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Autore: queerasme    21/03/2008    9 recensioni

Lei: asociale ed indolente pulzella, la maggior parte delle volte davvero scontrosa, irritante oltre ogni dire e fastidiosamente vanagloriosa. Imbarazzantemente goffa, oltremodo saccente, immancabilmente sarcastica e sotto, sotto (ma davvero molto sotto) vagamente romantica.

Lui: affascinante e carismatico dongiovanni con il pallino per la matematica. Testardo più d’un mulo e determinato davvero oltre l’immaginabile. forse solo un po’ arrogante, casinista in maniera piuttosto molesta e tutto sommato approssimativamente divertente.

Che c’entrano questi due?

Oh, centrano eccome. Mettiamo il caso che Lei abbia qualche vago problema con le equazioni, e facciamo contemporaneamente finta che Lui sia alla ricerca di qualche nuova emozione per scacciare via la noia. Bene, ipotizziamo poi che Lui abbia avuto, l’anno prima, una fugace storia con la  migliore amica di Lei, finita non tanto in amicizia, e che per solidarietà Lei gli abbia giurato odio e disprezzo per un periodo indefinito. Supponiamo che gli amici di Lui detestino gli amici di Lei, e che gli amici di Lei non possano soffrire gli amici di Lui. Figuriamoci però, che ora Lei sia disperata, inciampi in uno zaino cospiratore e non veda nessun altra soluzione e mettiamo poi il caso che Lui in un momento di leggerezza sottovaluti la pericolosità di Lei e senza nemmeno accorgersene cada in un baratro senza uscita...

Dopo di che ficchiamo fra i due l’immancabile Altro, che Lei conosce da una vita, a cui vuole un bene incredibile e che sembra davvero fatto apposta per lei...

Che ne esce?

Un casino totale.

Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Gvazzie infinite pev i commenti...

hihi... sto iniziando a montavmi la tetsa! xD

come sempre sono benvenutissime le vostre recensioncine...

ora vo, alla prossima!

 

 

 

In Biblioteca

 

 

« Ho detto che non posso!» sibilò esasperata Rebecca per la decima volta

« Ma cosa devi fare?» Cris si stava spazientendo alquanto.

« Ecco... » la rossa si morse il labbro inferiore un po’ titubante e finse un colpo di tosse davvero poco verosimile « I fatti miei!» sputò fuori poco convinta.

« I fatti tuoi?» Val inarcò un sopracciglio e si esibì in un magistrale sbuffo da cui trasudava tutto il suo scetticismo.

« Siamo noi i fatti tuoi, Bec!» le ricordò vagamente risentito Tom

« Lo so ma... » altro colpo di tosse per prendere tempo « Ho una vita privata anch’io, corbezzoli!»

« Una vita privata

« Val, la pianti di ripetere tutto quello che dico?»

« Ti vedi con qualcuno?» indagò Cris, forse con un po’ troppa enfasi

« No!» fece subito lei, quasi schifata all’idea.

« Se così fosse ce lo diresti, vero?» Val le imprigionò le mani in una morsa preoccupata, lanciandole occhiatine angosciate, finché l’altra non la rassicurò con un esasperato “Si, certo”.

« Sicura Bec? »

« Sicura, Cris

« E allora che hai da fare?»

« Vi giuro che un giorno, quando sarà passato abbastanza tempo, ve lo dirò. E ci rideremo sopra insieme... Ma fino ad allora non voglio domande.»

Detto ciò Bec girò sui tacchi e s’allontanò dai tre, in direzione di casa sua, lasciandoli a confabulare sospettosi, incuriositi ed anche un po’ preoccupati.

Un umiliazione simile non l’avrebbe mai sopportata. Nessuno, nessuno, doveva sapere di quel cinque. Aveva una reputazione da difendere, lei. Non si sarebbe confidata nemmeno con loro, anche se questo avrebbe causato qualche piccolo problema, forse.

Appena uscita da scuola aveva deciso che la sua vita da quel momento in avanti sarebbe stata vissuta in funzione della matematica. Avrebbe mangiata, dormito, bevuto, ascoltato e respirato solo matematica. Senza distrazioni. Naturalmente era consapevole che le sue sole forze non sarebbero bastate, sapeva di aver bisogno d’aiuto. Doveva trovare qualcuno di discreto e riservato, di cui fidarsi, in grado di mantenere il riserbo su quella scabrosa faccenda. Sapeva che ci sarebbe voluta una discreta quantità di tempo per trovare la persona giusta, ma dato che ogni minuto era prezioso avrebbe iniziato il ripasso da sola, quello stesso giorno. E ci avrebbe pensato poi al resto.

Appena terminato il pranzo si precipitò fuori di casa, zampettando non tanto allegramente verso la biblioteca e con un sospiro rassegato spense il cellulare.

Quello era l’unico modo per assicurarsi che Cris, Val e Tom la lasciassero in pace, era sicura che, anche se lei aveva garbatamente declinato l’invito di andare a fare un giro insieme quel pomeriggio, come erano soliti fare fin dagli albori della loro amicizia, quei tre si sarebbero presentati a bussare alla sua porta da un momento all’altro. Per questo non poteva restare in casa. E naturalmente non trovandola l’avrebbero bombardata di chiamate insistenti, messaggi apprensivi e squilli isterici, quindi decise che probabilmente la cosa più saggia da farsi era quella di spegnere il telefono.

 

Si sistemò, comodo, con i piedi sul tavolo vecchio ed ingobbito, pieno d’incisioni storte fatte col compasso e scarabocchi indelebili vari, che urlavano a gran voce l’amore di Tizia per Caio, o che proclamavano al mondo che Ambarabà, Ciccì e Coccò sarebbero rimaste amiche ‘4e’. 

Rovistò per qualche secondo nello zaino nero e dopo qualche attimo ne tirò fuori un libro, che si lasciò cadere in grembo, fece scivolare lo zaino a terra, per poi rimettersi a frugare nelle tasche della giacca. Non passò troppo tempo prima che trovasse ciò che cercava. Srotolò le cuffie e se le sistemò nelle orecchie, accese l’mp3, attese un po’, che la musica iniziasse a sgorgare, e se le lo rimise in tasca. Poi prese il libro, lo aprì con una certa reverenza, appoggiò il segnalibro sul tavolo e s’immerse nelle parole.

Sarebbe stato tutto perfetto, se solo lei non fosse arrivata.

 

Rebecca si fece largo fra i tavoli, danzando con la sua solita grazia da mammut, alla ricerca d’una posizione che soddisfacesse le sue esigenze.

Ecco, probabilmente il fatto di non avere nemmeno una scolorita parvenza d’idea su quali fossero le esigenze da soddisfare rendeva la sua ricerca un po’ più complicata. Mentre faceva vagare lo sguardo in giro e si stupiva di quanto desolatamente vuoto fosse quel posto, non si accorse che per terra, pericolosamente vicino ai suoi maldestri piedi, era abbandonato uno zaino nero. Non se ne accorse subito, almeno. Già, perché quando l’infida sacca le si avviluppò alle caviglie, legandole i piedi in una morsa traditrice, e lei perse l’equilibrio, cadendo in avanti, e sbattendo le fronte contro l’estremità del tavolo che stava lì davanti, che c’era qualcosa che non andava le risultò palese.

 

Uno strillo acuto che sovrastò la musica richiamò la sua attenzione.

«Stai bene? » domandò Alex scrutando piuttosto preoccupato l’esile figura spalmata a terra.

«Se davvero ti do quest’impressione, caro, allora probabilmente vuol dire che possiedo l’espressività di un ameba con un lifting - riuscito male, anche, oserei azzardare-. Il che, giovine, non è per nulla un bene. Spero vivamente che sia solo una momentanea conseguenza del colpo in testa. Sai, magari ha compromesso qualche sinapsi o che so io e adesso non riesco più a padroneggiare le mie espressioni facciali. spero che sia realmente una cosa passeggera.» concluse con aria davvero preoccupata.

«Sono sicuro che è passeggera» annuì Alex, sorridendo, un po’ spiazzato da quel fiume di parole. « Ti sta uscendo proprio  un bel bernoccolo, sai?»

Rebecca emise un sospiro stridulo e si portò una mano alla fronte, che, effettivamente, si stava gonfiando. « Cazzo! »

«Quando si dice ‘finezza’!» commentò il ragazzo, accompagnando le parole con un gesto fluido della mano nella sua direzione, come per presentarla alla platea d’un teatro.

«Quando si dice ‘tento omicidio’!» fece Rebecca indicando indignata con un indice accusatore la causa della sua caduta. « Quel malefico marchingegno è di tua proprietà, demonio?»

« Quel malefico marchingegno – dicasi zaino, gentil pulzella – è di mia proprietà, sì. »

« Idiota! Nemmeno fai un tentativo di occultare le prove del tuo crimine? Cioè, non è che la gente normale dopo che ha cercato d’ammazzare una e – grazie al cielo – ha miseramente fallito nell’intento, se ne va in giro a sbandierarle sotto il naso l’arma del delitto! Miseria! »

«Beh, a costo d’esser giudicato all’antica, nella mia visione -forse troppo rosea del mondo- la gente normale non va in giro a cercare di ammazzare gli altri. In ogni caso mi spiace, sai, non sono pratico di certe efferatezze...» si concesse una breve pausa per studiare meglio la sua goffa interlocutrice «Non vorrei allarmarti, tesoro, ma quella cosa che hai sulla testa sta preoccupantemente aumentando le sue dimensioni...

« Cazzo!» lei si portò di nuovo la mano alla fronte e rimase un po’ sconcertata nello scoprire l’enorme bugno che gli era fiorito sotto la franga.

« Invece d’imprecare in maniera cotanto scurrile ti consiglierei di cercare del ghiaccio.»

« Giusto» approvò la rossa. « Ghiaccio!»

Fece per alzarsi, ma evidentemente la sua dose quotidiana di sfiga non si era ancora del tutto esaurita. Mentre tentava di mettersi in piedi sbatté la testa sotto il tavolo e una quantità indefinita di capelli le si strapparono dolorosamente, rimanendo appiccicati ad un chewing-gum, probabilmente incollato di fresco, per poi lasciarla cadere a faccia in giù, sbattendo il naso contro le mattonelle sporche.

Alex si precipitò al suo fianco, rigirandola con cautela, trattenendo a stendo le risate e lanciando sguardi di scuse alla gente intorno.

« Stai bene? »

« E ancora! Ti pare che io stia bene? No, davvero! Mi sembra una cosa piuttosto evidente, amico. Se stessi bene ora sarei in piedi, tanto per dirne una! » Rebecca tirò rumorosamente su col naso, e fece una smorfia disgustata. « Mi sanguina?» domandò rabbrividendo.

« Fa’ vedere... » Alex le afferrò il mento fra il pollice e l’indice e le esaminò con attenzione il viso. « Non mi pare»

«Ma io sto respirando sangue! È una cosa orribile! Sento l’odore. Dio, che schifo assurdo!» si portò una mano al naso, per accertarsi che davvero non ci fosse traccia di sangue, poi si concesse un sospiro sollevato.

« Non ti ricordavo così sfigata, sai? » chiese Alex con un sorriso obliquo

« Io non ti ricordavo così pieno d’odio nei miei confronti, caro. È evidente che abbiamo tutti e due memorie fallaci. Due tentativi d’omicidio in nemmeno dieci minuti! » commentò poi la rossa, indignata « Che ti ho fatto di così orribile, ragazzo mio?»

« Ah! » fece Alex, sinceramente divertito « Così anche questo è colpa mia! E spiegami, se non è chiedere troppo, come avrei fatto. »

« Beh, è chiaro! Ti sei avvalso delle tue capacità tele cinetiche per farmi cadere! Mi pareva ovvio! Ti ho smascherato x-man!

«Oh, no!» il ragazzo si finse seriamente preoccupato « Ora che mi hai beccato mi toccherà ucciderti!»

«Non è forse quello che hai tentato di fare dal momento in cui ho messo piede qui dentro?»

I due si concessero qualche altro breve scambio di argute battute poi, dato che le dimensioni della testa di Bec stavano vertiginosamente aumentando Alex, da prode cavaliere qual era, s’offrì prontamente d’accompagnarla a cercare del ghiaccio che frenasse almeno un po’ la lievitazione.

L’impresa si rivelò più ardua del previsto, girono in lungo e in largo alla ricerca d’un anima pia che gl’indicasse dove potessero trovare un po’ della magica soluzione, ma tutti scuotevano le spalle o li mandavano a chiedere da qualcuno, da cui, puntualmente, erano appena stati.

Fra le imprecazioni varie e i borbottii indignati di Rebecca i due raggiunsero infine la saletta appena fuori dalla biblioteca, quelle delle macchinette.

« Cioè, io sono qui che muoio lentamente e tu ti prendi da bere? Sei davvero senza cuore!» si lamentò Bec con una mano sulla fronte.

« Tè, aranciata o coca cola?» domandò lui, ignorandola completamente.

« Ché?!»

« Allora?» la incalzò Alex con un mezzo sorriso

Bec ci pensò un po’ su e poi « Tè» sentenziò convinta.  

Lui infilò le monetine e schiacciò il pulsante lampeggiante, dopo una serie di brontolii meccanici la macchina sputò fuori la lattina, il prode ed ingegnoso giovane si chinò a raccoglierla e poi la porse a Rebecca, che l’afferrò un po’ stupita.

« Sulla fronte» fece lui, notando che la rossa non aveva del tutto realizzato cosa farci.

Seguì una sorta d’occhiata ammirata, di quelle che Bec dispensava con attenta parsimonia, solo in casi eccezionali e solo a persone eccezionali, e poi sinceramente ammirata esclamò: « Wow! Non sono solita celebrare persone che non siano me, ma, devo ammetterlo, è geniale!»

« Modestia a parte!»

Ed in quel momento a Rebecca tornò in mente quello che Val le diceva sempre di Alex. ‘quel ragazzo un genio con i numeri, è addirittura riuscito a farci capire qualcosa a me!’ , gli tornò in mente il suo  nome che dominava la lista dei risultati delle olimpiadi della matematica, organizzate ogni anno dalla loro scuola, gli tornò in mente che...

« Senti... io avrei un quesito... » azzardò la rossa un po’ esitante.

« Che sarebbe... » la incalzò lui

« Mi chiedevo... Mi ricordo che quando stavi con Val... ecco... davi ripetizioni di matematica a quei primini... »

« Mia madre mi aveva tagliato i viveri, sai com’è, avevo bisogno di contanti...»

« Ora non ne dai più?»

« Non ne ho motivo... ho scoperto che col mio sguardo accattivante ottengo sempre cioè che voglio» si vantò Alex

« Ah. »

« Perché sembri delusa?»

« Come? Delusa? Nooo...»

« Conosci qualcuno a cui servono ripetizioni? »

« Ripetizioni? Ecco... no! Cioè... C’era una mia amica... Cioè... Ecco... Cioè glie avrei date io ma... Cioè... Ecco... No, nessuna ripetizione, scherzi?»

« Stai bene Rossa?»

« È la botta in testa... devo assolutamente andare. » concluse annuendo in maniera vagamente isterica. Si era quasi fatta scoprire! Così non andava, per nulla. Si precipitò furori dall’edificio senza permettere ad Alex di dire una parola, terrificata ed immensamente a disagio. Le sembrava di avere un enorme cartello sospeso sulla testa che urlava al mondo intero che lei, Rebecca, era una schiappa in matematica.

  
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