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Autore: Nothingness    23/09/2013    1 recensioni
[Urban Fantasy/Soprannaturale]
Una città apparentemente tranquilla, in una giornata uggiosa. Nessuno in città si è accorto della guerra cruenta che si svolge sotto quella pioggia, dell'eterna battaglia che le forze del Bene, fiere e discrete, combattono contro quelle del Male, incarnate da individui loschi e letali, che tutto hanno fuorchè natura umana. Gli umani, loro non sanno nulla. Nemmeno che di umanità, in città, ne è rimasta ben poca.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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prologo stronzata


Prologo



E pur fra le tempeste
la calma ritrovai.
Ah non ritorni mai,
mai più sereno il dì!
Questo de' giorni miei,
questo è il più chiaro giorno
Viver così vorrei,
vorrei morir così.

La tempesta, Pietro Metastasio






Una pioggia scrosciante stava fiaccando la città di Starwood, avvolgendola in un torrenziale frastuono ed esasperando i cittadini. I vicoli si erano traformati in fiumiciattoli, che convergevano su Hartford Street e Throllope Av., le due vie che tagliavano il centro da Nord a Sud, con una pendenza stradale accentuata ed un sistema fognario che non vedeva lavori di manutenzione da troppo tempo. Stava facendo buio, ma era difficile accorgersene: tutto il giorno era stato buio, grigio ed opprimente. Adesso, che le vette degli edifici più alti andavano sfumando contro un cielo fosco ed incolore e il gocciolio monotono della pioggia faceva da colonna sonora alla vita di ognuno degli abitanti, la città appariva deserta. Solo un occhio esperto, che sapeva quel che cercava, avrebbe potuto notare un'ombra, alta e slanciata, anche se leggermente ricurva, che si staccava da un muro e si muoveva lesta, evitando pozzanghere e acquitrini. Era ammantata di nero ed era impossibile scorgerne il viso. Ma doveva trattarsi di qualcuno che conosceva bene la città, perché sapeva come muoversi anche sotto la tempesta.
Non le ci volle molto per raggiungere una piazzetta angusta, circondata da radi alberelli e un chiosco cadente. L'ombra scivolò speditamente sul lastricato percosso dalla pioggia, guidata dalla fioca luce dei lampioni. Raggiunse il vecchio chiosco, poi, con fare circoscpetto, sembrò ispezionarlo. Infine, sembrò appoggiarvisi contro, di schiena. E poi l'ombra si dissolse. Troppo semplice dire che sparì: si disperse nell'oscurità, che sempre le era sorella o forse si stemperò nella pioggia, che quella notte le fu complice.

Ma forse l'ombra non era stata abbastanza circospetta, perché, qualche passo più in là, un'altra figura, più bassa e altrettanto ricurva, si mosse verso il medesimo chiosco. A differenza della prima, questa si nascondeva sotto un ombrello scuro, che le dava rifugio dalla pioggia e dagli occhi indiscreti. Si sarebbe detto, guardandola, che non se la passava troppo bene: il suo passo non seguiva un percorso diritto, ma sbandava visibilmente, con l'incedere incerto di chi barcolla. Comunque, arrivata al chiosco e posta una mano contro il vetro sporco, perse consistenza e si disgregò. L'ombrello rimase in terra, aperto.

In altri angoli diroccati, in vie anguste e dimenticate, altre simili ombre, altre sagome indistinte, raggiunsero vecchi locali e zone d'ombra, per poi sparire.
Quella notte senza luna, troppe ombre si agitavano per la città, ogni vicolo brulicava di cupi spettri e solo due persone sembravano essersene accorte.

Un uomo robusto, in piedi di fronte ad una grande vetrata, abbassò il binocolo, che fino a qualche momento prima teneva puntato proprio sul chiosco. Si volse, mostrando alla luce tremolante delle candele, la vistosa cicatrice che gli attraversava il mento sino alla piega delle labbra, subito sotto la guancia destra. I suoi occhi verdi, tesi e vividi, si mossero sulla ragazza che aveva accanto, la quale lo guardò a sua volta: non ci fu bisogno di aggiungere altro, perché lei sembrò cogliere il messaggio.
"Chiamo gli altri", rispose in un sussurro inquieto.
Si portò il cellulare all'orecchio, mentre con la mano libera si strofinava la fronte, in un gesto che le era diventato abituale quand'era nervosa. E ultimamente lo era spesso.
Sollevò i grandi occhi nocciola verso la finestra, mentre l'altro le afferrava affettuosamente la mano per evitare che si tomentasse ancora la fronte.
"Avevamo ragione, ma sembra una cosa più grossa di quella che credevamo. Ci servono rinforzi".








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NdA: ho preso in prestito il titolo della storia dall'omonima canzone di Florence + The Machine, perché l'ho sempre trovato evocativo. Ma questa non è in alcun modo una song-fiction e la trama si dipanerà in maniera del tutto indipendente dal testo della suddetta canzone.

  
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