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Autore: anqis    19/09/2013    4 recensioni
Non si muove quando il letto si inclina sotto il suo peso e il suo odore smorzato da quello acido dell’alcool e di colonia si fa sempre più forte ed invadente. Si costringe a buttare fuori l’aria. Inspira. Espira. Lo fa fin troppo bene, forse è per questo che «Stai dormendo?» le domanda, più vicino di quanto si immaginasse. Percepisce il calore del suo corpo, nonostante non si tocchino.
Nel buio, Eve alza gli occhi [..] «Sì» risponde senza riflettere e si sente così stupida dopo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Things I can't.


Eve è testarda e decisa, glielo diceva sempre sua madre quando i pomeriggi tornava a casa con un giocattolo nuovo tra le mani e al suo seguito suo padre, con un sorriso sul volto ancora giovane e il portafoglio più leggero. 
Eve è testarda e decisa mentre varca la porta dell’appartamento di Harry, accende le luci e si siede sul divano. Continua a dirselo, mentre si copre il viso con le mani arricciando poi tra le dita le ciocche che le sfuggono dallo chignon fatto di fretta. «Mezz’ora» dice a gran voce, perché lei ha altro da fare e non può permettersi di aspettarlo, non per sempre.
Sono le tre e quarantadue di mattina quando sente la serratura scattare. 
Ha ordinato una pizza che ha mangiato solo per metà, l’altra l’ha buttata nel lavandino perché è trascorsa già un’ora del suo arrivo, nessuna testa di cazzo si è presentata e non trova quelle dannate chiavi di casa – che sono appoggiate sul tavolo di mogano nero, proprio di fronte a lei.
Ha sistemato il salotto, poi l’ha devastato di nuovo e ha anche strappato un cuscino, quello rosso, quello che profuma di mele, di lui. Le chiavi riposano sulla superficie liscia e lucida del tavolo, le lancette non hanno smesso di ticchettare in quell’assordante silenzio che regna tra le mura immacolate della casa, e sono già le due meno nove minuti e trentasette secondi.
Sono le tre e quarantadue quando sente dei passi pesanti trascinarsi lungo il corridoio. Le chiavi sono ancora sul tavolo, il lavandino è sporco di pomodoro e formaggio, le luci spente e il cuscino stretto tra le sue braccia. Lo ha sentito imprecare in salotto e le viene da ridere al pensiero della smorfia che farà quando vedrà lo stato in cui è ridotta la cucina, per non parlare del trituratore. Non pensava che il formaggio filante potesse  attaccarsi ed ingarbugliarsi in quel modo. 
Lo sente indugiare sulla porta della camera di letto e se lo immagina con una mano tra i capelli sconvolti e l’altra sul pomello, come se scottasse, ma fosse la sua unica via d’uscita per fuggire dalle fiamme che lo stanno divorando. Eve si stringe al cuscino e trattiene il fiato, perché lei lo conosce e sa che da un momento all’altro un sospiro potrebbe giungere alle sue orecchie, insieme a dei passi e ad una porta che si chiude in silenzio. Lo sa, che il copione sarà lo stesso, che accadrà, ma ha paura, una dannata paura che le anestetizza ogni singola fibra di ogni muscolo e le congela le vene. Tuttavia ci spera, come una stupida.
Poi però la maniglia gira, la luce del corridoio fende il buio e si staglia sulla figura di Eve, che vede l’arancione colorare le sue palpebre. È raggomitolata, le gambe strette al petto e le braccia che cercano di difenderla da lui e di riscaldarla, perché fa freddo nonostante sia estate. Occupa la parte destra del letto, perché quel lato è suo e lo sa che gli dà estremamente fastidio. Non perché il suo profumo è ancora più intenso e Eve ci si è aggrappata nella speranza di sentirlo davvero, lì, accanto a lei.
Non respira mentre lo sente avvicinarsi al letto, il fruscio della maglietta che gli accarezza l’addome, il busto, le clavicole sporgenti, i riccioli disordinati. Non si muove quando il letto si inclina sotto il suo peso e il suo odore smorzato da quello acido dell’alcool e di colonia si fa sempre più forte ed invadente. Si costringe a buttare fuori l’aria. Inspira. Espira. Lo fa fin troppo bene, forse è per questo che «Stai dormendo?» le domanda, più vicino di quanto si immaginasse. Percepisce il calore del suo corpo, nonostante non si tocchino. 
Nel buio, Eve alza gli occhi perché solo lui può uscirsene con una domanda talmente scontata e stupita. Eppure, gli angoli della bocca le si alzano appena increspando la maschera di emozioni represse che indossa. Sospira, stare zitta e fingere di dormire o rispondere e cominciare a discutere, proprio ora che lei si sente non bene, ma meno male? I secondi trascorrono così veloci che lei «Sì» risponde senza riflettere e si sente così stupida dopo. Ecco cosa succede a confrontarsi con degli idioti, lo si diventa. Si sente più leggera però, il peso dell’aria nei suoi polmoni si è liberato e lei non è più pressata contro il materasso.
La risata bassa e roca di Harry riempie il vuoto della stanza, del suo petto ed Eve non può fare a meno di domandarsi come sia riuscita a sopravvivere tutto quel tempo senza. Perché sono due mesi e quindici giorni che Harry ed Eve non si parlano, che Harry non riesce a sorridere, per davvero, e Eve a respirare, in apnea. Sono settantaquattro giorni che l’armadio di Harry è tornato ordinato, le camicie sono piegate, nessuna maglietta  accartocciata e abbandonata su qualche mobile; settantaquattro mattine che Eve si sveglia con il pavimento freddo contro la schiena ed un mal di testa allucinante, le coperte disfatte sul letto e gli occhi che pungono. Deve essere qualche forma di allergia. Non sa però, Eve, che nonostante il letto del grande attico non sia più sgualcito e le coperte non più a terra, la mattina Harry si ritrova steso sul lato sinistro, non il suo, con un braccio disteso a destra e solo le lenzuola, ancora lisce, sotto il palmo della mano, dove non c’è più nulla da stringere, da proteggere. Come Harry non sa che l’armadio di Eve è ancora vuoto, perché i suoi vestiti giacciono ancora sotto il fondo di scatoloni che non ha il fottuto coraggio di aprire.
E se ci pensano, è così strano. Harry ha impiegato così tanto per abituarsi alla presenza di Eve in casa sua, al suo disordine, a quel caos che ha in testa e che si riflette fuori. Eve, invece, ancora non sopporta la maniacalità con cui Harry ripone ogni oggetto che ha usato subito al proprio posto e ancora peggio i suoi rimproveri. Non sapevano, nessuno dei due, che ancora più difficile è tornare a vivere senza l’altro. È strano alzarsi la mattina e non sentire l’odore del caffè già pronto e quello dei pancakes in padella. Strano arrancare in bagno e non trovare il dentifricio aperto che cola sul lavandino, il bicchiere già colmo di acqua per farsi perdonare. Strano non sentire il suo profumo aleggiare in tutte le stanze, forse un po’ diverso, mischiato al proprio. Strano non vedere calze lasciate all’ingresso e magliette dimenticate su poltrone, credenze, sedie, ovunque. Così strano che la porta si apre, i piedi rimbombano sulle scale e fuori –  perché dentro ci si sente morire. 
Sono le tre e non lo so, quando Eve tira a sé le coperte, perché ha freddo e non è sicuramente stato il fiato di Harry che si è infranto contro la sua nuca a causarle quei brividi.
«Hai freddo?» le domanda.
«No» risponde lei, tira ancora più a sé la coperta. Inutilmente però, perché la sente scivolare via e prima ancora che possa protestare, due braccia la circondano. Eve respira.
«Tu dici che ami la pioggia, ma quando piove apri l’ombrello. Tu dici che ami il sole, ma quando splende cerchi l’ombra. Tu dici che ami il vento, ma quando tira chiudi la porta..» sussurra Harry sul suo collo.
«..per questo ho paura quando dici che mi ami» continua Eve, «Mi stai dando della bugiarda?»
Sente quelle labbra rosse accarezzarle appena il collo mentre «Ti amo» dice tutto ad un tratto, con la naturalezza di chi sta domandando che tempo fa.
Eve sorride, «Ti odio.»
Harry non parla, ma può giurare che stia sorridendo. Sente la sua bocca incurvarsi contro la sua pelle. «Ti ho incastrato, lo sai?»
Silenzio. «Lo so.»
«Perché sei qui, Eve?»
«Non lo so» borbotta con le mani sul cuore che corre, come un treno in corsa verso un burrone ed ormai lo sa che non può più fermarsi, tornare indietro, frenare.
Harry sospira, «Perché hai devastato la mia cucina e maltrattato un povero cuscino?» domanda allora prendendo le sue mani con le sue.
Eve le guarda strette a quelle grandi e pallide, callose dell’altro. Non combaciano, non sono state create per unirsi come due tasselli dello stesso puzzle, eppure Eve non riesce a non sentirsi davvero completa in quel momento. «Perché ti odio e perché il cuscino profumava di te» ammette sincera.
«Spero non riserverai lo stesso trattamento anche per me» dice allora lui strappandole una risata bassa e quasi soffocata.
«Al tuo sedere però sì» replica Eve, «Visto che oltre a metterlo in mostra, non sai farci altro» e ridacchia in silenzio sentendolo irrigidirsi contro di lei.
E «Lo hai visto?» domanda lui con tono piatto e ansioso.
«Cosa?» chiede fingendo ingenuità.
Harry alza gli occhi al cielo, «Lo hai visto» mormora sconfitto.
Ora Eve sta ridendo davvero, una guancia e il naso minuto affondato nelle lenzuola e le dita delle mani ancora più strette a quelle di Harry. Riprende il respiro e «Lo sai che ti sei umiliato in diretta internazionale di tua spontanea volontà?»
«Darren Criss mi aveva chiesto di twerkare! Non potevo mica tirarmi indietro!» si giustifica scuotendo la testa e i riccioli le solleticano la nuca. Le tremano le mani. Com’era infilare le dita, lasciarle scorrere tra i suoi capelli? Eve non se lo ricorda ed è quasi come dimenticarsi il proprio nome.
«Mi sei mancato» dice allora, interrompendo la risata roca di Harry.
«Anche tu, Eve» aria, «Scusami.»
«Perché?»
«Cos-»
Eve trema tra le sue braccia. «Perché ti scusi? Perché devi essere sempre tu a trovare compromessi, ad accontentarmi? Perché ti costringi a sacrificare qualcosa di te stesso per ricorrere, poi cosa? Me. Io che non ti vengo incontro, io che nonostante tutti i tuoi passi compiuti verso di me, continuo ad arretrare, a scappare. Io che nonostante tu mi abbia detto tutto di te, del tuo gusto preferito di gelato, del tuo libro preferito, del tuo vizio di giocare con gli anelli quando sei nervoso, della tua mania di abbracciare tutti prima di un concerto – e lo fai per davvero -. Io che, dannazione, quelle tre fottute parole non riesco a dirle, ‘che le sento bruciare in gola fino soffocarmi» espira, inspira. «Perché sei ancora qui, Harry?»
Harry la stringe quanto più può e non gli importa se le fa male. Vorrebbe plasmarla a sé stesso, regalarle un po’ di quel coraggio che le manca e prendere con sé quell’orgoglio che la frena e, non pensava, la fa soffrire. Le stringe le mani tra le sue, piccole e fragili, come fa sempre per calmarla e un poco funziona. «Per questo te ne sei andata? Perché non riesci a dirmi che mi ami?»
«Harry, tu ami tanto, troppo. Lo vedo in ogni sguardo, ogni sorriso, ogni bacio, abbraccio, carezza, anche senza che tu me lo dici. Io, invece, non lo so. Non lo so e non lo merito, non merito tutto ciò-»
«Non importa» la interrompe. L’ha costretta a voltarsi verso di lui ed ora la sta guardando negli occhi, parole non dette nelle iridi grigie come la luna. «Non importa se non mi ami, o almeno non ancora. Non importa se hai paura, se non lo sai, se non riesci a dire quelle tre parole. Aspetterò, Eve, sono disposto a farlo, perché sono sicuro che un giorno, una mattina, una sera, un pomeriggio sul divano, quando meno te ne lo aspetti, lo dirai come ho fatto io quella volta in auto. Lo farai senza neanche accorgertene, come è successo a me a quel semaforo rosso. Lo farai e sarà semplice come prendere una boccata d’aria» sussurra, i loro respiri che si fondono l’uno con l’altro, «Fino ad allora, amerò per due.»
E la bacia. Le sue labbra sfiorano le sue, lentamente e vorrebbe davvero sigillare quella promessa con un bacio delicato, ma non ci riesce. Le sue mani salgono lungo le braccia – un bacio sul mento –, accarezzano le spalle magre e bianche – un morso al labbro –, corrono lungo il collo, - bocche che si socchiudono, si scoprono – e si stringono al suo viso – lingue che danzano. Si baciano a lungo, il silenzio rotto dai loro respiri, il fruscio delle coperte, le mani di Eve che si aggrappano alle sue spalle larghe ed Harry che ripete sulle sue labbra, se un tempo erano due volte, ora quattro, cinque, dieci, sei, dodici, «Ti amo, ti amo, ti amo.»


Quando la mattina si sveglia, Harry lo sa. Le lenzuola sono a terra, un cuscino è scomparso e sotto la sua mano non c’è nessuna schiena bianca e calda da accarezzare, da proteggere. Harry si porta un braccio sugli occhi, che già sono umidi, ma non sta piangendo – non questa volta. 
Quando però li apre, una scritta si staglia sulla pelle immacolata, sotto il tatuaggio Things I can’t. 
«Twerk» ed Harry ride forte, le guance rigate da tante lacrime quanto le gocce di pioggia che picchiettano contro il vetro della finestra. 


 


 
- angolo autrice.

Buonasera a tutte. 
Allora, sinceramente non so cosa dire. Ecco, questa one shot è nella mia chiavetta da un po’ e nella mia testa da più tempo. È nata durante il viaggio di ritorno in auto da casa di mia nonna, che sarebbe dovuto durare meno di ora, ma che si è prolungato a causa dei lavori. Stavo ripensando alla figuraccia di Harry e mentre rimuginavo su un’altra one shot – che devo ancora pubblicare, a cui ci tengo particolarmente – è uscita questa cosa. Saranno stati Moments Instrumental in play, il buio sull’autostrada e le luci della città di Milano – la mi adorata Milano. Non lo so.
L’ho scritta un po’ a fatica, c’è stato un momento in cui ho chiuso la finestra word e non l’ho più riaperta, convinta che sarebbe rimasta nella mia mente. Ma ci sono riuscita e ne sono piuttosto soddisfatta. 

Spero davvero che vi sia piaciuto quanta fatica io abbia fatto per portarla a termine.
Aspetto il vostro parere – sapete che ci tengo molto alle vostre opinioni. 

Anqi. 

ps. qualcuno saprebbe darmi il codice per centrare il testo?
Ogni volta che lo chiedo a qualcuno mi rispondono "Lo trovi su google" ed è chiaro che forse non mi ritengono al livello per usarlo.
 
   
 
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