The hardest escape of
Sirius Black
Sirius salì le scale piano, un gradino alla
volta, abbandonando la solita fretta che lo aveva sempre accompagnato lungo quei
gradini ricoperti di velluto verde.
In ogni altra occasione, si sarebbe mosso correndo, precipitandosi nella sua
grande e austera stanza, anche solo per la soddisfazione momentanea di sentire
il rumore sordo della porta che si chiudeva bruscamente alle sue spalle.
In quella tiepida sera di inizio estate, invece, Sirius si concedette la calma
di percorrere lo spazio che separava l'ingresso della sala da pranzo di casa
Black dalla porta della sua stanza senza nessun tipo di premura o furia. Si
sentiva straordinariamente libero, e questa consapevolezza sembrava sopraffarlo
di fiducia e determinazione. Tuttavia sentiva anche una recondita e malcelata
esigenza di soffermare l'attenzione su tutti quei particolari che, di lì a
poco, si sarebbe premurato di non rivedere più.
Stava per fuggire via da quella casa, finalmente, eppure sapeva bene che il
lasciarsi tutto alle spalle non avrebbe comportato necessariamente il
dimenticare.
Questa volta aveva riflettuto a lungo, confinando il suo istinto in favore di un
necessario raziocinio ed esaminando e valutando i principali risvolti o
significati che la sua decisione avrebbe potuto implicare.
No, non poteva illudersi di dimenticare, ma se proprio avesse dovuto ricordare,
allora avrebbe fatto in modo di conservare nella memoria i tratti salienti di
Grimmauld Place, quelli oscuri e sporchi, quelli che l'avevano indotto a
scappare.
Dopotutto, voleva solo concedersi la possibilità di avere una certezza in mezzo
a quell'intricata rete di paura che stava avvolgendo tutto.
Così, indugiò nella maestosità tetra di quella casa per parecchi minuti,
finché non sentì lo scatto una porta che si apriva e i passi veloci di
qualcuno lungo uno de corridoi.
Sapeva bene a chi appartenesse quell'andatura ansiosa, ma non vi badò,
continuando a salire i gradini uno alla volta, lentamente.
Impiegò un po' ad essere raggiunto. Quella casa possedeva caratteristiche molto
affini a quelle di un labirinto enorme e inaccessibile.
Quando Regulus si avvicinò, venendogli incontro dall'estremità di uno dei
corridoi del secondo piano, Sirius accennò un movimento con il capo e proseguì
senza prestare ulteriore attenzione.
L'espressione tesa e dura sembrava risplendere sul viso ombroso di Regulus.
"Nostra madre dice che te ne vai" proruppe quest'ultimo, evidentemente
scosso.
"Ti sembrerà strano detto da me, Reg, ma nostra madre, Sua Altezza Egregia
e Onnipotente, ha ragione". Rispose Sirius, facendo seguire le parole da un
accenno forzato di risata. Non era sicuro se quella parvenza di allegria fosse
atta a indurre il fratello a demordere da qualsiasi tentativo, o se invece
servisse di più a far sentire al sicuro sé stesso.
Regulus, a quel punto, senza sprecare fiato in altre parole, si gettò sul
fratello e tentò di colpirlo sul viso con un pugno, con una forza inconsueta,
dettata più da rabbia e rancore che da effettivi muscoli.
Sirius, senza troppo impegno, evitò il colpo e si allontanò, con movenze lente
che lasciavano trasparire un'ostentata calma.
Era abituato a certi scontri con Regulus, e in alcune occasioni li trovava
persino divertenti, ma l'idea che suo fratello volesse prenderlo a pugni proprio
l'ultimo giorno della sua permanenza in quella casa non lo rendeva
particolarmente allegro.
Le urla di sua madre lo avevano già sottoposto a una dura prova di
autocontrollo. Non era stato facile ascoltare parole così amare, né tanto meno
fissare lo sguardo in quegli occhi appena più scuri, ma così indiscutibilmente
simili, per quanto distanti.
Con il padre, invece, la parte difficile era scivolata via con meno attrito, e
tutto era accaduto in modo molto più veloce: la sua mano che impugnava la
bacchetta di Sirius, minacciando di spezzarla, minacciando di privarlo di ogni
cosa necessaria ad un mago, ma soprattutto del suo grande, potente, influente
nome. "Te ne pentirai, Sirius Black" aveva detto. Poi, solo un ultimo
lacerante grido.
Adesso, per finire, sembrava proprio che anche Regulus volesse la sua parte di
gloria.
Se non altro nessuno poteva negare che i Black avessero un gusto quanto mai
eccentrico, in fatto di addii.
Rassegnato dunque a una reazione poco pacifica, Sirius ritornò sui suoi passi.
"Regulus, non è il caso di scaldarsi tanto".
"A no?".
"No. E poi lo sai che non puoi cavartela se facciamo a botte io e te".
Sapeva che lo avrebbe istigato con una frase del genere, ma certi atteggiamenti
erano così radicati fra loro due da non poterne quasi più fare a meno. Il
confronto con suo fratello era stato decretato fin dall'infanzia, quando ancora
sua madre e suo padre erano contenti di veder emergere il loro primogenito. Più
tardi, invece, dopo lo smistamento a Grifondoro, il vero degno discendente dei
Black divenne ufficialmente Regulus, e il resto della famiglia si adoperò per
non notare, neanche per sbaglio, il singolare carattere di Sirius e la sua
attitudine a distinguersi e primeggiare.
Probabilmente, il loro astio misto a sporadica indifferenza era stato voluto e
cercato più da altri che da loro stessi, e Sirius se ne rese conto per la prima
volta proprio quella mattina, in quegli istanti in cui rimasero uno di fronte
all'altro, senza parlare.
Si guardarono ancora per qualche secondo, pensierosi, prima che Regulus
ritentasse l'attacco con una scarica di pugni mirati a ogni centimetro di Sirius
che poteva raggiungere.
Riuscì a sfiorare due volte uno zigomo, appena un secondo prima che Sirius
scattasse in avanti prodigandosi nella sua dose di colpi.
"Se stai cercando di fornirmi motivi in più per andare via di qui,
rilassati. Ti avevo già incluso alla lista. Puoi sentirti importante anche tu,
adesso" disse, non appena si furono divisi.
Regulus smise si affannarsi, e si appoggiò ansimante alla parete. Il suo
sguardo sembrava combattuto fra disprezzo e tensione.
"Sia chiaro che non mi importa nulla di te" disse.
"E' chiarissimo".
"Bene".
"Bene. Quindi, se non c'è altro, me ne vado, e se anche ci fosse altro,
tienitelo per te".
Così dicendo, si allontanò. Giunto circa a metà dell'ampio corridoio, sentì
Regulus gridare da dietro le sue spalle.
"Non puoi andare via".
Sirius tornò a guardare verso di lui. Le parole appena sentite lo colsero alla
sprovvista. Si era aspettato di tutto, disprezzo, urla, addirittura qualcosa di
brutale, tipicamente in stile Black, ma di certo non immaginava di trovarsi di
fronte all' insistenza di Regulus. Non si erano mai curati granché l'uno
dell'altro.
"Perché no?" gridò di rimando.
Ma in quel momento vide che Regulus non era più solo nel corridoio. Di fianco a
lui, austeri e rigidi ancora più di quanto fosse usuale, c'erano adesso sua
madre e suo padre.
Il signore e la signora Black, colonne portanti di una casata potente.
Sirius li guardò, e ancora una volta notò che nei loro occhi non vi era
traccia di rammarico, dispiacere, tristezza, ma solo di delusione.
"Non c'è più motivo di parlare con lui, Regulus", pronunciò sua
madre a conferma di ciò. "Non è più un Black. Non è più un problema
nostro".
Regulus abbassò lo sguardo. "Certamente, madre" disse.
"E questo" proseguì la signora Black, rivolgendo il suo tono crudo e
distaccato a Sirius, "significa che non vogliamo vederti mai più".
Sirius incassò ancora una volta un colpo più duro di qualsiasi pugno di
Regulus.
In preda alla tensione, realizzò di non aver mai dato tanta importanza alle
parole di sua madre come in quel momento. Malgrado tutto, si era illuso di poter
scorgere un qualcosa di lontanamente materno in quella figura imponente e
severa, ma si rese presto conto che gli sarebbe occorsa una fervida fantasia.
Neanche al momento della separazione sua madre avrebbe, infatti, dato segni di
cedimento.
"Sapete" disse amaramente, "è giusto così. Io per la mia
strada, e voi per la vostra. Potete anche fingere di cacciarmi via di qui,
potete sfogare la vostra rabbia in atteggiamenti sprezzanti. State solo
dimenticando un piccolo particolare: non siete voi a rifiutare me".
Le parole arrivarono chiare all'orecchio della famiglia Black, ma nessuno di
loro si fece avanti con una risposta.
Improvvisamente, Sirius sentì la rabbia prevalere su tutto il resto, e senza
aggiungere nulla prese a correre velocemente.
Quando si fermò, di fronte all'ingresso ancora protetto dagli incantesimi,
gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
I momenti che seguirono furono abbastanza confusi, e nella sua memoria, più
tardi, sarebbero rimaste solo tracce frammentate, ad eccezione di un unico
particolare.
Non avrebbe mai dimenticato il suono di quell'antico portone che si chiudeva,
con un ultimo tonfo sordo, alle sue spalle.
*
I binari della metropolitana sembravano tante
strisce scure che si perdevano nel buio delle gallerie, qualche metro sotto il
suolo di Londra.
Poca gente sedeva in attesa del treno, e un addetto alle pulizie dall'aria seria
trascinava un straccio consunto avanti e indietro, con gesti così regolari da
sembrare in qualche modo ritmici.
In un angolo poco distante, un gruppo di ragazze che probabilmente aveva
infranto da parecchio il coprifuoco serale, aveva cominciato a parlare
concitatamente, sorridendo di tanto in tanto e lanciando furtive occhiate ad un
ragazzo alto, appoggiato con la spalla allo spigolo di una parete.
"Oh, guardatelo! E' così…"
"Incredibilmente bello?".
"Già…" sospirò una di loro. "Ma sembra triste. Triste e
preoccupato".
"Ma no, secondo me ha la tipica espressione di uno completamente
indifferente al resto del mondo. Considerato poi che lo stiamo fissando da tre
ore, e lui non ci ha degnato neanche di uno sguardo!".
"Credo sia meglio così, Jo. Uno sguardo come quello, puntato addosso,
farebbe venire voglia di svenire perfino a te, Miss Cinismo e
Razionalità".
Risero tutte, fingendo disinvoltura nell'avvicinarsi ancora un po' a quel
ragazzo di cui non riuscivano a indovinare nulla.
Sirius, dal suo angolino evidentemente non così nascosto, aveva notato
distrattamente le attenzioni di quelle ragazze, ma non si sentiva dell'umore
adatto per girarsi verso di loro e sorridere. Per quanto il suo naturale istinto
da Casanova fosse riluttante all'idea di un'occasione persa, la sua parte più
profonda non aveva ancora smesso di sentirsi arrabbiata, abbattuta, triste e
spaventata, sebbene fosse difficile ammetterlo.
In quell'istante, i tratti colorati del primo vagone del treno cominciarono a
risplendere nel buio della galleria, e circa un quarto d'ora dopo Sirius si
trovò di fronte all'architettura curata ed elegante di Victoria Station, nel
cuore di Londra.
Tutt'intorno vi era un frastuono di passeggeri e treni, fischi e voci concitate,
e perfino i venditori ambulanti offrivano a gran voce croissant caldi, come di
mattina presto.
Le espressioni di quei mille volti, i gesti ripetitivi dei bigliettai, tutto
quanto sembrava di una normalità spaventosa, così contrastante con lo stato di
irrequietezza e subalterno panico in cui si trovava Sirius.
Avanzando fra la folla, vagò con gli occhi sul cartellone colorato che indicava
le destinazioni, fino a che non scorse il nome che stava cercando.
Cardiff - Wales.
Sentendo un improvviso senso di tranquillità, riuscì perfino a sorridere al
signore canuto che gli vendette il biglietto.
"Vai in Galles, ragazzo?".
"Sì" rispose.
"E' un posto magnifico".
"Già".
"Non arriverai prima delle tre di notte, giovanotto. Preparati a un bel
viaggetto".
Sirius sembrò riflettere un secondo sulla risposta.
"Non è un problema. Sto andando a casa" disse poi.
L'uomo dietro al bancone gli sorrise a mò di saluto, e Sirius si allontanò
provando un'incredibile affetto per tutto ciò che al mondo avesse in qualche
modo a che fare con il Galles.
Mentre salì sul treno, realizzò di non avere dato ai signori Potter uno
straccio di preavviso, né tantomeno una spiegazione plausibile del suo piombare
in piena notte a casa loro.
La signora, con tutta probabilità, si sarebbe anche presa il disturbo di
insistere per preparagli un tè caldo, facendolo sentire terribilmente in colpa
e terribilmente vicino a lacrime di commozione per un affetto così sincero e
generoso.
Per quanto la cosa potesse essere, per sua stessa ammissione, poco virile,
Sirius non poteva assolutamente nulla contro l'affetto filiale che provava per
la madre di James.
Quando si accomodò sul treno e guardò fuori dal finestrino, al posto del
suggestivo panorama notturno vide il volto assonnato di James che compariva nel
vano della porta di ingresso, e il guizzo sorridente che si sarebbe lasciato
sfuggire, in mezzo alla sorpresa.
Senza quasi rendersene conto, Sirius sorrise impercettibilmente, fra sé e sé,
iniziando a essere grato al suo migliore amico quattro ore prima del necessario.
Poi, per la prima volta da parecchio tempo, si concesse di rilassarsi, chiudendo al
di fuori di quella carrozza tutto quanto.
A motivi, spiegazioni e scuse avrebbe pensato più tardi, se mai ce ne sarebbe
stato bisogno.