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Autore: bic    22/09/2013    3 recensioni
Altair ha una natura coraggiosa, fiduciosa, ostinata e ambiziosa, è una ragazzina, ma non si rassegna al destino di moglie e madre riservato alle donne, vuole fare ed essere qualcosa di più.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono passati tanti anni che è quasi difficile ricordare come è iniziato tutto quanto.
In realtà credo che il modo migliore di raccontare una storia sia partendo dal suo inizio e l’inizio della mia storia si sovrappone alla fine della storia di mia madre.
Era una fredda notte d’inverno, la notte del solstizio, raccontava sempre la mia balia e le doglie erano cominciate molto presto, la mattina del giorno prima. La levatrice sapeva per istinto che c’era qualcosa che non andava e aveva avvertito mio padre che, disperato, continuava a vagare per la sala del fuoco torcendosi le mani.
Era colpa sua, lo sapeva, il maestro d’erbe gliel’aveva detto fin dall’inizio: Gwen era troppo gracile di salute per generare eredi e lui c’era stato attento, ma erano giovani entrambi e nonostante tutte le precauzioni sette lune prima con un sorriso smagliante lei aveva annunciato che sarebbe stato padre. Dapprima aveva accolto la notizia con apprensione, ma più i giorni passavano più Gwen fioriva, non era mai stata più allegra e in salute; così lui non si era più preoccupato delle affermazioni del maestro d’erbe che, man mano che la gravidanza procedeva e mia madre diventava florida e placida, si faceva sempre più scuro in volto e preoccupato.
Mio padre e mia madre si erano sposati per amore, in un mondo di matrimoni combinati per il bene di una o di un’altra famiglia loro erano stati immensamente fortunati, si conoscevano fin da ragazzini e l’amore era nato da un’amicizia profonda. Probabilmente le nonne avevano giocato un ruolo fondamentale trovando il modo di farli conoscere e far loro trascorrere insieme molto tempo nella speranza che le rose fiorissero e così era stato.
Fu una notte estremamente lunga e quando alle prime luci dell’alba io vidi finalmente la luce mia madre era così esausta da non riuscire nemmeno a tenermi in braccio. Fui affidata a mio padre che entrò a trovare la sua sposa con me infagottata in un lenzuolo avvolto in una pelliccia di lince solo per pochi attimi prima di scendere al piano di sotto.
Nella sala del fuoco erano accorsi scudieri, palafrenieri e servi con i loro padroni, figli di nobili signorotti che governavano le zone limitrofe e che sapevano che a casa di mio padre c’era sempre occasione di festeggiare. E così fu, festeggiarono, i suoi amici, e lui orgoglioso, in mezzo a loro, mi teneva tutta sull’avambraccio con la testa appoggiata nella mano, mi dissero che ero così piccola che avrei potuto tranquillamente stare nelle sue mani unite a coppa, eppure già allora avevo un carattere estremamente deciso ed urlai tanto da far sentire al mondo intero come funzionava bene il mio corredo di polmoni nuovo di zecca fino a che la levatrice accorse e mi portò alla balia, uno degli intervenuti urlò goliardicamente: - Quella bambina ha esattamente il carattere di suo padre. 
Negli anni seguenti lui non mi parlò mai di quella sera né di quei venticinque giorni in cui fummo davvero una famiglia. Le poche notizie mi venivano dalle storie che raccontava la mia balia, donna splendida, immensamente chiacchierona e dalla sculacciata facile.
So che mia madre non morì di parto, né a causa di complicazioni legate alla mia nascita, semplicemente si ammalò e il parto l’aveva resa troppo debole per superare quel rigido inverno.
Con mia madre morì anche la gioventù di mio padre, erano poco più che ragazzi quando si erano sposati e lui si sentiva perso. Teneva un suo ritratto nella sua stanza e più di una volta l’ho sorpreso a chiacchierare con il quadro come se fosse una persona in carne ed ossa e anticipare le risposte che probabilmente lei avrebbe dato. Vedendo quel dipinto mi rendevo conto che l’unica cosa ereditata da mia madre erano i capelli: lunghi, ondulati e rosso fuoco, probabilmente l’unica cosa bella di me, eppure per diventare ciò che sono ho rinunciato anche a quello. Molti anni dopo mio padre si risposò con una donna troppo giovane e troppo remissiva che io non riuscii mai a considerare una madre.
Passai i primi anni della mia vita affidata alla cura di balia e servette, a volte mio padre mi veniva a prendere, mi caricava sulle sue enormi spalle e mi portava in giro per il bosco. Solo di sera potevamo trascorrere del tempo insieme: mi prendeva sulle ginocchia, seduto accanto al fuoco e mi accarezzava i capelli in silenzio fino a che non mi addormentavo, poi era lui che mi portava a letto e mi rimboccava le coperte. Ricordo il suo viso ricoperto da una barba da orso che si chinava a sfiorarmi la fronte.
Verso i tre anni ormai correvo ovunque, parlavo di continuo e cominciavo ad essere recalcitrante nei confronti di vasca da bagno e spazzola, a cinque anni finii nella mia prima rissa in mezzo ai bambini della corte per difendere il vecchio cane dai ragazzini crudeli che si divertivano a prenderlo a sassate. Me la cavai con un taglio sul sopracciglio, un occhio nero e un paio di sculacciate della balia, agli altri ragazzini andò di gran lunga peggio perché i loro padri usarono la verga: si erano azzardati ad alzare le mani sulla progenie del Lord e ancora peggio una femmina. Mi ci volle un intero anno per riuscire di nuovo a farmi accettare dagli altri, che però ora mi trattavano in modo diverso, tutti tranne Luke.
Lui ed io eravamo fratelli di latte ed era sempre dalla mia parte, anche lui si era preso la sua dose di botte quando avevamo difeso il povero vecchio cane dalla sassaiola e sua madre gli aveva risparmiato punizioni più severe solo perché avevo detto che mi aveva difesa dagli altri. Era un po’ come se fossimo gemelli, sembrava che con il latte di sua madre avessimo succhiato anche la capacità di entrare l’uno nei pensieri dell’altro e riuscivamo a comprenderci con un solo sguardo. Era l’unico a non chiamarmi Lady Altair, ma solo Al rischiando ogni volta le vergate sul sedere da parte di sua madre che lo rimproverava di continuo per quella sua mancanza di rispetto.
Era da lui che correvo quando avevo qualche problema, sebbene non fosse molto più alto di me era il mio porto sicuro, sapevo che ci sarebbe sempre stato, per qualunque cosa. Vero i sette anni mio padre decise che era opportuno che avessi un’educazione formale, tentò quindi di farmi imparare a ricamare, a filare, a lavorare sul telaio, ma visto che mi ostinavo a non accettare nessuna di queste attività che trovavo noiose ed anche un po’ inutili, riuscii a strappargli un compromesso: se mi avesse insegnato a tirare di scherma e con l’arco io avrei preso lezioni di cucito. Tra tutte le cose che mi venivano richieste il cucito era quella che mi sembrava meno inutile: a cosa serviva saper ricamare un bel fiore su un lenzuolo di lino se non si sapevano cucire le pelli per coprirsi d’inverno?
E poi imparai a leggere. Nel tempo libero io e Luke ci divertivamo a raccogliere le erbe per il maestro che, ormai anziano, era molto lieto di evitare di chinarsi; curavamo il suo giardino e andavamo nel bosco a cercare le piantine selvatiche che ci ordinava di trovare, ci mostrava le immagini sui suoi libri e ci insegnava i nomi, così ben presto riuscimmo a comprendere le parole scritte e cominciammo anche a distinguere le erbe buone da quelle cattive. All’età di dodici anni sia io che Luke eravamo in grado di preparare i rimedi per i malanni più semplici: decotto di valeriana per calmare i nervi, corteccia di salice macerata nell’aceto per il mal di testa, unguento all’arnica per curare i lividi e via dicendo.
Ero molto più libera di tutte le ragazzine della mia età, nessuno mi imponeva di comportarmi con compostezza ed eleganza perché in fin dei conti mi vedevano tutti ancora come una bambina.  
Tuttavia, le cose ben presto sarebbero cambiate.
  
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