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Autore: SoulThief_    17/09/2013    3 recensioni
Dal capitolo:
"Scrollo le spalle per scacciare le immagini che questa notte mi hanno assalita nel sonno, ma l’angoscia mi pervade comunque; afferro il davanzale di marmo talmente forte da farmi sbiancare le nocche, serro le palpebre e faccio un respiro profondo.
Ho bisogno di Peeta."
La mia prima Everlak, una one shot senza pretese;
Ladra di Anime
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rumore.
Mi sveglio di soprassalto e mi siedo di scatto, pronta a proteggermi da qualsiasi pericolo, pronta a proteggere Peeta a costo della mia vita.
Ma sono solamente nel mio letto, sudata, scossa e aggrovigliata nelle lenzuola.
Sola.
Dov’è Peeta?
Il rumore persiste, somiglia al rumore che fa un tessuto quando si strappa, e m’inquieto ancora di più. La mia mente è focalizzata su un unico pensiero: ho bisogno di sapere dove si sia cacciato Peeta. Ho bisogno di lui. Lotto a lungo con le coperte prima di riuscire a liberarmi da quell’intrico e posare i piedi per terra: il pavimento è freddo, ed un brivido mi corre lungo la schiena. Il rumore è cessato. Cerco di mettere a fuoco la stanza mentre mi concedo un attimo per calmare il battito del mio cuore, mi passo un dito lungo il braccio increspato dalla pelle d’oca. Mi tranquillizzo a mano a mano che riconosco ogni minimo dettaglio della mia -della nostra- stanza: il cassettone a ridosso del muro, i quadri creati dalle abili mani di Peeta appesi alle pareti, il comodino con la lampada che la sera illumina i nostri volti d’una soffusa luce giallastra, le tende leggere che svolazzano per colpa di un refolo d’aria, la finestra con le imposte socchiuse da cui filtrano pochi raggi di luce. Mi alzo in piedi e mi dirigo verso la finestra, camminando lentamente per svegliare le mie membra intorpidite. Apro di colpo le imposte e la luce del sole inonda la stanza, definendo i contorni di tutti gli oggetti che mi circondano; la luce improvvisa mi fa male agli occhi, e sono costretta a socchiuderli. Respiro a pieni polmoni la fredda aria mattutina, e quando riapro gli occhi lascio vagare lo sguardo sul paesaggio circostante. Vedo le case dei vincitori, tutte desolatamente vuote tranne una oltre alla nostra; mi chiedo cosa stia facendo Haymitch. Che domanda stupida. Beve, sicuramente. Si ubriaca. Perché è questo che continua a fare, anche se ha le sue oche, è l’unico modo che ha trovato per continuare a tirare avanti convivendo con gli incubi; e se ha funzionato per tutti questi anni, perché smettere proprio adesso? Tanto gli incubi non se ne andranno mai.
Scrollo le spalle per scacciare le immagini che questa notte mi hanno assalita nel sonno, ma l’angoscia mi pervade comunque; afferro il davanzale di marmo talmente forte da farmi sbiancare le nocche, serro le palpebre e faccio un respiro profondo.
Ho bisogno di Peeta.
Mi precipito fuori dalla stanza, spalanco la porta con violenza, quasi mi metto a correre per le scale; controllo furiosamente in ogni stanza quasi in preda al panico, la treccia ormai spettinata che mi sono fatta ieri sera rimbalza in continuazione contro le mie scapole. Quando lo trovo gli do a malapena il tempo di girarsi prima di tuffarmi fra le sue braccia e poggiare il capo sul suo petto: lui esita un po’ prima di ricambiare il mio abbraccio, e la sua stretta è insicura e forzata. Appena riprendo il controllo di me stessa sollevo il viso, ed incontro quello di Peeta, spaesato.
Brutto segno.
Nei suoi occhi aleggia un’ombra minacciosa, un’ombra che eclissa il vero Peeta, il mio Peeta; perché? Cos’è successo? Mi guardo intorno, e solo ora mi rendo conto che era lui la fonte del rumore che mi ha svegliata.
Ci sono tele rotte ovunque, squarciate a metà, fatte a pezzi e sparpagliate sul pavimento; alcune erano dipinte con immagini dei suoi incubi più frequenti, mentre altre erano completamente bianche, ancora intonse. Mi scosto da lui delicatamente per evitare una qualsiasi reazione negativa da parte sua, che rimane con le braccia rigide e lo sguardo perso nel vuoto; fra le dita ha ancora il taglierino con cui ha compiuto questo scempio. Prendo la sua mano fra le mie e cerco di sottrargli il taglierino, ma la sua presa è talmente salda da impedirmelo; i muscoli del suo braccio sono tesi all’inverosimile, e sul polso riesco a vedere ogni sua singola vena pulsare nervosamente. Il suo corpo cela alla mia vista un’ultima tela, in questo caso dipinta, che prima non avevo notato: ai bordi è ridotta molto male, ci sono numerosi squarci, ma la figura ritratta al centro è intatta.
Sono io.
Tengo fra le mani, unite a coppa, un piccolo dente di leone giallo brillante e porgo il viso verso il fiore, annusandone il profumo.
Mi stupisco ancora una volta della maestria, della precisione con cui Peeta abbia ritratto ogni mio singolo particolare in modo così perfetto: l’esatta sfumatura del colore della mia pelle, i capelli raccolti nella solita treccia poggiata con delicatezza sulla mia spalla da cui sfuggono piccoli ciuffetti, le ciglia scure… Penso a quanto tempo spenda ad osservarmi.
Le pennellate sono brevi e delicate, il mio ritratto mi somiglia in modo impressionante, ma per quanto il quadro sia bello e perfetto c’è qualcosa che stona.
Il giglio sta sanguinando.
Un terrore che pensavo fosse sparito ritorna ad impossessarsi di me.
Snow.
Il suo nome mi martella in testa, l’angoscia mi opprime il petto, ma mi costringo a tranquillizzarmi; “E’ morto”, penso “non potrà più farci del male”. Eppure, in un certo senso non ha mai smesso di farlo, e continua ancora: ha distrutto Peeta, e non tornerà mai più come prima.
Una lacrima mi rotola giù per la guancia, e ne segue un’altra, e un’altra ancora.
- Peeta… - Mormoro, ormai in lacrime; non gli era più successo di rimanere assente così a lungo, e lo sento distante come mai prima d’ora.
Gli getto le braccia al collo e lo abbraccio di nuovo, cercando di calmare il mio corpo che trema ed i singhiozzi che mi sconquassano. Sento un rumore di qualcosa che cade a terra, ma non mi voglio staccare da lui.
- Katniss…
Il debole sussurro di Peeta e la sua stretta su di me mi fanno balzare il cuore in gola; sono felice, ma non riesco a smettere di piangere.
- Oh, Peeta...
Snow mi avrà anche voluta distruggere, ma questa volta non glielo permetterò, perché non ha fatto i conti con una cosa: Peeta mi ama. Mi ha sempre amata. E non lo farò soffrire mai più. Lo aiuterò. Affronteremo il futuro insieme.
Perché insieme a lui, niente mi fa più paura.
  
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