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Autore: RuboLaVitaDentroDiMe    23/09/2013    2 recensioni
Ok, gli alloggi cominciavano a farsi un tantino affollati.
Ok, le statistiche sulla disoccupazione cominciavano a farsi preoccupanti.
Ok, bisognava per forza fare qualcosa.
Ma di qui a costrigere tutti gli dei a vivere come dei pidocchiosi umani ne passa di acqua sotto i ponti no?
Genere: Comico, Demenziale, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Piani Alti'
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La casa produttrice CleptomaniDiVita S.p.a.
presenta


ovvero
Parabola discendente
di una ex divinità

 

 

L'uomo è davvero insensato:
non saprebbe fare un pidocchio

e fabbrica dèi a dozzine.
(Michel de Montaigne, Saggi)

 

Il grande tabellone appeso alla parete comunicò con un pigro scintillio di led rossi che l'utente 687 era stato gentilmente congedato e che il 688 avrebbe fatto meglio a munirsi del proprio biglietto e avvicinarsi celermente, a meno che non desiderasse perdere il proprio turno.
Il bambino, ignorando gli sguardi blandamente interessati di tutti i presenti, si diresse verso lo sportello strascicando i piedi a terra e alzandosi poi sulle punte per poter piantare il mento sul ripiano lucido e scoccare alla donna dall'altra parte del vetro un'occhiata di sdegnosa irritazione.

«Tutto questo ha un che di degradante» la informò neutramente, cercando di darsi un contegno anche in quella posizione.
«Heka. Quale motivo avresti, questa volta, per lamentarti?» chiese la ragazza alzando gli occhi dal proprio cartaceo lavoro per sorridere fugacemente al bambino, prima di tornare a scrivere.
«Non potevate fare piani di appoggio un po' più bassi, in primo luogo? Devo arrampicarmici, qui, per poterti guardare in faccia» protestò l'interessato, concentrato sul mantenere quel precario equilibrio.
«Sei uno dei pochi in versione tascabile, ragazzino».
«Ripetilo di nuovo, racchia. Vediamo che succede» ringhiò Heka con una espressione feroce, in volto, che su quel viso giovane sembrò terribilmente fuori luogo.
La ragazza rimase in silenzio, scrivendo con concentrazione, per poi posare la penna e sporgersi verso il vetro con un sorriso divertito e un'aria salottiera.
«Sei ancora il solito suscettibile, vedo. Allora, che cosa si dice dalle tue parti?» gli chiese, con un cenno ammiccante del capo.
«Dalle mie parti siamo tutti piuttosto incazzati. E con tutti, intendo IO».
«Non ne vedo il motivo. Direi che ti è andata meglio della maggior parte di noi. Ora che ci penso non ho tue notizie da quando è uscito il decreto dell'anno mille. Dove sei stato, di bello?» chiese, incuriosita. Ah, quella donna aveva sempre avuto un gusto matto per l'impicciarsi nella vita delle persone e cercare di tirarne le fila. Letteralmente.
«Bah, un po' di qua, un po' di là... Diciamo che mi sono dato alla macchia. Ho rischiato di essere bruciato sul rogo per stregoneria – e ammetterai che la cosa ha un che di nebulosamente ironico – e ho assistito a cose interessanti. Risorgimento, Illuminismo, Rivoluzione americana, cubana, guerre mondiali, scoperta del radio. Marie Curie era una persona deliziosa» elencò con noncuranza, picchiettando le unghie corte sul ripiano. «Niente di cui voi non siate al corrente o non abbiate potuto constatare con i vostri occhi, comunque. Ma diciamo che per la maggior parte del tempo mi sono dato all'ascetismo sociale. Farmi beccare non era nei miei piani».
«Beh, hai avuto milletredici anni di libertà totale. Fossi in te non mi lamenterei più di tanto».
«Quel decreto è stata una colossale cagata. Mi chiedo come mai non ci sia stata una rivoluzione anche da queste parti» borbottò il bambino, palesemente contrariato.
«Si vede che tua madre è Menhit. Bah, lei, Marte, Eris, Loki, Malsumis... sì, insomma, tutta la compagnia di divinità guerrigliere e-barra-o terribilmente suscettibili hanno sollevato un po' di polverone... E dovevi vedere Giunone come era incazzata nera! Ma fondamentalmente la cosa si è risolta con un paio di paroline accomodanti. Come da copione» raccontò la ragazza, intrecciando le dita in una posa saputa. Solo Dio sapeva – Heka trovò tetramente esilarante questa invocazione – quanto doveva piacerle poter fare tutto quel gossip.
Il bambino si limitò a sospirare, scuotendo la testa, costernato.
«Ma dopotutto c'era ragione da vendere, in quell'editto, devi ammetterlo. Ormai con tutte le divinità disoccupate che si erano accumulate nel corso dei secoli... Insomma, non c'erano quasi più stanze libere» aggiunse lei, annuendo a quanto lei stessa aveva detto.
«E allora? Ti sembra un valido motivo per costringere tutti i disoccupati ad andarsene sulla terra per vivere come dei pidocchiosi mortali?» chiese Heka, alzando il nasino aristocratico per aria.
«Mamma mia, quanta puzza sotto il naso... Mi sembra di sentire parlare Giunone in persona» commentò la ragazza, con evidente sarcasmo.
«Ecco, ci mancava solo questa. Paragonato pure alla dea dagli occhi bovini... Facevano prima a chiamarla vacca e basta, quella».
La ragazza ridacchiò, portandosi una mano alla bocca e guardandosi attorno con aria schiva.
«Per carità non farti sentire! Quella ha orecchie dappertutto! E ha distrutto intere città per molto meno» pigolò, esilarata.
Heka, suo malgrado, si ritrovò a ridacchiare a sua volta, immaginandosi gli occhioni della ex-dea spalancati di ex-divino furore.
«Beh, con Roma ci ha provato ma non le è andata granché bene» ricordò, con un ghigno soddisfatto.
«E come volevi che ci riuscisse? La gens Iulia aveva sangue di Venere e Marte. Accoppiata esplosiva come vodka e lime. Non aveva possibilità di far loro il culo. Non quando Giove la cornificava a destra e a manca, senza curarsi di lei e delle sue lamentele».
«Sta di fatto che ricorderò per sempre il colorito cadaverico che aveva, quando quell'uomo – quello con il bastone su per il culo, no? Come si chiamava? Catone? – ha detto in Senato “Carthago delenda est”. Pensavo le sarebbe partito un embolo al cervello!».
«Cristo santo, non farmici pensare!» borbottò l'altra, con una chiara sfumatura ilare nella voce che tentava di tornare seria.
Heka batté i palmi delle mani, con un pizzico di rinnovato buonumore.
«Piuttosto, cara, che mi racconti? Con il mio vagabondaggio non sono stato informato degli ultimi episodi di gossip. Immagino che tu possa aggiornarmi rapidamente ed esaustivamente» commentò, con una sicurezza pressoché totale.
La ragazza sospirò di frustrazione, alzando le mani al cielo.
«Ma che gossip vuoi che ci sia stato. Milletredici anni di noia mortale. Che vuoi farci? Prendono piede le religioni monoteiste. E quegli dei non è che siano molto socievoli. Chi li ha mai visti? Se ne stanno per conto loro. Certo, Lucifero è passato di qui qualche volte, a salutare. Ma quello ha un ego grande come il Sistema Solare... e flirta che è un piacere con tutte quante, ma di impegnarsi seriamente, neanche a parlarne. Peccato, direi» commentò, avvolgendosi una ciocca di capelli fra le dita.
«Mi prendi in giro? Vuoi veramente dire che non è successo niente di interessante? Questa sì che sarebbe una notizia» commentò Heka, sgranando gli occhi.
«Bah, qualcosa c'è stato. Per esempio il pacco colossale che Lucifero ha tirato ad Afrodite, Venere... come diavolo ti pare. Era furiosa. È possibile che noi divinità greche-barra-romane siamo quelle che combinano più casini? Sì, anche Loki ha piazzato qualche carognate delle sue, tua madre è finita in carcere perché in una delle sue nuove vite ha ammazzato il vicino di casa che teneva la musica troppo alta e qualche altra cosuccia di qua e di là, ma noi... ah, nessuno è ancora riuscito a batterci in fatto di cazzate... Il trambusto più grande è stato quando è stato deciso di demolire l'Ade per fare spazio all'Inferno. Ade se l'è presa da morire e ha fatto ricorso, ma non l'ha spuntata perché ormai quel posto era deserto e non era più a norma. Ristrutturarlo costava un sacco ed era inutile. Così adesso lì c'è una crepitante fossa di dannati. Per quanto sia un posto inquietante bisogna dire che i gironi sono organizzati molto bene. Il Paradiso, poi, è venuto che è una meraviglia. Ma per il Purgatorio è stato un casino, non trovavano lo spazio adatto. Un pandemonio che non puoi avere idea».
«È tutto a posto, ora, comunque» constatò il bambino, interessato.
«Oh, sì sì... tutto a posto e perfettamente funzionante. Se non altro queste nuove religioni sono molto efficienti. E gli angeli sono davvero dei tesori. Un po' freddini, ma bisogna capirli... quando uno è asessuato come vuoi che faccia, a scaricare la tensione?» blaterò la ragazza, ormai lanciata.
«Beh, è ovvio. E di' un po': tu come ci sei finita, qui?»
«Ci voleva qualcuno che coordinasse un po' il tutto. Così il Consiglio ha deciso che noi Parche potevamo essere le persone adatte. Perciò, invece di decidere il destino degli uomini ci hanno scaricate all'ufficio di Collocamento Ex Divinità. E ora decidiamo del destino degli dei... Ci è andata anche bene, abbiamo un sacco di pettegolezzi a portata di mano. Ma c'è da dire, ad onor del vero, che ogni tanto qui le cose si fanno monotone. Noiose. Tu sei la novità del giorno» gli sorrise, con una zuccherina espressione deliziata.
«Ah, ci sono anche Cloto e Atropo?» chiese Heka, allungando il collo per sbirciare oltre la spalla di Lachesi.
«No, mi dispiace molto. Si sono prese una vacanza e sono andate chissà dove con quelle smorfiose delle Muse. Qualcuno doveva pur rimanere qui, e siccome io ho litigato con Clio, ho deciso che preferivo andarmene in vacanza sola soletta con Baldr appena ne ho l'occasione. Io e lui abbiamo una mezza storia, sai... nulla di serio, ma ci divertiamo. Cloto e Atropo moriranno di invidia comunque, quando sapranno che sei passato di qui mentre loro non c'erano. Soprattutto Cloto. Le sei mancato molto, credo. Anche se non ha perso tempo a piangere sulla tua assenza» raccontò con una tale velocità che Heka fece non poca fatica a starle dietro. Quando ebbe colto il nocciolo del discorso, lui sorrise, divertito.
«Sono un bambino, almeno di aspetto. Quella lì si è sempre fatta un sacco di fantasie che non stanno né in cielo, né in terra, né sotto, né in mezzo» borbottò.
«Accidenti, non vuoi proprio lasciar alcuno spazio a quelle povere speranze, eh?» chiese Lachesi, agitando i capelli scuri in una espressione di fraterna solidarietà. Pardon, sororale felicità.
Heka scrollò le spalle, indifferente. Era un bambino. Un eterno bambino. Per quanto tutti i gossip amorosi lo avessero sempre interessato, non era ancora arrivato a provare interesse sessuale per una donna (dea), né probabilmente ci sarebbe mai arrivato. Si era solo preso una colossale cotta per Artemide e il suo profilo greco, una volta, ma, dopo che i cani l'avevano inseguito perché l'aveva sbirciata mentre faceva il bagno, Heka aveva deciso che le femmine erano troppo complicate e che era meglio darsi ai propri lavori di magia, invece di concentrarsi su di loro. Soprattutto perché prendersi una sbandata per la dea della verginità era una crociata senza speranza, oltre che molto stupida.
Cloto, d'altronde, era troppo affettuosa per potergli piacere. E poi aveva un seno veramente troppo grosso.
Qualcuno, piuttosto più indietro di Heka, nella fila, urlò a Lachesi di darsi una mossa, che se aveva voglia di flirtare poteva farlo con qualcuno di meglio che il fuggitivo bambino, bambino che si trovò improvvisamente piuttosto irritato per quella brutale interruzione dei propri pensieri.
«Andate a farvi fottere tutti quanti! Questo è una celebrità, fra noi dei in pensione! Heka il fuggitivo! E voi lo sapete quanto me, quindi fatevi i cazzi vostri, che tanto non rischiate di crepare perché aspettate troppo. Se continuate a scassare lo sfintere giuro che vi piazzo tutti a fare i volontari per i crash test delle auto» urlò questa, sonoramente, senza curarsi degli sguardi scandalizzati di qualche divinità perbenista.
«Ho sempre adorato la tua spiccata finezza, sai, Lachesi?» commentò Heka, sorridendo. «Il modo, poi, in cui lasci scivolare quelle amenità fuori dalla bocca... è qualcosa di sublime».
«Crash test» gli ricordò semplicemente l'altra, con un'occhiata significativa. «Ma d'altronde non hanno tutti i torti. È ovvio che, anche se io ti do corda perché se non lo facessi non sarei Lachesi, tu non hai alcuna voglia di essere piazzato nel – come l'hai chiamato? Ah, sì – pidocchioso mondo mortale e che la stai tirando lunga, per quanto sia inutile».
«Vuoi gli applausi per l'intuito?» chiese acidamente il ragazzino, sbuffando.
«Mi accontento di una passiva collaborazione» rispose la ragazza, senza raccogliere. Trafficò un poco con delle carte e poi sventolò in giro un fascio di fogli in uno strano balletto di cui Heka non capì – né in quel momento, né ripensandoci a posteriori – il senso.
«Dove diavolo?... Ah, sì... Ecco... Non, non è questo... Cazzo... Fanculo... Merda... Finalmente!»
Sbatté un nuovo agglomerato informe di documentazione sul bancone e sospirò, come di ritorno da una lotta a mani nude con un leone.
«Io continuo a dirlo, che dobbiamo archiviare tutto digitalmente. Ma, no! Atropo deve sempre ficcare quel cazzo di naso ovunque! “Gli archivi in lamiera con le linguette in ordine alfabetico sono così carini”... Certo, però quella che sistema tutto poi sono io. Ah, ma quando torna...» bofonchiò, sfogliando le pagine.
Heka rimase a scrutarla, affascinato, finché lei, percependo il suo sguardo, alzò gli occhi, trucemente.
«Che cazzo hai da fissare?» ringhiò, con le guance arrossate e un paio di ciocche che si erano arruffate, in linea con il suo umore.
«Oh, nulla! È che sei così... così irrimediabilmente elegante che non ti si può fare a meno di guardare. Veramente, sai? Hai questo charme... No, questo aplomb britannico così imperituro...» ridacchiò, scuotendo la testa.
«Piantala» borbottò Lachesi con un'occhiata di biasimo. «Un bambino non dovrebbe sapere certe parole, comunque. Né sentirle dire».
«Quali? Cazzo, vaffanculo, merda... e tutte le altre che hai elencato così zelantemente?» chiese lui, con infantile innocenza.
«No, parole tipo “aplomb”, “imperituro” e “zelante”» ribatté con espressione schifata, per poi esplodere in una risatina silenziosa, condivisa anche dal ragazzino.
«Dai, Lachesi... per quanto mi piaccia passare il tempo a scambiarmi merdose piacevolezze con te, voglio concludere questa tortura il prima possibile» sollecitò, sospirando.
«Legittimo. Allora... mi confermi che sei Heka, divinità bambina egizia, incarnazione della magia, figlio di Menhit e Khnum?» chiese Lachesi fissando le scritte mal impaginate sui fogli pieni di orecchie.
«Beh, la paternità è contesta. Alcuni dicono Atum, altri Khnum... a quei tempi non esisteva l'esame del DNA. Diciamo che sono entrambi i miei padri» tagliò corto Heka e di fronte allo sguardo perplesso di Lachesi – che a quanto pareva si era persa un gossip e che sembrava orripilata all'idea – il ragazzino sventolò una mano in segno di noncuranza. «Particolari dinamiche egizie».
«Ok, me ne parlerai meglio un'altra volta... Allora, mi confermi anche che...»
«Sì, sì... confermo tutto. Cristo, più che trovarmi un posto dove stare, o un lavoro, sembra che tu voglia schedarmi come criminale» borbottò. «Come se tutte queste cose non le sapessi già, poi».
«Che ci vuoi fare? È il protocollo. E poi, considerando che sei stato un fuggitivo per parecchio tempo, immagino che tu sia una specie di fuorilegge, per il Consiglio. A quanto ne so verranno prese misure cautelari...»
«Scherzi?» chiese Heka, cercando di capire se l'altra facesse sul serio o fosse solo un – malriuscito, inoltre – tentativo di scherzare.
«Se non cautelari, che effettivamente forse è esagerato, saranno comunque misure di controllo. Giusto perché tu non te la dia a gambe per tornare uccel di bosco» commentò comprensivamente Lachesi. Heka non capì se fosse comprensiva nei suoi confronti o in quelli del Consiglio.
«Se posso essere uccel di bosco, non voglio diventare uccel di gabbia» commentò comunque, imbronciato.
«Manzoni?» chiese Lachesi, inarcando un sopracciglio. «Scomodi addirittura quel povero Cristo di Manzoni – sottolineiamo la sua indecente umanità – per ribellione divina?».
«Io non cito Manzoni. Manzoni ha citato me» precisò il ragazzo, alzando un dito. «Ho avuto una mezza idea di citarlo anche io, legalmente, per non aver inserito la fonte, ma poi ho lasciato perdere».
«Chiaro» commentò Lachesi, sbattendo le palpebre, leggermente perplessa. «Comunque, dicevo: mi confermi di aver seguito il corso per l'idoneità contemporanea?»
Heka si ritrovò ad annuire di nuovo, sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
«Come no. Appena mi hanno raccattato, quelli del Consiglio mi hanno praticamente murato dentro la stanza del corso, intimandomi di non uscire fino a che non fossi divenuto in tutto e per tutto un figlio del terzo millennio. Ora conosco bellissime parole come PlayStation, iPhone, lavastoviglie, vibratore, digitale terrestre... YouPorn... sì, insomma... tutte quelle cose tecnologiche che ai tempi in cui eravamo dei nemmeno ci sognavamo».
«Bene, una rogna in meno» approvò Lachesi, distrattamente, compiendo uno svolazzo della mano che, presumibilmente, doveva servire ad annotare qualcosa sui fogli.
«Quindi ora?» chiese Heka, consapevole che il momento del giudizio si stava avvicinando.
«Quindi ora veniamo a noi e cerchiamo di creare la tua perfetta, interessante e piacevolissima vita umana» lo informò con leggerezza.
«Sai, non credo avresti tutti quei sorrisini da spargere in giro come petali di rosa, se solo fossi laggiù e non qui» sentenziò il ragazzino, che grazie alla situazione terribilmente ansiogena non poteva essere definito un mostro di pazienza.
«Ascolta, vuoi perderti in chiacchiere o finire questa cosa il prima possibile? Io opto per la seconda. Quindi... se fossi venuto qui prima – mille anni fa, tipo – avresti avuto più possibilità di scelta, in generale... ora come ora ti devi accontentare di quello che ti dirò io e non protestare, perché tanto sarebbe inutile. È crisi per tutti».
«Chiaro» confermò Heka, benché l'idea non gli andasse per niente a genio.
«Ok, quindi la tua famiglia...»
Heka sussultò con un verso strano che interruppe il discorso di Lachesi.
«Che c'è, ora, Heka?» chiese questa, sbuffando.
«Famiglia? Non posso avere una vita da persona perfettamente autosufficiente?».
La ragazza lo fissò neutramente per qualche secondo.
«Fai sul serio?»
«Perché no?»
«Bah, fra tutte le cose che mi vengono in mente al primo posto c'è il fatto che sei in formato tascabile» gli fece notare la Parca, roteando gli occhi.
«Ancora con questa storia? E poi sono perfettamente certo che esistano anche adulti che sono... sì, insomma... in formato tascabile».
«Certo che ci sono. Si chiamano nani. Proporzioni totalmente diverse dalle tue» comunicò asciuttamente la ragazza.
«Beh, ho comunque sentito di minori emancipati» ribatté Heka, impuntato.
Altro sguardo vuoto.
«Sì, beh, certo... Ma nel mondo reale tu dimostri... sette anni? Otto, al massimo? Normalmente avresti appena imparato ad allacciarti le scarpe».
«E perché, l'emancipazione di minore vale solo arbitrariamente per ragazzi più grandi?»
Gli occhi di Heka trasudavano indignazione.
«Sì, direi proprio di sì».
«Che diavolo di leggi sono?»
«Leggi che impediscono ad un bambino di otto anni di vivere da solo in una casa con un frullatore».
«Che c'entra ora il frullatore?» chiese il ragazzino, sibilando.
«C'entra» tagliò corto l'altra. «Rimane un solo punto: mi avevi promesso che non ti saresti lamentato».
«Hai pure ragione, ma...»
«Niente ma. Tu avrai la tua famiglia e andrai a scuola. Non hai molte alternative».
«No, a scuola no! Tutto ma non a scuola!»
«Sto perdendo la pazienza. Si può sapere che hai?» sbottò la Moira, alterata.
«Perché la scuola? Non ho proprio altre opzioni?» chiese Heka, supplicante.
«Bah, non nella società occidentale».
«Va bene qualsiasi altra società».
«Ok. Potresti lavorare nelle fabbriche di tappeti indiane ed essere trattato in condizioni penose. Essere assoldato in uno di quei bordelli
illegale che tengono anche minori... Oppure potresti fare lo spazzacamino, essere un bambino di strada, potremmo mutilarti e mandarti a mendicare per le vie di Nuova Delhi... O potremmo semplicemente regalarti ai trafficanti di organi» elencò Lachesi con sguardo vacuo, fino a che Heka non divenne di un interessante colorito ambrato – che, considerata la pelle scura, tipica del suo paese, era un terribile risultato.

«Io... ehm... vada per la scuola» borbottò il ragazzino, con gli occhi sgranati.
«Condivido la scelta!» esclamò la ragazza, nuovamente sorridente.
«Ascolta, Lachesi... Non c'è proprio nulla, quindi, che mi permetta di sfruttare le mie capacità? Insomma, tutti cercano un lavoro in linea con le loro attitudini...» tentò, mogiamente.
«Ventunesimo secolo» lo freddò l'altra, spietata. «La magia, per le masse, non esiste. L'unica cosa che ti conviene fare è procurarti un mazzo di carte da Poker. I trucchi con quelle piacciono un sacco alle ragazze...»
«Sì, come ho detto prima, tutto questo è sempre più degradante» confermò Heka, querulo.
«Sono d'accordo. Non se ne può più di questo degrado umano e divino» annuì la ragazza, ma dal tono di voce il bambino sospettò la presenza di un certo, sicuramente a lui sgradito, assecondamento. «Allora, la famiglia a cui ho intenzione di affidarti vive a Firenze, una deliziosa città dell'Italia. Sono in tre, al momento. E da quello che ho capito la famiglia non ha in programma di ampliarsi nell'immediato futuro» commentò la dea con invidiabile professionalità.
«Buono a sapersi» replicò Heka, che di tutte quelle informazioni così squisitamente inutili non se ne faceva proprio niente.
«In generale non si sono rivelata una famiglia granché ben assortita, ma diciamo che funzionano e che il vicinato non ha ancora chiamato la polizia per schiamazzi, perciò l'abbiamo considerato un buon segno» continuò lei, incurante dell'impazienza del ragazzo.
«Lo sai che questo non è esattamente rassicurante, vero?» chiese lui, mordendosi un labbro, quasi a sangue.
«Su, smettila di frignare. Dicevo... Lei è Veive, etrusca» gli comunicò con calma.
«Dimmi che non mi avete davvero appioppato come madre la divinità etrusca della vendetta» implorò Heka, ormai rassegnato all'inevitabile.
«Potrebbe essere così, invece. Avvocato divorzista. Quella donna è un tale mastino che per le separazioni non consensuali non se ne trovano di migliori, sulla piazza. Vendicativa e accanita com'è, riesce sempre a spennare come un pollo chiunque si ritrovi a voler mettere nel sacco il suo cliente. Quindi vedi di comportarti bene... non credo che lei abbia mai avuto esperienze di maternità, tra l'altro».
«Fantastico. Vedrò di non farla arrabbiare. Il mio paparino?»
«Ra'a» rispose l'altra con semplicità.
«Potresti evitare di scatarrarti così palesemente?» chiese Heka, infastidito.
«Dio, ma sei veramente tonto. Tuo padre si chiama Ra'a» ripeté Lachesi, scuotendo la testa.
«Ra'a? Chi cazzo è, ora, questo? Sarei pronto a giurare di non averlo mai sentito».
«Probabile. È il dio polinesiano della meteorologia. È un tipo un po' strano, ma simpatico. Tutto svampito, sempre nel suo mondo e con il
naso per aria. Adesso, poi, ha preso anche l'abitudine umana di portare degli occhiali che gli stanno sempre storti sul naso... personcina deliziosa, comunque sia» commentò Lachesi con un sorriso stranamente dolce.

«E che lavoro farebbe, questo qui?» domandò Heka, sbuffando.
«Ma il meteorologo, no?» replicò la Parca come se fossi ovvio.
«In pratica è disoccupato».
«Non farti sentire da lui, per carità. Nonostante sia fisiologicamente impossibile, per lui, arrabbiarsi, questa è una cosa che lo ferisce
molto. Non che non sia quasi la verità, chiaro» precisò, compunta.

«Cioè, fammi capire, Lachi. Voi avete accoppiato una dea della vendetta che è più accanita dell'edera velenosa e uno svampito che gira con
la testa legata ad un filo altrimenti gli scappa tra le nuvole come un palloncino all'elio?».

«Mmm... direi che la descrizione calza, sì».
«Cazzo, voi tre sorelle siete delle Cupido perlomeno pessime. Vi consiglio, in caso un giorno doveste aver bisogno anche voi di un lavoro,
di non aprire una società di consulenza sentimentale. Rovinereste la vita delle persone» borbottò il ragazzino.

«A mia discolpa posso dire che, secondo i test di personalità, il segno zodiacale e anche l'ascendente, quei due avevano una compatibilità
dell'ottantadue percento».

«Ma secondo quali criteri, di grazia?»
«E io che ne so? Non sono io che li faccio, quei cosi».
«Va bene... immagino di non poter giudicare quei due e neppure te. Io non sono poi una persona così facile. Cercherò di convivere
civilmente» capitolò il ragazzino.

«Calma, non ho finito» lo stoppò Lachesi con poca grazia.
«E chi manca, ancora?» Heka cominciava a credere che quello fosse semplicemente un incubo fin troppo realistico.
«Quello che secondo l'anagrafe umana dovrebbe essere il padre di tua madre».
«Cioè?»
Dalla faccia che aveva Lachesi, Heka cominciò a sospettare che probabilmente quell'ultima notizia non gli sarebbe piaciuta. Non che le altre gli avessero comunque fatto tutto questo gran piacere.
«Aio Locuzio» sputò l'altra, senza guardarlo in faccia.
«No».
«Sì» miagolò l'altra, con voce bassissima.
«No!» esplose l'altro, aggrappandosi spasticamente a quella non identificabile superficie lucida su cui era appoggiato. «Non quel vecchiaccio del malaugurio!»
«Heka, non è colpa sua. I pericoli e le disgrazie sono suo appannaggio... è logico che cerchi di avvisare tutti quanti».
«Non ti azzardare a cercare giustificazioni per le sue gufate, Lachesi... Mi ha predetto che un giorno qualcuno mi aprirà dal collo
all'inguine... Anzi, che mi scannerà, a sentir lui! Io con quello non ci parlo».

«Beh, ci parlerai eccome, invece. Quello è ufficialmente tuo nonno» gli intimò la Parca con rinnovato vigore.
«Lachesi, ti prego...»
«Un corno! Lachesi un corno. Non ho intenzione di discutere... e ora, se hai finito di lamentarti della tua nuova famiglia, parliamo di te».
Heka abbassò lo sguardo e annuì.
«Allora, ti chiamerai Patrizio e...»
«No, aspetta...» la interruppe Heka, scettico.
«E che cazzo, Heka! La pianti?» scattò l'altra alzando le mani al cielo.
«Ti giuro che questa volta è per una buona ragione. Tralasciando il fatto che non mi accetterei mai di chiamarmi con un nome così
disgustosamente romano...»

«Ehi. Guarda che io sono romana-barra-greca... questa cosa è offensiva».
«Infatti stavo cercando di tralasciare quanto detto prima. Ma sono sicuro al cento percento che da una italica e un polinesiano non possa uscire un bambino dalle fisionomie egiziane con un nome palesemente latino» espose con sveltezza il bambino, impassibilmente compunto.
«Effettivamente hai ragione. Se vuoi che io sia sincera non ho la più pallida idea di quali siano i nomi più usati fra gli egiziani».
«Ramses va più che bene».
«Alla faccia del corso di idoneità contemporanea. Ramses non si usa più da un sacco» commentò Lachesi, ridendo. «Più o meno come Empedocle e Polinice, Edipo et similia».
«Ma cosa vuoi saperne, tu?» protestò l'altro, arricciando le labbra.
«Ne sono più che certa».
«Tutankhamon?»
«Idem... Che ne dici di Hamir?» chiese la Parca con una espressione pensierosa.
«Mmmm... sa molto di plebeo, ma può andare. Immagino che sarò adottato, giusto per dare un motivo alla mia comparsa, di punto in
bianco».

«Sì, direi che è la spiegazione più facile. Ed è anche tutto. Intanto potresti cortesemente compilare questo test di personalità? Lo diamo a tutti. Puoi tornare qui domani e ridarmelo, così ti daremo anche tutti i documenti, le informazioni che ti servono e potrai iniziare la tua nuova vita».
Heka capì che quello era il congedo professionale di Lachesi e annuì, agguantando i fogli che gli venivano porti da sotto il vetro.«Sperando di sopravvivere» borbottò solamente, allontanandosi dalla fila e avviandosi verso l'uscita, tra il sollievo generale.


 



Note disoccupate:
Ennesima storia pubblicata oggi, così, tanto per fare u.u
Qui cerchiamo di esaurire velocemente tutto ciò che c'è da dire:
1) tutti i personaggi qui nominati non sono di mia proprietà ma della mente (o forse della realtà, chi può saperlo?) umana nel corso dei millenni, così come non sono reali tutti gli ironici commenti (vedi commento su "uccel di bosco" di Manzoni)
2) Con questa storia non è assolutamente mia intenzione sminuire qualsiasi religione in favore di un'altra o in favore di nessuna... E' semplicemente qualcosa di ironico, primo vi alcun taglio
3) Avrei potuto spiegarvi uno per uno tutti gli dei che ho usato dentro questo capitolo, ma... no. Sono piuttosto basilari, perciò immagino li conosciate :)
4) Lo so, questa cosa è veramente penosa, ma l'ho scritta da, tipo... mesi e mesi e non mi andava di lasciarla a marcire lì... Così, ehi! Perché non torturiamo qualche ignaro lettore?
Non dico altro e vi lascio
Alla prossima
LadraDiVita
  
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