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Autore: Cheche    18/09/2013    3 recensioni
Tre momenti diversi tra loro collegati. Dialoghi da un futuro ipotetico, parole e silenzi, gesti e mura tra persone. I protagonisti, in bilico tra illusione e disillusione, ci presentano i loro modi di affrontare i fantasmi. Quei fantasmi generatisi a cavallo tra passato e presente che assumono forma concreta e trascinano le loro azioni.
[Personaggi all'interno. Massiccia presenza di What if?]
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Fantasmi viventi di mezzogiorno
 
 



Onirico
Il bosco poteva sembrare un rifugio accogliente per chi, come lui, aveva sempre vissuto da sé. Profumava, fresco, sciogliendo i nodi del suo cervello affollato d’ombre. Era come una terapia dal sapore esoterico. Quel verde non aveva nulla a che fare con la sua anima, ma era solo l’espressione di un desiderio indimenticabile. Il colore della serenità; simboleggiava la speranza di provare quella sensazione stabile per la quale un animo senza pace sospira, bramandola con tutto se stesso.
Nella sua testa tutto assomigliava maggiormente al fumo di una ciminiera, scuro e dannoso, logorante. Lui ripudiava tutto ciò, rifugiandosi sotto fronde baciate dal sole, che tanto lo aggradavano quanto gli occludevano la visione del cielo.
Anche l’ultimo nodo si stava sciogliendo quando, seduto su una roccia, inspirava quella polvere così miracolosa che gli aleggiava intorno. Scioglieva il catrame appiccicoso, rivelava pensieri risplendenti di gioia e attesa priva d’ansie.
In quell’atmosfera distesa, accadde qualcosa. Qualcosa che avrebbe sorpreso chiunque tranne lui, che accolse l’evento con un sorriso. Il riso sulle sue labbra dava l’impressione di essere raro, come se fosse emerso pigramente da angoli remoti. Eppure, davanti a quello che lui percepiva come uno spettacolo ineguagliabile, si risvegliava sempre con entusiasmo.
Simile a una dea dei boschi, eccola emergere dalla selva. L’abito sembrava trasparente, lasciava intravedere quel corpo dal quale era impossibile staccare lo sguardo. Almeno, lui lo seguiva con avidità; in confronto a lei qualunque altra donna gli sarebbe parsa mascolina.
“Bellissimo questo vestito.” Commentò il giovane, aspettando che la visitatrice prendesse posto al suo fianco.
Radiosa, lei liberò un risolino. Pareva così frivolo il suo modo di ridere, eppure dolce abbastanza da suscitare in lui la voglia di assaggiarla. “Per te sono tutti belli, Silver!”
Perché ad essere bella è chi li indossa.
Silver sorrise, sentendo di avere intorno tutto ciò che potesse desiderare: lo scenario silvestre di un bosco lussureggiante e poco selvaggio, la compagnia di lei.
Se non era la serenità a governare in quel momento il suo cuore frenetico, non avrebbe saputo assegnare altri nomi a quella sensazione.
“Blue.” Le strinse la mano e tutte le altre parole divennero inutili.
Le sue dita apparentemente dolci, rivestite dalla stoffa nera dei guanti, erano in realtà sbarre di una gabbia ansiogena.
La presa si fece più forte e i nodi tornarono a formarsi. Blue, accattivata da quell’inquietudine che si manifestava sempre in maniera imprevedibile, ricambiava la stretta con forse troppa curiosità, accettando gli impulsi, addirittura voltandosi per farsi baciare meglio il collo.
I capelli di Silver erano lunghi, le sfioravano la pelle nivea facendola rabbrividire. Niente però si poteva comparare a quelle labbra, tortura e delizia.
Blue non respingeva nulla di Silver, neppure quando qualcosa prendeva possesso delle sue azioni. Pensava che questo avrebbe potuto aiutarlo a placarsi.
Anche lei voleva sentire il proprio mare in tempesta farsi piatto e oleoso.
In quel momento solo cavalloni si formavano, delle increspature di poco prima era rimasto solo il ricordo ignorato, calpestato dalla furia dei sentimenti.
 
Realistico
“Nome?” Sembrava quasi normale, quel tipo, mentre sbocconcellava il contenuto di un pacchetto di cracker e, di tanto in tanto, posava distrattamente le labbra sul gommino della matita.
“Non fare l’idiota.” Rispose quello che era scherzosamente diventato un cliente della Pensione, appoggiando con impazienza le mani al bancone e sostenendo il proprio peso con le braccia tese.
“Bel nome. Un po’ lungo, forse.”
“Gold, sono Silver. Mi sento molto stupido a risponderti seriamente.”
Gold alzò le sopracciglia e sul suo volto si dipinse un riso silenzioso, quello che si stanzia sui volti delle persone che si trovano irresistibilmente simpatiche qualunque azione compiano.
“E perché sei qui? Cosa cerchi?”
“Una persona.”
“Ho solo Pokémon, sai. Gestisco una Pensione Pokémon, mica un hotel.”
Silver emise quel sospiro che era fermo nel suo petto nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo dell’altro. Evidentemente non si era aspettato di trovarlo là seduto, addirittura ben vestito, coi capelli troppo pettinati come un comunissimo impiegato. La sua faccia però rimaneva quella di uno scavezzacollo in cui doveva essere impossibile riporre la propria fiducia. Forse per quello la sua Pensione era più calma rispetto agli anni passati, quando ancora non era lui a sedersi là, sulla seggiola dietro al bancone.
“Immagino che cerchi me. Essere popolari è dura.” Fece Gold, interpretandosi in stile drammatico e malriuscito. In realtà aveva iniziato a patire la solitudine: glielo si leggeva in viso, così livido nonostante i capelli freddamente laccati e una ruga d’espressione tra le sopracciglia sottili.
Era sgradevole osservare ciò, ma oramai Silver non poteva fare altro che aumentare le distanze. Sebbene lo trovasse più insopportabile del solito, gli dispiacque dovergli rispondere in quel modo.
“Cerco Blue.”
Tutto parve indurirsi. La superficie di metallo del bancone, la grafia disordinata di Gold che aveva vergato quell’elenco troppo breve di clienti, pagamenti, livelli. La teca delle Uova sembrava contenere oggetti semisferici senza personalità, come se in essi non esistesse alcuna vita in potenza.
La ruga tra le sopracciglia del giovane gestore si era fatta profonda come un piccolo abisso che si affacciava sul suo inferno personale. Era posta proprio sulla fronte, come se stesse contrassegnando il punto di incidenza di un pensiero ossessivo.
Sovrastò il silenzio meccanicamente. “Smettila.” Era la voce di Gold. Si era fatta così dura, simile ad una pietra intenzionata a colpire Silver in piena fronte. “Sembri un disperato.”
“Non stiamo parlando di te.” Lo provocò l'altro, che non accettava compromessi e aveva fretta di demolire gli ostacoli.
Si udì il ruvido sfregarsi dei denti di Gold. Egli si impose di essere adulto. Anagraficamente lo era, non era più tempo di fare a pugni. Però gli mancava la sensazione, sotto le nocche, delle finestre dei denti di Silver che si aprivano. Era stato lui a staccargli l’ultimo dente da latte.
Era stato lui a mettere fine ai giochi da bambini e a definire l’inizio dell’età adulta. Un po’ come un fratello e un genitore insieme.
Così era stato e così non avrebbe più potuto essere.
 
Vero
Porse all’uomo un panino arrangiato con le sottilette dentro.
La cucina non aveva un’atmosfera triste: doveva essere perché lei la utilizzava frequentemente, imparando a diventare più donna di casa rispetto a quella filantropa troppo matura e troppo dinamica che era sempre stata. Tutto l’ambiente, però, era umido e sapeva di volontà soffocate sotto un grembiule degno di una massaia.
“Come sta tua madre?” Chiese rispettosamente il giovane uomo, prima di affondare i denti nella morbida pagnotta all’olio.
“Come al solito.” Ammise francamente l’altra, spostandosi una ciocca di capelli corvini dalla fronte e abbassandosi sul lavandino. Aveva ancora tanti piatti da pulire e la lavastoviglie l’aveva abbandonata solo di recente.
Lui mugugnò, dimostrando di aver intuito. Adesso aveva il ciuffo ribelle non più trattenuto dalla lacca, ma la sua faccia era ancora riconoscibile.
“Gold, perché sei qui?” Non c’era nulla nella sua voce. Era perfettamente atona, fredda.
“Anche io avrei una domanda, Crystal.”
“Ribadisco, perché sei qui?”
“Se non mi vuoi tra i piedi, perché mi hai fatto il panino?”
“Ti trovo dimagrito.” Gold volle credere che fosse solo la sua immaginazione a fargli apparire le guance della donna che un tempo gli era piaciuta improvvisamente così rosse.
“Non era questa la domanda, comunque.”
“Dimmi.”
“Perché tra noi tre, che eravamo così affiatati, si è formato questo maledetto muro?”
Crystal non aveva risposte brevi da dargli. Tirò fuori le prime cose che gli vennero in mente, come per far tacere quella bocca petulante.
“Pensa agli eventi recenti e risponditi.” Non c’era più gentilezza nella voce della donna, non per lui. La loro era una storia dolorosa e non potevano più né scherzare né sorridersi senza provare frustrazione o rimpianto.
C’era qualcosa di eccessivamente oscuro e severo in lei, che aveva sopito in Gold la voglia di divertirsi. Gli era piaciuta, l’aveva amata senza un perché e l’aveva amata anche tanto. Crystal l’aveva ricambiato con tutto quel calore e quella dolcezza che ora sembrava non possedere più. Era stata incredibile la sua trasformazione nel momento in cui aveva saputo che il suo amato era fuggito con altre per scaricare i propri nervi. Lui rimpiangeva solo di averla fatta piangere e di averla trasfigurata in una specie di robot domestico dedito solo alla madre inferma, ma non di averla lasciata.
“Ti riferisci alla nostra storia?”
Crystal tacque pochi istanti, prima di ringhiare qualcosa, tagliente. “Se sei venuto per riallacciare il nostro rapporto, lascia stare.” Lo disse con rabbia, dopo essersi abbondantemente sgridata per quel sorriso che aveva lottato per affiorare sulle sue labbra.
“Oppure ti riferisci alla morte di Blue e a quel coglione di Silver che continua ad andare a zonzo per cercarla?”
Crystal pensò di aver smarrito il respiro. Lo recuperò e si voltò, dura come granito.
“Non dovresti parlarne così, come se la cosa ti suscitasse solo rabbia.”
“Mi è sfuggito tutto di mano.” Gold abbassò la testa, puntando la fronte contro il pavimento in linoleum. “Non ho più legami decenti.”
Era venuto a lagnarsi della vita e di tutto, era la prima volta che lo faceva. Forse l’avrebbe rifatto. Crystal provava la tentazione di accarezzargli i capelli già in quel momento, ma si sarebbe tagliata la mano pur di non compiere quella stupida azione.
Era vero. C’erano solo muri, muri dappertutto. E tutti loro scappavano, come se tra loro ci fosse stata una forza di repulsione. C’era il desiderio di rimanere uniti, ma la vividezza degli eventi aveva ucciso tutto, lasciando terra bruciata.
Loro, un tempo invincibili, abbassavano il capo in segno di sconfitta. Aveva vinto il destino.







Edit: Dato che ho ricordato cosa io volessi dire su questa storia, metterò queste annotazioni postume. Si tratta comunque di fatti di scarso interesse, quindi non è strettamente necessario che leggiate. Non fornirò spiegazioni riguardo alla storia, ma dirò solo perché ho messo l'avvertimento "what if?". Ecco, inserire avvenimenti forti come la morte di qualcuno mi rende quasi insicura. E' come se i personaggi fossero poco accostabili ad un'idea di morte, quindi parlare della loro fine mi sembra un evento strano, inusuale (nonostante io sappia benissimo che prima o poi gli esseri viventi giungeranno alla fine dei loro giorni), tanto da meritare la dicitura "what if?". Volevo più che altro parlare di com'è nata questa storia. Avevo inizialmente scritto una flash sulla Chosen, ovvero la prima. Sono riluttante a pubblicare scritti senza trama se non fanno parte si raccolte o cose del genere. E' come se la loro esistenza non avesse granché senso, in mezzo alla lista delle mie altre fanfiction. Quindi l'avevo lasciata là a giacere nel mio pc, con il titolo che ora possiede questa piccola raccolta, nonostante mi piacesse lo stile usato. Poi però, durante la stessa giornata, mi è venuta in mente la scena tra Silver e Gold e ho pensato "se ampliassi?". Ho pensato di scrivere tre flash. L'ultima non è una flash ma, dopo averla vista completa, ho deciso che non mi importava. Non considero questa una storia strettamente angst, per questo non l'ho messo tra i generi. E' di quella malinconia tranquilla, quella dello scorrere del tempo e dei ricordi lontani. Non interesserà a nessuno, ma sono soddisfatta di ciò che ne é venuto fuori, sebbene formalmente possa avere delle pecche. Ho scritto tutto in un giorno, cosa che non facevo da tempo. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Anche se magari non conoscete i personaggi, non sono una che si arrabbia di fronte alle scarse conoscenze. Sono quel tipo che, con tranquillità, si mette a spiegare. Spero abbiate apprezzato un minimo la storia e che non vogliate picchiarmi per quello che ho fatto a Blue. La adoro, ma mi serviva la sua morte. XD Grazie per aver letto questi sproloqui. <3
  
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