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Autore: slanif    24/09/2013    2 recensioni
Genzo/Karl
Karl Heinz era sempre stato un bel ragazzo. Non di quelli che ti fanno girare la testa a tal punto da diventare sfacciato, perché aveva comunque un’area austera che incuteva un certo timore nelle persone, ma la sua bellezza era tale che non si poteva fantasticare su nient’altro che su di lui, dopo averlo incontrato.
Esattamente come tutte le milioni di ragazze che venivano allo stadio a fare il tifo per il bel Karl ragazzo e non per il bravo Karl calciatore, anche Genzo Wakabayashi si sentiva attratto dalla sua bellezza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cioccolatini
di slanif

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Karl Heinz era sempre stato un bel ragazzo. Non di quelli che ti fanno girare la testa a tal punto da diventare sfacciato, perché aveva comunque un’area austera che incuteva un certo timore nelle persone, ma la sua bellezza era tale che non si poteva fantasticare su nient’altro che su di lui, dopo averlo incontrato.
Esattamente come tutte le milioni di ragazze che venivano allo stadio a fare il tifo per il bel Karl ragazzo e non per il bravo Karl calciatore, anche Genzo Wakabayashi si sentiva attratto dalla sua bellezza.
Intendiamoci: se doveva considerare solo il suo carattere, probabilmente gli sarebbe passato volentieri sopra con le ruote della macchina, ma se si considerava solo il suo lato estetico, di certo Karl rientrava in quello che lui definiva “Ideale di uomo”.
Di essere omosessuale lo aveva sempre saputo. Da piccolo non lo capiva, non sapeva nemmeno che cosa volesse dire quella parola, ma con gli anni aveva capito e lo aveva accettato. Non si era ritrovato a piangere, impaurito dalla realtà: aveva solo detto: “Sono così? Bene. Non è di certo una malattia, perciò non ho nulla di cui preoccuparmi!”.
Sì, probabilmente l’aveva presa un po’ troppo alla leggera… ma a chi doveva dar conto? I suoi genitori erano in Giappone e continuavano la loro vita normalmente, telefonandogli una volta al mese per neanche dieci minuti. I suoi fratelli erano tutti sposati e felici, e non lo chiamavano mai se non a natale e il giorno del suo compleanno. Mikami ormai era occupato a trovare nuovi talenti, anche se non si dimenticava mai di telefonargli ogni mercoledì sera alle nove. I suoi amici in Giappone erano o troppo impegnati a far carriera, o troppo ottusi (qui si riferiva solo a Tsubasa), o troppo menefreghisti (e qui solo a Hiyuga) per occuparsi dei suoi fatti personali. E poi, appunto, erano personali. Solo suoi. E li avrebbe resi noti se e quando sarebbe stato il momento con le persone giuste.
Una volta aveva avuto una mezza ammissione con Franz, ma non se ne preoccupava. Lui era così totalmente  e sfacciatamente omosessuale che non lo avrebbe di certo giudicato per questo… anzi, doveva ancora specificargli certi dettagli di quell’incontro/scontro con Margas che li aveva visti avvinghiati sul letto a strofinarsi…
Avrebbe indagato alla fine degli allenamenti…
Ma prima, doveva appunto allenarsi. Questo implicava concentrarsi su ciò che stava facendo.
Ormai era un movimento meccanico quello di parare le palle, ma non poteva sperare che, anche distrattamente, il suo allenamento sarebbe stato completo e ben fatto.
Genzo teneva molto alle sue prestazioni sportive. Erano quelle ad averlo portato prima in Germania, poi alla nazionale e infine a vincere il campionato mondiale. Il calcio gli aveva permesso di essere conosciuto, famoso, ammirato, invidiato e rispettato. Soprattutto rispettato. Aveva dovuto guadagnarselo, il rispetto, arrivato in Germania. Nessuno lo trattava bene. Lo sbeffeggiavano e gli facevano scherzi continuamente. Nessuno era  cortese con lui. La gentilezza non ne parliamo… per i primi mesi, si era persino dimenticato di cosa significasse quella parola… ma col tempo, dimostrando di essere un giocatore valido e capace, era riuscito ad avere prima il rispetto, poi la loro simpatia. Quella era venuta con ancor più tempo, perché lui non era uno che si apre facilmente, e per sapere che era un tipo simpatico, ci era voluto senz’altro più tempo del capire che era un bravo giocatore. Ma alla fine l’avevano capito e anche lui era entrato nel gruppo, ricevendo inviti e sentendosi partecipe di ogni loro iniziativa.
Grazie a questo positivo evolversi degli eventi, aveva conosciuto il Kaiser.
Ovviamente lo conosceva anche prima (giocavano nella stessa squadra e si allenavano tutti i giorni insieme!), ma conosceva solo il giocatore, non la persona.
C’aveva messo un po’, ma alla fine aveva capito che sotto quell’aria per niente simpatica e anzi austera e superiore, c’era in verità un ragazzo con dei valori e, a volte, anche divertente!
Certo, non lo era per niente quando gli tirava contro quel bolide di Fire Shot, ma quando guardavano i film horror e lui, uomo tutto d’un pezzo, aveva paura e si copriva gli occhi… lo era eccome!
Ridacchiò, e nel farlo si distrasse, rischiando quasi di prendere una pallonata in pieno viso. La respinse al volo col gomito, ma c’era mancato poco…
Tirò un sospiro di sollievo e nel farlo ignorò la seconda palla che stava sopraggiungendo subito dopo e la prese in pieno sul naso.
Subito percepì il sapore metallico del sangue sulle labbra e si portò il guantone al naso, controllandolo subito dopo e trovandolo sporco di sangue rosso e viscido.
Ci mancava solo questa… ecco cosa comporta distrarsi!
“Genzo! Gen! Tutto bene?”, corse verso di lui il capitano del Brema.
“Sì, Franz, tutto okay, grazie…” disse Genzo sfregandosi il naso col guanto e cercando di fermare il sangue.
“Vai subito in infermeria a farti medicare!” lo incitò Franz, premuroso come sempre nei suoi confronti. Si comportava con lui come avrebbero sempre dovuto fare i suoi fratelli. A Genzo faceva piacere, perché era bello che in quel paese così lontano dove era solo, ci fosse qualcuno che teneva a lui come a un fratello.
“Sì, adesso vado”, gli sorrise Genzo prima di avviarsi.
Arrivò in infermeria in pochi secondi e subito l’infermiera gli infilò del cotone nel naso per cercare di bloccare l’emorragia, costringendolo a sdraiarsi e a tenere la testa indietro: “Così la fuoriuscita del sangue si bloccherà più velocemente”, gli aveva detto. Non aveva menzionato quanto fosse scomoda quella posizione per il suo collo, però…
Gli sembrava di essere col collo piegato in due da un’eternità quando sentì la porta aprirsi.
“Oh, finalmente!” disse, tirandosi su velocemente “Così posso togliermi ‘sti cos…”.
Si interruppe.
Non era di certo l’infermiera quella che aveva davanti.
Era il bel Kaiser, come lo chiamava Franz, e come lo chiamava lui nelle sue fantasticherie più nascoste.
“Schneider… che ci fai qui?”, domandò con voce leggermente incerta.
“La palla era mia” disse lui, asciutto. Le labbra fini si mossero velocemente nel pronunciare suddette parole. Il sudore colava copioso sul suo viso magro e freddo.
“Come, scusa?”. Genzo era un po’ confuso… tutto quel sangue perso e la posizione scomoda gli avevano annebbiato un po’ il cervello…
“La pallonata… la palla l’ho tirata io” precisò Karl Heinz.
Genzo rise: “Dovevo immaginarlo che c’era il tuo zampino!”.
“Beh…” disse Karl Heinz piano, sorridendo sotto i baffi “Per vederti con quei due osceni cotoni nel naso ti avrei tirato addosso anche un sasso… sei ridicolo!”.
Genzo sentì l’indignazione salirgli in petto: “Cooosaaa? Guarda che è tutta colpa tua, lo hai appena ammesso tu!”.
Karl Heinz sorrise beffardo: “Sei ridicolo comunque”.
“Tsk!” disse Genzo con stizza, togliendosi con violenza i due cotoni dal naso.
Per fortuna, non sentì altro sangue colargli giù fino alla bocca…
Ci fu un lungo periodo di silenzio. Ma non era insolito, tra di loro. Nessuno dei due era di grandi parole, preferivano i fatti. Perciò capitava spesso che non parlassero per lungo tempo. Karl anche per giorni e giorni, se aveva la luna storta o non gli interessava il fatto che respirassi…
Interruppe il silenzio l’entrata dell’infermiera che constatò lo stato di Genzo e lo rimandò negli spogliatoi a cambiarsi, facendosi assicurare che si sarebbe cambiato e andato a casa, non di nuovo in campo.
A Genzo girava la testa, perciò confermò la richiesta dell’infermiera e andò negli spogliatoi a cambiarsi. Karl lo seguì fuori dall’infermeria, ma diretto in campo per concludere gli allenamenti.
Non si salutarono. Non dissero proprio niente, a dire il vero, ma loro non erano tipi da cose del genere. Nessuno dei due era così ben educato da salutare perché “andava fatto”.
Perciò Genzo si ritrovò solo a cambiarsi velocemente e a prendere la via di casa dopo aver spiegato la situazione all’allenatore che non ebbe nulla da obiettare.
Arrivò a casa in circa quindici minuti tra passeggiata e metropolitana e subito si buttò sul divano. Portò un braccio a coprire gli occhi e sospirò, cercando di rilassarsi.
Passò circa un’ora, poi sentì il campanello.
“E adesso chi cazzo è?” ringhiò Genzo, tirandosi su a fatica. Era così rilassato che si era quasi addormentato… e invece c’era qualcuno che aveva pensato bene di suonargli e di disturbarlo! Ma adesso gliel’avrebbe pagata cara… aveva già pronta tutta una serie di epiteti poco fini da tirargli addosso…
“Chi diavolo è?” ringhiò a voce un po’ troppo alta, spalancando la porta.
Ogni cattiveria gli morì in gola.
“K… Ka… rl” disse inghiottendo a vuoto “Che ci fai qui?”.
Karl lo fissò da sotto la frangia dorata. Quegli occhi azzurri come il cielo d’inverno, limpidi e chiari, lo perforarono. La pelle diafana del naso era arrossata dal freddo gelido dell’autunno tedesco e la bocca era stretta in una linea sottile.
Genzo lo guardò e lo trovò stupendo.
Inghiottì a vuoto.
“Ho portato i cioccolatini” disse Karl, secco.
Genzo fissò il pacchettino trasparente pieno di cioccolatini colorati e di almeno dieci gusti che Karl gli tendeva.
Li fissò, sconcertato. Cioccolatini? Che cosa significavano quei cioccolatini?
“Sono il tuo modo per chiedermi scusa?” domandò Genzo, senza neanche pensarci. Evidentemente il suo intuito era stato più veloce della sua logica…
“Stai zitto e fammi entrare” disse Karl, affondando la testa nello sciarpone grigio perla che indossava.
A Genzo sembrò di vedere un po’ di rossore sulle sue guance, ma non ne ebbe la certezza. E poco gli importava. Era il gesto più carino che Karl gli avesse mai fatto, e questo gli bastava.
“Vieni, accomodati, mangiamoceli al caldo dei termosifoni accesi” gli sorrise Genzo, emozionato e felice, con un sorriso ebete di cui si vergognò ma che non riuscì a togliersi dalla faccia.
“Finalmente hai un’idea geniale, brutto orso gigante…” disse Karl, spostandolo con una spalla ed entrando in casa come se fosse sua.
Genzo si irritò per il soprannome con cui lo aveva chiamato riferendosi alla sua per nulla esile struttura fisica, ma non se la prese.
Karl era venuto in infermeria a vedere se stava bene. Poi gli aveva portato i cioccolatini per chiedergli scusa.
Non che lo avesse detto a voce, e magari era tutta la fantasia di Genzo a dare tutte queste idilliache spiegazioni ai comportamenti del bel Kaiser, ma era comunque felice.
Lo seguì e si accomodò con lui sul divano, afferrando uno dei cioccolatini, divertito nel vedere Karl sbrodolarsi col ripieno del cioccolatino che stava mangiando.
Di Karl era bello anche questo: sapeva sorprenderlo. Sapeva farlo felice con solo la sua presenza. A Genzo non serviva nient’altro…

**FINE**

   
 
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