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Autore: Naco    19/10/2004    5 recensioni
Un amore sbocciato in un luogo dove non esistono amore e speranze, ma solo odio e tenebra. Ma l'amore può vincere anche l'odio e la morte... Purtroppo il sito non la leggeva e così ho dovuto ripostarla. Mi spiace ç_ç
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA ROSA DELLA VITA

LA ROSA DELLA VITA

Non potrò mai dimenticare quella ragazza nonostante siano trascorsi ormai quaranta lunghi anni. Non potrò mai cancellare dalla mia mente il ricordo della sua grinta, della sua perseveranza, della sua voglia di vivere, di lottare, di farcela, nonostante tutto e tutti. Non potrò mai dimenticare che per un istante, un breve istante, avrei voluto non lasciarla andare, restare abbracciato a lei, non staccarla più da me e aiutarla, portarla via…. Ma allora ero troppo debole, sia fisicamente che psicologicamente, per poterlo fare…
Susanna mi dissero poi che si chiamava e aveva più o meno la mia età. Due grandi occhi neri pieni di vita e di gioia, nonostante tutto quanto…. Nonostante l'inferno intorno a lei, nonostante la guerra, nonostante sapesse che non sarebbe uscita viva da lì… perché la speranza in quel luogo era morta appena si varcava la soglia…
Non potrò mai dimenticare quella mattina, le nuvole che oscuravano completamente il sole, la pioggia ormai imminente.
Venni chiamato da un mio compagno, perchè una ragazza aveva tentato la fuga dal campo.
"Non capisco quello che dice" mi disse in perfetto tedesco "E' italiana come te. Vacci a parlare tu."
Lo guardai
storto. "E da quando in qua ascolti le motivazioni dei prigionieri? Non è da te!"
Lui sbuffò
. "Si è vero, è solo che… beh, quella ragazza… non so, ha qualcosa… qualcosa di strano…"
Lo seguì e mi ritrovai in uno stanzino buio. Di fronte a me il suo volto smagrito dalla fame e dai colpi ricevuti. L'avevo già vista nel campo, ma quella fu la prima volta che me la trovai così vicino. Era bella e i suoi occhi… In quel momento capì cosa Heinz avesse voluto dire.
"Lasciaci soli." ordinai e il mio subordinato che la teneva in custodia obbedì.
La fissai cercando di essere il più duro possibile. Non so se ci riuscì. Non lo saprò mai.
"Sai che puoi morire per quello che hai fatto?" chiesi.
"Morirò comunque e questo già lo so. Allora tanto meglio cercare di rendere felice l'ultimo minuto di un'amica."
"Cioè?"
"Una mia compagna ha la tisi e sta per morire. Il suo ultimo desiderio era quello di vedere una rosa per l'ultima volta. E io volevo accontentarla."
"Ti rendi conto che per uno stupido desiderio morirai?"
"Quì dentro solo i sogni e le speranze ci aiutano a sopravvivere."
La fissai per non so quanto tempo. I suoi occhi fissavano i miei incuranti del fatto che io facessi parte delle SS e che da me dipendesse la sua sopravvivenza. Non aveva paura di morire. Per una rosa… una stupidissima rosa…
"Non m'importa di morire. Ti prego, se io non posso, trovala tu… trovala tu una rosa per me… per favore..."
Trasalì. Nessuno mi aveva mai detto un 'per favore': né i miei genitori, né i miei compagni d'armi, né tanto meno i partigiani che senza una parola, fecero fuori i miei genitori, perché convinti che avessero aiutato i nazisti. E invece era stata solo povera gente, colpevole soltanto di aver dato ospitalità a un forestiero ferito e malato.
Heinz rientrò qualche minuto dopo.
"Allora?" chiese.
"Dice che cercava una rosa per un'amica che sta per morire." Tagliai corto.
"Una rosa? Puah, che stupidaggine!" fu il suo commento, poi, voltandosi verso altri due uomini "Portatela via" ordinò.
Lei non disse nulla, né tentò di liberarsi, ma continuò a guardarmi, con una muta speranza negli occhi.
"Dove stai andando?" mi chiese Heinz notando che mi stavo allontanando.
"A fare un giro" risposi e lui non mi fece altre domande.


Vidi la salma attraversare il campo scortato da alcune compagne verso la fossa comune. Dietro tutte le altre, con le catene ai polsi, il volto ancora più pallido di come lo ricordassi, la vidi. La ragazza sembrò accorgersi di me, perché si voltò nella mia direzione e mi sorrise. Era un sorriso dolce, gentile, umile. Mi ricordò quel sorriso che mia madre aveva sempre per me, un sorriso che non vedevo da tanto tempo.
Mi avvicinai. Gli uomini al solo vedermi si misero sull'attenti.
"Dove la state portando?"
"Ci è stato ordinato di scortarla dietro la salma e poi di portarla via."
Annuì. "Va bene, me ne occupo io."
Loro annuirono e se ne andarono.
Il corteo continuò ancora per qualche minuto, in un silenzio rotto solo da qualche singhiozzo sommesso. La ragazza mi camminava accanto, fissando un punto imprecisato davanti a lei, ferma e decisa.
Il gruppo era ormai a pochi passi della fossa comune, quando lei si voltò e mi guardò. Occhi pieni di coraggio e di determinazione.
"Ora possiamo andare."
Annuì e la scortai verso la sua ultima meta.
La stazione delle SS era davanti a noi. Intorno a noi non c'era nessuno, solo il freddo di un luogo di morte. Mi guardai attorno.
"Va
via. Ora non c'è nessuno" le dissi semplicemente.
Lei sorrise ancora una volta, quel suo sorriso così dolce e umile.
"Non voglio che i cadaveri diventino tre e non soltanto due." E detto questo mi precedette.
Non so perché lo feci, non so chi mi guidò, ma a quelle parole dimenticai di far parte delle SS, di essere a pochi passi dalla loro stazione, che se qualcuno mi avesse visto, sarei stato fucilato all'istante. Feci qualche passo e abbracciai quella ragazza sconosciuta. Sentivo il calore della sua pelle, ma lei rimase immobile, senza ritrarsi, ma senza neanche lasciarsi andare.
"Perdonami" le bisbigliai.
Lei si voltò e ancora una volta incrociai il suo sguardo.
"Non è colpa tua." Rispose e con passo sicuro entrò nella stanza.


Sono davanti alla sua tomba, oramai ingiallita dagli anni. Dopo la guerra sua sorella, che era stata deportata con lei, riportò le sue ceneri in Italia per darvi degna sepoltura.
La incontrai un giorno, per strada e, nonostante fossero trascorsi tanti anni, mi riconobbe subito.
Mi si fermò davanti e mi guardò. Aveva lo stesso sguardo fiero di sua sorella.
"Susanna riposa felice grazie a lei" mi disse semplicemente.
Mi bastò quel nome per capire chi fosse. La donna se ne accorse e mi sorrise.
"Venga con me." Mi disse.
La seguì incerto sul luogo in cui mi avrebbe portato, ma non ci volle molto per capire dove mi stesse conducendo.
E infatti dopo pochi minuti ci fermammo,
Riconobbi subito, in quella foto sbiadita dal tempo, i suoi occhi, dolci e fieri allo stesso tempo, quegli occhi che non avrei mai più potuto dimenticare.
Non ricordo quanto tempo rimasi lì a fissare quel pezzo di granito, a perdermi ancora in quello sguardo tanto magnetico, so soltanto che quando ritornai in me ero ormai solo e il sole stava lentamente facendo spazio alla luna.


Sono ormai quindici anni che ogni anno, esattamente il giorno in cui la conobbi e la persi per sempre, vengo a trovarla e ogni anno, come sempre, una piccola e umile rosa bianca adorna la sua tomba spoglia e solitaria.


FINE


Questa storia è dedicata a due occhi color del mare, due occhi che non scorderò mai, che conobbi in una notte come tante, mentre Morfeo ti accoglie nelle sue tranquille braccia.
Da quella notte non ho più sognato un ragazzo come lui, ma la sua immagine sofferente e dolce mi è rimasta dentro, nel cuore. Fu pensando a quegli occhi che inconsciamente mi ritrovai a scrivere questa storia, in poco più di due ore.
Non ha implicazioni morali o politiche, ma è solo un piccolo mondo, in uno più grande, una magica storia d'amore e di speranza, in una dura realtà come quella che ci circonda.
Perché anche il mondo può essere un grande campo di concentramento per i sogni e le illusioni.

Naco chan

   
 
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