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Autore: Dafren    23/09/2013    1 recensioni
E se l'ambizione e la voglia di solcare nuovi orizzonti vi spingesse a prendere strade inaspettate che vi riconducono ad un passato che sembrava ormai lontano? Può una passione profonda rovinare un'amicizia solida? Rinuncereste all'amore per amicizia o lascereste che questa si spenga per egoismo? Un viaggio improvviso che doveva portare una delle band più famose degli UK alla fama mondiale rischia invece di distruggerla per sempre.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danny Jones, Dougie Poynter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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 Another year over, and we're still together
It's not always easy, but I'm here forever
S.

 

Note: La storia è narrata in prima persona da un personaggio esterno alla band che la racconta nei minimi dettagli in una conversazione con un altro soggetto sempre esterno quindi, si passerà più volte dalla prima alla terza persona.
Gli pisodi raccontati prenderanno forma di ricordi, stile flash back e si distingueranno dal resto del testo con il carattere corsivo.
Buona lettura




 
1.

 

Dicono che la prima volta di ogni cosa sia sempre quella che lascia il segno più profondo, noti ogni dettaglio, avverti ogni sensazione amplificata al massimo, sposti la concentrazione su ogni elemento senza tralasciare nulla.
Le pareti color crema tinte sicuramente di recente, a giudicare dalla tonalità ancora vivida, si sposavano perfettamente con il parquet scuro al contrario invecchiato dal tempo e da lunghe scarpinate su di esso. L’arredamento minimalista della stanza la rendeva molto accogliente. Non vi erano gingilli inutili, dozzine di cornici o mobili particolari eppure non era neanche spoglia. Gli unici due quadri di genere astratto che si fronteggiavano l’un l’altro su due pareti opposte catturavano lo sguardo quasi magneticamente nel tentativo di interpretarne il senso nascosto che voleva infondere l’autore, come una sorta di enigma da decifrare.
Tirai un profondo respiro avvertendo addosso lo sguardo impassibile della donna seduta dietro la scrivania in noce scuro in fondo alla stanza. Posai lo sguardo su di lei solo per pochi istanti notando appena la sua giovane età, molto probabilmente sulla quarantina, non di più anche se gli spessi occhiali da vista dalla montatura nera in vecchio stile potevano farla sembrare ancora più grande. Il capelli castani raccolti in uno chignon basso dietro la nuca davano l’impressione di un tipo molto metodico e preciso, che non lasciava nulla al caso, così come l’accostamento tra il tailleur cachi e le scarpe di una venatura appena più scura. Il tacco medio lasciava intendere che teneva allo stile ma le piaceva anche stare comoda, pratica.
Mi venne da sorridere di me stessa. Stavo psicanalizzando quella donna senza neanche averla mai vista prima.
“Si accomodi, prego. La stavo aspettando.” La vidi alzarsi dalla scrivania con fare lento e avvicinarsi verso di me tendendo la mano a mo’ di saluto. Un sorriso appena accennato da parte sua, uno quasi di circostanza da parte mia mentre le annuivo poco convinta.
Perché mi trovavo in quel posto? Avevo davvero bisogno di una sconosciuta?
Seguii con lo sguardo la direzione della sua mano accomodandomi sul divanetto in camoscio scuro alla sinistra della scrivania mentre lei, a sua volta, prendeva posto su una poltrona identica accanto ad esso.
Avvertii l’imbarazzo crescere maggiormente di secondo in secondo che passavano con la stessa lentezza delle ore. Non sapevo cosa fare o dire, il silenzio e lo sguardo indecifrabile di lei mi avevano già stancata. Strinsi le mani torturandomi le dita tra di loro.
“Quando si sente pronta a parlare, possiamo anche cominciare.” Ruppe il silenzio precedendo quella che mi parse più una minaccia che un invito con un sorriso un po’ più ampio di quello che mi aveva rivolto in precedenza.
Cosa voleva che le dicessi?
“Non mi fa delle domande? Cosa vuole sapere?” Il tono incerto della mia voce poteva vagamente somigliare a quello di una bambina al primo giorno di elementari.
D’un tratto mi pentii di essermi lasciata convincere ad andare lì. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto, come sempre.
“Lei cosa vuole raccontarmi?” Era così che funzionava? Parlare da sola come una stupida davanti ad un estranea che ti guardava come se fossi un fenomeno da baracconi senza commentare né intervenire?
Si, andare in quel posto era stata davvero una pessima scelta, peggiore di quelle che mi ci avevano spinta a trovarmi li.
“Chi sono, cosa faccio e perché sono qui penso che lo sappia già, no? Non c’è rivista o programma televisivo che non ne abbia parlato. Quindi…” Il tono della mia voce non era più imbarazzato o incerto, ma al contrario aspro e notevolmente seccato.
“Forse non è stata una grande idea venire qui, mi scusi per il tempo che le ho fatto perdere.” Scattai in avanti alzandomi dal divanetto per andarmene mentre, ancora impassibile senza scomporsi di un solo millimetro, la donna restò a fissarmi dal suo posto in poltrona.
“Se preferisce andarsene può farlo tranquillamente, non la costringerò di certo a fare qualcosa che non  vuole, ma sappiamo entrambe che tanto ritornerà qui.” Mi bloccai al centro della stanza con lo sguardo immobilizzato su uno dei sue quadri, quello accanto alla porta di uscita.
In quel momento odiai tutto. Odiavo la mia insicurezza, la mia fragilità emotiva, le mie scelte incoerenti e sbagliate, il mio attaccarmi a qualsiasi cosa potesse farmi male, il mio lasciarmi influenzare da tutto e tutti. Odiavo me stessa e quello che ero diventata, o forse quello che ero sempre stata.
Aveva ragione, sarei ritornata ancora, e ancora, e ancora.
Tornai a passo lento verso il divanetto chinando lo sguardo mentre ritornavo seduta nella posizione di partenza disposta finalmente a seguire le sue indicazioni e a sopportare il suo incrollabile silenzio.
“Cominci dall’inizio. Com’è nato tutto?” Alzai lo sguardo verso di lei riflettendomi attraverso i suoi occhiali grandi per poi spostarlo nuovamente sul dipinto accanto alla porta che in quel momento si trovava esattamente di fronte a me, forse non del tutto pronta a raccontare la storia che dozzine di riviste scandalistiche avevano già raccontato anche se colorandola di sfumature e dettagli troppo fantasiosi e crudeli per essere veri. O forse ero io che per quanto mi reputassi meschina e ingiusta non riuscivo a riconoscermi nella sconosciuta descritta tra quelle pagine?
 
 
Londra. Venerdì, 17 giugno. In una terra devota alle superstizioni tanto quanto alle tradizioni, quella data, quel giorno, era presagio di sventura. Alcuni tra i più creduloni e scaramantici, si rifugiano nella sicurezza delle quattro pareti domestiche ripetendo fino alla mezzanotte scongiuri e riti propiziatori vari per tenere lontana la sfortuna, altri invece, si limitano solo ad evitare qualsiasi evento o decisione importante convinti di scampare ad un sicuro disastro sociale, finanziario o sentimentale.
Poi c’é chi non può farne a meno perché il mondo non si ferma in base ad una data sul calendario che sia venerdì 17, il 31 ottobre o il 2 novembre gli affari restano affari.
“ Non capisco perché non si poteva rimandare a domani o non si poteva fare ieri.”
Seduto sullo scomodo divano in pelle nera in uno dei tanti uffici al diciassettesimo piano della Fascination Records, Tom, tamburellando con le gambe sulla moquette in preda all’ansia, continuava  a lamentarsi per la scelta della data. Nell’enorme folla di superstiziosi, lui era il leader.
“Business is business, non hai sentito Mr. Loraine al telefono?”
“E allora? Se il business va nella merda, il caro Mr. Loraine può dare la colpa al giorno che ha scelto per farci il contratto.”
Una smorfia di terrore si dipinse sul viso di Harry all’affermazione più che convinta di Tom. Lui non era superstizioso come l’amico ma spesso si lasciava impressionare facilmente.
“O tua, che porti più sfiga di un gatto nero. Smettila con queste cazzate, bro’. Non ci crede più nessuno ormai a questa balla del venerdì 17.”
Scansò di striscio una gomitata nel fianco da Danny che gli stava seduto accanto sbuffando ad intermittenza irritato forse per le lamentele di Tom, forse perché era da più di due ore che aspettavano in quell’ufficio l’arrivo del famigerato editore della Fascination, o forse semplicemente perché l’idea di firmare quel contratto continuava a non piacergli, indipendentemente dal giorno e dalle stupide e retrograde superstizioni popolari.
“Cazzo, Da’. Non nominare i gatti neri o ci ritroveremo a cantare sotto il ponte di Londra, altro che Stati Uniti, Canada e Broadway.”
Si era voltato di scatto colpendo il braccio di Danny con un pugno mentre lui, ignorandolo, sollevava gli occhi al soffitto scuotendo la testa. In un altro momento avrebbe riso dell’ingenuità dell’amico prendendolo in giro magari dandogli corda, ma quel giorno no.
“Ma non è che il vecchio ci ha ripensato? La tipa di fuori aveva detto: pochi minuti e sarà subito da voi, ragazzi.” Dougie, alzatosi dalla poltrona, camminava senza meta per la stanza fissando con aria poco interessata gli oggetti che la ornavano. Scimmiottò poi il tono civettuolo della biondina alla reception imitando con un gesto della mano il modo con il quale si era spostata una lunghissima ciocca di capelli perfettamente stirati dietro la spalla per mostrare meglio l’ampia scollatura poco nascosta dalla camicetta in seta bianca. “Sono passate due ore e venticinque minuti e ancora non si è fatto vivo.”
“Non ti ci mettere anche tu adesso. Avrà bucato. Che so, un qualunque contrattempo.” Accavallò una gamba notando l’espressione di Harry ancora preoccupata. La nascose lanciandogli addosso la felpa azzurra che portava sulle spalle cogliendolo di sorpresa.
“E se non è sfiga questa, oh…”
“Se non viene tanto meglio, significa che non dobbiamo venderci a questa gente.”
“Questa gente sta per portarci negli Stati Uniti per due anni, pagarci un tour da milioni di sterline e salvarci dalla cantina di casa tua, bro’. Se ti stai vendendo non lo fai certo per pane e focaccia.”
“Non mi sarei mai venduto sennò.” Incrociò le braccia al petto accavallando le gambe infastidito. Tom fece una smorfia dandogli la schiena, Dougie scosse la testa sollevando le spalle verso Tom e Harry che continuava a restare in silenzio sempre più timoroso.

 

Presi una pausa cambiando posizione sul divanetto. Le gambe che avevo mantenuto accavallate per tutto il tempo si erano intorpidite, le sciolsi lasciandole dondolare per qualche secondo mentre mi tiravo più indietro fino a poggiare le spalle contro lo schienale del divanetto.
Lo sguardo della donna era rimasto impassibile dietro i suoi occhialoni, costantemente in silenzio tanto che faticavo a credere che si fosse concessa qualche respiro mentre raccontavo. Solo in poche occasioni l’aveva vista portare una mano sull’agenda e scriverci all’interno qualcosa che non ero riuscita a decifrare. Mi chiesi che idea si stesse già facendo, ma lasciai quel pensiero quasi subito, riprendendo a parlare dal punto in cui mi ero interrotta.
 
 
“I mcFly, una delle più famose band britanniche, avevano venduto negli ultimi dieci anni milioni di dischi, solcato tutti i palchi del Regno Unito, vinto centinaia di riconoscimenti e titoli, scalato le vette delle classifiche nazionali e incassato più sterline di quanto una qualsiasi altra band avesse mai sperato ma senza mai uscire dai confini Britannici.
Per quanto i loro singoli fossero ampiamente visualizzati sul web anche dagli altri paesi europei e statunitensi, non si era mai presentata loro l’occasione per un vero salto di qualità arrivando a varcare anche le scene internazionali oltre che nazionali.
L’idea della Fascination records era partita da Harry poche settimane dopo che, dietro proposta di Tom, la band aveva sciolto il contratto con la Universal Island Records capace solo di procurar loro date negli UK.
Tutto era nato da una discussione cominciata una domenica pomeriggio nel giardino di Danny.
“Siamo ufficialmente disoccupati, ragà.”
“Vediamola così, ci siamo presi una pausa di riflessione.”
“E da chi, deficiente?”
Una risata poco divertita aveva coinvolto un po’ tutti. Tom, disteso con le braccia dietro la testa e le gambe disordinatamente accavallate sul tavolo, sembrava essersi calato perfettamente nei panni dell’ozioso. Sulla scalinata in mattoni rossi  che separava la strada dal giardino di casa, Dougie intratteneva uno scontro a palla con Ralphie e Bruce, i due cani di Danny che poco distante, armato di forcone e piatto, abbrustoliva gli hamburger sulla brace.
“Che ne dite della Fascination Records? A quanto ne so quelli che cura lei hanno sfondato ovunque.”
Un dato di fatto. Harry, spuntando dalla cucina aveva passato a Tom l’ipad aperto sulle recensioni alla casa discografica irlandese. Tom si era ricomposto subito scattando seduto mentre con il dito scorreva la pagina quasi contemplativo.
“Cazzo.”
“Piuttosto vado a suonare nell’Underground. Scarta la fascination e trovane un’altra.”
Il tono improvvisamente serio di Danny mentre inforcava un hamburger per rimuoverlo dalla griglia aveva attirato l’attenzione di tutti. Lui, il burlone del gruppo, non si capiva mai se era serio o scherzava perché il suo tono era sempre allegro e burlesco accompagnato da movimenti strambi, sarebbe stato capace di cantare Ymca ad un funerale se gli fosse passato per la mente.
“Ti è dato di volta il cervello, bro’?”
“Avanti, stai scherzando.”
Tom ed Harry si erano guardati in viso stupiti alternando lo sguardo dalle loro facce confuse a quella impassibile di Danny, il solo invece che aveva avvertito il rumore della palla che rimbalzava verso il vialetto che costeggiava il giardino non appena era stata nominata quell’etichetta. Dougie aveva lasciato i cani e, senza essere notato era rientrato in cucina recuperando dal frigo qualcosa da bere.
“Ma secondo voi quelli lì metterebbero sotto contratto noi? Andiamo ragazzi, ci evitiamo solo una grossa figura di merda e una porta sbattuta sul muso.”
“Perché? Che abbiamo che non va per quelli?”
Aveva sbuffato platealmente scuotendo le braccia verso Harry. Tom aveva seguito con lo sguardo Dougie, forse stava iniziando a capire. Harry, invece, sarebbe cascato dalle nuvole anche davanti ad una spiegazione scritta e siglata di tutto punto.
“Ha ragione Danny, meglio lasciar perdere. Se si sapesse che la Fascination ci ha messo alla porta nessun’altro ci vorrebbe più.”
“Ma…”
“Ma… come cazzo ti sei fatto quei capelli oggi, oh? Sembra che un piccione si sia fatto il nido su quella zucca vuota che hai.” 
Aveva liquidato il discorso  prendendolo in giro come sempre mentre gli piazzava davanti l’hamburger troppo cotto per i gusti dell’amico.
“Chiuditi il becco con questo, va.”
Solo quando Dougie era ritornato a casa dopo essere rimasto in silenzio per tutto il resto del pomeriggio, Tom gli aveva spiegato cosa ci fosse che non andava nella sua proposta.
La Fascination Records era la casa discografica di molti artisti di calibro internazionale tra i quali c’era l’unica persona che aveva il potere di influenzare la vita di Dougie.
Dougie. Il più giovane della band ma anche il più fragile e instabile. Il 2010 era stato un anno devastante per lui che aveva visto chiudersi in modo definitivo la relazione più importante della sua vita. Nessuno si aspettava che la prendesse bene, ma neanche che si lasciasse assalire dalla depressione tentando addirittura il suicidio dopo che i tabloid britannici l’avevano mostrata con un nuovo uomo al suo fianco. Ci aveva sperato fino alla fine, ci aveva creduto fino all’ultimo.
Si erano lasciati due volte in pochi mesi ma dopo la rottura definitiva per lui era iniziato un vero e proprio declino allontanandosi da tutto e da tutti. Si era autoconvinto che la responsabilità fosse esclusivamente sua. Aveva passato i mesi successivi rintanandosi in qualche bar di periferia fino all’alba dove spesso rimaneva coinvolto in risse da lui stesso provocate quasi come se volesse autopunirsi per essersi fatto lasciare da lei. E a riportarlo a casa ogni volta, sempre lui… Danny.
Era un po’ come il fratello maggiore di tutti sebbene fosse quello più irrequieto e vivace. Era stato lui vicino a Dougie durante il suo periodo buio, era lui quello che lo tirava fuori dai guai ogni volta, ed era stato sempre lui quello che per primo aveva capito che lavorare con la stessa casa discografica di lei avrebbe significato per il suo migliore amico solo un mare di guai. Dougie non era ancora pronto ad affrontarla, di questo ne era certo e non gli avrebbe permesso di farsi di nuovo del male per una ragazzina immatura e viziata.
Una settimana dopo, Dougie aveva sorpreso tutti rilanciando la stessa proposta esposta da Harry  in precedenza.
“La Fascination ci offre un contratto di due anni e il tour negli States. Non possiamo lasciarcela scappare.”
Era sbucato da dietro al bancone del Saturn, il locale dove Danny lavorava come dj nei fine settimana, con quattro birre stappate tra le mani e un espressione sorniona. Dougie, lo stesso Dougie che una settimana prima aveva lasciato casa dell’amico come un fantasma.
“Ne avevamo già parlato Do’. Quelli non fanno per noi.”
“Che significa che ci offre, scusa?”
Tom, senza badare all’occhiata di sbieco rivoltagli da Danny era rimasto incuriosito dall’affermazione dell’altro. Harry, che per quella volta aveva deciso di restarne fuori, non riusciva a nascondere però un espressione speranzosa che da sola bastava a irritare Danny.
“Che li ho contattati ieri e ho detto loro che i Mcfly sono in cerca di un etichetta.”
Si era appoggiato sul bancone con l’aria di chi aveva risolto tutti i problemi del mondo con un sorriso che tendeva da un orecchio all’altro. Troppo soddisfatto per essere davvero quello di Dougie.
“Chi erano quelli che dovevano sbatterci la porta in faccia? Appena hanno sentito il nostro nome hanno fatto i salti di gioia. Siamo o non siamo la migliore band del paese?”
Danny continuava a fissarlo poco convinto. Qualcosa nel suo cambiamento non lo convinceva. Ci rideva troppo sopra per non essere sospetto.
“Sai cosa significherebbe? Avere a che fare anche con quella lì.”
Era scattato dallo sgabello battendo le mani sul bancone sorprendendo sia Dougie che Harry. Fiutava puzza di guai a miglia di distanza, e quella volta il tanfo era davvero inconfondibile.
“Lavorare sotto la stessa casa discografica significa partecipare agli stessi eventi, dover aprire i loro concerti o loro i nostri. Insomma, vederla.”
“E allora? Che vuoi che m’importi? Ne è passata di acqua sotto i ponti, Da’. Poi ora sta con quell’ammasso di muscoli che potrebbe essere quasi suo padre.”
Aveva fatto una smorfia schifata nel nominare lui, quello che aveva preso il suo posto solo un mese dopo che era stato scaricato come un sacco di patate marce ma Danny non gli credeva.
“E’ tutt’ok, fidati.”
Dougie teneva ai Mcfly quanto lui e sapeva che sarebbe anche arrivato a sacrificarsi se lo avesse ritenuto necessario per il bene della band, ma era il modo con il quale stava affrontando la situazione a non convincerlo. Tutto gli sembrava fuorché un sacrificio, il che poteva significare solo una cosa.
Dougie stava mentendo.
“No. Non ci sto.”
“Ma…”
“Cosa?”
“Aspetta, bro’. Riflettici prima.”
Tom era scattato come una molla simultaneamente a Harry e Dougie la cui espressione sconvolta non faceva che confermare i sospetti di Danny.
“Un conto era se dovevamo proporci noi alla Fascination, l’altro è se la fascination vuole noi.”
Rinunciare ad una proposta come quella che gli avevano offerto sarebbe stato un suicidio per qualsiasi band e un campanello dall’arme per qualunque altra etichetta si fossero presentati.
“Non possiamo più dire di no. Ci scaveremmo la fossa con le nostre mani.”
 
Il rumore della porta che si apriva e chiudeva alle loro spalle li fece voltare quasi contemporaneamente verso di essa. Un uomo ad occhio e croce sulla trentina dal capello spettinato e i jeans scoloriti era entrato nella stanza con alcune scartoffie tra le mani.
“Peter Loraine. I mcfly, giusto? Scusate l’attesa ma abbiamo bucato fuori città. ”
Quattro paia di occhi si incrociarono sorpresi.
“Che t’avevo detto io? La sfiga del venerdì 17.”
“Ancora?”
“Questo sarebbe il vecchio con cui hai parlato al telefono?”
“Non gli ho chiesto un documento. Che ne sapevo che era ancora nella fascia protetta?”
Il bisbiglio di sottofondo non era passato inosservato ma Loraine parve non  badarci sorridendo beffardo ai commenti poco più che infantili che aveva percepito. Non erano i primi, in fondo.
Quando si parlava del presidente di una delle più importanti etichette discografiche internazionali certo non si pensava ad un ragazzo così giovane e sportivo.
Lo avevano visto sedersi sulla scrivania gambe all’aria in modo informale ignorando i convenzionali tipici del ruolo che ricopriva.
“Avete già dato uno sguardo al contratto? Ci sono domande da fare o possiamo passare alle firme?”
Tornarono a fissarsi per poi scuotere le teste.
“Solo una. Quando dovremmo partire?”
  
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