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Autore: tatefra    20/10/2004    1 recensioni
Una storia brevissima sulla scoperta della condizione di Remus di uno dei malandrini ... Dedicata a un sogno, un'amica e pensiero felice
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La strada sembrava libera, era pomeriggio, ma tutti erano nelle sale comuni a studiare. Una figura sgattaiolava non vista fino alla porta dell’infermeria, solo un attimo di fortuna e sarebbe arrivato. -Una visita fuori programma, ne sarà felice, ed ho con me Api frizzole e Cioccorane, faremo indigestione.- pensò il giovane mago avvicinandosi. La porta scivolò silenziosa, entrò di corsa, la stanza appariva vuota. D’un tratto rumori di voci e passi che si muovevano rapidi per arrivare lì. Il ragazzo si nascose in un piccolo vano, protetto dal mantello dell’invisibilità. “E’ inconcepibile!!!” la donna entrò rapida, lo sguardo torvo e le gesta stizzite. “Come può Silente permettere che accada questo” proseguì a tono basso ma nervoso. Poppy entrò subito dopo, visibilmente arrabbiata “La prego di uscire subito dalla mia infermeria” disse con tono basso e feroce “Lei non ha alcun diritto di stare qui … né di parlare a quel modo” “Come si permette?!?” chiese offesa la maga. Minerva superò la soglia della porta “Come si permette lei. Crede forse di poter avere migliore capacità di giudizio del nostro preside, Madama Bruf?” La maga la guardò adirata “Dico solo che tenere un lupo mannaro in questa scuola insieme a tutti i ragazzi è una cosa insensata e pericolosissima. Si rende conto che “quello” è un pericolo di morte per tutti noi?” Minerva socchiuse gli occhi, una furia sorda e cieca si leggeva in ogni tratto del volto, le labbra sottili strette con forza. Poppy si avvicinava, un implacabile giudizio negli occhi. “Glielo dirò un’ultima volta, poi prenderò provvedimenti ben più drastici. “Quello” come lei lo ha definito è solo un ragazzo del tutto innocente di ciò che gli è accaduto. Silente ha preso ogni precauzione per la sicurezza di tutti.” Minerva si fece vicina, dal volto sembrava emanare fuoco puro, energia che bruciava minacciosa. “E lei, non deve azzardarsi mai più a chiamare Lupin come “quello”, lei non deve nemmeno azzardarsi a trattarlo men che bene. Perché se dovessi minimamente sospettare che lei fa delle ingiustizie, sappia che dovrà vedersela con me e io non sono tollerante come il nostro preside. Ora se ne vada” Rossa in viso Madama Bruf guardò le due donne e uscì di corsa. “Minerva, che razza di persona abbiamo come insegnante di divinazione. Silente dovrebbe proprio decidersi ad eliminare quella materia” Poppy parlava sottovoce, ma il ragazzo nello stanzino sentiva le sue parole proprio come aveva sentito quelle precedenti. “Hai ragione Poppy” disse Minerva rasserenandosi “Ma quella donna è da compatire, come tutti coloro che non sanno cogliere l’umanità guardando una persona” Minerva si avvicinò al lettino. Le coperte disegnavano una sagoma distesa di fianco. “Povero ragazzo, che vita sfortunata. Un fardello così grande e senza nessuna colpa” Il dolore nelle parole di Minerva era quasi tangibile, i suoi occhi prima feroci ora si adagiavano con dolcezza su quel corpo addormentato quasi a volerlo proteggere. “Ma finché sarà qui ci prenderemo cura noi di lui” disse più a se stessa che a Poppy in piedi accanto a lei. “Si Minerva, noi ci prenderemo cura di lui. Ora lasciamolo dormire” Le due donne uscirono dall’infermeria e tutto fu silenzio. Il respiro affannato, il gelo nel cuore, la mente come bloccata su un pensiero ripetitivo. “Un lupo mannaro” solo quello sembrava rimbombare nelle pareti del cervello, come un suono urlante che esplode e si ricompone per esplodere un istante dopo. Il suo amico era un lupo mannaro. La verità di tutte quelle giornate di malattie, di viaggi insensati, di mancanza a stento giustificata, era ora chiara nella sua mente, come una stalattite di ghiaccio, fredda, trasparente, appuntita … “Remus …” disse sottovoce nascosto nel suo angolo, troppo lontano dal letto per essere sentito. Non si accorse delle lacrime che scendevano silenziose, della vista che si offuscava e del fiato che diventava sempre più corto. Riusciva solo a percepire il suo profondo e sconfinato affetto per il suo amico e l’idea di quell’immenso incommensurabile dolore ferirlo come una lancia in pieno petto. Il volto cercava di scorgere le forme in lontananza. Il suo cuore cercava di ritrovare l’immagine del suo compagno, ora sovrastata dalle foto dei libri di bambino, dove orchi e lupi mannari erano incubi feroci di cui avere paura, esseri disgustosi e crudeli da uccidere. Avrebbe voluto fuggire via lontano da lì, ma restava fermo. Il respiro affannoso, il viso bagnato da lacrime amare. La gioia della sua fuga in infermeria fuggita in un istante. “E tu Remus, se potessi esprimere un desiderio cosa vorresti?” le mille domande di James, uno dei giochi delle sere in camerata. Remus, i tratti stanchi e un po’ pallido, sorrideva “Io vorrei solo qualcuno che mi vuole bene” James l’aveva guardato stupito “Ma allora sei sistemato … hai visto come ti fissa Isabel??” e tutti erano scoppiati a ridere, anche Remus. Ora capiva … qualcuno che mi vuole bene … Remus … Si dette dello stupido, come poteva non aver minimamente capito cosa viveva il suo amico … perché Remus non era un lupo mannaro era il suo amico … il suo amico. Certo James era il compagno di scorribande, il più pazzo compagno di giochi, ma Remus era il suo amico del cuore, quello a cui voleva bene più di tutti. Non glielo aveva mai detto, non si dicono queste cose fra maschi, ma era così, lo era stato da subito. Quell’affetto invisibile agli altri, era un legame sottile e forte dentro di lui. Remus era il fratello che poteva amare invece che disprezzare, era l’affetto vero e sincero. Sirius chiuse gli occhi … come aveva potuto non capire, come aveva potuto non vedere … perché lui era sempre pronto a giocare e sapeva di poter contare su Remus sempre e non si era mai fermato a guardare, perché Remus era Remus e niente avrebbe mai cambiato questo per lui. E il suo amico soffriva in silenzio, affrontava quell’incubo feroce da solo e lui non lo aveva capito, anche lui lo aveva lasciato solo, proprio lui che gli voleva bene. Strinse forte i pugni e chiuse gli occhi … avrebbe solo voluto urlare. Un respiro profondo. I pugni si sciolsero, le lacrime furono asciugate, gli occhi si fecero forzatamente sereni e a grande fatica sorridenti, lento fece scivolare il mantello dell’invisibilità e si avvicinò al letto. “Se continui a dormire così diventerai un ghiro” Remus si voltò e socchiuse gli occhi assonnati. “Sirius! Ma cosa ci fai qui?” disse mentre si sollevava a sedere, il volto pallido e l’aria stanca. “Che gusto ci sarebbe a venire quando possono tutti” disse con fare beffardo e ridacchiando. Remus non potè fare a meno di ridere a sua volta “Sei sempre il solito” rispose scuotendo appena la testa. “Mi vorresti diverso?” disse fingendo un’offesa che non c’era. Remus lo guardò un po’ poi sorrise “No” “Bene” rispose Sirius, mentre stendeva sul letto la sua scorta di dolciumi “Perchè io ti voglio bene e te ne vorrò sempre Remus, qualunque cosa accada” Cercava di avere l’aria indifferente, ma i suoi occhi tradivano una dolcezza e un affetto nuovi. “Anch’io ti vorrò sempre bene Sirius” disse Remus guardandolo sereno “Anche se sei un pazzoide” Risero entrambi, poi Sirius prese a raccontargli gli scherzi fatti in sua assenza con dovizia di particolari. Le parole erano quelle di sempre, ma Sirius nel suo cuore sentiva come uno scudo caldo l’affetto per Remus, sarebbe stato sempre suo amico, a qualunque costo.
  
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