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Autore: BrokenArrow    23/09/2013    12 recensioni
[Jamie Campbell Bower / Lily Collins-Shadowhunters]
“Ridillo.” Mi dice, forse col dubbio di non aver capito bene. E se è così, sa di sbagliarsi. Perché vuole solo essere sicura di quello che le ho appena detto, vuole essere sicura del mio amore per lei. Che è tutto ciò che vogliamo sapere gli uni dagli altri.
N.D.A: da leggere ascoltando Transatlanticism, dei Death Cab For Cutie.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Love Always and Forever

 





Mi risveglio con il sapore di vaniglia sulle labbra. La scia appena lasciata da un bacio. Conosco bene quell’odore, come se ormai fosse diventato parte di me. E in un certo senso è così.
“Sveglia…” Il suono della sua voce mi investe e quell’odore si propaga in ogni parte del mio corpo coperto, il che non è molto, considerato che le lenzuola del letto mi coprono a mala pena i fianchi. Indugio qualche attimo, assaporando quel prezioso momento in cui il suono della sua voce e il suo odore sembrano fondersi in una cosa sola. Il materasso emette un cigolio sommesso e capisco che si sta avvicinando sempre di più, le sue gambe esili frusciano sotto le coperte e si intrecciano alle mie. La leggera pressione della sua mano mi solletica la pelle e le sue dita sottili iniziano a stuzzicarmi i quasi assenti peli biondi che ho sul petto. Non sono mai stato così sveglio.
Percepisco un leggero movimento alla mia sinistra e le punte dei suoi capelli iniziano a solleticarmi il collo dispettose, facendomi trattenere a stento una risata improvvisa. Ora è vicinissima, sento il suo fiato insinuarsi tra i miei capelli.
“E’ Lily che ti parla…” mi sussurra nell’orecchio, così piano che per un attimo penso di essermi immaginato tutto. Come non rispondere a quel nome? Come non provare una fitta al cuore quando sai che quello è il nome della persona che ami di più al mondo?
Finalmente apro gli occhi e, con voce roca e impastata, dico: “Buongiorno.” E nello stesso momento in cui lo dico capisco che è vero, che quello sarà senz’altro un buongiorno, forse uno dei migliori, se al mio fianco c’è lei. Due occhi vispi mi scrutano curiosi e ancora una volta rimango spiazzato, addirittura sconvolto dal colore che i suoi occhi custodiscono, come un tesoro prezioso. A prima vista potresti dire che siano di un nocciola scuro, ma guardando più attentamente, e a seconda di quanta luce si rispecchia nei suoi occhi, quel marrone sembra schiudersi, rivelando sfumature di un verde intenso, come qualcosa che non ti aspetti. Mi piace pensare di essere l’unico a vedere quel verde, quel qualcosa di inaspettato, di nascosto, che lei mi permette di scorgere nei suoi occhi. A contornarle il viso, infine, fanno capolino due sopracciglia scure e folte, una delle tante piccole cose, fuori dal comune, che contribuiscono a renderla unica. Tutto in lei mi fa venire voglia di scriverne una canzone.
“Dal tuo sorriso inebetito sembrerebbe che tu abbia fatto un bel sogno.” Dice, studiandomi attentamente con aria divertita. Con una mano le scosto i capelli arruffati dal viso.
“Sai, se vuoi sapere se ti ho sognato basta chiedere.” Le dico, con un sorriso malizioso. Lei, in tutta risposta mi sferra un pugno sul petto senza preoccuparsi tanto di farmi male.
“Brutto presuntuoso!” Proclama, fingendosi offesa. La guardo facendo gli occhi dolci, cosa che la fa irritare ancora di più. Adoro le espressioni che fa quando è arrabbiata o infastidita.
“Stuzzicarti è il mio passatempo preferito, che posso farci.”
“Ah davvero? Credevo fosse qualcosa di molto più piacevole e producente…” Un angolo della sua bocca si piega all’insù malizioso. Lascia intendere di proposito il resto della frase, che io colgo benissimo, ma non ho intenzione di dargliela vinta così. Vederla arrossire impacciata, ecco un’altra cosa che amo.
Mi metto di lato verso di lei, con la testa appoggiata sul gomito così da poterla guardare dritto negli occhi. “E sarebbe?” le chiedo con aria di sfida. Lei non risponde, e fa una cosa che mi sorprende. Senza staccarmi gli occhi di dosso fa scivolare la sua mano lungo il mio ventre, in modo lento e quasi doloroso, per poi spostarsi sul mio fianco sinistro, dove l’orlo delle coperte copre il resto del mio corpo. Il mio cuore accelera ma lei non sembra averlo notato. Non ha la minima idea di quello che mi fa quando mi tocca. La sua mano indugia qualche istante, poi, sempre continuando a guardarmi negli occhi, fa scivolare giù le lenzuola lentamente, lasciando scoperta gran parte della mia gamba sinistra, e mentre lo fa, sento la tensione tra i nostri corpi scorrere come elettricità pura.
Si protende ancora più lentamente verso il basso, oltre il mio ventre e con un bacio leggero sfiora l’inizio della mia natica destra. Trattengo il respiro. Lì, nel punto in cui mi ha appena baciato, la mia pelle sembra andare a fuoco.
“Questo,” dice alla fine, con tono neutro, come se qualcuno le avesse appena fatto una domanda ovvia, scontata.
“Cosa?” boccheggio confuso, inebriato dalla sua presenza. Lei alza la testa all’indietro, scoppiando a ridere, piacevolmente divertita dalla mia reazione, gli occhi ridotti a due fessure.
“Mi hai appena chiesto quale fosse secondo me il tuo passatempo preferito molto più piacevole e producente dello stuzzicarmi.” I suoi occhi scintillano per la vittoria. “Farti tatuaggi, ovviamente.” Poi indica il punto in cui mi ha baciato un attimo prima, il punto in cui nella mia pelle è stato inciso un nome, in lettere corsive. Bob Dylan. Il primo di tanti tatuaggi, e forse anche quello più sconsiderato, considerata la zona.
“Aaah, certo… come ho fatto a dimenticarmene? Però, dubito fortemente che sia un passatempo piacevole, piuttosto doloroso, oserei dire. E produttivo proprio non saprei…” Allungo una mano e inizio ad accarezzarla dolcemente la spalla. “A meno che un tatuaggio non venga fatto per qualcuno di importante.” Le dico a bassa voce senza distogliere lo sguardo, e gli angoli della sua bocca si piegano leggermente verso l’alto. L’accenno di un sorriso. So esattamente a cosa sta pensando, a quale tatuaggio. Quello che recita una promessa, che parla di noi. Love always and forever.
E  nel silenzio che ci avvolge, so che, nella sua mente, sta recitando esattamente quelle esatte parole. Senza pensarci due volte, la attirò a me, sfregando le mie labbra contro la sua fronte.
“Però,” continuo in un sussurro, “conosco un altro passatempo che entrambi amiamo alla follia, assolutamente piacevole e producente…” Ma non riesco a finire in tempo la frase che lei mi precede.
“COOKIES!” Urla, balzando in ginocchio sul letto e facendo cigolare le molle del piccolo letto a due piazze.
“Cookies?” domando incredulo, e allo stesso tempo interessato, perché sa che i cookies sono il mio cibo preferito. Conosce ogni mia piccola debolezza. E per questo, riesce sempre a farla franca, in un modo o nell’altro.
“Sì, il tuo cibo preferito, ricordi? E se non ricordo male una volta hai anche detto che nessun altro sa farli meglio di me!” E come darle torto?
“E va bene,” dico sconfitto, “ma te la do vinta solo perché si tratta dei cookies.”
“Saggia mossa.” Mi passa una mano tra i capelli, scompigliandomeli ancora di più di quanto già sono. E detto questo, dandomi la schiena, si mette a sedere sul bordo del letto. Inizia a stiracchiarsi le braccia e, mentre lo fa, mi ritrovo ad ammirare la sua schiena nuda, pallida come avorio. Il mio sguardo si sofferma su ogni singola parte del suo corpo, sulle spalle leggermente incurvate, costellate qua e là da piccoli nei, sulla schiena in cui sono impresse di nuovo quelle parole. Love always and forever. I miei occhi si soffermano sulla sua vita esile che fa intravedere le ossa un po’ sporgenti, sui fianchi stretti che curvano dolcemente verso il basso. E sul colore della sua pelle, così bianca da sembrare neve. Si vede che siamo nati nello stesso posto. Una pelle così immacolata, come se non avesse mai visto la luce del sole, non potrebbe essere altro che inglese. Poi, i miei pensieri vengono bruscamente interrotti da uno scrocchio che conosco fin troppo bene.
“Lily,” dico con tono di mezzo rimprovero, “quante volte ti ho detto di non scrocchiarti le dita a quel modo? E’… fastidioso.” Lei si volta, guardandomi con la coda dell’occhio, vispa e attenta come una cerbiatta.
“Dovevi pensarci prima.” Risponde, facendo finta di essersi offesa.
“Prima di cosa?”
“Prima di innamorarti di me.” Poi si china su di me e le nostre labbra si incontrano e il bacio che ci diamo è uno di quelli per cui vale aspettare una vita intera, uno di quelli che ti fanno venir voglia di essere vivo.
“Per non parlare di quando ti scrocchi il collo e la schiena,” continuo contro le sue labbra, “quello sì che è al limite della sopportazione.” Detto ciò, con uno sbuffo esagerato, ricado a pancia in giù sul letto e sotterro la faccia nel cuscino.
“Beh, tu e Bob diventerete proprio dei santi per questo!” E mentre lo dice mi da una leggera pacca sul sedere, su Bob Dylan. Poi si alza all’improvviso prima che io riesca ad afferrarla e a trascinarla di nuovo nel letto. Lei barcolla in avanti, lasciandosi sfuggire un urletto, lontano dalla mie braccia e come un fulmine raccoglie la mia camicia a quadri rossa dal pavimento.
“Hey! Quella è mia, brutta ladruncola!” Incrocio le braccia e la osservo, mentre inizia a infilarsela dalle maniche larghe facendo finta di non avermi sentito. Se su di me è una maglietta, su di lei è come un vestito corto, molto corto. L’orlo della camicia le arriva appena sotto il sedere, il che rende le sue gambe ancora più slanciate, nonostante la sua bassa statura. All’improvviso sento la gola secca. Lei si chiude frettolosamente i bottoni della mia camicia, guardandomi divertita.
Apre le braccia come un uccello pronto a spiccare il volo, e proclama: “Lo so che è tua, ma sta meglio a me, non credi?” La sua voce trasuda maliziosità. Eppure c’è una tale dolcezza in lei che quel tocco di malizia non stona mai, rendendola ancora più interessante ai miei occhi.
“E adesso,” continua imperterrita, “lascia che la cuoca della casa vada in cucina a preparare i cookies più buoni di tutta Londra.” Decido di stare al suo gioco.
“Sissignor Capitano!” Dico, portandomi le dita accanto alla fronte, nel gesto di un soldato sull’attenti.
“Così ti voglio,” mi risponde raggiante. “Mettici tutto il tempo che vuoi.” E scompare, dirigendosi in cucina a piedi nudi, con indosso soltanto la mia camicia a quadri. Rimango qualche minuto immobile, seduto sul bordo del letto, rapito dal suono così familiare e quotidiano come solo può esserlo il rumore di piatti e bicchieri che sbattono tra loro. E penso a quanto, tutto sommato, sia vuoto questo appartamento quando lei non c’è. Senza la sua presenza a darne un significato, a far sì che questo posto sia davvero casa.
Quando scelgo dal letto, raccolgo il resto dei vestiti rimasti da terra. Mi infilo velocemente le mutande, improvvisando un balletto a metà tra il ridicolo e il goffo, mentre saltello per rimanere in equilibrio. Poi armeggio con i bottoni dei jeans attillati e senza maglietta mi dirigo verso la cucina, guidato dal profumo inebriante di cibo.
I miei piedi avanzano silenziosi sulle piastrelle fredde del pavimento e senza fare il minimo rumore raggiungo la soglia. Mi fermo.
Al centro della piccola stanza c’è un tavolo antico di legno, apparecchiato per due, e da un lato, girata di spalle verso il bancone, c’è lei, tutta presa da ciò che sta facendo. Mentre armeggia con un cucchiaio e mescola la pastella, canticchia un motivetto, così a bassa voce che non sono in grado di decifrarne le parole.
Sta indossando un grembiule verde chiaro, stretto, che mette ancora più in risalto le sue curve e le gambe nude. I suoi capelli sono raccolti in un concio improvvisato, alto sulla nuca, da cui sfugge qualche ciocca ribelle. E la luce dell’alba, insolitamente accesa, che filtra dalle finestra, infiamma a tratti i suoi capelli castano ramati di un rosso acceso, rendendo la scena ancora più irreale, come qualcosa visto in sogno o in un dipinto.
Mi avvicino lentamente fino ad arrivare dietro di lei, ancora totalmente ignara della mia presenza. E poi mi sfugge un sorriso dalle labbra perché finalmente riconosco la canzone che sta ancora canticchiando.
“I believe, I believe, I believe…” Al suono della mia voce lei si volta di scatto, con il mestolo ancora in mano.
“Jamie! Mi hai fatto prendere un accidente.” Poi, ricordandosi della mia imitazione tutt’altro che mascolina della sua canzone, dice: “Possibile che tu debba prendermi ancora in giro?” Incrocia le braccia, lasciando che il suo sguardo si soffermi sui suoi piedi nudi piuttosto che su di me. Le appoggio dolcemente le mani sui fianchi attirandola a me.
“Sempre. Lo sai che è il mio film preferito in cui ci sei tu. E come Biancaneve sei perfetta.” Le dico quest’ultima frase in un sussurro, solleticandole un orecchio. Le mie mani si muovono agili, accarezzandole la pelle sotto l’orlo della camicia. Lei alza la testa e torna a guardarmi negli occhi.
“Lo pensi davvero?” Mi chiede debolmente, col fiato corto.
“Certamente. E il finale vale tutto il film, credimi.” Premo le labbra sul suo collo, facendola rabbrividire da quel contatto. “Un giorno o l’altro dovremmo decidere di fare un duetto, solo io e te.” A quelle parole mi rivolge un debole sorriso. So che le piace cantare. Ci sono momenti in cui, indaffarata nelle sue faccende, non si accorge di essere osservata e io la sorprendo, a ripetere le parole delle mie canzoni, frammenti di frasi che parlano di lei.
“Potrei acconsentire… Ma intanto ti becchi questo come punizione!” Non faccio in tempo a capire cosa intende che una manciata di pastella mi arriva dritta, in pieno viso. Chiudo gli occhi preso alla sprovvista, senza staccarmi da lei, poi li riapro sbattendo violentemente le ciglia. Passano alcuni secondi in cui il tempo sembra essersi fermato e rimaniamo solo io e lei. Ognuno perso negli occhi dell’altro.
E’ lei la prima a rompere il silenzio. Scoppia in una risata fragorosa e in quell’istante mi rendo conto di quanto sia bello essere la causa della risata di qualcuno, della sua. Il mestolo ricade sul bancone mentre lei ci si appoggia contro, tenendosi le mani intorno alla pancia e continuando a ridere.
Con le mani mi tolgo l’impasto intorno agli occhi, leccandomi la punta delle dita mentre lei tra una risata e l’altra mi punta un dito contro.
“Sembri… Sembri…” Non riesce a finire la frase, da quanto la mia faccia la stia divertendo e ho una vaga idea di come deve essere in quel momento. Non aspetto un secondo di più.
“Brutta mascalzoncella! Ora me la paghi.” E così dicendo, la afferro veloce per le gambe prima che possa opporre resistenza. Lei, in tutta risposta, urla dalla sorpresa mentre la carico sulle spalle come un sacco di patate. Mentre corro verso il corridoio, sento le sue unghie graffiarmi la pelle, nel tentativo di aggrapparsi alla mia schiena nuda.
“Ahi! Togli quelle tue unghiacce dalla mia schiena!” Dico mentre la trasporto fuori dalla cucina, diretto nella camera da letto. Lei ride e sbuffa al tempo stesso, nel debole tentativo di opporsi.
“James Metcalfe Campbell Bower, mettimi subito giù! ORA.” Pronuncia il mio nome per intero come per minacciarmi mentre mi sferra ripetuti pugni sulla schiena e le sue gambe sbattono contro il mio petto. Arrancando, arrivo fino ai piedi del letto.
“Come vuole lei, Lily Jane Collins.” E la scaravento senza tante cerimonie in mezzo alle coperte sfatte, proprio come mi ha appena chiesto di fare. Lei, non aspettandoselo, urla di nuovo, mentre la sua schiena sbatte contro il materasso, ma non le lascio il tempo di rialzarsi che subito mi appoggio sopra di lei, bloccandola con tutto il mio corpo. Si ferma di colpo, sussultando leggermente. Sopra la mia camicia rossa ha ancora indosso il grembiule da cucina, ma è come se quei pochi centimetri di tessuto non esistessero affatto. Sento la sua pelle come se fosse a diretto contatto con la mia e dal suo sguardo capisco che anche per lei è così.
“Hey…” mi dice in un sussurro imbarazzato. Siamo entrambi fin troppo consapevoli della vicinanza dei nostri corpi.
“Hey.” Le rispondo, come se la mia voce fosse diventata all’improvviso l’eco della sua, come se le appartenesse. “Finalmente ti sei calmata.”
Il suo petto si alza e si abbassa sotto di me, scosso da una debole risata. “A quanto pare... E tu hai ancora della pastella spalmata in faccia.” Dice, continuando a ridacchiare divertita, e con una mano inizia a pulirmi la fronte, soffermandosi più del dovuto così che il suo semplice tocco si trasforma in una carezza.
“Chi ha deciso di usare il mestolo da cucina come catapulta contro poveri ragazzi indifesi?” Le dico, appoggiato sui gomiti e con la testa leggermente piegata di lato.
“E chi sarebbe il povero ragazzo indifeso in questione? Tu?”
“E chi se no?” Le rispondo, ostentando sfrontatezza.
“Se continui a lamentarti, domani al posto dei tuoi amati cookies ti ritroverai dei manghi!” A quelle parole abbandono la testa sul suo petto e sbuffo.
“Basta manghi. Ne ho già mangiati troppi in questi ultimi mesi.” Le dico, protesto debolmente. La sento ridere e in qualche modo quella risata mi scuote nel profondo.
“E’ il prezzo per essere Jace Wayland, caro mio.” Mi dice, scompigliandomi i capelli con una mano. “Le fan adorano il tuo mango.”
Rialzo di scatto la testa e la guardo negli occhi. La sua mano è ancora persa tra i miei capelli.
“E tu?”
“Cosa?” Chiede con finta aria innocente.
“Anche tu adori il mio mango?” Le chiedo, socchiudendo gli occhi con malizia.
“Beh, se ancora non ti ho lasciato vorrà pur dire qualcosa?” E ancora una volta mi sorprende. Ha sempre la risposta giusta.
“Ah beh,” incomincio, facendo l’offeso, “se è solo per il mio mango allora…” Faccio per alzarmi ma lei mi afferra per i capelli, riportandomi giù, nel cerchio delle sue braccia.
“Se fosse solo per quello ti avrei mollato già da un pezzo.” Poi, dandomi un colpetto sulla nuca, aggiunge: “Idiota.”
A quelle parole le sfioro il naso con il mio, socchiudendo gli occhi in un sorriso.
“Anche io ti amo, Lily.” E quelle parole sorprendono entrambi, forse perché mi sono appena uscite di bocca così naturali, spontanee, senza un come o un perché, che nessuno dei due se le aspettava in quel preciso momento.
Lei perfettamente immobile sotto di me, ha gli occhi fissi nei miei, improvvisamente seri.
“Ridillo.” Mi dice, forse col dubbio di non aver capito bene. E se è così, sa di sbagliarsi. Perché vuole solo essere sicura di quello che le ho appena detto, vuole essere sicura del mio amore per lei. Che è tutto ciò che vogliamo sapere gli uni dagli altri.
Indugio qualche istante, facendole capire che la mia esitazione non è dettata da una qualche incertezza o paura ma è il silenzio necessario che precede qualcosa di importante e irripetibile.
“Ti amo.” E nel momento stesso in cui lo dico sento che è così, senza ombra di dubbio, e più i giorni passano e più me ne rendo conto. Mi rendo conto di amare quella ragazza in tutte le sue piccole imperfezioni, quella ragazza i cui occhi ora brillano più che mai, accesi dalle mie parole.
“Ti amo anch’io.” E questo mi basta. Così, non aspetto un secondo di più e avvicino le mie labbra alle sue, guardandola negli occhi come per chiedere il suo permesso. Lei chiude gli occhi in attesa e subito dopo le mie labbra si scontrano contro le sue come un mare in tempesta contro gli scogli. Ma le sue labbra non sono scogli appuntiti, piuttosto le si potrebbe paragonare a due piume posatesi dolcemente sulla sua bocca. Le schiude, premendole contro le mie mentre con una mano le accarezzo il collo e con l’altra le afferrò dolcemente i capelli spingendola ancora di più contro di me. Ho bisogno che si avvicini ancora di più, ho bisogno di sentirla ovunque. Ho bisogno di lei. Respiriamo uno nella bocca dell’altro, senza bisogno di staccarci pe riprendere fiato. Mentre ci baciamo le sue mani tracciano le linee della mia schiena, delle scapole, delle spalle, mandandomi scariche in tutto il corpo, fino a raggiungere i miei capelli a cui si avvinghiano. Le sue labbra hanno un lieve sapore di cookies, per via della pastella ancora appiccicata ai lati della mia bocca. Sorrido al ricordo e appoggio le mani contro il materasso, ai lati della sua testa. Le mie labbra scivolano lontane dalle sue, tracciando la linea del mento e scendendo giù lungo il collo in un sentiero di baci, fino a raggiungere l’incavo della sua spalla. Lei inarca la schiena, gemendo piano. Con le mani leggermente tremanti inizio a sbottonare i primi bottoni della camicia, lasciando scoperte gran parte delle sue spalle. Poi riprendo il sentiero invisibile che ho appena tracciato sulla sua pelle. La bacio sulla spalla, poi più giù, sulla clavicola, fino a quando le mie labbra si fermano sul lembo di pelle scoperta all’altezza del seno. Mi fermo e alzo la testa incontrando i suoi occhi. Sento i nostri cuori battere violentemente all’unisono. Lei mi guarda con aria interrogativa.
“Non ne hai avuto abbastanza stanotte?” Mi chiede, senza fiato, giocherellando con i capelli dietro il mio collo.
“Con te nulla è mai abbastanza.” Le rispondo, scostandole un ciuffo di capelli che le era appena caduto sul viso. Poi le do un leggero bacio sulla punta del naso, facendole scappare un sorriso. Appoggio la mia fronte contro la sua, incastrandosi alla perfezione. Tutte le sue forme, tutto il suo corpo, è come se non fosse altro che un piccolo pezzo di un puzzle in attesa che io le completi.
“Lo vedo.” Dice, dandomi a sua volta un bacio sul naso, stuzzicandomi l’orecchino d’argento. “E adesso, se vuoi scusarmi, ci sono dei cookies che hanno bisogno di me.” Scivola dal mio abbraccio e io mi sposto di lato per farla alzare. “Se vuoi puoi farmi da assistente.” Mi propone, con la speranza negli occhi. Così mi alzo anch’io, pronto a fare qualsiasi cosa lei mi chiedesse.
“Ne sarei onorato, mia Somma Cuoca di Londra.” E con queste parole mi avvicino a lei, mettendole un braccio intorno alla vita, stringendola a me quanto basta per farle sapere che è mia. “Andiamo.”
Lei mi posa una mano sulla schiena, appoggiando la testa contro la mia spalla e insieme ci dirigiamo così, verso la cucina, verso uno dei tanti piccoli posti che ormai ci appartengono, che fanno parte dell’uno e dell’altra. E mentre camminiamo, entrambi a piedi nudi, come i bambini di una favola, sento che è questa la felicità che ho sempre cercato. La felicità che finalmente posso afferrare con le mie mani senza che fugga via lontano, la felicità che ora è visibile ai miei occhi, o meglio, nei suoi.






Dedico questa oneshot alla mia parabatai, Ellie.
A te, che credi nei Jamily quanto me e mi rendi migliore ogni giorno.
 
 N.D.A: inanzitutto, a te che stai leggendo, voglio dire grazie, grazie per aver letto quello che ho scritto. Ci sono tre motivi per cui sei qui, a) o sei la mia parabatai :) b) o sei venuto/a a conoscenza di questa OS Jamily su twitter o c) ami i Jamily quanto me e hai voluto vedere se qualcuno avesse scritto qualche fanfiction su di loro e beh, eccomi qui :)
 
Questa oneshot, incredibile ma vero, è nata dal sedere di Jamie, o meglio, da un photoshoot uscito di recente molto trasgressivo in cui ha messo in mostra il suo bel culetto e la frase Bob Dylan tatuata sulla sua natica destra. E la mia brava mente da fangirl ha iniziato a immaginarsi certe scene comiche possibilmente accadute tra i due e da tutto ciò la mia mente ha finito per creare questa breve storia.
Ci tengo a precisare che certi riferimenti (i tatuaggi, i cookies, ecc.) non sono affatto fittizi, anzi, sono legati alla loro storia e sono venuti fuori in diverse interviste. E sicuramente avrete notato, da veri fan, certe frasi ricorrenti in Shadowhunters :)
 
Ultima cosa e forse la più importante: ho deciso di scrivere su di loro, sulla loro storia perché penso non ci sia un amore più bello del loro. E io credo in un amore del genere, e spero di trovarlo un giorno, domani o fra cent’anni, perché un amore così vale la pena di essere cercato e trovato.
E ho scelto proprio di descrivere questo piccolo momento quotidiano perché sono convinta che è nella quotidianità di ogni giorno che tiriamo fuori i veri noi stessi e descrivere un momento così prezioso come risvegliarsi accanto alla persona che si ama mi è sembrato qualcosa di meraviglioso e raro. E chissà quante volte Jamie e Lily si sono svegliati così, l’uno accanto all’altro nel suo appartamento a Londra, chissà quante volte Lily ha preparato la colazione per Jamie, i suoi amati cookies, chissà quante volte lui l’avrà distratta da quello che stava facendo provocandola, per poi ricevere una manciata di pastella in faccia, chissà quante volte lui l’avrà caricata sulle spalle per poi ritornare in camera da letto, mai stanchi l’uno dell’altra, chissà quante volte…

 
  
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