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Autore: LuluXI    18/09/2013    3 recensioni
“Il cosmo a noi ostile abbraccia una vasta area, in cui ora regna la morte” prese la parola Shaka “Non so dire quanto sia forte il suo possessore, fatto sta che ha il controllo sulla periferia di Atene. Ha eretto una barriera, molto simile a quella che circondava il castello di Hades.”
“Ma perché seminare tutto questo terrore?” domandò Shun “Cosa lo spinge a comportarsi così?”
"Il desiderio di Vendetta" (Dal Capitolo 2)

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Per grazia di Atena e delle altre divinità, i Saint ritornano in vita. La priorità di Death Mask è quella di ritrovare sua figlia che, nel frattempo, lotta per sopravvivere nelle terre gelide della Norvegia. Dopo tre anni di pace, Death Mask è costretto ad interrompere le sue ricerche infruttuose: un nuovo nemico minaccia Atene e i suoi abitanti e lui, Ikki e Shiryu devono recarsi nel covo nemico; agli altri Saint il compito di vegliare sul Santuario, su Atene e su Rodorio, per spergiurare la catastrofe.
[Seguito de "La Maschera della Morte e la Vendetta", di cui non è strettamente necessaria la lettura; possibli OOC, dato che il tutto è una "What If?": cosa sarebbe successo se Death Mask avesse avuto una figlia?]
Genere: Avventura, Guerra, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una figlia per la morte'
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Allora dammi una ragione
per dimostrare che ho torto
per lavare questa memoria pulita
lascia che i pensieri attraversino
la distanza nei tuoi occhi
dammi una ragione
per riempire questo vuoto
con cose senza vita in mezzo
fatti bastare
il voler trovare verità e bugie
attraverso questa nuova divisione

(Linkin Park, New Divide)
 
 
Fermarsi significava morire.
O peggio. La morte le sembrava niente in confronto a quello che avrebbero potuto farle.
“Ta det, TA DET!(*)”
Era ormai arrivata in Grecia, sebbene Atene fosse ancora lontana. Si era fermata a metà pomeriggio nei pressi di un ruscello, per bere e, in un attimo, si era ritrovata circondata.
Gli stessi uomini che l’avevano perseguitata in Norvegia, l’avevano seguita fino a lì: proprio come diceva Pål, chi trafficava organi o bambini, non si arrendeva tanto facilmente, se il soggetto era in salute.
Perciò aveva iniziato a correre, ma era stanca: viaggiava a piedi da più di un mese ed era da due giorni che non trovava cibo.
Le gambe la tradirono troppo presto e si ritrovò a terra, circondata.
“Når er det vår(*)” disse il capo, ma lei non si perse d’animo e provò a rialzarsi.
Avevano iniziato a picchiarla, ma non si lasciò sfuggire nemmeno un gemito: le botte che prendeva in allenamento facevano più male.
Le avevano fermato i polsi e aveva scalciato; le avevano immobilizzato le gambe e aveva morso. Ogni tentativo di bloccarla era inutile,  distruggeva ogni corda, sfuggiva ad ogni presa.
Il capo, spazientito, aveva sollevato la pistola, mirando alla testa, e aveva sparato.
Il rumore del metallo che si scontra col metallo aveva segnalato che il colpo era andato a vuoto: una gru d’argento si era disposta davanti a lei.
I suoi nemici non potevano sapere cos’era, ma lei lo sapeva: era un’armatura. Si era adattata al suo corpo, come se fosse stata fatta d’acqua e la banda, spaventata, era fuggita: non li aveva più visti.
 
Aletto voleva fuggire anche quella volta: scavalcò la finestra e si lanciò di sotto; ammortizzò la caduta, fece una capriola per attutire ulteriormente l’impatto col suolo e poi ricominciò a correre per le strade di Rodorio, buie e deserte.
Non sapeva neanche lei se stava andando verso Atene, verso il Santuario o verso l’altura che da Rodorio si allontanava verso delle terre disabitate, che separavano il villaggio dalla capitale greca, ma non le importava: voleva solo andare il più lontano possibile da lì.
Sentiva i passi di Shura alle sue spalle, fin troppo vicini; poi, da uno dei tetti delle case alla sua destra, una rosa rossa piombò ai suoi piedi. Fu costretta a scartare a sinistra, per evitarla, ma prima che potesse continuare la sua corsa, Aphrodite era sceso dal tetto: ogni via di fuga era chiusa.
“Aletto… ne è passato di tempo dall’ultima volta” disse il Saint dei Pesci, facendo un passo verso di lei, sorridendo “Non ha senso scappare così, siamo o non siamo i tuoi zii?”
Con la coda dell’occhio, la ragazzina si accorse di un vicolo laterale, e scartò da quella parte.
Un lampo di luce le tagliò la strada, squarciando il suolo e aprendo una voragine, costringendola ad indietreggiare. Dietro di lei Shura era con il braccio alzato, in posizione d’attacco.
“Qualsiasi movimento tu faccia, sei sotto tiro, Aletto” disse il Gold Saint “ma non voglio farti del male, nessuno lo vuole.”
“Devi soltanto venire con noi” aggiunse Aphrodite “Atena vuole parlarti, ma non ti verrà fatto alcun male.”
“Io non voglio vederla, quella dea! E’ colpa sua se siete morti tutti!” urlò in risposta lei.
“Ma ora siamo qui” replicò Aphrodite.
 
Non rispose. Se fosse riuscita a raggiungere il confine della barriera che proteggeva il Santuario, sarebbe potuta correre fino alla quarta casa e da lì alla tomba che dava sul mare. Sarebbe potuta rimanere sulla spiaggia mangiando pesce tutto il tempo necessario e poi sarebbe fuggita. L’unico problema era arrivarci. Poteva farlo solo passando per la Valle della Morte, ma le probabilità di incontrare suo padre erano alte. Però, sapendo dove voleva andare ed agendo in fretta, poteva riuscirci.
“Va bene… vengo con voi” disse, abbassando il capo.
Shura abbassò il braccio che conteneva Excalibur e in quell’istante lei agì.
Un attimo dopo era nella Valle della Morte e stava per spostarsi ancora quando un colpo le arrivò dritto al capo, mandandola a terra.
Non fece nemmeno in tempo a provare a rialzarsi: suo padre era lì, e aveva caricato tutto il suo peso su di lei: le teneva un ginocchio sullo stomaco e con una mano le bloccava i polsi sopra la testa.
“Non così in fretta.”
Incominciò a scalciare e a dimenarsi, ma suo padre aumentò la pressione sullo stomaco; fu costretta a desistere. Con la mano sinistra, quella libera, Death Mask le strappò via la maschera.
“Ora tu verrai con me, da Atena.”
“NO!”
Non voleva andare da lei: odiava Atena tanto quanto odiava i Bronze Saint.
 
“IO SONO TUO PADRE E FARAI QUELLO CHE TI DICO!” urlò Death Mask, incavolato: la sua pazienza era andata a farsi benedire già da un pezzo.
“DEVI SMETTERLA! TUTTO QUESTO PIANO E’ PRIVO DI SENSO. LA GUERRA COI BRONZE E’ FINITA, OGNI GUERRA E’ FINITA. E NON LASCERO’ CHE TU TI FACCIA AMMAZZARE PER UN CAPRICCIO!”
Non seppe cosa rispondergli; si limitò a girare lo sguardo verso le anime azzurrognole che danzavano lì attorno. Erano tutti abitanti di Atene, pochi in confronto a quelli che vivevano realmente in città: la maggior parte era stata fatta evacuare prima che lei potesse agire.
“Se hai fatto tutto questo per vendicarmi, perché non sei tornata da me quando hai scoperto che ero vivo?” Il Gold Saint non urlava più, ma la voce era comunque secca, decisa.
“Avevo…avevo paura…” rispose lei; la maschera di sicurezza che aveva indossato fino ad allora si sciolse e Aletto tornò a mostrare il suo lato da bambina, tanto a lungo represso, scoppiando in lacrime.
“Avresti visto che n-non ero forte… Che ogni volta che…che facevo qualcosa…avevo bisogno di tanto tempo per…per recuperare le forze.” La voce le tremava, scossa dai singhiozzi. “Avresti scoperto che non ti avevo vendicato, ti saresti arrabbiato…perché non ero alla tua altezza… non mi avresti più voluto.”
Death Mask, con la mano libera, la costrinse a voltare il viso verso di lui.
“Piccola idiota che non sei altro, GUARDAMI IN FACCIA QUANDO PARLI!”
Lei tacque di nuovo per un po’, ma lo guardò, senza smettere di piangere.
“Quando ho conquistato l’armatura, mi sentivo forte… ma…ma poi per ogni ciondolo che creavo, anche se era piccolo…avevo bisogno di almeno due giorni di riposo prima di poterne fare un altro… Per questo non colpivo mai t-tante persone…non avevo abbastanza collane per farlo senza ucciderli.”
Senza dire una parola, Death Mask la sollevò di peso da terra e tornò indietro dalla Valle della Morte, direttamente alla tredicesima casa. Senza perdere tempo, trascinandosi dietro la figlia in lacrime, la portò al cospetto di Atena.
 
*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤  ¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*
 
L’orologio battè le sei e Death Mask, seduto in cucina, stava ingoiando l’ultima sorsata di birra. Era la terza bottiglia che finiva, ma non sembrava poi così preoccupato. Con la mente, ritornò all’incontro avvenuto tra Aletto e la Dea Atena, a cui aveva assistito, in silenzio. Aveva passato il tempo squadrando ora la figlia, ora Atena, ora il Saint dell’Altare, convocato dalla Dea per un consulto.
La bambina aveva ripetuto esattamente quello che aveva detto a lui, che si era dovuto sforzare per non prenderla a pugni di nuovo: possibile che fosse così spaventata da lui, dopo tutto quel tempo?
 
“Aletto, sai perché quest’armatura ti ha scelto?” aveva domandato al dea.
“Perché sono forte abbastanza per indossarla?” aveva domandato con riluttanza la bambina.
“Anche” aveva detto Atena, accarezzandole i capelli. “Ma soprattutto perché in te vi è un cuore colmo di giustizia. Tu non sei cattiva, fai solo finta di esserlo.”
Conscia della presenza del padre, Aletto aveva aperto la bocca per replicare, per provare a negare tutto, ma Atena la aveva interrotta.
“Altrimenti le avresti uccise, quelle persone, senza farti scrupoli. Non avresti pianto per la morte di tuo padre o per quella di Sara. O Sbaglio?”
Padre e figlia sapevano che non sbagliava, ma nessuno dei due aveva detto niente.
“Devi continuare ad essere forte” aveva aggiunto la dea, interrompendo il silenzio “Perché con la tua forza potrai difendere la giustizia, come fa tuo padre. Non è forse questo che hai sempre voluto?”
 
Quel discorso aveva confuso la bambina, ma lei aveva annuito: in fondo le era stato insegnato che erano i forti a comandare e che essere forti era importante, e se ciò che doveva difendere con la sua forza era la giustizia Aletto lo avrebbe fatto.
Death Mask era ancora convinto di quel principio, e per nulla pentito di averlo trasmesso alla figlia: semplicemente, non le aveva mai spiegato qual’era la vera fazione con cui schierarsi e il modo corretto di usare la sua forza. Forse perché anche lui, per capirlo, prima aveva dovuto vedere la reincarnazione di Atena con i suoi occhi.
Scrollò il capo, cancellando quei pensieri: orma il peggio era passato. Aletto sembrava aver capito quel’era la nuova strada da percorrere e tanto bastava.
“Dovreste riposare, Cavaliere.”
 
Sara. Death Mask si voltò verso di lei: indossava ancora il ciondolo azzurro che invece Aletto aveva già rinchiuso in un cassetto. Portarlo era pericoloso: morendo con quel ciondolo addosso non si arrivava nell’Ade, questo era vero, ma si rischiava di rimanere intrappolati per sempre in una sorta di Limbo, incapaci di agire se non si trovava qualcuno in grado di liberare l’anima. Erano serviti al piano di sua figlia ma per un Saint era di gran lunga preferibile morire con onore e finirla lì.
Sara però, gli aveva spiegato Aletto, non avrebbe mai potuto toglierselo: lo scambio di corpi che lei aveva effettuato e che non era mai stata in grado di riprodurre, non era totalmente stabile: l’anima dell’ancella poteva abbandonare il corpo da un momento all’altro cedendolo alla sorella, la cui anima non aveva mai smesso di lottare. Infatti, come tutte le anime di coloro che morivano per mano di Death Mask e Aletto, rimanevano imprigionate: se la testa di Serena non era comparsa sulle pareti della quarta casa, accanto a quella di Christine, era solo perché i suo corpo era lì, ancora vivo.
 
“Non rompermi le palle” fu la risposta di Death Mask. Dormire non gli sarebbe servito a niente: di lì ad un’ora si sarebbe dovuto alzare per gestire il flusso di anime all’inverso, riportando in vita gli abitanti di Atene colpiti dalla furia di Aletto.
Sua figlia, troppo debole e spossata per farlo, gli aveva spiegato come fare, visto che era l’unico in grado di usare il Sekishiki Meikaiha oltre a lei: poi era crollata in un sonno profondo.
“Cavaliere?”
Era ancora lì e lui si voltò a fissare la donna che era stato sul punto di amare e che aveva prontamente ucciso.
“Che vuoi ancora?”
“Intende… tenermi ancora in servizio, come un tempo dopo…ciò che è successo?”
Le tremava la voce e Death Mask se ne accorse: aveva cacciato tutta la servitù da un pezzo, ma un’ancella gli avrebbe fatto comodo, soprattutto se era un’ancella fidata come Sara.
“Condividi ancora le mie idee?” domandò, curioso, alzandosi dalla sedia.
“Si” fu la risposta “Forse sono leggermente diverse da quelle che avevate prima… prima della mia morte e della vostra” aggiunse, abbassando lo sguardo. “Ma, come ha aiutato Aletto e voi, questa esperienza ha aiutato anche me a capire qual è la via.”
“Devozione incrollabile”.
“Sai vero che non riceverai alcun privilegio? Sai che nulla sarà diverso da ciò che era prima che io ti facessi fuori?” domandò il Gold Saint, avvicinandosi sempre di più.
Sara annuì debolmente, abbassando ancora di più gli occhi.
“Ha ancora paura… ma cerca di non mostrarlo.”
Si concesse un ghigno soddisfatto.
“Sai, vero, che se non sarò soddisfatto, potrei anche decidere di ammazzarti di nuovo?”
 
“Ho fatto un giuramento, davanti al Sacerdote e alla mia famiglia. Ho giurato di servirvi in tutto, qualunque fosse la richiesta. E ho promesso a me stessa che non sarei mai venuta meno a ciò. Se desiderate che io muoia non mi opporrò. Anche perché, come ho spiegato anche ad Aletto, la mia vita si era interrotta tempo fa, e io non ne ho mai chiesta una seconda.” Disse lei, fissandolo ora, con una determinazione che mai prima si era vista nel suo sguardo.
Tanta determinazione lo lasciò interdetto. No, non le avrebbe lasciato l’ultima parola. Anche perché in quelle parole, un po’ rivedeva se stesso.
“Non ho mai chiesto una seconda occasione”
“Allora ti consiglio di andare a dormire.” Disse spingendola con violenza contro la parete della cucina, tenendola ferma con il peso del suo corpo. “Perché domani sera, non chiuderai occhio.”
Sara riabbassò la testa senza proferir parola e lui, soddisfatto, lasciò la stanza.
 
 
Note:
(*) Ta det, ta det! = prendetela, prendetela!
når er det vår = adesso è nostra
 
No, non ce la faccio. Davvero, non ci riesco. La coppietta felice non mi riesce bene, soprattutto se devo mettere insieme Sara e Death Mask. Davvero, non riesco a vedere il Saint del Cancro in una relazione, se non così come ho cercato di dipingerla. Quindi… per tutti quelli che speravano nella coppietta felice, fiori e quant’altro…non ce la faccio ç-ç
E lo so che mi odiate perché avete aspettato più di un mese e mezzo per questo penultimo capitolo (si, avete capito bene, penultimo, siamo quasi alla fine), ma ho avuto un sacco da fare, davvero ç_ç Inoltre l’ispirazione è da un po’ di tempo andata a farsi benedire quindi non so cos’altro potrò produrre dopo  che avrò finito qui e Stand by Me… è vero ho mille storie a metà, ma ripeto, l’ispirazione è morta. Blocco dello scrittore sì, qualcosa del genere. Ma confidiamo in un futuro migliore >.<
   
 
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