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Autore: lilyandthebanshees    24/09/2013    3 recensioni
Si infilò nella vasca, e rabbrividì al contatto dell’acqua calda con la sua pelle, fredda come il ghiaccio. Come il suo cuore. La musica continuava, la ballata finale che aveva scelto per l’occasione. Cominciò a canticchiare le parole di quella melodia, che risuonava nelle sue orecchie come in un trip.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lola stava nel bagno, osservando la sua figura intera nello specchio. Era un vecchio specchio, con la cornice di legno intagliata. Glielo aveva regalato sua nonna, poco prima di morire. Quello specchio le ricordava lei e tutto quello che aveva passato nella vita.
Era completamente nuda, faceva freddo, i peli erano rizzati, aveva la pelle d’oca, i suoi capezzoli erano duri.
Si passò la mano lungo il corpo, piano piano, come temendo di romperlo. Accarezzò gentilmente l’incavo tra i piccoli seni, il ventre piatto, le costole in evidenza. La linea dei fianchi, le ossa delle anche che spuntavano violentemente dalla pelle, come a volerla bucare. Le gambe snelle, lunghe, le braccia magre.

Poi sfiorò delicatamente le cicatrici. Alcune vecchie, altre così fresche e rosse. Nell’incavo dei polsi, profonde e dolorose. Sui polpacci, sui fianchi, sulla pancia. Sulle cosce sode, più lunghe, alcune formavano delle parole. Parole che si sentiva dire ogni giorno dai suoi compagni, dalla sua famiglia, da se stessa. Grassa. Brutta. Inutile. Idiota. Emo. Lesbica.

Erano tante, troppe.

Guardò a lungo il suo volto, scavato, dall’aspetto quasi malato. Le guance da bambina però rimanevano. “Alla Heidi”, diceva la nonna quando era piccola. Erano strane unite al suo naso lungo e dritto, le labbra sottili, gli occhi grandi e marroni, così espressivi.
Si allontanò dallo specchio, sedendosi sul water. Stava aspettando che l’acqua riempisse la vasca, per potersi fare un bagno. Si mise la testa tra le mani, e iniziò a piangere. Una musica lenta e straziante le faceva da sottofondo, sottofondo a quel pianto che non erano insolito per lei.

La notizia ricevuto quel giorno l’aveva sconvolta.

Grace si era suicidata la notte scorsa.

Grace, la sua ragazza Grace, con gli occhi allungati, il fisico snello e quel sorriso sempre stampato in volto, si era impiccata in un parco. Lo aveva fatto poco tempo dopo quella telefonata.

«Lolita, buonanotte. Io vado al parco»
«Ma come al parco, sai che di notte ci sono i peggio maniaci!»
«Sai come sono, il parco di notte è silenzioso, e mi piace pensare sotto alla quercia»
«Lascio stare le tue stranezze solo perché sto rientrando a casa. Buonanotte Gracie, ci sentiamo domani piccola»
«Già, a domani. Ti amo»

Quel ‘ti amo’, detto così, di sfuggita, poco prima di attaccare l’aveva lasciata sconvolta, Loro non se l’erano mai dette. O almeno, Grace non glielo aveva mai detto. Nella sua testa erano scattati dei campanelli d’allarme, ma il sonno e il troppo alcol che aveva in circolo l’avevano convinta a lasciare perdere.
Non sapeva che si sarebbe pentita di quella decisione per il resto della sua vita.
Sì, perché, la mattina dopo, quando non l’aveva trovata a scuola, quando la polizia era venuta nella loro classe, ad interrogarla, il rimorso e il senso di colpa l’avevano distrutta.

Grace, la sua Grace morta.

«Come ho fatto a lasciarla andare?»
Quella frase rimbombò tra le pareti del bagno, un rumore sordo e quasi macabro. Si mischiò alle sue lacrime, come sangue con l’acqua.
Chiuse il rubinetto, la vasca era pronta. Si diede una sistemata, riflettendosi di nuovo nello specchio.
Cominciò a truccarsi, mise il rossetto rosso vino, il preferito della sua Grace. Poi passò delle pesanti linee di eyeliner sugli occhi, belli neri, come piacevano a lei. Il tutto terminò con una passata di mascara sulle ciglia, già lunghe di loro.

Si guardò. Era bellissima, come la morte.

Indossò un completo di pizzo nero, lo stesso che aveva messo la prima volta che aveva fatto l’amore con lei.
Si infilò nella vasca, e rabbrividì al contatto dell’acqua calda con la sua pelle, fredda come il ghiaccio. Come il suo cuore. La musica continuava, la ballata finale che aveva scelto per l’occasione. Cominciò a canticchiare le parole di quella melodia, che risuonava nelle sue orecchie come in un trip.

Stava ancora cantando, quando aprì la scatola dove teneva la sua salvezza.

Fissò la piccola lama che teneva in mano, le dita tremavano.
Fece un profondo respiro, cominciando di nuovo a piangere. Incise la pelle del suo polso con forza, verticalmente. Il sangue non ci mise molto ad uscire. Incise anche l’altro, trattenendo il fiato per il dolore. Vide la vena pulsare, mentre l’acqua diventava rossa.
Posò la lama e appoggiò le braccia sui bordi della vasca.

La vista cominciava a sfocarsi, il respiro era sempre più corto. Il suo cuore stava cercando di combattere, come se non volesse abbandonare quello schifo che le persone chiamavano vita. Ma il suo cervello si stava spegnendo, ultime esalazioni di splendore.

Arrivo, nonna. Arrivo, piccola mia

Questo fu il suo ultimo pensiero, dopo di che il cuore smise di battere il suo corpo divenne freddo, come era sempre stata.


 
  
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