Percorri la strada in silenzio, sotto le leggere nuvole grigie che nascondono il sole tenue di metà Settembre.
Stringi le maniche del sottile maglioncino che non ti difende dalle fredde folate di vento che scompigliano i tuoi capelli, ma niente è più importante di ciò che stai per fare. Nulla può distogliere la tua attenzione da quel luogo che stai per attraversare. L’unica certezza che hai è quella del tuo ritorno. Tu puoi tornare a casa.
Cammini tra di loro per cercarlo, decidi di non prestare attenzione a tutti gli altri per evitare di rendere tutto reale; non ti aiuta. Ti distrugge solo un po’ di più.
È un graffio che ti lacera sempre di più il cuore ad ogni passo, un taglio netto al legame che c’era. La consapevolezza di non appartenere più a quella persona.
E ti senti egoista, perché vorresti solo scappare via, tornare nel calore dell’amore dei tuoi cari, non dovresti essere lì.
Ti stai macerando in quelle mute domande.
Semplicemente non sei più, non è più.
Perché tuo fratello giace sotto metri di terra, chiuso in una bara color avorio.
E tu sai che lì sotto non è rimasto altro che carne, sai che i suoi lineamenti non sono più quelli che tu conoscevi, che hai imparato ad amare.
Chiudi gli occhi, consapevole di rivivere quel momento. E sei di nuovo lì, davanti al suo corpo coperto. La tua mano si avvicina alla sua fronte, non vedi per le lacrime raccolte nei tuoi occhi, ed è freddo.
Freddo e rigido, completamente inerme.
Il suo bel volto ormai livido, i tratti dolci e delicati contratti in una smorfia arrabbiata.
Ed è giusto che lo sia!
Arrabbiato più di tutti voi che siete rimasti lì a piangere la sua morte. Una morte inutile, solo un altro corpo ad occupare una buca scavata nella terra fredda.
Ma tu sai che la sua pelle non sentirà più niente. L’unica cosa che ti interessa è che sia al sicuro, finalmente al sicuro.
Sotto quella lastra di marmo c’è un pezzo della tua vita che è stato strappato con forza e crudeltà.
Non puoi piangere ancora. Ma le ginocchia tremano, le tue membra sono pesanti e tu cadi addosso a lui. Alla sua foto, che è l’ultima testimone del suo sorriso.
Le tue unghie scavano nella terra. Quella polvere fine passa attraverso le tue dita.
La sua figura è sempre dietro i tuoi occhi, in attesa di tornare e ricordarti quanto sia imprevedibile questa vita.
Non puoi muoverti.
Senti di nuovo il freddo della sua pelle a contatto con le tue labbra.
E vuoi strapparti via anche quelle.
La nausea ti assale, la rabbia che hai provato in quel maledetto momento riaffiora.
Ti passi le mani sporche di terra tra i capelli rossi che ti rendevano così simile a lui per non prendere inutilmente a pugni l’aria.
Una vita passata a conoscere tuo fratello per poi ritrovarti davanti alla sua salma ad attendere che riapra gli occhi, che sia solo un altro suo stupido scherzo.
Appoggi quel girasole alla croce e, con le ultime forze che ti restano, ti alzi e volti le spalle all’artefice del tuo dolore.
E di nuovo cammini in mezzo alle lapidi di sconosciuti, cercando quegli occhi caldi che hanno assistito alla tua sofferenza in silenzio, nell’ombra.
Accogli la sua mano nella tua.
Ma ti giri un’ultima volta.
“Addio Fred.”