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Autore: Fireflie    23/03/2008    5 recensioni
Il fatto è che Rukawa mi vuole parlare, e io non sto nella pelle. Non aspetto altro da mesi, lo amo, e intendo dichiararmi oggi, anzi adesso, nel preciso istante in cui varcherò la soglia della palestra.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi tratti dal manga di Takehiko Inoue (ovvero Il Maestro). Nessun riferimento a fatti o a persone reali. Naturalmente non c’è niente di mio, e non traggo alcun guadagno dalla pubblicazione di questa storia.

Beta: La principessa Chez! <3

Note: - Scritta per il compleanno della mia adorata Momina! <3 Ho cercato di renderla fluffosa e lovvosa, perché so che lei, da brava Hippie, ama il love generale! xD

- POV di Hanamichi.
- In prima persona perché la mia lovva ama la prima persona e ciò che lei ama è legge. ù__ù
- Si svolge verso la fine del terzo anno di liceo di Hanamichi e Kaede.
- Mi sa che i personaggi sono un po’ OOC, ma a dirla tutta credo di essermela cavata piuttosto bene, perché sia Kaede che Hanamichi sono una bella rogna in quanto a caratterizzazione. Evviva la modestia, ecco. ù_ù
- Il titolo, come sempre, fa schifo, ma giuro che non mi veniva nulla di caruccio .__.


One on One



Mi dirigo a passo veloce verso la palestra.
Forse sarebbe più esatto dire che corro come un pazzo verso la palestra, ma un eufemismo qua e là ci può anche stare.
Ho trovato un biglietto di Rukawa – infilato nel libro di storia, l’angolo del foglietto di carta rosa che spuntava dal bordo del libro, un biglietto che doveva essere notato e anche un biglietto riciclato da una delle sue tante fan(atiche): rosa shocking con sopra cuoricini disegnati e la scritta “Rukawa ti amo”.
Sul retro, però, nella sua grafia sottile e chiara, c’è scritto che mi vuole parlare e che mi aspetta in palestra dalla fine delle lezioni fino alle sei di questa sera.
Io, ovviamente, sono già in ritardo, e solo per colpa di Yohei e gli altri. Beh, più gli altri che di Yohei.
Il fatto è che Rukawa mi vuole parlare, e io non sto nella pelle. Non aspetto altro da mesi, lo amo, e intendo dichiararmi oggi, anzi adesso, nel preciso istante in cui varcherò la soglia della palestra. Appena lo vedrò, gli griderò che lo amo e che di Haruko non me ne frega niente, che non me ne importa nulla dalla fine del primo anno, che esiste solo lui e il mio amore per lui e che una qualsiasi ragazzina di questa scuola – città, paese, terra, universo –, per quanto bella, non riuscirà mai a farmi cambiare idea.
Spererei in una dichiarazione anche da parte sua, ma mi pare di vederla già un po’ troppo rosa e fiori.

Finalmente sono arrivato. Il tragitto non mi era mai sembrato tanto lungo. Fermo, davanti alla porta della palestra, sento il rumore ritmico della palla da basket colpire il pavimento, il suono tintinnante che fa quando entra nel canestro e il violento colpo di quando ricade a terra.
Apro la porta e lui è lì, maglietta nera e shorts bianchi, chinato in mezzo alla palestra per raccogliere la palla.
Due palleggi, si mette in posizione e tira, una traiettoria perfetta e la palla entra nel cesto. Perché lui sembra non sbagliare mai.
La palla rotola fino a me, ancora in piedi sulla soglia; mi nota e il suo volto è inespressivo come al solito.
Le parole della mia dichiarazione sono bloccate in gola, sapevo di averla vista troppo rosa, quasi quanto quel bigliettino che sento come una presenza ingombrante nella tasca dei pantaloni, un peso insopportabile.
Lui recupera la palla e ricomincia a tirare facendo sempre canestro. Non sembra intenzionato ad aprire bocca e io inizio a spazientirmi. Che situazione schifosa.
Mi muovo, deciso a prendere la situazione in mano, ormai la tensione e l’ansia hanno raggiunto livelli inauditi. Mi posiziono sotto il canestro e raccolgo tutto il mio coraggio. C’è di buono che l’anno scolastico finirà tra pochi giorni, quindi una mia dichiarazione non rovinerà le sorti della squadra. Al massimo si sentirà disgustato da me. Già, al massimo gli farò solo schifo.
Faccio per aprire bocca ma lui mi precede.

“Ormai la scuola sta finendo. Mancano pochi giorni” mi fa sapere con la sua voce incolore, “quindi, prima di dirti addio per sempre, vorrei farti una domanda e una proposta. Ti sta bene?” chiede lui, continuando a tirare a canestro.

“Mi sta bene.” Rispondo, perché non c’è altro da fare, in fin dei conti.

“Perché mi odi? E non tentare di rifilarmi la solita cazzata che, siccome tu ami la Akagi e lei ama me, di conseguenza è naturale che tu provi odio nei miei confronti, perché ormai non ci crede più nessuno. La Akagi non te la fili più dalla fine del primo anno. Se proprio devi odiarmi, almeno non farlo per la ragione sbagliata.”

Le sue sono parole dipinte nell’aria, sbuffi di fumo caldo nell’inverno ghiacciato che c’è al di fuori di questa palestra. Al di fuori di noi. E me lo dice mantenendo il suo tono piatto, di finto disinteresse, ma tra le righe, nelle sfumature invisibili delle parole, mi chiede cose che invece hanno valore, per me, per lui.

“Ecco…” inizio io, ma le parole non escono. Da una parte sento il bisogno di inventare una bugia, ma mi sembra così disonesto e vigliacco che quel pensiero viene subito cancellato.
Lui continua a tirare. Io continuo ad amarlo.
Posizione. Tiro. Canestro.
Sta per tirare per l’ennesima volta quando butto fuori un “Non ti odio” che suona strano persino alle mie orecchie; la palla compie un mezzo cerchio in aria, rimbalza sull’anello, ed esce. Rotola fino ai miei piedi e io la raccolgo. Sorrido, un sorriso vero, perché mi viene semplicemente naturale, adesso, in questo istante in cui lui è sorpreso e io sono solo me stesso. Quasi non ci credo che appena due anni fa avrei fatto carte false per vedere una toppata così grossa in piena partita; sembra quasi la vita, i ricordi di qualcun altro, qualcuno che non sono io, perché adesso farei carte false per poterlo solo sfiorare.
Lui fissa la palla del mancato canestro e mi viene il dubbio che sia sorpreso perché ha sbagliato e non perché gli ho detto che non lo odio, ma la palla è andata fuori, per cui va bene lo stesso. E lo amo ancora, come un minuto fa, glielo vorrei dire, adesso.

“Non mi odi?”
“No.”
“E tutte le scenate, le risse, le urla?”
“All’inizio erano vere. Volevo superarti nel basket e rubarti il cuore di Haruko. Dopo credo di aver solo cercato di evitare di farmi male.”

Glielo dico perché ormai non c’è più niente da perdere, è una confessione, questa. Una confessione dove ammetto che le mie uscite, le mie spacconate, le mie risate, tutto il mio essere di questi tre anni sono il completamento perfetto di una maschera.
Ma lui lo sapeva già, perchè non ha mai avuto bisogno di parole.

“Hai mentito. Sempre.”
“Lo fai anche tu. Non sei così fuori dal mondo come vuoi far credere, Rukawa. Ti sei persino accorto che Haruko non mi piace più.”
“Io non mento, fingo di ignorare il resto del mondo. E’ diverso.”
“Sì, può darsi. La domanda l’hai fatta, adesso dimmi qual è la proposta.”
“One on One. Si arriva a venti.” Dice lui, un leggero sorriso e uno sguardo di sfida negli occhi blu. Credo che dovrò rimandare ulteriormente la mia dichiarazione, ma va bene così.
“Ci sto.”

C’è solo il rumore di gomma sul parquet della palestra che riflette le sagome dei nostri corpi che, per brevi istanti, esisteranno solo l’uno per l’altro.



Fine

   
 
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