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Autore: Ellery    24/09/2013    4 recensioni
E se ToA avesse avuto un finale alternativo? Un finale in cui Asch ritorna a casa, al termine di ogni cosa, e si ritrova a dover fronteggiare ricordi, rimpianti e indecisioni, proprio la sera della cerimonia in onore della principessa Natalia.
"Il giovane storse istintivamente il naso, al sentire quel nome. Avrebbe voluto cancellarlo del tutto, dalla propria mente e dal proprio passato. Invece, che lo volesse o meno, rispuntava fuori quando meno se lo aspettava. Tuttavia, lui non era Luke, non più; ce ne aveva messo di tempo, per capirlo, ma alla fine si era deciso a buttarsi alle spalle tutto quanto: ogni rancore, ogni insicurezza."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Il giovane guardò la propria immagine, riflessa nella specchiera innanzi a sé.  La figura gli restituì un amaro sorriso, comparso su un volto pallido ed affilato, incorniciato da una massa disordinata di lunghi capelli rossi. Gli occhi verdi guizzarono qualche attimo sulla casacca blu che indossava, dove vi era ricamato lo stemma dei Fon Fabre; era, questa, una delle famiglie nobili della città, nonché direttamente imparentata con i reali. Non a caso, dunque, vestiva con l’alta uniforme della propria casata: quella sera era interamente dedicata ai festeggiamenti per il compleanno della principessa Natalia; presto o tardi, quella ragazza sarebbe salita al trono: finalmente riconosciuta a pieno titolo dai suoi genitori, sarebbe stata probabilmente una regina di gran lunga migliore di ogni suo predecessore. Già, Natalia… era passato tanto di quel tempo, da quella promessa che si erano scambiati; eppure la ricordava come se fosse stato un ricordo recente, tanto fresco quanto indelebile. Chissà se sarebbero mai riusciti a realizzarla; forse si…in fondo, Natalia era amata dal popolo, ben più dei suoi genitori. Era dolce e premurosa, non negava il suo aiuto a nessuno… i sudditi la rispettavano e la stimavano, inneggiando per una sua rapida ascesa al trono; se non fosse stato per qualche aristocratico invidioso, probabilmente Natalia sarebbe già stata sovrana da un pezzo. Eppure, tra la nobiltà, alcuni non facevano altro che rinfacciarle ogni sua scelta: una regina non può mescolarsi al popolo con tanta semplicità, non può azzerare quel divario naturale imposto dall’ordine sociale; una principessa non può andarsene in giro con un malnutrito gruppetto di avventurieri, nel tentativo di salvare il regno: esiste l’esercito per salvare il regno e non è certo compito delle principesse! E, naturalmente, Sua Altezza non poteva presentarsi alla cerimonia in suo onore accompagnata da un reietto come lui: poco importava che avesse fatto del proprio meglio per osteggiare Van e i suoi piani folli; quando la verità sul suo Maestro era emersa, era tornato ad essere, agli occhi di tutti, uno dei complici di quella pazzia, uno dei sei generali che lo appoggiavano nella sua ascesa al potere. Tutto il resto era soltanto un anfratto scomodo della vera storia, uno di quei capitoli che la gente legge sempre mal volentieri, come se contenessero rivelazioni  troppo scomode da ascoltare. A lui, in fondo, importava ben poco…eppure non poteva continuare così: qualunque cosa facesse si riversava, immancabilmente, su Natalia: la principessa dovrebbe scegliersi meglio gli amici, si diceva a corte. Forse non avrebbe dovuto accettare di accompagnarla a quel ballo, no... ma lei aveva insistito tanto che, alla fine, non aveva potuto rifiutare.
Asch abbandonò il corso dei propri pensieri quando sentì la porta aprirsi. Lo sguardo tornò ad osservare il riflesso, che ora mostrava l’avanzare di una donna di mezza età, dai lunghi capelli rossi raccolti in una ordinata crocchia. Il suo vestito frusciava ad ogni passo, come se il velluto morbido volesse preannunciare l’avanzare della matrona della casata Fon Fabre.
«Non sei ancora pronto? Non manca molto all’inizio della cerimonia» nella sua voce vi era soltanto una punta di rimprovero, coperta da un tono più dolce e premuroso.
«Io non vengo» rispose il giovane, fissando i guanti di stoffa bianca abbandonati sul pianale della specchiera. Chiuse istintivamente le mani a pugno, appoggiandole sopra le gambe, fasciate perfettamente da un paio di pantaloni bianchi che, all’altezza del ginocchio, si tuffavano oltre il bordo di alti e lucidi stivali.
«Non puoi non venire; Natalia ti sta aspettando» sua madre scivolò alle sue spalle, prendendo a sistemare la fascia di raso rosso che, dalla spalla sinistra, scendeva morbida sino al fianco opposto, dove era fermata da una spilla dorata che riprendeva lo stemma della casata.
«Se la caverà benissimo anche da sola, immagino» replicò Asch, tornando a fissare la propria immagine nello specchio, con scarso interesse. Il sorriso, per quanto tenue fosse, era scomparso, sostituito da una espressione quasi imbronciata. In fondo, non era davvero sicuro di voler andare a quel ballo: aveva fatto male a cedere alle insistenze della principessa e, soprattutto, a prometterle che l’avrebbe accompagnata personalmente «Non ci voglio andare, d’accordo?» sbuffò, infine, rendendosi immediatamente conto di quanto quella frase potesse risultare capricciosa.
La donna scosse mestamente il capo, lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato «Non credo serva ti ricordi quanto sia sconveniente abbandonare una damigella poco prima del ballo in suo onore… specie se questa “damigella” è la nostra principessa»
«Sarebbe più sconveniente se ci andasse con me; sono sicuro che troverà un altro cavaliere e senza alcuna difficoltà»
«Perché dici così?» la voce della matrona parve sfumare in una nota preoccupata, che però il ragazzo non parve cogliere. Asch liquidò la faccenda con una rapida scrollata di spalle, prima di riattaccare dopo qualche attimo di silenzio.
«Mi odiano tutti, là fuori…e non posso dar loro torto.» sospirò, andando ad appoggiare il gomito destro sul pianale del mobiletto innanzi a sé e accomodando la guancia sul palmo della rispettiva mano «Io, uno dei sei generali… uno dei sostenitori della follia di Van dovrei… accompagnare al ballo la nostra futura regina? Pff…» si concesse un leggero sbuffo sarcastico, ignorando l’occhiata sbieca di sua madre «Che figura ci farebbe a presentarsi con… beh… me? Non fa per lei! Se andassi, sarebbe come gettarla nuovamente in pasto alle malelingue… non voglio che soffra di nuovo per questo; non tutti i nobili hanno accettato il suo riconoscimento come erede al trono e sai quanto c’è stata male. Rischierei di rovinare tutto quello che ha costruito sino ad ora»
«Pensi davvero che a Natalia importi, quello che certa gente dice di lei? Il popolo la ama, i suoi amici la ammirano ed i suoi genitori l’hanno finalmente riabbracciata come figlia! Perché dovrebbe curarsi di quattro vecchi pomposi?» sua madre parve aggirare lo sgabello, allungando una mano per andare a prendere una morbida spazzola dal ripiano della specchiera. Prese a passarla lentamente tra i capelli del figlio, districando con cura i nodi e appianando i ciuffi ribelli a cui lui non sembrava affatto badare.
«Il popolo ama lei, ma non me.» sospirò Asch, chinando leggermente il capo, lasciando che i dentini della spazzola corressero tra le sue ciocche disordinate, quasi assaporando quella premura materna; in fondo, non riceveva attenzioni simili da quasi dieci anni. Era tutto ancora troppo strano, almeno dal suo punto di vista, eppure si stava sforzando di farci l’abitudine. Avrebbe voluto fermare sua madre, dirle di smetterla, che non era un bambino e che sapeva pettinarsi da solo; sapeva, però, che ci sarebbe rimasta male. L’avrebbe visto come un rifiuto, come se lui stesse volutamente cercando di allontanarla; ma non voleva scacciarla, affatto… era soltanto strano sentirsi di nuovo parte di una famiglia, di quella stessa famiglia che l’aveva dimenticato per tanto tempo «Siamo sinceri… non riscuoto molto successo, tra la gente; quando sono tornato, beh…qualcuno si è domandato se non foste impazziti tutti quanti, a riprendermi in famiglia come se niente fosse. Chi può mi scansa, chi non riesce ad evitarmi finge che io non ci sia; sarebbe stato meglio se me ne fossi andato» trasalì leggermente al sentire la spazzola tirargli un paio di ciocche, prima di lasciarsi andare ad un sospiro sconsolato «Perché mi avete ripreso con voi?»
«Perché sei nostro figlio, Luke»
Il giovane storse istintivamente il naso, al sentire quel nome. Avrebbe voluto cancellarlo del tutto, dalla propria mente e dal proprio passato. Invece, che lo volesse o meno, rispuntava fuori quando meno se lo aspettava. Tuttavia, lui non era Luke, non più; ce ne aveva messo di tempo, per capirlo, ma alla fine si era deciso a buttarsi alle spalle tutto quanto: ogni rancore, ogni insicurezza. E poi, quando non se lo aspettava, quel nome tornava a tormentarlo ed a risvegliare ricordi che avrebbe desiderato seppellire per sempre. Schioccò le labbra in una smorfia scontenta «Non chiamarmi così, ti prego. Non è il mio nome, quello.»
«Questo è il nome che ho scelto per te» Asch sentì delle dita sottili premergli sotto il mento, tanto da costringerlo a rialzare il viso. Incrociò qualche attimo lo sguardo di sua madre, divenuto improvvisamente lucido «Non mi interessa sapere come ti chiamava Van! Non userò un nome scelto dall’uomo che ti ha portato via!» la voce della donna si incrinò sul finire, mentre le sue braccia andarono a chiudersi delicatamente attorno alle spalle del figlio. Il suo volto si chinò accanto a quello del ragazzo «Potrai mai perdonarmi, Luke? Come ho potuto essere così cieca?» sussurrò, lasciandosi sfuggire un paio di mesti sospiri. Asch mosse le labbra, come per aggiungere qualcosa, ma non riuscì a produrre alcun suono. Sua madre lo strinse maggiormente in quel caldo abbraccio, prima di proseguire «Perdonami, ti prego. Sapevo che quel bambino non eri tu. Lo sapevo, l’ho sempre saputo. Come potevi aver dimenticato tutto quanto? Come potevano il tuo coraggio ed il tuo altruismo essersi spenti così velocemente, soppiantati dall’incertezza e dalla paura? Eppure…la felicità per aver ritrovato mio figlio era tale da rendermi cieca e sorda ad ogni rimprovero. Il mio cuore gridava la verità, ma non ho voluto ascoltarlo! Il timore di perderti nuovamente era troppo perché potessi sopportarlo. Allora ho chiuso gli occhi, ho finto di non vedere oltre il velo delle bugie di Van ed ho cercato di dimenticare e di essere felice comunque» fece una pausa, mentre le sue dita afferravano una ciocca ramata e la rigiravano con cura e delicatezza «Non ti chiedo di capire, né di non  biasimarmi. Solo, se puoi, dimentica e perdona la mia debolezza»
«Madre...» Asch non riuscì a dire altro; chinò il capo, appoggiando la fronte sulla spalla della donna, mentre un paio di lacrime scivolavano lentamente lungo le guance, arrivando a gocciolare sui ricami delicati dell’alta uniforme. Rimase così per qualche attimo, accontentandosi di ascoltare i loro sospiri, la mescolanza di sottili singhiozzi e sussurri spezzati. Infine, il ragazzo raddrizzò la schiena, scivolando via da quel materno abbraccio, per tornare a fissare la sua immagine riflessa nello specchio. Lo sguardo, benché lucido, sembrava più limpido e sicuro, come se quel ritrovarsi avesse spazzato via ogni dubbio ed ogni rimuginare.
La donna si alzò, portandosi nuovamente alle sue spalle; prese nuovamente a pettinare le ciocche disordinate, mentre un leggero sbuffo le sfuggiva dalle labbra sottili «Non puoi andare al ballo così in disordine, comunque…» aggiunse, provando a donare un tono spensierato alle proprie parole, come se la frivolezza di quei gesti potesse spezzare l’atmosfera greve che si era venuta a creare «Perchè andrai al ballo, non è vero?» sorrise mestamente, quando riuscì a strappargli un leggero cenno d’assenso «Tuo fratello ti sta aspettando di sotto, anzi… forse si starà chiedendo che fine tu abbia fatto» scherzò, mentre Asch si stringeva appena nelle spalle. A dirla tutta, trovava difficile vedere la Replica come un fratello; eppure, i suoi genitori non sembravano accettare altra logica spiegazione. Era come se fossero gemelli, in fondo. Uguali, in quasi-tutto. Avevano amato l’uno e l’altro indistintamente, in due modi e momenti differenti. Malgrado tutto, la Replica era parte della famiglia tanto quanto lo era lui, se non di più. Per i signori Fon Fabre, era come aver guadagnato un figlio da un giorno con l’altro: il loro bambino scomparso era tornato, completamente cambiato e sconvolto, ma era tornato! Non c’era stata gioia più grande, per loro….e poi, anni dopo, un altro ragazzo si era fatto avanti, reclamando  quello stesso nome. E se fossero stati costretti ad una scelta? Asch aveva pochi dubbi: avrebbero scelto la Replica, a cui si erano inspiegabilmente affezionati; ancora stentava a credere che fossero caduti tanto scioccamente nelle trame delle bugie di Van. A ben vedere, però, lui stesso vi era scivolato: convinto che il Maestro fosse nel giusto, l’aveva seguito fin quasi in capo alla sua follia; “quasi”… alla fine, era riuscito a vedere oltre quei piani assurdi, a capire dove s’annidava l’errore ed a rimediare. Gli era costato la vita, tutto ciò, ma aveva fatto la cosa giusta, ne era certo. La Replica aveva sconfitto Van e poi era tornato indietro, per salvarlo; ancora non gli era chiaro come Luke ci fosse riuscito: non aveva alcun ricordo, della cosa. Rammentava solo d’essersi risvegliato su un freddo pavimento di pietra, con la Replica che gli ronzava in torno con fare apprensivo. Anche troppo apprensivo, per i suoi gusti. Il primo pensiero era stato di ribrezzo e rifiuto: quella Replica si preoccupava per lui a tal punto? Perché? Cos’era successo di tanto grave? Poi, pian piano, i pezzi di memoria erano tornati a congiungersi, come a ricreare un quadro: ricordava il combattimento ed il dolore provato quando le spade l’avevano ferito; gli attimi di esitazione e quell’ultimo guizzo di ribellione, prima dell’abbandono tra le braccia della morte. Immagini vaghe, incerte, che lo gettavano ancor più nello sconcerto. Era come se non trovasse il nesso: perché era ancora lì, dopo tutto? Sotto gli strappi, tra le pieghe insanguinate degli abiti, non vi erano più tagli e ferite. Come se fosse sfuggito all’eterna signora per un soffio o come se fosse stato reclamato indietro da qualcuno. La Replica.
All’inizio, il suo orgoglio si era rifiutato di cedere ad una simile possibilità: quell’aborto era davvero riuscito a salvarlo? Nah, impossibile. Non sapeva nemmeno allacciarsi le scarpe, quasi. Poi, però, anche la sua più tenace difesa era crollata: si, Luke  alla fine…aveva davvero combinato qualcosa di buono, almeno dal suo punto di vista. “L’ho fatto per Natalia” gli aveva raccontato, al suo risveglio “Non volevo che soffrisse… e non volevo soffrire nemmeno io”.

Asch distolse l’attenzione da quei pensieri: in fondo, non intendeva rimuginarci su ancora. Sollevò lo sguardo nuovamente sullo specchio, spiando un’ultima volta quel riflesso. Sua madre era scivolata silenziosamente via, dopo avergli acconciato i capelli in una elegante ed ordinata treccia, fermata da un nastro di raso scuro. L’aveva lasciato solo a riflettere, sicura che sarebbe arrivato alla conclusione giusta. Si, non aveva senso far attendere ancora la principessa. Si rialzò, dandosi una rapida rassettata all’alta uniforme e recuperando i guanti dal mobiletto.
«In fondo è solo un ballo» si disse, fissando il ragazzo che, dallo specchio, gli stava rifilando un sorriso soddisfatto «Ne ho passate di peggio»
«ASCH! Ti vuoi muovere? Sto facendo la muffa, qua sotto!» la voce della Replica salì dalle scale, squillante e sin troppo allegra, come sempre.
Asch richiuse la porta della propria camera, avviandosi lentamente verso la fine del corridoio. Davvero ne aveva passate di peggio? «No, forse no…»
  
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