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Autore: xCyanide    24/09/2013    7 recensioni
La prima volta che l’avevo visto, però, la ricordavo.
Ve l’ho detto, era semplicemente apparso, non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto prima di allora.
E quindi come ha fatto uno sconosciuto a sembrarmi così familiare, proprio come se fosse casa mia? [dal primo capitolo]
-Ti stai innamorando di me, Frank? – chiese, con così tanta tranquillità e naturalezza che mi sembrò quasi strano sentir uscire quelle parole dalla sua bocca. [dal sesto capitolo]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1 - Di lacrime e sorprese.


Non sapevo in realtà come l’avessi conosciuto di preciso. Era semplicemente apparso nella mia vita e aveva cercato di colmare il vuoto che sentivo costantemente nel petto senza che glielo avessi chiesto. Quello stesso vuoto che ci aveva così avvicinati, nemmeno immaginate. Non che lo biasimassi per quello che aveva fatto per me, semplicemente ero incondizionatamente grato. Mi sentivo come se fossi la falena e lui una luce accecante pronta a tenermi con se. Mi sentivo sempre protetto.
Il mio corpo era così attratto dal suo, quasi sembrava una cosa innaturale.
Lui era innaturale. Assolutamente troppo perfetto per essere umano, ai miei occhi. Aveva quel fascino che non è sicuramente terreno. Ma non era nemmeno somigliante all’idea di bellezza ideale che ci viene inculcata nella mente dai tempi degli antichi elleni. La bellezza che rincorreva Mirone, che aveva cercato di migliorare poi Skopas erano niente in confronto ai suoi soli occhi.
Se avessi dovuto descrivere il suo aspetto, avrei detto che apparteneva a una specie tutta sua. Si portava dietro una sorta di aura eterea, quasi come fosse completamente e maledettamente ialino per tutto il corpo.
La prima volta che l’avevo visto,  però, la ricordavo.
Ve l’ho detto, era semplicemente apparso, non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto prima di allora.
E quindi come ha fatto uno sconosciuto a sembrarmi così familiare, proprio come se fosse casa mia?
 
Tutte le volte che i miei genitori mi urlavano contro per un qualsiasi motivo anche alquanto inutile, ero solito chiudermi a chiave nella mia camera per poter piangere tutte le lacrime che avevo in corpo.
Quella volta, più precisamente, mamma mi aveva tirato… non so cosa fosse, ci credete? Probabilmente era un piatto piano di porcellana della collezione di mia nonna, ormai morta da anni purtroppo.
La spiegazione? Avevo saltato la scuola quel giorno, cosa che facevo ormai assiduamente per colpa dei miei compagni di classe davvero stronzi, ma per mia sfortuna ero stato beccato. Il preside aveva chiamato a casa.
Mio padre, il più pacato tra i due, aveva cercato di farmi ragionare in tutti i modi, mi aveva detto che “farmi bocciare al terzo anno di scuola era un completo fallimento”, sosteneva che avrei rovinato il nome della famiglia in quel modo.
Loro… oh, loro si che tenevano alla mia istruzione! Forse ora riesco a capirli, ma cercate di comprendere anche me: avevo solo quindici anni. Ero un ragazzino disubbidiente, quasi come lo facessi apposta, che macchiava il buon nome della famiglia Iero.
Tutti i miei cugini, zii, parenti in generale erano persone davvero importanti o che sarebbero diventate importanti con davvero pochissimo tempo.
Avvocato, giudice, notaio, poliziotto, soldato. Ecco cosa pensavano sarei dovuto diventare.
Era brutto sapere che già da prima che nascessi la mia vita fosse stata completamente programmata.
Nasci. Cresci. Studi. Lavori. Ti sposi. Dai un erede alla famiglia. Finisci due metri sotto terra.
Non volevo sottostare alle leggi non scritte che mi venivano imposte, dopotutto ero un essere umano e volevo essere trattato come tale. Avevo le mie passioni e volevo coltivarle.
Avrei voluto diventare un chitarrista di successo ma beh, se vedeste da che luogo lurido vi sto raccontando questa storia, vi rendereste conto che forse avrei fatto meglio a seguire il consiglio di mia madre. Che poi, tanto consiglio non era, forse è meglio chiamarlo ordine.
Comunque, sin da piccolo non avevo voluto saperne delle regole. Le credevo solo buone a restringere l’anima di una persona, a renderle incapace esprimersi per davvero.
L’anima non ha fottute regole, avrebbero dovuto capirlo tutti. L’anima è la cosa più libera del mondo, devi plasmarla come più credi.
E non come credono gli altri, la libertà non è imposizione.
Andando avanti negli anni, capii che se c’era una cosa che non volevo farmi fare, era farmi togliere i sogni. Che me li strappassero via dalla carne, scuoiandomi in modo davvero indelicato e rude per farmi rimanere con i piedi per terra. Per farmi rimanere nudo davanti a loro.
Non volevo. Ero un sognatore e chi nasce sognatore, muore sognatore. Ecco una delle mie leggi non scritte.
Avevo evitato accuratamente quello che credevo fosse un piatto, come già detto, ed ero corso in camera mia portandomi dietro la pesantezza degli insulti che mi ero preso.
Inutile. Scansafatiche. Delusione. Fallimento. Schifo.
Ingoia e reprimi, mi dissi come sempre quando non volevo piangere.
Mi limitavo ad ingoiare il groppo che mi chiudeva la gola ed a ricacciare indietro le lacrime accuratamente così da non mettere in mostra la mia altrimenti sfarzosa fragilità.
Sbattei come sempre la porta della camera, così da mettere in mostra la mia invece inesistente forza e autorità.
Quando finalmente girai la chiave per chiudermi dentro, sentii la mia guancia sinistra prontamente bagnata. Tutto quello che rimane dentro, prima o poi deve anche uscire.
Mi presi il viso tra le mani in modo davvero poco delicato e mi lascia scappare un forte singhiozzo che si irruppe nel mio petto e mi tartassò per un attimo, facendomi sentire davvero confuso e perso.
Arrancai con gli occhi serrati verso il letto e mi ci buttai sopra con la pancia rivolta sulle lenzuola, a peso completamente morto, e portai le mie dita tra i capelli per spingermi il viso sul materasso.
Non per soffocarmi, assolutamente, volevo solo tenermi nascosto. Volevo solo stare al buio, completamente senza luce.
Ripensavo tra me e me a quello che ero, a quello che stavo facendo e mi resi conto che… che forse mamma aveva ragione. Forse ero davvero una delusione. Uno scansafatiche.
Questa consapevolezza mi lacerò lo stomaco in tutti piccoli pezzetti, mi sentivo a terra, mi sentivo sottoterra anzi.
Avrei voluto scomparire, non essere davvero mai nato, soprattutto se dovevo vivere per sentirmi male sempre.
Quando alzai il viso dalla coperta, con gli occhi ancora grondanti di lacrime e davvero gonfi, mi si parò davanti l’immagine di un tessuto nero… di quello che mi sembrava velluto. O pile, non so dirlo con precisione.
Mi stropicciai lentamente le palpebre, come se davvero non riuscissi a capire cosa diavolo fosse e alzai lentamente lo sguardo per seguire la linea femminea del corpo che si trovava sotto quello che oramai avevo identificato come un cappotto.
Assottigliai lo sguardo quando capii che quella sul mio letto con me era davvero una… donna. O perlomeno, così sembrava.
Inclinai appena il viso, davvero confuso, e mi sistemai a sedere sempre con occhi indagatori rivolti verso la figura che in quel momento si stava guardando intorno nella mia stanza. Ancora non potevo vedere il suo viso, ancora non avevo la conferma del suo sesso per giunta, ma dalle forme che vedevo sotto il cappotto poteva essere benissimo una donna un po’ sovrappeso. O un uomo davvero magro. Ma escludevo l’ultima opzione. I suoi soli movimenti del cranio erano troppo delicati per essere appartenenti a un essere maschile, dato che la maggior parte di essi erano rozzi e buffi da guardare. Un po’ come Hulk.
Scesi ad osservare con attenzione le sue dita affusolate e non potei fare a meno di metterle a confronto con quello che credevo davvero fosse l’esempio pratico dell’uomo, mio padre.
Le sue erano più lunghe e magre, si intravedevano le ossa sotto la pelle davvero troppo liscia e apparentemente morbida. Sembravano davvero dita curate, non di un lavoratore assiduo. Mio papà era un avvocato, le sue unghie erano sempre rotte fino alla carne viva per via del nervosismo. Quelle dell’essere invece, sembravano appena uscite da una seduta di manicure, con lo smalto nero lucido sistemato per bene sulle falangi e le unghie davvero lunghe e fine.
Quindi, portai di nuovo gli occhi ad osservare quello che riuscivo ad intravedere del suo volto, bianco come le mani presupposi.
Un groviglio di capelli lunghi fino alle sue scapole, completamente neri, mi bloccava la visuale su quello che doveva essere il suo viso.
Lasciai vagare per bene le mie pupille su quella matassa indefinita, forse erano l’unica nota che stonava con la delicatezza del resto del corpo. Era l’unica cosa leggermente mascolina che riuscivo a trovare in quella creatura. Mi lasciai trasportare dalle leggere sfumature castane che si trovavano sull’attaccatura della cute, come se fossero tinti. Ma non credevo lo fossero, anche perché mi sembravano troppo naturali per esserlo.
Ero così curioso di vederla, lo volevo a tutti i costi.
Così presi una piccola boccata d’aria e mi decisi a schiarirmi la gola per attirare l’attenzione.
Ma quello che vidi mi mozzò letteralmente il fiato.
 

xCyanide's Corner
Okay okay okay, avevo promesso che l'avrei pubblicata una volta completamente finita di scrivere, ma niente. In fatto di pazienza faccio schifo.
Diciamo che per metà l'ho già finita quindi umh, spero di essere più puntuale possibile.
Spero veramente vi piaccia, ci ho messo davvero l'anima dato che ci sto lavorando da tipo quasi un anno. E' strano, dieci capitoli in un anno ahahahah
Comunque, lasciatemi una piccolissima recensione, mi farebbe davvero piacere!
Alla prossima (pubblicherò approssimativamente una volta a settimana)
xCyanide

  
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