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Autore: Irina_89    21/03/2008    6 recensioni
Percorsero in silenzio il bianco e stretto cunicolo che li avrebbe portati dietro al palco. I battiti cardiaci erano l’unica cosa che scandiva il loro tempo. Ad ogni passo, il palco era sempre più vicino, le urla sempre più forti. E la loro paura sempre maggiore.
Paura di sbagliare il tempo.
Paura di sbagliare qualche nota.
Paura per il fratello.
Paura per se stesso.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza voce

Senza voce

 

“Non sarebbe meglio annullare il concerto?” la sua voce era preoccupata. Trasudava ansia, angoscia, ma allo stesso tempo era ferma e sicura di ciò che diceva.

“Sì, ma non voglio…” quella di suo fratello invece era debole, leggermente più bassa del solito.

“Non dire cazzate!” un ragazzo dalla esile corporatura, nascosta da abiti di almeno tre taglie superiori alla propria, si alzò dal letto per dirigersi verso la porta. “Ora vado a parlare con David e ---”

“No!” il fratello scese di scatto dal letto e lo afferrò per un braccio.

“Perché non dovrei?”

“Perché… ci sono le fans… loro hanno aspettato tanto questo momento… non possiamo deluderle…”

“Senti, prendimi per stronzo – come, del resto, fai ogni volta che ti dico queste cose – ma non me ne frega un cazzo delle ragazze che aspettano questo concerto da mesi! Tu non sei in grado di salire sul palco e quindi non ci salirai! A costo di metterti due camicie di forza e legarti al letto!” e con la mano si liberò dalla debole stretta.

“Tomi, sei un coglione! Come puoi parlare---” non ebbe il tempo di finire la frase, che un attacco di tosse gli riempì i polmoni, grattandogli la gola violentemente. Il ragazzo si portò le esili mani alla gola e tossì, piegandosi sempre di più verso terra.

Tom subito andò in suo aiuto, cercando di riaccompagnarlo verso il letto, ma Bill non voleva muoversi, né da quel punto della stanza, né dalla sua convinzione.

Era sempre la stessa schifosa storia. Perché quando Bill stava male doveva sempre fare l’eroe? Era sempre stato una persona pigra ed egoista. Una persona della peggior specie. E allora perché doveva dimostrarsi generoso e testardo su certe cose soltanto quando era in quelle condizioni?

“Sei uno stupido masochista…” decretò Tom, correndo a prendere il bicchiere d’acqua, sempre pronto sul comodino per casi come questi, e porgendolo al fratello.

Bill tossì un’ultima volta. Sembrava stesse per tossire pure l’anima. Poi prese con mani tremanti il bicchiere che Tom gli porgeva e lo portò alla bocca, bevendo l’acqua e serrando gli occhi a causa del dolore che sentiva alla gola. Era un dolore lancinante, come se qualcuno stesse cercando di tagliargliela con un coltello.

Il fratello approfittò di quell’attimo per prendere suo fratello per le spalle e portarlo verso il letto, anche se Bill continuava ad opporre resistenza. Ovviamente, per le poche forze che aveva in corpo, non era per niente un ostacolo alle intensioni di Tom.

“Nelle condizioni in cui ti ritrovi, non riusciresti a spingere nemmeno una piuma…” infierì.

“Vaffanculo…” soffiò Bill, facendo nascere un nuovo lieve colpo di tosse.

“Risparmia il fiato, oltre alle energie, idiota…” e con un’ultima leggera spinta, Bill cadde stremato sulle morbide coperte.

“Tomi…” fece Bill, serrando nuovamente gli occhi. Una nuova fitta alla gola, gli aveva impedito di proseguire il discorso.

Tom lo rivide portarsi le mani intorno alla gola, come se volesse proteggerla da un attacco di uno sgozzatore folle armato di coltello. Si sentì impotente. Avrebbe quasi voluto essere al posto suo. Dopotutto lui era un chitarrista, anche se non avesse potuto parlare, anche se gli avesse fatto male la gola in maniera impressionante, lui avrebbe potuto suonare lo stesso.

Ma Bill no, lui era il cantante. Non poteva andare avanti con la solita routine. Se lui non avesse avuto più voce, era come se i Tokio Hotel non avessero avuto più voce.

Tom si sedette sul letto accanto al fratello. “Ti rendi conto anche tu, vero, che in questo stato non puoi salire sul palco…” non era una domanda.

Bill non disse niente, deglutì soltanto, e anche a fatica. Poi aprì gli occhi e guardò suo fratello. Uno sguardo stanco. Debole. Spossato. Ma anche ostinato.

Incrociando i suoi occhi, Tom avvertì una fitta allo stomaco, seguita da una al cuore. Odiava vedere suo fratello in quello stato. Era straziante.

Se soltanto non si fosse sentito così responsabile – anche se non capiva il motivo dei suoi sensi di colpa – Tom avrebbe voluto prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a farlo ragionare, fino a fargli capire che non era possibile esibirsi in quelle condizioni. Ma pensandoci meglio, se lo avesse fatto, anche in situazioni normali, avrebbe ottenuto solo l’effetto contrario. Non solo lui sarebbe rimasto fermo sulla sua idea, ma si sarebbe, in effetti, sentito anche peggio.

Sospirò. “Vado a dire a David di annullare la tappa…”

“Ma io non voglio…” mormorò Bill con un filo di voce.

“E cosa vuoi fare, scusa? Se tu andassi a cantare ridotto così, sta’ sicuro che poi non canteresti per tutto il resto della tua vita.”

Bill abbassò lo sguardo sulle sue mani. Tom aveva ragione, e questo Bill lo sapeva. Lui aveva sempre ragione, soprattutto quando si trattava di suo fratello, perché era sempre premuroso – e rompicoglioni, pensava Bill – nei suoi confronti.

“Volendo si potrebbe fare in playback, ma tanto so già che odi con tutto te stesso questa soluzione…”

“Già…” confermò Bill.

I due si guardarono di nuovo. Non dissero altro per lunghi attimi. Attimi in cui solo i loro occhi parlarono. Tom avrebbe impedito a tutti i costi che Bill potesse peggiorare le sue condizioni, ma al tempo stesso, Bill si dimostrava estremamente testardo.

“La recupereremo questa data…” disse Tom serio, cercando con tutto se stesso di far cambiare idea al fratello.

“Ma non sarà la stessa cosa…” si fece cupo lui. Per Bill, infatti, ogni concerto era unico. Se uno fosse stato annullato, anche se fosse poi stato riorganizzato, avrebbe perso la magia che lo accompagnava. Questo era ciò che pensava Bill, e Tom lo sapeva fin troppo bene. Quelle erano parole che suo fratello gli aveva ripetuto una serie infinita di volte, ed altrettante volte lui aveva ribattuto dicendo che la sua era una filosofia davvero cretina.

“Tomi... prendimi le pasticche…” mormorò Bill, allungando un braccio in direzione dell’armadietto dove si trovavano tutte le medicine che potevano essere utili in casi simili.

“Allora sei proprio sicuro di voler andare avanti?” chiese Tom, sperando ancora una volta che Bill cambiasse idea proprio in quel momento, anche se sapeva che era molto più semplice invertire la rotazione della terra che ottenere quella risposta.

Ed infatti Bill annuì, strizzando gli occhi ed impedendo che un nuovo colpo di tosse si impossessasse di lui.

Tom sospirò triste. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non vedere il fratello in quello stato. Avrebbe persino fatto come lui voleva.

Si alzò dal letto, tirandosi su i pantaloni che stavano involontariamente cadendo sempre di più verso terra, e si avvicinò verso l’armadietto. Aprì le ante e prese la boccetta delle pasticche che il medico aveva prescritto a suo fratello per ogni qualvolta gli capitava quel violento mal di gola.

Poi tornò da lui e gliele buttò sul letto. Una parte di Tom era triste, non avrebbe voluto dargliele. L’altra era incazzata, non semplicemente arrabbiata, ma proprio incazzata. Perché cazzo suo fratello doveva essere così testardo? Stava male! Perché diavolo non poteva fare come quegli schifosi giorni in cui stava a letto a dormire per ore come se fosse caduto in letargo?

Bill aprì la boccetta ed estrasse una pasticca, che ingoiò con l’aiuto di un sorso d’acqua.

“Grazie…” sussurrò dopo al fratello. Era un grazie sincero, ma colpevole. Lui sapeva benissimo quanto costava a Tom vederlo in quello stato. E sapeva anche quanto gli faceva male lottare contro la sua testardaggine. Ma lui voleva fare quella data. Certo, fosse stato per lui, sarebbe stato volentieri a letto, a riposarsi, in modo che la voce potesse avere il tempo di tornare quella di sempre, ma non era possibile. O almeno, per lui non era possibile. Per lui le fans contavano davvero tanto. Grazie a loro i Tokio Hotel erano riusciti a diventare ciò che erano. Non poteva deluderle. Chissà quanto avevano aspettato quel concerto, ed ora, che mancavano solo un paio giorni, se lui l’avesse annullato, sarebbe stato come se quelle ragazze non fossero state ripagate del sostegno che avevano dato a loro. E per Bill, questo non era giusto. Lui doveva farle felici. Doveva salire sul palco. Doveva cantare.

“Tomi, vai pure in camera tua…” disse Bill, voltandosi su un lato, in modo da dargli le spalle, ed affondando la testa sul cuscino.

“Sei sicuro?”

“Sì…”

“Va bene. Tu riposati.” Il suo era un tono piatto. Non che fosse voluto, ma si sentiva del tutto inutile. Non era riuscito a far cambiare idea al fratello. Cosa avrebbe potuto fare, quindi? Niente. Solo sperare che andasse tutto bene.

 

***

 

Purtroppo, quei due giorni che mancavano al concerto, passarono più velocemente del dovuto, e Bill non faceva progressi. Anzi, sembrava stesse peggio. E questo, non solo per Tom, non era una buona cosa.

“Ragazzi, cinque minuti.” La voce di David risuonò lontana alle orecchie di Bill. Anche lui sapeva di sentirsi peggio, ma non avrebbe mollato. Aveva resistito per due giorni, non poteva rinunciare proprio ora.

“Bill, ci sei?” Georg sventolò una sua grande mano davanti al cantante.

“Eh? Ah… sì…” farfugliò lui, alzandosi dal divanetto per seguire gli altri, già in piedi, pronti ad uscire dal camerino.

Percorsero in silenzio il bianco e stretto cunicolo che li avrebbe portati dietro al palco. I battiti cardiaci erano l’unica cosa che scandiva il loro tempo. Ad ogni passo, il palco era sempre più vicino, le urla sempre più forti. E la loro paura sempre maggiore.

Paura di sbagliare il tempo.

Paura di sbagliare qualche nota.

Paura per il fratello.

Paura per se stesso.

Le luci si spensero definitivamente, lasciando l’intero palazzetto al buio, illuminato solo dai flash delle macchine fotografiche, che immortalavano l’arrivo del gruppo sotto il palco.

Le urla aumentarono quasi all’inverosimile, cancellando tutti gli altri rumori che avrebbero potuto esserci come sottofondo.

I ragazzi presero ognuno il proprio strumento e salirono sul palco. Il cuore a mille. Adrenalina alle stesse. Tutto come sempre. O quasi.

Tom attaccò le prime note, venendo illuminato da un fascio di luce rossa, dedita ad intensificare il momento. A lui si unì presto Gustav con la sua batteria, ed infine anche Georg e il suo basso.

Poi fu il turno di Bill. Un respiro. Un profondo respiro. E iniziò.

Cantò. Cantò con tutto se stesso, sforzandosi di dare il meglio di sé. Cantò per ringraziare le sue fans, proprio come si era prefissato di fare da ormai diversi giorni.

Cantò. Cantò per tutte loro. Cantò per il suo staff, che si era impegnato al massimo, affinché tutto questo potesse riuscire. Cantò per i suoi amici, perché la musica era ciò che riusciva ad unirli come se fossero una cosa sola.

Cantò. Cantò per minuti. Troppi minuti. Minuti in cui la sua gola si sforzò eccessivamente. Minuti in cui anche le corde vocali iniziarono a dolergli. Tutto questo fino al momento in cui non avvertì una dolorosa e violenta fitta alla gola.

La sua voce cessò di uscire dalle sue labbra, mentre la musica continuava. Né lui, né i suoi amici avevano capito cosa fosse successo, se non dopo qualche attimo.

Il microfono di Bill cadde per terra e lui si portò le mani alla gola, serrando gli occhi e piegandosi su se stesso.

Non appena anche lo staff si rese conto dell’accaduto, si apprestò a far calare sul palco delle transenne metalliche, pronte ad impedire la visuale al pubblico, che iniziò ad urlare disperato.

Tutte le luci vennero spente, facendo eccezione per due piccoli fasci bianchi che illuminavano il centro del palco, dove Bill si era accasciato, in preda all’agonia del dolore.

Tom buttò la chitarra a terra, correndo verso il fratello per soccorrerlo. Georg andò a chiamare David, il quale, nel frattempo, era andato a cercare il medico – che da sempre li seguiva per soccorrere ogni tipo di incidente – mentre, Gustav era riuscito a recuperare un cellulare per chiamare un’ambulanza.

“Bill!” urlò Tom, posando le sue mani sulle sue spalle.

Dalla bocca del cantante uscì solo un lamento roco.

“Bill! Che cazzo ti succede?” urlò ancora, in preda al panico.

Il fratello cercò di rispondergli anche questa volta, ma il suono che produsse fu lo stesso.

Delle lacrime iniziarono a rigare il viso del cantante, portando nella loro scia il pesante trucco nero che caratterizzava i suoi occhi. Ad esse si unirono presto dei singhiozzi, che facevano sussultare il corpo di Bill, già tremante per la paura.

“Bill!” anche Tom sembrava sull’orlo del pianto.

“Spostati!” lo spinse via violentemente il medico dell’equipe, in modo da poter controllare le condizioni di suo fratello.

Bill, intanto, non smetteva di emettere quei suoni rochi, sperando che la sua voce tornasse.

“Bill! Smettila! Più fai così, più peggiori!” lo avvertì il medico, ma lui sembrava non volesse sentirlo.

“Bill! Fai come ti dice!” gridò Tom, sperando che le sue parole avessero più effetto di quelle dell’uomo anziano che stava disperatamente cercando di aiutare il ragazzo.

Ma Bill sembrava non sentisse più nessuno. Era spaventato. Aveva perso la voce e la sua gola gli faceva talmente male che pareva che alla fine qualcuno fosse sul serio riuscito a tagliare la sua pelle e le corde vocali.

E più gli faceva male, più lui cercava di urlare. Ma così facendo, otteneva solo ulteriore dolore. Per questo voleva gridare, lasciando, però, che dalle sue labbra uscisse solo quel rumore rauco e lamentoso.

Il dolore era sempre più forte. Sempre più acuto. Finché, ad un certo punto, non sentì più niente. Gli occhi si chiusero e lui cadde privo di sensi nel mezzo del palco.

 

***

 

Bill aprì lentamente gli occhi. La luce del sole che entrava dalle persiane semiaperte gli dava fastidio.

Una volta che si fu abituato a quel chiarore, fece vagare il suo sguardo per la stanza.

Intorno a lui c’era solo bianco. Pareti e tende bianche, tavolino bianco, armadio bianco. Le coperte del suo letto erano bianche.

I suoi occhi, poi, si posarono sulle sue mani. Persino quelle erano bianche, contrastando con il nero dello smalto che aveva messo accuratamente sulle unghie la sera prima del concerto.

Il concerto.

Subito si ricordò e istintivamente si portò le mani alla gola.

Non appena vi posò le mani, un dolore lancinante lo avvolse, per poi avvertire una fitta allo stomaco. Non ebbe tempo di aprire bocca che venne interrotto.

“Buongiorno…” una voce famigliare gli giunse alle orecchie.

Bill si voltò subito, trovando suo fratello stravaccato, come al solito, sulla bianca sedia vicino alla parete. Con sua grande gioia, lui non era vestito di bianco.

Tom gli sorrise dolcemente, alzandosi e portando la sedia accanto al letto, per poi sedercisi a cavalcioni.

“Come ti senti?” domandò, appoggiando le braccia allo schienale della sedia.

Bill provò a parlare, ma ancora una volta, non uscì nessuna parola dalle sue labbra. Solo il solito lamento.

“Ah, scusa… ” si affrettò a dire Tom, i cui occhi vennero avvolti da un velo di tristezza.

Anche gli occhi di Bill assunsero quell’espressione, formulando al fratello un’implicita domanda.

“Eri svenuto… probabilmente per la paura di ciò che ti era successo…” rispose. “Ti hanno poi portato qua, in ospedale. Dopo una rapida visita hanno visto che la tua gola era infiammata oltre ogni previsione.” Lo sguardo di Tom si fece serio. “Ti sei sforzato troppo. Non avresti dovuto salire su quel dannato palco.”

Bill abbassò lo sguardo sulle sue mani. Lo sapeva che Tom aveva ragione, come sempre. Eppure, lui aveva fatto di testa sua.

Sentì, poi, una mano posarsi sulla sua spalla.

Si voltò ancora una volta verso il fratello. Il suo sguardo era un insieme di emozioni. Aveva paura. Voleva chiarimenti. E si sentiva quasi rassegnato a passare chissà mai quanto tempo in quelle condizioni.

Non osava pensare a ciò che sarebbe potuto accadere, se la perdita della voce fosse stata definitiva.

“Tranquillo… i medici hanno detto che in un mese di adeguate cure, tutto tornerà come prima…” gli sorrise Tom, capendo troppo bene i sentimenti del fratello. “Hanno poi detto che non devi assolutamente provare a parlare. E su questo punto sappi che io sarò irremovibile. Per tutto un mese preparati ad avermi come la tua ombra.”

Bill roteò gli occhi e sbuffò. Almeno quello poteva ancora farlo.

Però, tutto sommato era felice. Tutto si era risolto abbastanza bene. Per un attimo aveva creduto il peggio, ma fortunatamente, il peggio non si era verificato.

Di certo, tutta questa situazione gli aveva fatto cambiare idea su almeno un paio di cose.

Primo: se in seguito avesse avuto di nuovo il mal di gola, anche se lieve, si sarebbe rintanato sotto le coperte del suo caldo letto e ci sarebbe rimasto finché non fosse passato.

Secondo: non dare più retta alle sue filosofie, perché aveva capito che erano estremamente cretine. I concerti potevano essere annullati e poi recuperati. L’importante era non compromettere la propria salute.

“Bill, mi permetti di dirti una cosa?” fece Tom, distraendolo dai suoi pensieri.

Lui annuì.

Il fratello prese fiato. “Sei un cretino! Un coglione! Ma ti rendi conto di cosa cazzo ci hai fatto passare? Credevamo che saresti morto da un momento all’altro! Fra poco se non morivi tu, morivo io d’infarto! Perché cazzo non mi hai dato ascolto? Stupido, schifosissimo fratello idiota!” sbottò.

Bill – che inizialmente pensò quasi che Tom avrebbe potuto colpirlo a sangue con qualunque oggetto gli fosse capitato tra le mani – alla fine di quel fiume di parole, notò una piccola e solitaria gocciolina scendere lungo il viso del fratello.

Soffiò una risata dolcemente, aizzando ancora di più l’ira di Tom.

“Che cazzo ridi, ora?”

Bill sorrise sornione e Tom mise il muso.

“Non stavo piangendo… era la stanchezza…”

Se avesse potuto parlare, Bill avrebbe voluto approfittare di quel momento di debolezza del fratello per prenderlo un pochino in giro. Dopotutto, non era da tutti i giorni vedere Tom Kaulitz con gli occhi lucidi.

“Bill..?” lo chiamò Tom, ancora leggermente imbronciato. Bill lo guardò, pensando a quanto fosse bambino in quelle situazioni. Eppure aveva quasi vent’anni!

Tom si alzò dalla sedia e si sedette sul letto. Poi si chinò su suo fratello, abbracciandolo stretto a sé. “Anche se sei un cretino che la metà basterebbe… anche se mi hai fatto preoccupare quanto mai in vita mia… anche se ora come ora avrei una voglia matta di prenderti a pugni per tutto ciò che mi hai fatto passare… insomma… io…”

Bill aveva già capito cosa gli stava per dire. Sorrise e lo abbracciò a sua volta, orgoglioso di non essere solo a questo mondo e di avere un fratello come Tom.

“… ti voglio bene…”

 

- Ende -

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ATTENZIONE: I Tokio Hotel non mi appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione veritiera della loro personalità. No scopo di lucro.

***

Bè, inizio con il dire che questa mia one shot è nata dalla notizia del concerto di Torino. Io, purtroppo, non ci sarei potuta andare comunque, come non posso andare a nessuno degli altri due ... ç__________________ç

Posso, però, immaginare la delusione di tutti coloro che hanno aspettato questo momento per mesi... anche fin troppo bene... ma ho voluto immaginarmi cosa sarebbe potuto succedere se, nonostante le condizioni di Bill, lui si fosse esibito. Bè, fortuna che l'ho fatta finire abbastanza bene..^^..

Aggiungo che forse, è un bene che lui abbia annullato il concerto. Forse lo recupererà, visto che era pure un sold out... e forse, sarà ancora più in forma!^^

Spero di non aver offeso nessuno dicendo ciò che penso al riguardo...  se l'avessi fatto, mi scuso profondamente. Non era mia intensione.

Concludo ringraziando tutti coloro che hanno letto questa one shot.

Un bacione!

_irina_

ps: se volete lasciare qualche commentino, di certo non mi arrabbio...=P

  
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