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Autore: Delirious Rose    17/09/2013    1 recensioni
«Male... detta... colica...»
Ringhi col respiro corto mentre il dolore ti abbandona lentamente. Inspiri profondamente e reclini il capo, poggiandolo contro la parete, e chiudi gli occhi.
Tuo marito è al Wizard’s Club come ogni mercoledì pomeriggio – perché è importante mantenere certe apparenze – e tua suocera è da una cugina o un’amica per il té delle cinque. Sei da sola, a parte un’elfa domestica che danza attorno a te.

{questa storia partecipa al contest "La Bella(trix) e la Granger" di darllenwr}
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Solo una colica

 

«Male... detta... colica...»

Ringhi col respiro corto mentre il dolore ti abbandona lentamente. Inspiri profondamente e reclini il capo, poggiandolo contro la parete, e chiudi gli occhi.

Tuo marito è al Wizard’s Club come ogni mercoledì pomeriggio – perché è importante mantenere certe apparenze – e tua suocera è da una cugina o un’amica per il té delle cinque. Sei da sola, a parte un’elfa domestica che danza attorno a te e ti chiede se deve chiamare il padrone. Le molli un calcio con rabbia e la guardi ruzzolare giù dalle scale.

«È di un Medimago che ho bisogno, non di quell’idiota di Rodolphus!»

«La padrona ha ragione, Lalla ha sbagliato e la padrona l’ha punita.»

Inizi a scendere le scale, ma arrivata a neanche la metà un nuovo spasmo ti piega in due. Affondi le unghie nel corrimano e lo mordi per soffocare un urlo. È la prima volta che provi un dolore simile, che ti prende il ventre e la schiena e sale come un’onda di marea, che ti impedisce di parlare. Neanche quando Lui ti ha punita hai avuto così male. Il dolore passa e tu ti senti di nuovo bene: ecco la differenza fra il Cruciatus e questa colica – passato lo spasmo, il dolore è solo un brutto ricordo. Ma non fai neanche a tempo di formulare questo pensiero che senti di nuovo il basso addome contrarsi sotto le tue mani, più intenso e più a lungo della volta precedente. Ancora. E ancora. E ancora. E quando un altro spasmo – l’ennesimo – ti attanaglia il ventre, maledici Rodolphus e il suo ostinarsi a restare in casa di suo padre, maledici Lady Lestrange e la sua fissazione per la carne di drago, e maledici la colica che da un’ora non ti da respiro.

«Male... detti... ssima... colica»

Riesci a raggiungere l’ingresso e ti trascini verso il salotto d’inverno. Il camino e la saliera di cristallo con la Floo Powder ti guardano beffardi quando il dolore ritorna accompagnato dallo stimolo di defecare. Ti accovacci in posizione fetale fino a quando non è passato e ti ritorna in mente una frase che diceva tuo zio Alphard: la più grande prova di fiducia che puoi chiedere al tuo corpo, è fare un peto quando hai la diarrea.

Quando ti rendi conto che non farai in tempo a raggiungere la toilette, immagini la faccia di tua suocera nel vedere il suo preziosissimo tappeto persiano lordo di feci.

Questa volta il dolore è così intenso che ti senti spaccare in due, lo sforzo tale da farti diventare rossa in viso. Riprendi fiato e spingi di nuovo, lacrime scorrono sulle tue guance mentre l’urina scorre lungo le tue cosce. Riprendi fiato e spingi di nuovo, un suono quasi animalesco ti esce dalla gola mentre finalmente ti liberi del contenuto delle tue viscere.

Ti accasci sul pavimento di quercia, spossata come non lo sei mai stata, e i tuoi occhi si posano sull’elfa che guarda sbalordita il pasticcio che hai combinato, le mani premute sulla bocca e gli occhi grandi come palline da golf che si riempiono di lacrime.

Un rumore inatteso, un po’ colpo di tosse e un po’ pianto.

«Ma che...»

La cosa piagnuccola, contorcendosi sul preziosissimo tappeto persiano di tua suocera. È bagnata, un po’ raggrinzita, il corpo roseo coperto da una patina cerosa bianca e una sorta di corda, gelatinosa e pulsante, esce da dove dovrebbe esserci un ombellico per sparire fra le tue cosce. Vorresti allontanarti da quella cosa, ma riesci a malapena a voltarti, tanto sei stanca.

Non hai mai avuto paura, neanche quando hai visto Lui per la prima volta, eppure sai che questa emozione che ti stringe la gola si chiama panico.

«Una padroncina! Una padroncina!» esulta l’elfa, saltando e battendo le mani. «Lalla deve avvertire il padrone e...»

«No, Rodolphus non deve sapere niente.»

Quello che volevi fosse un urlo rabbioso, è solo un sibilo rauco.

Ti dici che è solo un brutto sogno o uno scherzo di cattivo gusto, perché sai di non essere mai rimasta incinta, di non aver mai partorito: hai sanguinato ogni mese – meno del solito forse, ma hai sanguinato – e certo, hai preso un po’ di peso – come tuo cognato da quando tua suocera ha cambiato cuoco, tra l’altro, ma il tuo ventre è rimasto un fascio di muscoli tonici e nervosi – e tu non sei mai rimasta incinta e non hai mai partorito. Hai avuto una colica, la più brutta di tutta la tua vita, e nient’altro. Solo una colica.

Solo. Una. Colica.

Un nuovo spasmo, l’ultimo, e il tuo corpo espelle sangue e un disco grumoso di carne, simile a un pane basso.

«Falla sparire.»

«Pa-padrona?»

«Fai. Sparire. Questa. Cosa!» Scandisci ogni parola con fredda determinazione. «Gettala nel fiume, dalla in pasto a un lupo mannaro, fanne quello che vuoi ma sbarazzatene!»

«Ma padrona...»

«Allora se non lo vuoi fare tu, lo farò io. Vammi a prendere la bacchetta.»

Ma dentro di te sai che non hai neanche la forza di fare il più semplice degli incantesimi.

L’orrore deforma il volto dell’elfa, il suo corpo trema tutto e boccheggia come un brutto pesce.

«Lalla... Lalla obbedisce,» singhiozza infine, avvolgendo la cosa nella sua vecchia tovaglia da té rattoppata prima di sparire con uno schiocco.

Un attimo troppo tardi ti dici che avresti dovuto farti portare della pozione rinvigorente e occuparti personalmente della cosa. Un evanesco, forse, oppure ucciderla e trasfigurarla nell’arrosto da servire ai Rosier domani sera, ma adesso è troppo tardi.

Rotoli sulla schiena e fissi il soffitto stuccato del salotto d’inverno di Casa Lestrange, rifletti su cosa dovresti fare adesso: bisognerà pulire il tappeto, far sparire il sangue, modificare la memoria dell’elfa. Farti visitare da un medimago. Il dottor Smith è fuori questione, andare da lui ti metterebbe nei guai col Ministero e non vuoi che i Lestrange sappiano quello che è successo – è da quando ti sei sposata che tua suocera pretende un erede.

Della pozione rinvigorente e una visita a quella specie di guaritore di Knockturn Alley: sì, lui ti darà qualcosa per l’emorragia, magari perfino per cancellare questo brutto ricordo. E ti mordi la lingua quando ti rendi conto che la cosa sarebbe stata il perfetto pagamento per il suo silenzio.

Che poi, silenzio per cosa? In fondo tu hai avuto solo una colica.

Non sei mai rimasta incinta, non hai mai partorito, hai avuto solo una colica.






 

NEONATA ABBANDONATA A COVENT GARDEN
 

Rileggi per l’ennesima volta il ritaglio di giornale, corrugando appena la fronte, poi il tuo sguardo si sposta sulla bizzarra lettera che hai ricevuto un paio di settimane fa. Sono una strega, pensi con un groppo alla gola e trasalisci quando senti bussare.

«Marnie, sei pronta?» La sua mano scivola dalla maniglia della porta e fa qualche passo verso di te. «C’è qualcosa che non va, tesoro?»

Fissi i tuoi occhi color cioccolato in quelli acquamarina di tua madre per qualche istante, prima di tornare a guardare quel frammento di carta che racconta la tua storia.

«No... sì, mamma.» Si siede sul tuo letto e ti stringe una mano per darti coraggio. «È da quando è arrivata questa lettera che... ho un dubbio.» La gola ti si stringe di più: temi che se quelle parole uscissero dalla tua bocca, le renderesti reali. «E se... e se i miei veri genitori non mi hanno voluto perché sono una strega?»

Ecco, lo hai detto.

Ricordi il giorno del tuo sesto compleanno, quando i tuoi genitori ti portarono a Covent Garden per mostarti il luogo in cui ti avevano trovato. Per raccontarti la tua storia e dirti ancora una volta quanto fossero stati fortunati ad averti con loro, che qualunque cosa fosse accaduta ti avrebbero voluto sempre bene.

Le sue dita ti sfiorano le guance, leggere come il battito delle ali di una farfalla, ti solleva il volto e bacia via i due lacrimoni. Il suo sorriso è dolce, carico d’amore e calore.

«Hermione Jeanne Granger, quando eri piccola ti abbiamo fatto visitare dai migliori specialisti: nessuno, e sottolineo nessuno, ha mai trovato qualcosa di strano nel tuo corpo. Certo, non sei mai stata una mangiona e fino a cinque anni hai avuto incubi una notte sì e una no, ma ogni bambino è diverso dagli altri, con i suoi pregi, i suoi difetti e... i suoi problemi. No, non ti hanno abbandonata perché sei una strega. »

Allunga una mano verso la lista che ti hanno mandato e la legge un’ultima volta prima di piegarla e riporla nella sua borsa..

«Ma adesso dobbiamo andare in questa Diagon Alley per comprarti una bacchetta magica. E chissà, magari incontrerai un mago che con un bididi bodidi boo ti aiuterà a scoprire chi sono i tuoi veri genitori, se tu lo vorrai.»

Annuisci con decisione e la abbracci. Sfreghi il viso sulla blusa, inebbriandoti del suo profumo di pulito, sorridi quando senti le sue dita fra i capelli e sai che ti dissero la verità, quel giorno di cinque anni fa: qualunque cosa accada, loro ti vorranno sempre bene.

 

I figli non sono di chi li fa, ma di chi li ama.






Note: questa storia partecipa al contest "La Bella(trix) e la Granger", per la quale dovevo scrivere di un rapporto fra questi due personaggi, qualunque esso fosse: da qui l'idea di Hermione come figlia naturale di Bellatrix.

Ma più che il tema dell’abbandono, ho voluto di sviluppare quello del diniego di gravidanza, semplicemente perché se Bellatrix fosse stata cosciente d’essere incinta, sarebbe stato più IC da parte sua avere una IVG.

Non nascondo che inizialmente pensavo di dare una parte più importante all’elfa, facendole promettere a Hermione di tornare a prenderla una volta avvertito Rodolphus della sua nascita, contravvenendo all’ordine di Bellatrix – che comunque le avrebbe fatto un incantesimo per farle dimenticare tutto.

L’idea della carne di drago come vivanda di lusso, l’ho riciclata da un episodio de “The Slayers” e, proprio come nell’anime, abbisogna d’essere frollata per molti mesi prima d’essere commestibile: non è la prima volta che Lady Lestrange la serve alla nuora, e di certo non è la prima volta che Bellatrix sta male per questo motivo!

Per la cronaca, Marnie era il nomignolo di Hermione, una delle bimbe di cui mi sono occupata quando ero in Inghilterra e personalmente lo preferisco a Mione.

E mi rendo conto che nella prima parte sono stata un po’ ripetitiva, ma volevo – e dovevo – evitare le parole contrazione e doglie, perché, ricordiamocelo, Bellatrix non è mai rimasta incinta, non ha mai partorito, ha solo avuto una brutta colica.

   
 
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