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Autore: OnePervyDream    17/09/2013    0 recensioni
Tornerà l'amore. Il primo grande amore
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Scese dal treno e si guardò intorno, notò che tutto era rimasto uguale a quando, anni prima era partita.

Era strano per lei tornare in quella città. 

Era passato tanto tempo, troppo forse da quando ci era stata l'ultima volta.

Cinque anni prima aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle ed andarsene da quel buco che era solo un' oppressione.

Sapeva che lì, per lei, non c'era futuro. A meno che non aspirasse a diventare una di quelle commesse dei supermercati, si intende.

Così aveva fatto le valigie, preso al volo un treno ed andata all'aeroporto più vicino, lì aveva preso un aereo e si era trasferita nella sua città dei sogni, Mosca.

Se chiedevi ad una persona qualunque cosa fosse Mosca ti avrebbe risposto: “ E' una bella città ma troppo fredda per i miei gusti.”

Come se la bellezza di una metropoli del genere si potesse quantificare dalla sua temperatura.

Se invece l'avessi chiesto a lei ti avrebbe risposto: “Non ci sono parole per esprimere il mio amore, sono innamorata di questa città, delle persone, dei monumenti.” Questo amore non era nato per caso e forse lei era leggermente di parte.

Era, infatti, metà russa e ricordava benissimo quando, da bambina, la nonna le prendeva la mano e la portava in giro, dal Cremlino alla Piazza Rossa.

Aveva visto tutti i musei, era stata al balletto russo.

Diciamo che aveva vissuto Mosca e ne era completamente innamorata.

A Mosca era cresciuta in quegli ultimi cinque anni ed era diventata la donna che chiunque avrebbe voluto avere al proprio fianco, eppure lei non si concedeva a nessuno.

La mamma gliel'aveva sempre detto: “Prima affermati come persona, dopo pensa a trovare marito. Fa che la gente ti conosca per quello che sei, non per chi hai sposato.”

E lei l'aveva fatto, si era laureata come chirurga solo qualche mese prima ed era subito stata assunta in uno dei migliori ospedali di Mosca.

Alla faccia di tutti quelli che le avevano detto che non aveva le capacità, la determinazione per diventare qualcuno. 

Ed ora aveva deciso di tornare, un'ultima volta nella città in cui aveva vissuto la sua adolescenza.

Era tornata per chiudere tutti i conti, ma soprattutto per incontrare lui, per chiudere una volta per tutte.

Di rado si ritrovava a pensare a lui, a come, dopotutto, ancora ne fosse innamorata.

La loro era stata una storia d'amore, se così si può chiamare, a senso unico.

Lei aveva sempre avuto un debole per quelli come lui, stronzi e arroganti, pensava che il suo amore l'avrebbe cambiato.

Ci aveva provato in tutti i modi, gli aveva fatto capire l'importanza dell' amicizia, gli aveva insegnato ad amare.

Lui aveva sempre avuto un debole per quelle come lei, libere e fragili, pensava che amandola avrebbe potuto redimersi.

Ci aveva provato in tutti i modi, l'aveva seguita, aveva trovato in lei un'amica, un'amante.

Poi un giorno lui si era stancato, era tornato il solito stronzo menefreghista, aveva riiniziato a prendere in giro i deboli, anche lei.  

Lui sapeva, sapeva i suoi punti deboli.

Sapeva cosa fare, cosa dire per farla cadere in lacrime. 

E a nulla erano serviti i disperati tentativi di lei, a nulla erano serviti i pianti davanti a casa sua alla 3 del mattino.

Lui non si era più fatto sentire.

I motivi della loro rottura non erano mai stati chiari a nessuno, nemmeno a lui probabilmente.

Si erano allontanati sempre di più.

Lui aveva riempito le sue giornate di sigarette e le sue notti di feste.

Lei aveva riempito le sue giornate di pianti e le sue notti di tagli sui polsi.

Ancora oggi, a distanza di anni si ritrovava a girare i polsi e a vedere quelle cicatrici che non l'avevano mai lasciata.

Era stata brava, fin troppo, a nasconderle, un po' di fondotinta, qualche bracciale e non c'era più nulla. 

Almeno in apparenza. 

Se qualcuno fosse andato più infondo, nel suo cuore, avrebbe trovati tagli ancora aperti.

Ed ora stava attraversando il sottopasso dal quale, una volta uscita, avrebbe rivisto la città in cui aveva perso tutto ciò che di importante aveva. 

Era ancora tutto uguale identico, i lampioni ai lati della strada, il corso, lungo ed interminabile, che aveva percorso ogni fine settimana accompagnata dalle migliori amiche di sempre.

Le stessa migliori amiche che adesso la guardavano con gli occhi sgranati.

La migliore di sempre, Gaia, le corse incontro e, circondandole il collo con le possenti braccia da nuotatrice, l'abbracciò così forte che sentì il fiato mancarle.

Le altre si aggiunsero subito, e via con i pianti e le risate che da sempre le avevano contraddistinte.

Si erano conosciute a nuoto, erano state insieme in staffetta per così tanto tempo che nessuno si ricordava come fossero state le staffette prima di loro.

Avevano vinto tutto ciò che c'era da vincere, eppure mai, nessuno, si era montato la testa. Erano sempre rimaste le stesse. 

E anche in quel momento erano uguali a quelle di sempre.

Parlarono, parlarono tutta la notte e quando, finalmente, le altre tre si addormentarono, Lisa si sentì felice dopo tanto tempo.

Lei no, non si addormentò: aveva molte cose su cui riflettere.

Le dissero che lui era cambiato.

Era diventato un ragazzo a cui non fregava più nulla della sua vita. Fumava erba, beveva ogni sera.

Un tempo era stato un eccellente studente della facoltà di lingue, aveva il massimo dei voti.

Chiunque avrebbe voluto assumerlo eppure lui aveva deciso, una volta lasciata l'università con il 110 e lode, di vivere di rendita.

Era sempre stato piuttosto ricco, i genitori erano due famosi avvocati.

Le dissero che era diventato così da quando lei se ne era andata, aveva perso tutto ciò che aveva.

E Lisa pensò, che quel che aveva era lei. Decise di cercarlo, aveva bisogno di parlargli, di capire.

Prese un copri spalle ed uscì di casa, la bora le colpì il viso, ci era abituata ormai.

Percorse le conosciute vie che l'avrebbero portata proprio davanti a casa sua. Sulla neve appena caduta rimanevano le sue impronte.

Un piccolo fiocco andò a depositarsi sul suo naso e Lisa starnutì, forse un copri spalle era poco in confronto a quel freddo eppure lei non ci aveva nemmeno pensato, aveva bisogno di risposte.

Arrivò alla casa, era una villa enorme eppure a distanza di anni sembrava invecchiata, come se nessuno ci vivesse più. Il cancello era contornato di vistose ragnatele e tutta la vernice era andata via.

La casa aveva perso il caratteristico colore azzurrino ed ora era di un bianco spento, Lisa pensò di aver sbagliato casa eppure quando vide una stanza, la sua stanza, illuminarsi si rese conto che semplicemente in quella casa ora viveva solo lui.

Suonò al campanello ed attese, nessuno rispose. 

Tutto d'un tratto si ricordò del vecchio nascondiglio delle chiavi di casa, la cuccia dell'ormai vecchio labrador, Marion.

Si ricordò dei pomeriggi passati a portarlo a spasso abbracciata a lui, delle notti sotto le stelle con il cane accucciato accanto ai piedi.

Una lacrima scivolò silenziosa sulla sua guancia, non era sicura di farcela.

Prese coraggio ed aprì la porta di casa, dentro era anche peggio di fuori.

Non vi era disordine, eppure la casa sembrava così fredda da far venire i brividi.

Salì le scale che molte notti aveva percorso cercando di non svegliare nessuno e una volta arrivata in cima trovò la stanza dalla quale proveniva la luce, abbassò la maniglia e spinse leggermente la porta e lo vide.

Lo vide steso sul letto, occhi chiusi ed una bottiglia di birra in mano. I capelli biondo cenere spettinati e la bocca leggermente dischiusa. 

Annusò leggermente l'aria e sentì il suo profumo, lo stesso di cinque anni prima.

Capì di aver fatto uno sbaglio, non doveva andare a casa sua.

Stava arretrando quando, mettendo male un piede, cadde a terra.

Gli occhi di lui si aprirono di colpo, e dio, avrebbe preferito non vederli di nuovo.

Erano sempre stati il suo punto debole, quegli occhi. Un blu così intenso che sembrava un mare in tempesta, erano capaci di tutto, anche tirarti fuori parole che non avresti mai voluto dire. Una volta erano caldi, almeno quando guardavano lei.

Giurò di aver visto un lampo di sorpresa attraversare quegli occhi prima che tornassero di nuovo gelidi. 

-” Sei sempre stata imbranata, non pensavo fino a questo punto.” Lisa si alzò lentamente mentre lui si metteva seduto a gambe incrociate.

-” Quindi? Che sei venuta a fare qua?” Il solito tono annoiato e la smorfia di superiorità.

-”Ecco, io ho sbagliato, non volevo disturbarti. Me ne vado via subito.” Da quando era così sottomessa a quel ragazzo?

Sembravano tornati ai tempi in cui lui la prendeva in giro e lei piangeva in silenzio.

-”Brava, vedo che hai capito. Chiudi la porta quando esci.” Sembrava che davvero non gli importasse nulla di lei.

-”Bene, ciao.” La voce leggermente incrinata dal pianto e gli occhi lucidi.

Vide i suoi occhi aprirsi leggermente, quasi come se stesse soffrendo anche lui, prima di girarsi e chiudere la porta.

Cercava con tutte le forze di non piangere. Non qua, si disse.

Scese con passo leggero le scale e una volta arrivata alla porta d'ingresso si girò, sperando, invano, di vederlo scendere le scale di corsa per raggiungerla.

Non lo farà, non gli importa nulla.

Poi attraversò la porta ed uscì all'aria aperta, la richiuse e si incammino verso il vecchio parco abbandonato.

Percorse lentamente il corso, fino ad arrivare alla sua vecchia panchina, la loro vecchia panchina.

Si sedette e finalmente scoppiò in lacrime. Si chiese come fosse possibile essere innamorate della stessa persona dopo anni e anni di lontananza.

Si chiede come fosse possibile amare una persona che ti aveva fatta soffrire così tanto in così poco tempo.

Passarono minuti, ore forse. 

Lei rimase sempre lì, seduta sperando di vederlo arrivare, i capelli leggermente spettinati dal vento e le guance arrossate dal freddo. 

Pensò che non aveva senso, lui non aveva dato segno di amarla ancora, perchè sarebbe dovuto correre da lei?

Decise di tornare a casa e ripercorse all'incontrario la strada dell'andata.

Stava per voltare l'angolo quando si sentì afferrare il braccio da dietro e si ritrovò stretta in un abbraccio, rimase un attimo stordita poi capì di chi si trattava, il profumo era inconfondibile.

Lo allontanò da se, non poteva permettersi di crollare così facilmente.

Lui la riprese e la strinse a se così forte che pensò di morire in quel momento, il cuore faceva troppo male.

-”Smettila!” Lo spinse via e mise le distanze tra loro due. Lui la guardò sorpreso, confuso.

-”Non era per questo che eri venuta? Una notte di fuoco con me?” Ecco, aveva tirato su il suo solito muro. 

-”Non fare lo stupido, sai bene perchè sono venuta.” Negli occhi di lei potevi leggere solo dolore.

-”Non posso darti le risposte che vuoi, non mi perdoneresti mai.” La faccia assunse una smorfia di dolore.

-”Puoi provarci, ti prego. Sono tornata per averle, non posso continuare a vivere così.”

Alla fine lo convinse, lui le confidò di averla lasciata e di essere diventato uno stronzo perchè l'avevano minacciato.

C'erano segreti su di lui, sulla sua famiglia, che stavano per venire a galla e l'unico modo che aveva avuto per proteggersi era stato allontanarla.

Non avrebbe mai voluto, ma aveva dovuto. Le confidò che quelli erano stati gli anni più duri della sua vita, vivere senza lei era diventata una tortura, più volte aveva pensato di togliersi la vita.

Lei rimase sconvolta, non avrebbe mai potuto immaginare che fosse stato minacciato, pensava che semplicemente aveva trovato un'altra.

-”Perchè? Perchè non me l'hai detto, brutto stupido?” Si era avvicinata a lui ed ora gli stava tempestando il petto di deboli pugni, lacrime salate bagnavano il suo viso.

Lui le prese il mento ed alzò la testa della ragazza, avvicinò le labbra a quelle della compagna, un soffio di vento e si sarebbero sfiorate.

-”Posso?” Chiese semplicemente lui. 

Lei non rispose e si tuffò sulle labbra di lui.

Quando il fiato mancò ad entrambi, si staccarono e lui appoggiò la fronte su quella di lei.

 
  
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