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Autore: Amens Ophelia    16/09/2013    17 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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1. Diluvi universali

 


Si era rimesso a piovere a dirotto e lei non aveva con sé l’ombrello. Sospirò sommessamente, capendo che avrebbe dovuto prestare ascolto alle previsioni meteo delle sette, invece che affidarsi alla cieca convinzione che il sereno avrebbe dominato, quel mercoledì. D’altronde doveva saperlo: era ottobre, perché sperare in un clima migliore? A dir la verità, poi, quella stagione le piaceva, ma immaginare la doccia d’acqua fredda che avrebbe dovuto sopportare tra mezz’ora, se il cielo non avesse smesso di fare i capricci, la fece rabbrividire.
            Forse era meglio smettere di preoccuparsi del tempo e riprendere ad ascoltare la lezione di Storia, perché il professor Hatake, per quanto paziente, non avrebbe sempre chiuso un occhio. Non poté trattenere un sorriso, di fronte a quel gioco di parole che le era balzato in mente: Kakashi Hatake aveva sempre mostrato pubblicamente un solo occhio, tenendo l’altro nascosto sotto un folto ciuffo di capelli, aiutato anche dal colletto perennemente alzato della camicia, che rivelava a malapena il suo volto.  
            «Hyuga?», chiamò l’uomo, con il solito tono pacato.
            Nessuna risposta. Gli occhi chiarissimi erano ancora persi a fissare le gocce di pioggia oltre la finestra, senza accorgersi che l’intera classe si era fermata per guardarla.
            «Sì, professore?», rispose un ragazzo molto simile a lei, dai lunghi capelli neri e le iridi della stessa tonalità.
            «Non tu, Neji. Mi riferisco a tua cugina».
            «Ehi, Hinata!», bisbigliò la sua compagna di banco, Tenten, assestandole una leggera gomitata nel fianco. La ragazza dai capelli blu trasalì, decidendosi finalmente a tornare alla realtà.
            Osservò l’aula e arrossì, ritrovandosi gli occhi di tutti puntati addosso. C’era chi sorrideva, come Tenten e Kiba, i suoi migliori amici, chi la fissava indifferente, come nel caso di Neji, Shikamaru e Shino, e chi invece le aveva rivolto un’occhiata distratta, come Sasuke, Rock Lee e Sakura. Non era certamente l’elemento di spicco della 5^F, eppure sperava che fra quegli occhi ci fossero anche quelli azzurri di Naruto, per una volta. Speranza disattesa, dal momento che l’Uzumaki era intento a leggere attentamente qualcosa che non poteva per forza essere il manuale di storia.
            «Hyuga, trovi divertente l’attentato di Edward Oxford alla regina Vittoria?», domandò il professore, alzando il sopracciglio.
            «N-no, per n-niente», balbettò la ragazza, scuotendo la testa. Il rossore si accentuò ancora di più sulle guance, mentre si augurava che una voragine la inghiottisse: Naruto si era girato e la stava guardando, dopo quel rimprovero. Chinò il viso verso il banco, incapace di mostrare il volto agli altri. La stava fissando, ne era certa; era come se le cellule della sua pelle potessero avvertire lo sguardo del ragazzo saldo su di lei.
            «Alla lavagna, Hyuga!», ordinò l’Hatake, sospirando. Odiava interpretare il ruolo dell’insegnante intransigente, ma era necessario farlo, di tanto in tanto, per evitare che quei ragazzi gli mettessero i piedi in testa.
            Hinata si alzò tremante, quasi spaventata dal rumore della sedia mossa da quello scatto. A capo chino, si avvicinò svelta alla lastra nera che occupava gran parte della parete dietro la cattedra, sperando che nessuno la stesse ancora guardando, soprattutto lui. Come era riuscita a desiderare, poco prima, che il biondo la osservasse? E perché mai quello sciocco desiderio era stato esaudito?
            «Scrivi ciò che ti detto, d’accordo?». La ragazza annuì, con un debole sorriso. Forse se la sarebbe cavata con poco. «Età vittoriana, tra floridità e disagio sociale: sviluppo, riforme, compromessi e malessere. Traccia un profilo dei sessantaquattr’anni di regno della regina Vittoria, avvalendoti delle letture compiute e delle tue conoscenze storiche», scandì bene l’uomo.
            Hinata osservava la scritta che aveva steso sulla lavagna, nella sua grafia un po’ meno ordinata della consueta e molto più storta. Deglutì, immaginando ciò che l’insegnante avrebbe aggiunto di lì a poco.
            «Avete una settimana esatta di tempo. Voglio una ricerca di almeno quattro facciate, mi raccomando!», spiegò lui, sorridendo.
            Un brusio indistinto cominciò a sollevarsi nell’aula, mentre Hinata si faceva piccola piccola, stringendosi nelle spalle e appoggiandosi all’ardesia fredda.
           «Professore, siccome si tratta di una ricerca e non di un tema, non è che potremmo lavorare in gruppo?», propose Tenten, osservando lo sconforto che aveva preso l’amica.
           «Mmm sì, perché no? Dunque, essendo in ventisette, lavorerete in gruppetti da tre… e per questo il tempo per la consegna si riduce a tre giorni: entro sabato, voglio vedere i vostri lavori qui!», e indicò con l’indice l’angolo destro della cattedra. Un nuovo malumore raggiunse le sue orecchie, ma l’uomo continuò a parlare: «Ah, sarò io a decidere i componenti dei gruppi, in modo da bilanciarvi». Sì, fare il cattivo della situazione cominciava quasi a piacergli; ora capiva come si sentiva il collega Maito, quando obbligava i ragazzi a svolgere i più disparati esercizi fisici.
          Hinata strinse i pugni, sgranando gli occhi: era nel panico più totale. Se prima gioiva all’idea di lavorare con Kiba e Tenten, ora intuiva che le probabilità perché ciò avvenisse erano molto basse. Era talmente sgomenta da non ascoltare l’elenco di nomi che Kakashi stava pronunciando. Alle orecchie le era solo giunto il proprio cognome, affiancato a qualcuno che non si sarebbe mai aspettata.
         «Hyuga, Uchiha, Uzumaki», dichiarò il professore, alzandosi pochi istanti prima che la campanella suonasse. «Buon lavoro, ragazzi!», sorrise, prima di infilare nella sua ventiquattrore il manuale e il registro personale, per poi uscire.
 
Hinata rimase ferma come una statua, eccetto per il gessetto che rigirava nervosamente tra le dita e le palpebre che sbattevano lentamente, quando ormai gli occhi erano tanto secchi da bruciarle. Il respiro era irregolare, mentre un grosso nodo in gola premeva per farla piangere.
            «Non sei contenta?», rise sottovoce Kiba, avvicinandosi; lui e Tenten erano gli unici a sapere di ciò che l’amica provava verso Naruto.
            «Ehi, il tuo grande desiderio si è realizzato!», esclamò la castana, scrollandole allegramente le spalle.
            «Ragazzi… vi ho appena procurato una punizione. Come potete ancora parlarmi?», sussurrò lei, incredula.
            «Chissene importa, Hina! È solo una ricerca, non certo la fine del mondo», la tranquillizzò l’Inuzuka, prendendo sottobraccio Tenten con un sorrisone. «Senza contare che sono capitato nel gruppo di Ten e Neji, quindi posso permettermi di non lavorare troppo».
            «Non ci contare! Dovrai fare anche tu la tua parte, chiaro?», puntualizzò lei, staccandosi.
            «Ci vediamo a casa mia alle tre e mezzo, se per voi va bene», s’intromise Neji, sbucando dal nulla. I due amici annuirono, per poi salutarlo.
            «Allora ci vediamo oggi! In fondo Neji è tuo cugino, abitate nella stessa villa», sorrise Tenten, nel tentativo di rincuorarla.
            «Avete ragione. A più tardi, ragazzi. Andate pure, io sistemo la borsa e torno a casa con l’autobus». Finalmente la luce era ricomparsa sul suo volto pallido.
 
Mentre riponeva il libro di Storia, il quaderno e l’astuccio nella tracolla, aveva ancora gettato qualche occhiata al diluvio che si stava scatenando fuori dalla finestra. Rabbrividì nuovamente, mentre cercava di trovare una soluzione per raggiungere la fermata dell’autobus senza bagnarsi troppo. Una volta aveva letto che, tra chi corre e chi cammina, sotto la pioggia, quello a prendere meno acqua è colui che percorre a piena velocità il percorso. Perciò cominciò a inspirare profondamente, sperando di incanalare abbastanza ossigeno da permetterle di correre rapidamente sotto la pensilina, sul marciapiede. Quando si sentì abbastanza pronta, infilò la borsa e uscì dall’aula, spegnendo la luce e chiudendo la porta alle sue spalle.
            «Finalmente!», esclamò qualcuno alla sua sinistra. Per poco tutto quell’ossigeno non le scappò nuovamente dai polmoni, per lo spavento.
            «S-Sasuke», balbettò impaurita. Quel ragazzo riusciva sempre a metterla in soggezione, da quando aveva cambiato sezione.
            «Ci troviamo oggi a casa mia, alle due e mezzo», affermò deciso.
            «Le due e mezzo?», ripeté. «Ma manca già un quarto alle due, non credo di farcela in tempo… devo tornare a casa, mangiare qualcosa e prendere ancora il bus…». La voce le tremava, ma almeno era riuscita a non tartagliare.
            Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, spazientito da quella titubanza. «Allora pranzeremo tutti e tre insieme. Naruto ci aspetta già in auto, andiamo», dichiarò l’Uchiha, voltandosi e cominciando ad avviarsi verso l’uscita.
            Hinata rimase ferma a fissarlo perplessa e ammutolita. Le ginocchia iniziarono a tremarle, come se nella borsa ci fossero quintali di rocce a gravarle addosso. Naruto… Naruto… riusciva solo a pensare a quel nome, a quegli occhi, a quel sorriso. Se per un secondo era sul punto di esplodere per la felicità, subito dopo avrebbe tanto desiderato scomparire, tornare ad essere invisibile.
            «Ti dai una mossa?», urlò il moro, girandosi di scatto, vedendola ancora là imbambolata.
            La Hyuga cominciò a camminare verso di lui, senza trovare la forza per guardarlo negli occhi. Uscirono insieme dalla porta e il bruno aprì l’ombrello, offrendosi di condividerlo con lei. La ragazza lo ringraziò flebilmente, ma lui nemmeno ci fece caso. Raggiunsero velocemente l’auto, ma quando lei vide Tenten, Kiba e suo cugino parlare insieme, qualche metro più in là, le venne in mente un dettaglio non irrilevante.
            «Devo avvertire casa, prima… devo chiedere il permesso», mormorò imbarazzata. Temeva di apparire ancora infantile, con quell’affermazione, rispetto al comportamento medio degli altri diciottenni, che entravano e uscivano dalle proprie dimore in piena libertà. Lei non era così, non lo era mai voluto essere, né comunque avrebbe mai potuto diventarlo. Le balenarono in mente i gelidi occhi di suo padre, sempre pronto a giudicarla e a trattarla freddamente, con il solo obiettivo di forgiarla della sua stessa tempra. Sapeva che ogni piccolo compromesso era una delusione in più per il suo cuore, per questo biasimava continuamente se stessa per la propria indole timida e accondiscendente. Non era mai voluta essere così remissiva e debole, ci si era trovata a esserlo e non scorgeva la forza per ribellarsi.
            Sasuke la guardò con aria spazientita, picchiettando con l’indice sul tetto della sua sportiva nera.
            «Ehi, Neji! Tua cugina oggi è a casa mia per lavorare alla ricerca… avverti tu la sua famiglia!», quasi gli ordinò l’Uchiha. Pur non conoscendo bene quale fosse l’aria che tirava in casa Hyuga, aveva avuto modo di osservare i due ragazzi e aveva compreso quanto le loro indoli fossero diverse: l’una arrendevole ed emotiva, l’altra determinata e riservata. Aveva quindi intuito che se fosse stato Neji a parlare dell’assenza della cugina per quel pomeriggio, difficilmente qualcuno avrebbe protestato, fidandosi dell’autorevolezza del ragazzo.
            «Coraggio, andiamo», tuonò imperioso il moro, indicandole la portiera posteriore, per poi accomodarsi al posto di guida, lasciandole l’ombrello.
            Hinata lanciò un’ultima occhiata ai suoi amici, che le sorridevano e la incitavano con dei pollici alzati. Se solo l’avessero osservata bene, avrebbero letto il terrore che serpeggiava nei suoi occhi.
           Sospirò tristemente, chiuse l’ombrello e tirò la maniglia, salendo così in auto. Si sentiva piccola, insignificante, di peso e fuori luogo.

Sasuke mise in moto il motore e, alla prima accelerata, la gomma slittò lievemente sul bagnato, raggelando il sangue della giovane.
           «Stai tranquilla, non ho ancora fatto un incidente», la rassicurò il corvino, osservando la sua reazione dallo specchietto retrovisore.
           «Ci credo, hai preso la patente da appena due settimane», rise di gusto Naruto, allacciandosi la cintura.
           «Stai zitto, testa quadra! Tu devi ancora compiere diciotto anni, perciò non puoi ancora avere voce in capitolo. A proposito… non ricordo mai quando sei nato. Il dieci o l’undici ottobre?», domandò Sasuke, dubbioso.
           «Il dieci!», esclamò prontamente Hinata, bruciando il diretto interessato al photofinish.
           Non appena si accorse di ciò che aveva appena fatto, arrossì e si coprì la bocca con una mano, come se quel gesto fosse bastato a resettare tutto. Naruto si voltò a guardarla, sorpreso.
          «Come lo sai?», domandò sorridente, spiazzandola.
          Non riusciva a rispondere, occupata com’era a guardarlo e a respirare, contemporaneamente. I suoi occhi azzurri erano sprazzi di cielo, in quella giornata uggiosa, proprio come il suo sorriso era luce in quell’abitacolo. Davvero stava rivolgendo quella luminosità a lei, a lei solamente?
         «Ri-ricordo… ricordo che l’anno scorso Sakura ti aveva preparato una t-torta», rispose debolmente, cercando di guardarlo in faccia, ma il tentativo aveva avuto successo solo per due secondi e mezzo.
         «Accidenti, che memoria! E dire che eri in un’altra sezione… la 4^G, giusto?», chiese l’Uzumaki, posando comodamente la guancia sul poggiatesta.
         «Era nella B, stupido», gli rispose Sasuke, intuendo che Hinata avrebbe impiegato altri venti secondi prima di aprire di nuovo bocca.
         «Oh, già, giusto!», ridacchiò il biondo, grattandosi la testa. «Perché hai cambiato sezione?», domandò curioso.
         Hinata girò il capo verso il finestrino, sperando che i capelli riuscissero a nascondere il rossore che stava facendo avvampare le sue guance. Non poteva dirglielo, non sarebbe mai riuscita a confessargli che la ragione per cui aveva cambiato classe, oltre a Tenten e Kiba, era lui, Naruto Uzumaki.
        «Magari ha deciso di seguire qualcuno che le stava a cuore», commentò Sasuke, senza smettere di osservare le reazioni della ragazza, grazie a quel gioco di specchi. Notare quanto lei arrossisse, imbarazzata, confermando le sue supposizioni, lo divertiva sottilmente.
        «Oh, certo! Inuzuka e la castana, Tenten!», capì il biondo, voltandosi ancora verso la strada, lasciando in pace la povera Hyuga, che finalmente poté tornare a respirare.
 
L’auto procedeva per delle strade ampie e ben asfaltate, ai cui lati spiccavano delle ville sfarzose, contorniate da alberi e piscine. Sapeva che la famiglia Uchiha godeva di prestigio, ma non immaginava che vivesse in quell’angolo di paradiso! Anche gli Hyuga non se la passavano male, e lei era in qualche modo avvezza al lusso, ma non riusciva a considerare casa sua un Eden, proprio per niente. C’erano alberi, fiori rigogliosi, fontane, sì, ma non mancava il serpente, il male, il dolore.
           Ancora una volta il pensiero del padre, con il suo volto severo, le attraversò la mente e lei si strinse una mano sul cuore, chiudendo gli occhi. Cercava di ripetersi che sarebbe andato tutto bene, che Neji avrebbe sistemato tutto, ma sapeva benissimo che così non sarebbe stato. Suo padre non gliel’avrebbe fatta passare liscia, lo immaginava. Delle calde lacrime cominciarono a scorrere giù per le guance, macchiandole la giacca di innocenti speranze infrante. Qual era il diluvio universale, ora? Quello dentro o quello fuori l’abitacolo?
            Sasuke svoltò in un vialetto alberato, parcheggiando l’auto in un largo spiazzo dove erano già ferme altre vetture, altrettanto maestose.
            «Siamo arrivati», confermò, aprendo la portiera.
 
Hinata scese, stringendo a sé l’ombrello aperto, nonostante quasi non piovesse più. Osservò la grande villa degli Uchiha con ammirazione, mentre Naruto e Sasuke camminavano qualche passo davanti a lei, senza poter evitare, di tanto in tanto, di fissare il biondo. Ancora non sapeva se ringraziare o meno il destino, anzi, Kakashi Hatake. Probabilmente avrebbe continuato a rimuginare su quel dubbio, se il moro non le avesse strappato l’ombrello di mano e fatta accomodare dentro.






Ciao a tutti! :D
Sono ricascata nel tunnel del SasuHina! Questa coppia mi piace sempre di più, li vedo così bene insieme!! *-*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; fatemi sapere, se vi va, il vostro parere! Mi farebbe molto piacere :D 
Intanto vi ringrazio tanto per aver letto!! :D 
(Ringrazio Holkay Efp per lo splendido banner *-* E' stata veramente brava, non trovate?)
A presto, 

Ophelia 

PS: non escludo di cambiare il rating della storia... insomma, quando c'è di mezzo un Uchiha, non si sa mai come andrà a finire XD

 
   
 
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