una sedia. “Buonanotte Mike.”
“’Notte.”
Osservo Mike che si chiude la porta alle spalle, poi cerco con gli occhi Jaime e lo trovo che mi fissa con un’espressione dura, incazzata, inflessibile.
Farò meglio a rassegnarmi a una strigliata di quelle indimenticabili, ma intanto mi sento scivolare nel sonno.
Il sonno non è mai arrivato tanto in fretta per me, ma questa volta mi sorprendo. In pochi istanti mi sento scivolare in un caldo torpore e il viso irritato di Jaime non è più tra i miei problemi.
 
Vengo svegliato da delle voci concitate che parlano poco distanti da me. Infastidito da quel ciarlare mi volto a pancia in giù per potermi mettere il cuscino sulla testa, ma, voltandomi, urto qualcosa col piede.
“Uh, Turtle è sveglio!” dice la voce di Mike.
“Finalmente” esulta Vic.
“Ssh” mi lamento io. Credo che potrebbe scoppiarmi la testa da un momento all’altro.
“Cosa c’è, hai per caso bevuto ieri sera?” continua Jaime pizzicandomi un polpaccio.
Ma perché cazzo si sono messi ai piedi del mio letto? Bah.
Mi metto a sedere di scatto e faccio per aprire bocca e rispondergli a tono, quando un violento impulso di vomitare mi sale dalla gola.
Mi porto una mano alle labbra, scalcio il lenzuolo da un lato e corro in bagno, mi inginocchio davanti al water, lo afferro come se fosse un’ancora di salvezza e vomito.
Rigetto la vodka e la birra come mai mi era capitato prima.
Non ho vomitato così neanche dopo la sbronza di capodanno.
Eppure non ho bevuto molto, lo ammetto. Di solito ci vuole ben altro per farmi vomitare.
“Oh cazzo Turtle” commenta Vic raggiungendomi nei pochi metri quadrati di quel misero bagno angusto, “vai proprio forte” mi dice tenendomi i capelli indietro e reggendomi la fronte.
Quando finisco mi sorprendo delle lacrime che mi rigano il volto e me le asciugo con un gesto rapido della mano.
Mi abbandono con le spalle contro le piastrelle del bagno e Vic mi siede di fronte.
“Sappi che Jaime è pronto per scaricarti addosso tutta la sua ira” mi dice il cantante con un sorriso talmente tanto grande che sembra mi stia annunciando che ridaranno Star Wars al cinema.
Sospiro. Nonostante la sbronza annebbi i miei ricordi di ieri sera, ricordo tutto. La vodka, le birre, i sonniferi, Jaime e Mike, la mano del bassista a schiacciarmi le guance e la sua voce incazzata nel buio.
“Forza alzati, andiamo dagli altri” continua Vic mollandomi una sberla su una guancia prima di alzarsi e tendermi una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
Ma che cazzo sono? Il punch-ball dei Pierce The Veil?
“Non prendertela Tony” cerca di rassicurami il cantante mettendomi una mano sulla spalla. “Cerca anche di capire lo spavento che ci hai fatto prendere.”
“Mi dispiace” borbotto chinando il capo.
“Non valeva la pena morire per un motivo tanto stupido” mi urla Mike dall’altra stanza.
Sto per aprire bocca e rispondergli che non stavo cercando di uccidermi a causa delle parole di mia madre, ma la voce di Jaime mi blocca.
“Ma te li immagini i titoli dei giornali? Chitarrista dei Pierce The Veil suicidatosi dopo essere stato lasciato dalla ragazza; avresti fatto ridere tutti.”
“E voi come fate a sapere...?”
“Mi ha chiamato poco fa per dirmelo e per dirmi di stare attento a te” mi spiega Vic velocemente, prendendomi le mani e tirandomi su con uno sforzo non indifferente.
“Ha chiamato troppo tardi” mugugno senza riuscire a trattenermi.
Siedo sul letto e gli sguardi che mi rivolgono i miei amici mi fanno sentire come se fossi l’imputato di un omicidio in tribunale. Jaime sembra la madre della vittima, mi fissa incazzato e addolorato con gli occhi ridotti a due fessure e la mascella contratta, mentre i fratelli Fuentes sembrano i miei, di genitori, dato che restano immobili e si guardano attorno spaesati e tristi, come se tutto quello che sta accadendo non corrispondesse a realtà.
“Non è che ci sia molto da spiegare” dico in un bisbiglio appena udibile.
“Se io e Mike non fossimo arrivati saresti morto” commenta acido Jaime, “ma tu non spiegare nulla, sta’ pure tranquillo.”
Non so che dire, in realtà.
“Sfogati” mi dice Mike.
E io lo faccio. Prendo una sorsata d’aria e di coraggio e dico tutto, vomito fuori tutti i miei malsani pensieri e tutta la mia scarsa voglia di continuare a vivere.
Parlo loro di come mi sento senza preoccuparmi di nulla, senza badare al velo di malinconia che scorgo negli sguardi dei miei amici. Tiro fuori il mio dolore, il mio smarrimento, la mia voglia di farmi del male.
Senza di lei mi sembra assurdo. Senza amore mi sembra irreale.
È tutto nero, vuoto, triste ed io farei meglio ad andare via.
Non servo più a nessuno, nessuno mi vuole.
E sono solo.
E vorrei soltanto farmi male. Molto male.
“Sei un fottuto coglione” mi dice Vic dopo qualche istante di silenzio assoluto. “Nient’altro, Tony, solo un coglione.”
“Non sei solo” continua Jaime, mollandomi un cazzotto su una spalla.
Restiamo tutti e quattro immobili uno accanto all’altro su questo letto di un albergo californiano e non parliamo a lungo.
So che loro resteranno.
So che i Pierce The Veil mi aiuteranno ad andare avanti.
So di non essere solo.
 
Mike mi viene incontro sudato e sorridente. Dev’essere così felice per via dello show; è stato un concerto splendido, uno di quelli da ricordare, uno di quelli che, come altri pochi, mi ha lasciato un senso di appagamento enorme.
Il batterista si avvinghia a me, mi tiene stretto nelle sue braccia magre e forti.
“Turtle.”
“Mh?”
“Non azzardarti mai più a farci prendere certe paure. Noi ti vogliamo bene. Ci siamo capiti?”


















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Ebbene eccomi qui con questa OS scritta in un momento in cui avevo solo voglia di spaccare qualcosa e invece mi sono detta 'okay, cerchiamo un modo di scaricare la frustazione senza rompere nulla', così ho scritto questa roba.
Adoro follemente Tony e me lo immagino proprio così: impaurito e perennemente tenero come una tartarughina.

Niente belli, spero che vi piaccia e... beh, recensite :)
Echelon_Sun

 
  
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