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Autore: Vitya    17/09/2013    3 recensioni
Quando Sasuke aprì gli occhi capì subito di essere in ospedale. Era circondato dalle persone a lui più care: sua madre, suo padre e suo fratello. Ma c'era anche la sua nuova, inseparabile compagna di vita: la sedia a rotelle.
-Tu ti nascondi sempre dietro la tua solita indifferenza. Ho capito perché lo fai e ho capito anche che cosa provi. Smettila di nasconderti, con me non lo puoi fare, ormai ti conosco. Anche se so che non lo vuoi ammettere, tu con me sei quello che sei veramente.
Spero di avervi incuriosito almeno un po' :) SasuNaru (ovviamente XD) altre coppie: ItachixNagato, che spero di farvi amare, poi KonanxYahiko e le altre si aggiungeranno via via :D
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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 Nonostante io abbia già altre storia da portare a termine, ho deciso di imbattermi in questa nuova trama. Spero che vi piaccia almeno un po' e di riuscire a rendere al meglio tutto ciò che ho in testa XD

 

Cap 1: Il pallone e la carrozzina

Tre anni. Tre fottutissimi anni. Eppure si ricordava tutto come se fosse avvenuto il giorno prima.

Si ricordava il frastuono che aveva scosso la notte, la luce abbagliante dei fari dell’auto che gli veniva in contro, il dolore immenso e le grida inumane che aveva lanciato subito dopo. Poi il nulla, solo un grande buio e le voci dei soccorritori, ovattate, in sottofondo. Per quasi un mese non aveva vissuto: era stato tutto buio e silenzio. Ma alla fine, contro le aspettative dei medici, aveva riaperto gli occhi, prendendo la morte a calci nel culo perché per lui era ancora troppo presto per andarsene. Qualcosa, però, se n’era andata, o meglio, l’aveva persa.

Così Sasuke si era improvvisamente trasformato da un adolescente pieno di aspettative per il futuro in un ragazzo costretto a passare il resto della sua esistenza in carrozzina.

-Che fregatura, la vita è una puttana … - mormorò il giovane, ormai diciottenne, sporgendosi per tirare le tende ed impedire ai primi raggi di sole di colpirlo in faccia.

Odiava quella vita: lui era sempre stato il migliore in tutto, il più furbo, il più intelligente, il più autonomo. Invece adesso doveva dipendere costantemente dalle cure di suo fratello e dei suoi genitori.

-Che merda – pensò stringendo un pugno, rabbioso.

-Sas’ke, svegliati. – lo chiamò gentilmente Itachi, aprendo la porta della stanza.

-Non mi voglio alzare. – si limitò a rispondere il minore, scrutando il viso del fratello con gli occhi socchiusi.

Nell’ultimo anno Itachi si era ripreso tantissimo, ritornando ad essere come prima dell’incidente.

Il primo anno, invece, il suo Nii-san aveva perso qualcosa come nove chili, bruciati tutti dallo stress e dalle notti insonni. Quello che girava per casa nei suoi primi mesi di convivenza con la carrozzina non era che il fantasma di suo fratello: sempre pallido, con le guance smunte e incavate, terribilmente debole e, con ottime probabilità, anche con qualche lieve traccia di depressione.

Però lui cercava di nascondere al meglio il tutto dietro un sorriso, sapendo che non poteva permettersi di cedere proprio in quel periodo in cui stavano crollando tutti, compresi i suoi genitori. Sembrava che suo fratello fosse l’unico in quella casa ad essere ancora in piedi, a guardare ad un futuro pieno di difficoltà, senza tirarsi indietro per la paura. Sua madre e suo padre, invece, non ce l’avevano più fatta.

Così per quell’anno Itachi era stato l’unico a sforzarsi ancora di sorridere, sentendosi quasi in dovere di farlo anche per i suoi familiari. Poi, lentamente, Fugaku e Mikoto si erano risollevati e avevano lasciato un po’ di respiro al loro primogenito, capendo l’immensa fatica che aveva dovuto sopportare in un periodo così difficile.

Sasuke ancora adesso sorrideva a stento. Questo però non preoccupava molto Itachi perché, da generazioni, ogni Uchiha di sesso maschile era prettamente mono-espressivo sia in tempo di pace che durante la guerra. Anche se il maggiore dei due fratelli sapeva bene che per Sasuke era guerra ogni singolo giorno.

-Alzati, forza, dobbiamo uscire! –

-Itachi non mi va – sbottò il minore ricoprendosi con le coperte.

-Avanti. Non vorrai restare qui a marcire come un vegetale! – ribatté lui tirando via il lenzuolo e prendendolo in braccio.

Itachi! Bastardo … - mormorò a denti stretti Sasuke mentre il fratello lo posava sulla carrozzina.

 

***

 

-Naruto svegliati!! – lo richiamò Kiba mentre inseguiva Gaara, cercando di bloccarlo o, meglio ancora, di rubargli la palla.

Il suo amico dai capelli biondi, ancora visibilmente assonnato, si mise a correre a perdi fiato, sapendo che Gaara non sbagliava mai un tiro a canestro.

Nonostante i due fossero riusciti a fermalo, non poterono intercettare il suo passaggio.

-Perché fa delle finte così efficaci? – pensò l’Uzumaki.

Inutile dire che Neji, approfittando del canestro libero, aveva segnato un altro punto.

-E ma che culo! – sbottò Naruto passandosi una mano fra i capelli.

-Non è culo, sei tu che oggi dormi in campo. – rispose l’amico dagli occhi viola, recuperando il pallone da basket.

-È vero, hai riflessi di un bradipo. –

-Kiba, mi sono alzato un quarto d’ora fa, sii comprensivo! –

-Si vede. – disse Gaara osservando l’aspetto trasandato del biondo con i suoi occhi acquamarina incredibilmente chiari.

-Non è che per caso hai dormito sotto un ponte? – lo sfotté il compagno di squadra, sorridendo.

-Ah ah, davvero divertente – mormorò sarcastico l’Uzumaki – dai ricominciamo, stavolta vi faccio il culo. –

-Uh, tremo di paura. – disse Neji sistemandosi i capelli in una coda. Spostò poi lo sguardo su Gaara che, una volta tanto, stava sorridendo.

-Perché ha quel sorriso così dolce? – pensò Naruto, fissandolo.

Era incredibile come quattro ragazzi così diversi fossero diventati amici. Naruto era il classico casinista che non stava fermo neanche un minuto, mangiava come un pozzo senza fondo e adorava girare per la città in sella al suo motorino. Gaara, invece, era la sua antitesi: sempre calmo e silenzioso, bravissimo sia a scuola che negli sport e con un’assurda passione per piante grasse che faceva crescere nel giardino di casa. Caratterialmente era molto simile a Neji, anche se lui era un po’ più movimentato del rosso, pur essendo determinato ad essere sempre uno fra i migliori in tutto quello che faceva. Kiba, infine, era molto affine con Naruto proprio perché, come l’Uzumaki, gli piaceva fare casino e stare in compagnia.

Inutile dire che Kiba e Naruto avevano stretto amicizia fin dal loro primo incontro, che risaliva ai tempi dell’asilo. Avevano conosciuto Neji alle medie e Gaara al primo anno di liceo, cinque anni prima. Ma tutti e quattro avevano una passione comune: la pallacanestro.

Si erano iscritti nello stesso club di basket e l’anno precedente erano riusciti persino a qualificarsi per il torneo regionale, anche se la loro corsa verso la vittoria si era arrestata alle semifinali.

-Ragazzi quest’anno dobbiamo arrivare alla finale! – mormorò Kiba, entusiasta.

-Dici che ce la faremo? – domandò Gaara, sedendosi su una panchina per riprendere fiato.

-Certo che ce la faremo! Che discorsi fai? – lo rimproverò Naruto dopo aver bevuto quasi mezza bottiglia d’acqua.

-Però quest’anno ci sono anche gli esami … - borbottò Neji asciugandosi il sudore – se vogliamo allenarci come l’anno scorso non faremo altro che studiare e giocare. –

-Io non chiedo di meglio. – rispose il biondo con un sorriso a trentadue denti – Beh, se si potesse non studiare sarebbe perfetto … -

-E ti pareva – commentò il ragazzo dagli occhi viola suscitando le risate dei due amici.

-Perché? Non sarebbe fantastico? – continuò Naruto prendendo il pallone fra la mani e iniziando a palleggiare – Però mia madre mi ucciderebbe. – concluse immaginandosi la scena in cui sua madre lo inseguiva per tutta la casa cercando di prenderlo a bastonate. Scena che il biondo aveva già vissuto decine di volte, purtroppo.

-Tua madre ti tiene in riga, vero? – chiese Kiba osservando l’espressione disperata dell’amico.

-Già, rischio la vita ogni volta che va ai colloqui con i professori. –

Passarono altri dieci minuti a stuzzicarsi e a prendersi in giro, per poi alzarsi e lasciare il campetto libero ai ragazzi che lo avevano prenotato dopo di loro.

-Va beh, allora ci vediamo domani a scuola? – chiese Kiba mettendosi in spalla lo zaino con il cambio e la boraccia.

-Ah! È vero, domani ricomincia la scuola! – commentò Naruto sbattendosi una mano in fronte.

-E tu te n’eri dimenticato, come ogni anno – concluse Neji, pensando che il suo amico avrebbe sempre avuto quel suo modo di fare così infantile. Lo aveva a dieci anni, a quindici e lo aveva ancora adesso che era quasi maggiorenne.

-Non me n’ero dimenticato … mi era solo caduto di mente! – rispose l’interessato – Va beh, allora ci vediamo domani! – concluse salutandoli con un sorriso.

 

  
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