Un
gioco da ragazzi
“Cosa diamine stai facendo Ronald?!”
L’isteria che t’incrina la voce gli fa abbassare istintivamente la testa fra le
spalle. Si volta per regalarti uno di quei suoi sorrisi caldi, così non riesci a reprimerne uno a tua volta. Scuoti la testa e la
tua chioma fluttuante ti rimbalza attorno al viso. C’è freddo fuori, nevica.
Non era previsto, così ti si sono inzuppati gli stivali e perfino le calze,
tornando a casa. Ovviamente hai fatto
un incantesimo per renderle impermeabili, ma te ne sei accorta troppo tardi.
Così hai abbandonato calzettoni e stivali in fondo alle scale, davanti alla
porta d’entrata, e sei scappata su in camera. Di solito riponi tutto davanti al
caminetto, ma stavolta sei così stanca che ti concedi una tregua.
Non sai ancora cosa sia successo oggi a
casa, e non sei tanto sicura di volerlo sapere. Il tuo cappotto scappa giù per
le scale, verso l’appendiabiti; la tua borsa zeppa di libri e pergamene atterra
delicatamente sulla trapunta scura e vivace del vostro letto mentre tu avanzi
verso il tuo ragazzo a passo incerto; raccogli i capelli in una treccia
mormorando semplicemente una formula di tua invenzione. Semplice, ma efficace. Non ti viene subito spontaneo chiederti perché la stanza sia nel
buio più totale, così improvvisamente inciampi nel bordo del tappeto.
“RONALD GIURO CHE IO TI…”
Sei appena tornata dal lavoro, al Ministero
si stanno aprendo migliaia di proposte di legge, siete in alto mare, e tu non sai
mai dire no ad un surplus di lavoro. Per cui, ultimamente, torni a casa piuttosto tardi, e
regolarmente trovi il tuo fidanzato a ronfare sul divano: la squadra Auror del governo, dopo due mesi di intenso servizio dalla
fine della II Guerra Magica, si ritrova ora a mandare a riposo i suoi membri,
senza più l’ombra di una missione all’orizzonte, a tempo indeterminato. Il solo pensiero del significato di quella parola ti
fa venire i brividi.
Non ricordi mai se stai con lui perché ti
fa sentire utile alla società o perché sei masochista.
Vivere con Ron è come accudire un
cucciolo di elefante particolarmente esuberante in un negozio di porcellane
pregiate. Condividi la casa con il tuo fidanzato, dicevano; è un gioco da
ragazzi, dicevano. Sollevi lo sguardo al soffitto,
dove Ron sta ancora avvitando una lampadina; il tuo
bellissimo lampadario verde, quello che dà un’atmosfera così rilassante alla
tua camera da letto, è per terra, accasciato come un
relitto sul tappeto.
“Non sei capace di usare la bacchetta, per
una volta?”
“Ma, amore, lo sai
che basta un attimo per cambiarla manualmente? Il signor
Granger dice…”
Ringrazi mentalmente tuo padre per aver
avuto la brillante idea di spiegare a Ron cose Babbane. Non
aveva capito quando vi ha regalato il microonde e Ron l’ha fatto saltare in aria con un semplice pacchetto di
popcorn già pronti? O quando ha
allagato la cantina perché il signor
Granger gli aveva detto che bastava girare qualche valvola per capire dov’era
il blocco del lavandino?
“Potevi almeno aprire le tende, ti sembra
il caso di fare queste incombenze azzardate
al buio?” Lo rimproveri ancora, spogliandoti per indossare i tuoi più comodi,
intramontabili, vecchi jeans. Ancora in reggiseno ti arrabatti per trovare una
maglietta. Hai pescato una larghissima T-Shirt di Ronald; pazienza.
“Wingardium Leviosa” Mormora lui sorridendo con l'entusiasmo negli
occhi, rimettendo il lampadario al suo posto.
“Grazie al cielo…”
“Premi l’interruttore” Ti dice, scendendo
dalla scala con un balzo a dir poco impetuoso, per darti il bacio di benvenuto.
Ti stringe in uno dei suoi soliti abbracci potenti e senti di averlo già
perdonato a metà. Il suo profumo ti invade le narici e
la calma ti invade. È impossibile resistere davanti al suo buon umore; se
dovessi descrivere l’odore del buon umore, di sicuro sarebbe quello di Ron. Sorridi nel buio, senza che lui lo sappia, felice. I
tuoi piedi nudi sul tappeto ne assaporano la morbidezza e lentamente si
spostano su quelli di Ron. Lo stringi, e lo senti
sorridere. È caldo, accogliente. Sa un po’ di sudore, un odore che conosci bene
e che ti rassicura. Gli accarezzi i capelli. I tuoi piedi raggiungono i suoi,
si appoggiano ad essi. Cerchi tutti i punti di
contatto che hai già esplorato con lui; sei stanca, indebolita e affamata;
l’unica cosa che desideri è sentirti a casa.
“Bentornata.” Mormora lui, con voce roca "Premi l'interruttore!".
Nella penombra della stanza sbocciano altri
due sorrisi. Vi scambiate un altro bacio, più profondo, poi tu lo allontani.
Possibile che ogni giorno riesca a farsi del male? Ripassi i vari lividi che la
fioca luce proveniente dal corridoio riesce ad
illuminare; oggi niente di nuovo. Hai visto di sbieco, mentre lui si volta per
raccogliere la cassetta degli attrezzi – un regalo di tuo padre, mannaggia a lui- da terra, che tiene
la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni e non osi immaginare cosa
farebbe una scintilla di quelle giuste a contatto col tessuto sintetico; decidi
di fare un lungo respiro e obbedirgli. Con Ron è
sempre meglio sbrigare immediatamente le faccende, onde evitare ingegnose e
pericolosissime recidive.
Click.
Il bagliore verdastro torna a dovere,
pronto a calmare gli spiriti bollenti al momento opportuno con le sue presunte
proprietà rilassanti.
Improvvisamente Ron
sfodera la bacchetta e richiama un oggetto; lo maledici mentalmente quando
senti un rumore di vetri infranti provenire dal salotto, al piano di sotto. Mai che ne faccia una giusta.
“Tuo…” Comincia lui, danzando nervosamente
da un piede all’altro “tuo padre… mi ha detto che si fa così.”
Si inginocchia
davanti a te, ancora non capisci, si è
ammattito?!, ma poi la vedi: è una piccola scatola di velluto blu che lui
ti porge. La luce verdastra non riesce a contrastare quella testa di fiamma.
Senti la gola stringersi. Questo istante è decisamente più impegnativo di qualsiasi esame e di qualsiasi pratica
lavorativa.
Ti casca il mondo addosso, precisamente sul
petto, tanto lo senti stretto sul cuore; così non riesci a trattenere
l’ennesimo sorriso.
“Hermione Granger, mi vuoi sposare?”