Waves in the past
Il suo petto era oppresso
da un peso che le impediva di respirare tanto era il terrore che provava in
quel momento. Si sentiva proprio come quando era piccola, sull’orlo di una
crisi di pianto poiché avvolta dalle tenebre che nascondevano ogni traccia
della sua camera. In quel momento non
era cambiato niente: solo il buio a circondarla e il nulla ad accogliere i suoi
respiri. Con la differenza che non aveva nessun orsacchiotto per farsi
coraggio. Eppure aveva la bizzarra sensazione di non
essere sola, sensazione che si tramutò in certezza con il prendere vita di
alcune forme davanti a sé, con il delinearsi di contorni, dapprima sfocati, poi
ben più nitidi. E, potrà sembrare strano, ma ciò che le si
presentava davanti agli occhi aveva qualcosa di angosciante, surreale.
Un immenso cortile scarno e trascurato, l’erba incolta
e piuttosto secca, l’aria umida che penetrava le ossa trasmettendo brividi che
si propagavano felini lungo la schiena, presentava al centro esatto una fontana
ormai logora e malmessa che dava l’aria di non funzionare più ormai da molto
tempo. Il tutto sovrastato da un cielo verde turchese che ricordava vagamente
quello della terra, ma che conferiva a tutto l’ambiente un senso di apatia .
La sua attenzione fu
subito richiamata da una figura femminile comodamente seduta sul bordo della
fontana: i capelli neri corvini ben pettinati conferivano, nel complesso,
un’aria selvaggia facendo apparire quella donna ai suoi occhi come una belva
che avevano tentato di domare, non riuscendoci del
tutto però. La sua aria selvaggia, feroce, contrastava con la delicatezza dei
lineamenti del viso
dalla carnagione bruna, che donava alla figura un aspetto mediorientale, con i
suoi lineamenti alteri e superbi, con il suo sguardo composto e al tempo stesso profondo che sembrava
celare tutta la storia di ogni singola stella e forma di vita presente
nell’universo, di tutte le anime tormentate che avevano trovato la morte sotto quelle
stesse dita affusolate e fragili. Stava stringendo contro il petto
un bambino. Quest’ultimo si aggrappava spasmodicamente al ventre di lei, quasi come se la sua vita dipendesse dal
calore che quel corpo emanava. Le dita della donna passavano ininterrottamente
fra i particolari capelli corvini dalla forma di una fiamma che
caratterizzavano il bambino, quasi a voler imitare delle carezze. I due
condividevano lo stesso portamento, la stessa ferocia apparentemente domata, lo
stesso sguardo profondo e criptico, la stessa disperazione e frustrazione che
si poteva leggere in ogni parte dei loro corpi
stanchi, abbandonati sulla “riva” di quel giardino. La voce suadente e dolce,
quasi come quella di una madre, si confondeva, si mescolava a quelle carezze.
Tutto il giardino sembrava vivere di quella voce.
“Le
stelle dicono grandi cose, mio piccolo. Senti il tuo cuore che
batte? Non leggi fra quei battiti il tuo glorioso destino, o mio dolce?
Diventerai un grande guerriero, tutto sarà in tua funzione e tutti temeranno il
temibile principe dei saiyan. E’ la gloria eterna che
ti attende, mio tesoro. Neanche la morte te la potrà mai portare via! Tu ci
porterai alla liberazione, libererai il tuo popolo e ti coprirai dell’oro della
leggenda. E’ tutto scritto nel tuo nome, Vegeta, e io
vedo il tuo futuro nitido, davanti ai miei occhi. Ma
vedo anche tutto ciò che dovrai passare: l’odio. Verrai
odiato per la tua gloria, mio dolce”
E mentre questi strani
auspici si intonavano in una melanconica cantilena, il
bambino si stringeva sempre di più alla donna, l’agitazione si poteva leggere
nelle dita contratte dallo sforzo, nonostante il respiro regolare sembrava
contraddire quell’ansia. Solo flebili parole sembravano fuggire via dalla
boccuccia sottile del bambino. Erano talmente deboli, che dovette avvicinarsi
per tentare di udirle. Ed eccole, disperate, che si ripetevano più volte,
sovrastate dalla voce della donna che continuava imperterrita nelle sue
speranze, nelle sue certezze.
“Ma tu mi vorrai ancora
bene, vero mamma??”
Aprì finalmente gli occhi.
Bulma si ritrovò nella sua stanza, accoccolata sul petto
di suo marito. Respirava regolarmente, tranquillo, eppure le mani si aggrappavano disperatamente
alle lenzuola. Parole confuse uscivano dalla sua bocca, così deboli che si
confondevano in melodici sospiri. Si alzò leggermente per poterlo osservare
meglio: nel sonno aveva un aspetto talmente innocente da trasmettere tenerezza
a chiunque lo guardasse. Eppure gli si poteva leggere la sofferenza. Lentamente
si avvicinò all’orecchio del suo uomo, stando attenta a non svegliarlo, e poi
sussurrò dolce come una madre: “ Io ti vorrò sempre bene, Vegeta”. Le mani
allentarono improvvisamente la presa, sul volto si leggeva la felicità di un
bambino.
Eccomi qui, alla fine di questa storia.
Spero che non ci siano errori di ortografia, nel caso vi chiedo di segnalarmeli
così provvederò a correggerli. Ma mi raccomando non
recensite solo per questo, ma fatemi sapere se vi è piaciuta la storia o se non
vi è piaciuta oppure datemi qualche consiglio per una
prossima che magari scriverò. Mi scuso anticipatamente se magari avete trovato
troppo OOC il personaggio di Vegeta. Per il resto spero che questa storia sia
andata bene, anche perché è la prima fan fiction che scrivo su Dragon Ball. Ringrazio tutti coloro che recensiranno o che
semplicemente si fermeranno a leggere questa storia. Bacioni a tutti!
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