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Autore: giambo    22/09/2013    2 recensioni
In principio, tutto ebbe inizio nello spazio più profondo, in un luogo spietato, freddo e senza regole. Dove a vincere era il solo ed unico volere di una creatura talmente potente, da risultare onnipotente.
All'inizio di ogni cosa, ci furono le selvagge montagne, fredde come il ghiaccio, dove i guerrieri venivano messi alla prova.
Perché fu così, che la saga dorata ebbe inizio
Genere: Avventura, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bardack, Freezer, Goku, Nonno Gohan
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Il Saiyan

 

Correva. Correva sempre più veloce lungo l'angusto corridoio che si snodava sinuoso verso l'alto. I suoi passi rimbombavano sulla pietra con pesantezza, mentre i suoi movimenti, di solito sempre agili e letali, erano confusi e scoordinati.

Doveva correre. Correre verso l'alto. Verso il cielo. Verso lo spazio. Verso la morte.

Il suo respiro era sempre più pesante, per la seconda volta in pochi giorni avvertì le forze abbandonarlo in maniera vertiginosa. Sentiva i muscoli delle gambe bruciare come tizzoni incandescenti, mentre il bruciore delle ferite era più vivo che mai.

Si sentiva una merda.

Però non poteva fermarsi. L'aveva promesso. Aveva promesso che non avrebbe lasciato impunita la loro morte. E finché avesse avuto sangue nelle vene lui non si sarebbe fermato.

No, non poteva fermasi. Il suo corpo non lo poteva tradire in quel momento, dannazione! Non ora che doveva vendicarli.

Brandelli di memorie lontane e di futuri nascosti gli bombardavano il cervello, accrescendo la sua confusione mentale. Vide immagini di giorni ormai lontani. Una vita passata a combattere ed ad uccidere. Allenamenti, sangue, sudore, dolore, ossa rotte, organi spappolati, sesso violento e crudo. Pianeti da conquistare e da assoggettare in continuazione. Una vita piena ed intensa. Una vita cruda e violenta. Una vita dove però esisteva anche la fiducia nei propri compagni, la gioia di poter stroncare vite su vite rendendosi conto di star diventando sempre più forte, i momenti di piacere estremo quando si univa ad una lottatrice violenta e selvaggia che lo graffiava, lo mordeva e cercava in ogni modo di comandare lei il gioco, mentre lui la penetrava con violenza e forza, godendo del piacere misto a dolore che lei gli donava in quegli istanti.

Questa era la vita per Bardack. Un'esistenza che apprezzava ed amava.

Una vita che ora era in procinto di sparire.

Le sue gambe incespicarono sui lisci gradini, facendolo crollare pesantemente a terra. Sentì i denti scricchiolare all'impatto con la fredda pietra. Il suo palato assaporò un gusto per lui familiare: quello del suo sangue.

Il saiyan tentò di alzarsi. Imprecò sonoramente quando sentì i propri muscoli tremare per lo sforzo di rialzarsi. Bestemmiò.

L'immagine del pianeta azzurro gli invase la mente per l'ennesima volta. Lasciandolo disorientato e confuso.

“No...” balbettò mentre stringeva le mani a pugno. Dalle sue nocche gocciolava lento sangue scuro. Il suo.

“Non...adesso...” ringhiò mentre, con un urlo, bestiale, si rialzava. I gradini sotto di lui erano viscidi di sangue.

Il guerriero ansimò pesantemente mentre tentava di schiarirsi la mente. Si sentiva a pezzi. Raramente gli era capitato di subire ferite così gravi in battaglia. Ma la cosa peggiore era la sua mente. Quest'ultima gli si era rivoltata contro, accecandolo con una miriade di immagini senza alcun senso logico.

E poi c'era quella voce...

 

“Osserva bene e soffri! Soffri come non hai mai sofferto in vita tua! Ahahaha!!”

 

Vide Kakaroth, suo figlio, allenarsi sotto la supervisione di un vecchietto. Successivamente, lo vide combattere contro numerosi guerrieri e uomini, diventando sempre più robusto, sempre più forte...

 

“E' un destino di morte quello che vi attende...”

 

Lo vide affrontare un potente alieno dalla carnagione verdastra. Lo osservò mentre meditava in un cortile di pietra, circondato da antichi alberi e sotto la volta celeste del pianeta azzurro...

 

“Lo stesso destino a cui siamo andati incontro noi, coinvolgerà anche voi!”

 

Lo guardò, ormai adulto, mentre combatteva in un quadrato di pietra duro. Lo osservò battere uno dopo l'altro tutti i suoi avversari.

Combatteva con forza e violenza. Come un vero saiyan. Nessuno poteva tenergli testa. Nessuno...

 

“Osserva! Guarda! Osserva bene e soffri! Soffri come non hai mai fatto! Ahahaha!!”

 

Suo figlio.

Kakaroth.

Il pianeta azzurro.

Freezer.

Vegeta-sei.

Un bagliore accecante gli inondò la mente, facendolo rinvenire.

 

Era appoggiato ad una parete. A metà cammino dalla sua meta. Ansimava pesantemente. Rivoli di sudore gelido gli scorrevano lungo il corpo, mischiandosi al sangue e creando un plasma rossastro che gli scivolava pigramente lungo le gambe, andando ad annacquare la pozza di sangue che si estendeva ai suoi piedi.

Scosse la testa. Quelle immagini...ormai erano da giorni che lo tormentavano. Sapeva che erano vere. Sapeva che quello che vedeva era il futuro. Che ogni cosa da lui vista sarebbe accaduta.

Strinse i pugni con rabbia. Non lo poteva accettare. Non poteva permettere che quello che vedeva accadesse davvero.

“Freezer...dannato traditore!” pensò mentre tentava di trasformare la sua rabbia in nuova energia per il suo fisico.

Si staccò dalla parete, riprendendo a correre come una furia verso l'alto.

Correva, correva, correva...

Correva verso la morte.

Verso la fine della sua razza.

 

Il sudore gli colava pigramente dal mento, andando a bagnare la soffice terra che si estendeva sotto di lui.

Il saiyan alzò lo sguardo sorpreso. I suoi occhi scuri esploravano il luogo che lo circondava con stupore. Un tenue vento gli sibilò vicino al volto, raffreddando il sudore e portandogli alle narici un forte odore salmastro.

Bardack non comprendeva. Dov'era? Come ci era arrivato in quel posto? Cosa ci faceva là?

“Sto sognando di nuovo?” mormorò perplesso. Ma se il suo era un sogno, era incredibilmente reale. Sentiva la terra comprimersi sotto i suoi stivali, il vento asciugargli il sudore che gli ricopriva il collo, il mare verdastro che si infrangeva sugli scogli rompendo il silenzio che regnava.

Il saiyan si girò.

E lo vide.

Il suo cuore perse un battito mentre vedeva quella persona a lui sconosciuta e familiare allo stesso tempo. Lo sapeva. Lo sentiva. Era lui. Suo figlio. Kakaroth.

Allungò una mano. Non sapeva perché lo stava facendo. Non aveva mai provato un moto d'affetto per il suo primogenito, e quando era stato informato che sarebbe diventato padre per la seconda volta si era sentito solo infastidito all'idea di dover allenare un altro moccioso. Quando poi aveva saputo che Kakaroth possedeva una forza combattiva vergognosamente bassa, Bardack l'aveva disprezzato. Cancellandolo totalmente dalla sua mente.

Eppure ora stava allungando una mano verso di lui. Non sapeva perché lo stava facendo. Per amore paterno? Per cercare aiuto? Perché sapeva che lui sarebbe sopravvissuto alla tremenda catastrofe che di lì a poco si sarebbe verificata? Non lo sapeva. Forse era tutto e niente. Lo faceva perché sentiva di doverlo fare. Di dover toccare suo figlio almeno una volta.

“Kakaroth, figlio mio, sei tu?” domandò con voce affaticata mentre tentava di raggiungere il guerriero girato di schiena. Era alto come lui. Era la sua copia. Erano come due gocce d'acqua. Notò però che di costituzione era più esile di lui e Radish, il suo primogenito, spedito in missione mesi prima verso il suo primo pianeta.

Forse lui sarebbe morto, ma la sua discendenza sarebbe sopravvissuta. Non sapeva se essere felice o incazzato come una bestia per questo.

Poi, quando la sua mano ormai sfiorava la stoffa della tunica di Kakaroth, accadde.

Suo figlio scomparve. E Bardack poté vedere il demone traditore negli occhi. Specchiarsi in quei rubini crudeli, comprendendo che presto anche lui e tutta la sua razza sarebbero stati buttati nel baratro di morte da quello sguardo folle.

Urlò. Urlò dal dolore e dalla rabbia, mentre tutto attorno a lui esplodeva in una luce abbagliante.

 

Bardack vide una densa e fresca oscurità davanti a lui. Incespicò, rischiando di nuovo di cadere, ma con uno sforzo riuscì a rimanere in piedi.

Era successo. Di nuovo.

Aveva visto il futuro. Un'altra volta.

Contrasse la mascella. Odiava quelle immagini. Gli ricordavano in ogni momento del fato che toccava a lui e alla sua razza, ovvero che sopra Vegeta-sei e tutti i suoi abitanti pendeva una sentenza di morte.

Ringhiò di rabbia, stringendo spasmodicamente i pugni e conficcandosi le unghie nella carne martoriata dei palmi.

“Non è finita.” mormorò a denti stretti.

Riprese a correre verso l'alto.

La clessidra dei saiyan si stava svuotando velocemente...

 

Il vento arido gli sferzava il volto, facendolo rabbrividire a contatto con l'esterno. Uno dei soli del pianeta illuminava con una luce cruda e aspra la superficie di Vegeta-sei, mentre l'odore dei bassifondi della città gli solleticavano le narici.

Bardack alzò lo sguardo. Nonostante il riverbero accecante dell'astro infuocato, egli riuscì a scorgere la sagoma circolare della navicella del traditore. Si stava avvicinando a velocità sostenuta, con un obbiettivo semplice e deciso: sterminarli.

Il saiyan rimase immobile per alcuni minuti. Minuti in cui gli parve che sull'intero pianeta fosse sceso il silenzio. Dove prima sentiva il sibilo del vento o gli strilli dei passanti sotto di lui, ora tutto intorno a lui era immerso in un immoto silenzio, denso e pesante come un sudario.

Il suo sguardo bruciante si fece più fioco mentre i ricordi di un intera vita gli scorrevano davanti. Una vita che aveva amato e che avrebbe desiderato con tutto sé stesso proseguire. Era un'esistenza crudele e sanguinaria la sua, ma Bardack l'amava e avrebbe fatto di tutto pur di difenderla.

Toma, Seripa, Toteppo e tutti gli altri suoi compagni avevano già pagato il tradimento di quel folle di Freezer. Sentiva dentro di lui ancora le ultime parole del suo amico e compagno moribondo.

 

“Vendicaci Bardack...ti scongiuro! Fa che la nostra morte non sia stata inutile...”

 

Si toccò la fascia che portava alla fronte. Era il fazzoletto di Toma, quello che il guerriero saiyan amava portare sempre con sé. Un fazzoletto stinto e bianco che per anni Bardack aveva visto legato al braccio del suo vice. Ed ora era lì, stretto sulla sua fronte e rosso del suo sangue.

Il sangue dei suoi compagni.

Il ricordo della loro morte riaccese di una fiamma i suoi occhi. Una fiamma nera e bruciante come le tenebre. Un ardore pieno di odio gli riempì le membra di un furore immenso. La sua espressione mutò, diventando feroce, selvaggia e spietata. Un'espressione che solo un saiyan poteva assumere.

Rivide per l'ennesima volta dentro la sua mente l'esplosione di Vegeta-sei. A quella vista digrignò i denti, ringhiando come un lupo.

Era solo. Solo contro Freezer e tutti i suoi uomini. Ma la cosa non gli importava più. L'avrebbe sconfitto. A tutti i costi.

“Ti farò vedere io! Cambierò il futuro!” ringhiò stringendo le mani con forza.

Bardack tese le gambe, pronto a scattare come una molla, cercando di radunare tutte le forze che gli erano rimaste.

Non si era mai sentito così pieno di rabbia, odio e determinazione. Il saiyan ne era sicuro: sarebbe riuscito a fermare Freezer. L'aveva promesso a Toma. Lo doveva ai suoi compagni caduti in battaglia e a tutta la sua specie. Non avrebbe permesso a quel folle di sterminarli.

“Riuscirò a cambiare anche il destino!” urlò verso il cielo rossastro del suo pianeta d'origine.

Infine il guerriero scattò. Volò verso il cielo urlando parole di sfida. Volò. Volò con il cuore pieno di rabbia e odio verso il suo destino e quello della sue specie.

 

Volava. Volava veloce come non aveva mai fatto. Il vento gli ruggiva nelle orecchie, assordandolo e ricacciandoli in gola le urla animalesche di sfida che emetteva. Ma poi il vento sparì, facendogli comprendere che stava abbandonando l'atmosfera del pianeta.

E fu allora che li vide.

Soldati. Centinaia di soldati che si lanciavano contro di lui. Erano i soldati elitè dello spazio. La guardia personale di Freezer. Guerrieri che appartenevano alle razze considerate più pure e degne di vivere dell'universo. Mentre lui era solo un guerriero di bassa categoria della razza più odiata e temuta della galassia.

Ma la cosa non aveva importanza.

Li sbaragliò. Uno dopo l'altro. Senza mai riposarsi, senza mai arrendersi. Il suo pensiero era rivolto solo ad una cosa sola: la vendetta. Doveva vendicare i suoi compagni, salvare il suo pianeta. Far pagare a quel traditore immondo il suo sporco tradimento. Non doveva fermarsi. Non poteva fermarsi.

Non si era mai sentito così pieno di rabbia, furore e determinazione in vita sua. Non sentiva più le ferite, il dolore o la stanchezza. Ogni sensazione o sentimento era scomparso in lui. Inghiottito da quel baratro di odio che gli si era aperto dentro.

Urlava. Urlava come un ossesso mentre combatteva, cercando di soddisfare l'immensa sete di sangue che il suo essere saiyan gli chiedeva. Un urlo inarticolato, immenso, continuo. Un urlo che riusciva a far rabbrividire anche i freddi e spietati soldati di Freezer.

Era solo contro centinaia di guerrieri. Un essere considerato inferiore contro i soldati più puri e degni della galassia. E stava vincendo lui.

“Freezer!!! Vieni fuori traditore! Esci e paga per il tuo tradimento! Devi pagare!”

Le sue urla crescevano d'intensità mentre le immagini dei corpi senza vita dei suoi compagni di mille battaglie gli riempivano la mente di dolore ed il cuore di rabbia.

“Freezer!! Affrontami codardo! Esci fuori ed affrontami!”

Il rimescolio di emozioni che lo sconquassavano lo rendevano invincibile. Nessuno di quei freddi e cinici soldati, esseri dediti solo ad uccidere per il puro e semplice gusto di farlo, poteva tenergli testa. Un saiyan assetato di odio era terribilmente difficile da fermare.

Il numero dei guerrieri era però troppo elevato. Anche per lui. Dopo aver subito numerose perdite, essi decisero di puntare più sul numero che sulla forza. Accerchiandolo ed immobilizzandolo. Bardack lottò. Usò tutte le forze che aveva in corpo per liberarsi di quegli schiavi, ma il suo fisico cominciava a non assecondarlo più. Era stravolto. Indirizzò i suoi brucianti occhi in alto, verso la navicella del traditore. Così vicina, e allo stesso tempo così distante.

Il sorriso di Toma gli riempì la mente, consentendogli di chiedere al suo fisico l'ennesimo sforzo. Non c'era tempo per riposarsi, per riprendere le forze. Lui aveva una vendetta da portare a termine.

E l'avrebbe compiuta, l'aveva giurato sul suo orgoglio di saiyan.

Con un ululato, il guerriero si liberò dei suoi avversari. Ma essi, subito dopo tornarono alla carica. Impedendogli di raggiungere il suo obbiettivo.

“Freezer! Vieni fuori! Combatti contro di me se ne hai il coraggio! Vieni avanti ed affronta il tuo destino!”

E Freezer venne.

Uscì con lentezza, lo sguardo impassibile, il volto granitico. Soltanto i suoi gelidi occhi mostravano che, sotto quella corazza di indifferenza, c'era un sentimento ad alimentare il suo glaciale cuore: la rabbia ed il fastidio di dover affrontare quel guerriero di infimo valore.

Immediatamente scese un silenzio di tomba. Non si udirono più le roche grida di guerra dei soldati, né il rumore delle esplosioni. Sembrava che anche l'universo stesse aspettando che il fato giungesse a compimento.

Bardack sorrise. Un ghigno di vittoria che gli deturpò il volto insanguinato, facendolo assomigliare ancora di più ad uno scimmione assetato di vendetta.

Era giunto il momento. Avrebbe vendicato i suoi compagni e cambiato il futuro.

“Toma...Seripa...compagni miei...” pensò mentre radunava le ultime forze, deciso più che mai a fermare l'avversario che gli si ergeva di fronte. “Presto il vostro sangue sarà riscattato.”

“Bene bene...” le sue membra tremavano dallo sforzo a cui le stava sottoponendo. Quello era l'ultimo sforzo. L'ultima fatica prima del sonno eterno. Bardack lo sapeva: qualunque fosse stato l'esito di quello scontro, per lui sarebbe finita.

Ma la cosa non gli importava più.

“Questo cambierà tutto...” sentiva il calore del suo potere scorrergli bruciante nelle vene. Lo convogliò verso l'arto destro. Con l'obbiettivo di carbonizzare il suo avversario.

“Il destino di Kakaroth...”

Era quasi pronto ormai. Mancava veramente poco.

“Il mio destino...quello di Vegeta-sei...”

Si concentrò verso il raduno di tutto il suo potere, senza notare che Freezer aveva alzato l'indice della mano destra. Dove un fioco bagliore dorato scintillava minaccioso. Quasi come una tempesta sopita da tempo che stava per risvegliarsi.

“Ma soprattutto...”

Era pronto.

“Il tuo!”

Una sfera scintillante gli percorse il palmo insanguinato. Il saiyan sentì improvvisamente un profondo fredda nelle membra. Comprese di aver messo tutto il suo essere dentro quella sfera scintillante di ki.

“E' la tua fine Freezer!” sputacchiò il guerriero mentre si concentrava al massimo. Aveva un solo colpo, e non poteva permettersi di sbagliare.

“Questa è la mia vendetta!” con un grido inarticolato, Bardack lanciò il suo colpo. Convinto di aver appena cambiato il corso del destino.

E fu allora che esso si mostrò dinanzi a lui con tutta la sua crudeltà.

Non vide Freezer contorcersi dal dolore mentre la sua sfera lo carbonizzava. Ciò che vide fu il demone bianco ridere sguaiatamente, mentre creava una sfera dorata grande. Sempre più grande. Immensa. Una bolla d'oro di oltre cinquanta metri di diametro che portava al suo interno la morte e la distruzione della sua razza. Incredulo, il guerriero vide il suo colpo venire assorbito ed inglobato dentro quest'ultima.

“Non è possibile!” esalò sconvolto. Incapace di accettare quello che i suoi occhi vedevano.

Fu allora che comprese l'immenso potere che possedeva l'essere a cui aveva lanciato la sua sfida. Un potere così grande da essere quasi inconcepibile per lui. Il suo cuore tremò mentre vide Freezer che lanciava il suo colpo.

Lanciò un urlò. Ma questo non racchiudeva rabbia, odio e disperazione, quanto un'immensa paura, e una grande impotenza. Con un rombo assordante, il ki del demone bianco lo inglobò.

Fu in quegli istanti, in quegli orrendi momenti in cui sentiva il suo corpo dissolversi nel nulla, che le porte del futuro gli si schiusero di nuovo davanti agli occhi.

 

Vide di nuovo quel paesaggio sconosciuto. Ampie isole, un immenso mare verde ed un crudele cielo dello stesso colore. Osservò suo figlio, ormai adulto, che fissava negli occhi il traditore. Colui che aveva appena condannato a morte la sua razza.

 

“Ka...ka...roth...figlio...mio...”

In quegli istanti, capì che suo figlio avrebbe un giorno affrontato il suo destino di fronte a Freezer. E comprese anche chi avrebbe vinto.

Un sorriso gli deformò le labbra ormai carbonizzate.

Poi, invocando per l'ultima volta suo figlio, Bardack scomparve. Dissolvendosi insieme alla sua specie.

 

 

Il sole illuminava con dolcezza le cime dei monti Paoz, scaldando le foglie scure degli alberi, ed illuminando di un bagliore dorato le superfici dei torrenti, dove numerosi pesci saltavano fuori nel tentativo di cibarsi delle gustose zanzare che nidificavano sulle rive dei corsi d'acqua.

Son Gohan si sistemò meglio la cesta di bambù sulle spalle. Mentre stava attendo a non inciampare sui tronchi marcescenti che intralciavano lo stretto sentiero, l'uomo approfittava di ogni spiazzo soleggiato per farsi baciare il volto dai raggi dell'astro incandescente, godendosi la bella giornata.

Era primavera, la stagione in cui la natura, dopo i lunghi mesi invernali passati in letargo, riprendeva a vivere ed a far scorrere linfa vitale in ogni anfratto della catena montuosa. Ma era anche l'epoca delle grandi piogge e dei forti temporali. Gohan lo sapeva bene visto che ci viveva da molti anni ormai. Si era innamorato di quella catena sperduta e selvaggia fin dalla prima volta che l'aveva vista. Quando aveva notato di essere diventato troppo vecchio per continuare ad ammazzarsi di allenamenti, il guerriero aveva deciso di andare a vivere là, per trascorrere in pace l'ultimo periodo della sua lunga e soddisfacente vita.

Gohan si guardò intorno mentre costeggiava un piccolo boschetto di flessibili canne di bambù. Lo studiò con fare critico, spezzò un paio di canne saggiandone la resistenza e la tenuta, e poi decise di proseguire. Aveva bisogno di nuove canne per alcune riparazioni del tetto. L'ultima pioggia ne aveva scoperchiato una parte, e lui aveva bisogno di fusti secchi e flessibili, che potessero essere lavorati in maniera tale da essere resi impermeabili alla pioggia. Il boschetto da lui visto prima era troppo giovane, e quindi il bambù era troppo duro e non si sarebbe lavorato bene.

Continuò per la sua strada, cominciando a notare che il viottolo da lui imboccato stava diventando più stretto e difficile da seguire con l'occhio. Ben presto esso scomparì del tutto, ma l'uomo non si preoccupò. Sapeva quale strada doveva percorrere per andare a prendere quello che gli serviva. Non era una strada particolarmente pericolosa o disagevole, anche se gli avrebbe sottratto buona parte della giornata. Ma dopo tanti mesi di neve e pioggia, era un piacere camminare sotto il sole.

Dopo circa una mezzora buona di cammino, Gohan cominciò ad intravede in lontananza le piante che facevano al caso suo. Attraversò un allegro ruscello che gorgogliava placidamente, levigando dolcemente alcune rocce. Con un'agilità sorprendente per un uomo della sua età, il guerriero saltò di pietra in pietra. Si muoveva con la grazia di un felino, mentre appoggiava i piedi con eleganza sugli infidi appoggi bagnati, senza mai perdere l'equilibrio o compiendo gesti affrettati o sgraziati con il resto del corpo.

Una volta di là, con il battito del cuore calmo come se avesse appena camminato per casa, Gohan proseguì per la sua strada. Assaporando i rumori della natura che lo circondavano. Il frinire di alcune cicale in un prato lì vicino, il cantò furioso di alcuni ciuffolotti che difendevano il proprio nido da un intruso e il secco rumore del becco di un picchio contro un ramo. La quiete che lo circondava era così profonda che la sua mente scivolò in un livello di rilassamento tale che ci mise qualche istante a comprendere che un nuovo rumore aveva infranto la pace della foresta.

Il pianto di un bambino.

Gohan aggrottò perplesso le sopracciglia cespugliose mentre sentiva quel urlo infantile zittire le cicale e spaventare gli uccelli. Non riusciva a trovare una spiegazione logica per quel fatto così inusuale su quelle montagne. Forse qualche turista con il proprio figlio si trovava da quelle parti, ma i monti Paoz non erano una meta turistica. Ci andavano solo gli alpinisti più esperti e qualche avventuriero con non tutte le rotelle al posto giusto. In ogni caso, un pianto così forte poteva significare che forse quel bambino era in pericolo. Deciso a risolvere quel piccolo mistero, il guerriero deviò leggermente dal suo itinerario, dirigendosi verso la fonte di quel suono insistente e continuo.

Ciò che vide, una volta inoltratosi tra alcuni alberi, lo lasciò senza fiato.

Un bambino totalmente nudo piangeva disperato in mezzo ad una piccola radura. Dietro quest'ultima si trovava un enorme cratere. Molti tronchi erano stati anneriti, altri carbonizzati. Sempre più perplesso, il guerriero si avvicinò al neonato che strillava a pieni polmoni. Gohan non se ne intendeva molto di bambini, ma era sicuro che potesse avere al massimo qualche mese.

Esplorò con cura la radura, alla ricerca di qualcosa che potesse spiegare quella misteriosa esplosione e quel bambino comparso dal nulla. Non trovò niente. L'unica cosa che vide fu una misteriosa sfera lucente aperta. Aveva vagamente l'aspetto di quelle astronavi aliene di cui fantasticava da bambino, ma poteva anche essere tutt'altra cosa.

Sospirò. Non sapeva proprio cosa pensare di quel mistero che gli era capitato tra le mani in quella maniera così improvvisa. Tuttavia, giusto per far stare zitto il bambino che continuava ad urlare come un ossesso, il guerriero lo prese in braccio. Quest'ultimo, subito dopo, smise di piangere. Osservando perplesso quell'anziano volto benevolo coperto da un folto paio di baffi bianchi.

“Ma guarda un po'...” borbottò perplesso Gohan mentre il neonato continuava a fissarlo curioso. “Vengo da queste parti per cercare del bambù e trovo un bambino.” in quell'istante notò una lunga e pelosa protuberanza nascere dal fondo schiena di quest'ultimo.

“Ma hai la coda!” esclamò sorpreso. Quella storia si faceva sempre più contorta. Cosa ci faceva lì quel bambino? Come ci era arrivato? Cos'era quella strana sfera lucente che aveva creato quell'enorme esplosione? E, soprattutto, perché quel neonato aveva una coda come le scimmie?

Domande a cui non riusciva a trovare risposta. Fino a quel momento, Gohan era sempre stato convinto di essere uno che non si faceva mai prendere di sorpresa dalla vita, ma quel giorno si era dovuto ricredere.

“Mah! Chiunque tu sia, non posso certo lasciarti qui tutto nudo non trovi? Ti piacerebbe venire a casa mia? Non sarà una reggia, ma è quanto di meglio tu possa trovare da queste parti.” Gohan parlò come se stesse parlando ad un adulto, si rese conto solo dopo che stava rivolgendosi ad un neonato che, quasi certamente, non aveva capito nulla di quello da lui detto. Tuttavia, a quest'ultimo sembrò piacere la sua voce, perché cominciò ad agitare le gambe tutto felice, il volto paffuto solcato da un largo sorriso. Il guerriero si sarebbe intenerito davanti a quella scena, se non fosse che, per caso, il bambino non gli tirò un calcio sul mento, facendogli scricchiolare le ossa del volto.

“Ma guarda un po'! Hai una forza incredibile per essere un esserino così piccolo.” borbottò massaggiandosi il mento dolorante. Non era arrabbiato. Non era mai stata una persona cattiva Gohan. E vedere quel bambino abbandonato nella foresta gli fece sospettare che non fosse capitato lì di proposito. Forse la sua nascita non era stata accolta con molta gioia dai suoi genitori.

Un'idea gli illuminò improvvisamente la mente. Sapeva che legalmente non era corretta, ma quel bambino gli piaceva. E poi un calcio come quello non lo potevano tirare tutti i neonati. Sì, decisamente, c'era molta materia interessante in quel piccoletto.

Avrebbe potuto iniziarlo alle arti marziali e, se fosse stato promettente, portarlo, una volta cresciuto, dal suo vecchio maestro. Sapeva che Muten non prendeva facilmente degli allievi, ma con lui, visto il profondo legame di amicizia che gli legava, forse avrebbe fatto un'eccezione.

“Mmm...comunque ho deciso.” dichiarò con tono solenne mentre osservava il bambino osservare stupito il riverbero dorato sulle foglie dietro di lui. “Diverrai il mio nipotino. E, se avrai talento, ti renderò un campione di arti marziali. Ti piace l'idea?”

Il neonato pigolò felice. Gohan non era sicuro che lo dovesse interpretare come un assenso, ma decise lo stesso di proseguire per la sua strada.

Mise il bambino nella cesta che teneva sulle spalle. Poi, stando attento che non cadesse, si incamminò verso casa sua. Le riparazioni del tetto potevano decisamente aspettare qualche giorno.

Mentre percorreva la strada di ritorno, sentendo il neonato ridere felice per ogni cosa che vedeva, Gohan rimuginò a lungo su tutto quello che aveva appena visto nella radura. L'idea che quel bambino fosse stato abbandonato di proposito si rafforzava sempre di più nella sua mente. Se era andata così, aveva appena salvato quell'innocente creatura da un triste destino.

In quell'istante, i suoi pensieri furono distratti dall'ennesima risata del bambino. Sorrise. Si rese conto solo in quell'istante che forse si era dedicato per troppi anni alle arti marziali, perdendosi moltissime altre gioie che la vita offriva agli uomini.

“Chissà come si chiama...” pensò. Si diede dello stupido per non averci pensato prima. Se quello doveva essere il suo nipotino, avrebbe dovuto dargli lui un nome.

Si fermò, prendendo il bambino in braccio. Quest'ultimo lo fissò perplesso mentre agitava le braccine paffute in aria.

“Scusami se ci siamo fermati. Ma non posso passare tutto il tempo a chiamarti nipote. Quindi devo darti un nome.” Gohan si schiarì la gola imbarazzato. Decisamente, parlare con i bambini non era il suo forte.

“Dunque...come posso chiamarti?”

Nella foresta scese un profondo silenzio, mentre il guerriero rimuginava su tutti i nomi che gli venivano in mente. Era profondamente indeciso. Appena gliene veniva uno in mente che gli pareva abbastanza buono, lo scartava subito osservando il bambino. Rendendosi conto che non era il nome per lui.

Sospirò. Poi, vedendo che il neonato continuava a fissarlo in silenzio succhiandosi il pollice, sorrise.

“Ti chiedo scusa. Non sono mai stato bravo in certe cose.”

Il neonato pigolò. Quasi stesse affermando che aveva ragione. Lui in queste cose era un disastro.

Sospirò ancora. Poi, quando stava per rimandare il tutto ad un'altra volta, i suoi occhi caderò di nuovo sulla coda pelosa del bambino.

Un bambino con una coda. Un bambino speciale. Che meritava un nome speciale.

Ed il nome alla fine venne.

Sorrise. Sì, ne era sicuro. Quello era il nome giusto.

“Ho deciso: ti chiamerai Son Goku. Ti piace?” il bambino rise nel sentire quel nome. Un gesto così spontaneo ed improvviso che lasciò sorpreso anche il guerriero. Ma l'ilarità del giovane Goku era contagiosa. Fu così che anche lui si mise a ridere, lanciando in aria il bambino e riprendendolo al volo.

“Vola Goku! Vola!” dichiarava sorridendo sotto i grandi baffi. Quel bambino gli era già entrato nel cuore. Il guerriero ne era sicuro: quello era un bambino speciale.

E fu così, tra le cime dei Monti Paoz baciate dal sole, che ebbe inizio la lunga e dorata storia di Dragon Ball.

 

 

Fine

  
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