“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro.
Leggerli in ordine è
vivere, sfogliarli a caso è sognare.”
Arthur Schopenhauer
1
“Si avvisano i signori passeggeri che, per motivi tecnici,
il volo AZ1022 per Milano Linate partirà con un’ora di ritardo.”
L’annuncio asettico dell’altoparlante provocò non poco
scontento fra le persone presenti nella sala d’imbarco.
“Non posso crederci” esclamò Myriam controllando il
monitor situato presso il check-in, nel caso, assai remoto, che si trattasse di
un errore. “Avrei potuto dormire un’ora in più.”
Con fare rassegnato, la ragazza prese la
ventiquattro ore che aveva lasciato sulla scomoda poltroncina della sala
d’attesa e se la mise a tracolla.
Avrebbe fatto volentieri a meno delle trasferte
giornaliere a Milano, sopratutto di lunedì. Alzarsi all’alba, uscire alla
chetichella e salire in taxi mentre la città era ancora addormentata la
entusiasmavano quanto un bagno nell’acqua gelata. Purtroppo il volo delle sette
e quarantacinque non le lasciava alternative, unico conciliabile con gli orari
dei suoi referenti a Como.
Era ancora presto per chiamare in ufficio e avvisare del
ritardo: se non dormivano, erano sicuramente sotto la doccia. Non restava che
fare un giro per i negozi del terminal che conosceva a memoria, e cercare
qualcosa di interessante da sfogliare in volo.
Nonostante l’aria seria e il tailleur pantaloni, non
dimostrava i suoi ventisei anni. Il viso acqua e sapone e i capelli sbarazzini
stonavano con la carriera impegnativa che aveva scelto di intraprendere.
Il suo sguardo assonnato cominciò a vagare da una vetrina
all’altra. Le commesse arrivavano verso le sette e diverse saracinesche erano
ancora abbassate.
Mi ci vorrebbe un
buon caffè, penso
fra sé mentre copriva con la mano l’ennesimo sbadiglio. Si diresse flemmatica
verso il bar, quando qualcosa di insolito attirò la sua attenzione.
Un negozio di
giocattoli? Si
chiese con stupore avvicinandosi all’esposizione di peluche e bambolotti che
sembrava spuntata fuori dal nulla.
Felice del diversivo e dimentica del caffè, entrò nel
negozio e cominciò a guardarsi intorno. A Roma posti del genere si contavano
sulla punta delle dita, strano non averlo notato prima. Trovava piacevole fare
un tuffo nel passato, a quando i viaggi con la fantasia la portavano in mondi
esotici e avventurosi. Peccato che, crescendo, si dovesse rinunciare alla
magia.
Si aggirò fra gli scaffali, sorridendo alla vista delle Playstation
e Nintendo di ultima generazione. Non era mai stata un’appassionata di
videogiochi, preferiva di gran lunga i pupazzi raffiguranti i protagonisti dei
suoi cartoni animati preferiti. I nuovi modelli di Barbie destarono in lei seri
dubbi in merito al loro valore educativo. Che fine avevano fatto i Lego?
“Cerca qualcosa in particolare signorina?” chiese una voce
alle sue spalle, facendola sussultare. L’aver girato per strade deserte aveva
provocato in lei un progressivo distacco dal mondo esterno.
Poco più basso di lei, con lunghi baffi bianchi che gli
conferivano un’aria al contempo simpatica e burbera, il signore che aveva
interrotto il corso dei suoi pensieri la fissava con uno strano scintillio
negli occhi. O forse era la mancanza di sonno ad alterare la sua percezione
della realtà.
“La ringrazio” rispose con una punta di imbarazzo, “stavo
dando un’occhiata in giro.”
“Mi è sembrato di capire che stesse cercando i Lego,” insisté lui con fare pacato.
Aveva parlato a voce alta senza accorgersene?
“Mi stavo chiedendo
che fine avessero fatto i giocattoli tradizionali, quelli che hanno
accompagnato la mia infanzia” spiegò Myriam, cercando di non sembrare
inopportuna.
“Quanti anni ha? Venticinque? Ventisei?” le
chiese scrutandola da dietro le lenti spesse.
Annuì con un sorriso. “Probabilmente non è la persona più
adatta con la quale affrontare questo discorso, ma mi chiedo se si possa vivere
un’infanzia allegra e spensierata a suon di Pokemon e Barbie California Girl.”
“Dipende dai punti di vista” ribatté lui. “Più che agli
oggetti lei è affezionata ai
ricordi ad essi legati: persino un giocattolo dall’apparenza
anonima può farci rivivere tante emozioni.”
La ragazza rimase in silenzio. Il suo ragionamento non
faceva una piega, ma ebbe la netta sensazione che credesse poco nella sua
affermazione.
“La vedo perplessa” proseguì lui sistemandosi meglio gli
occhiali sul naso. “Forse ho qualcosa che farà al caso suo. Mi
segua.”
Si diresse verso il retro del negozio. Tirò fuori dalla
tasca un grande mazzo di chiavi, ne scelse una e aprì una vetrinetta dall’aria
vetusta e impolverata. “Questo le dice nulla?” le chiese porgendole un piccolo
albo colorato.
Myriam lo osservò per un attimo. “Non posso crederci”
esclamò quindi, lasciando trasparire una genuina sorpresa. “Il manga di Holly e
Benji in giapponese.”
Uno sguardo compiaciuto accompagnò la sua scoperta. “Non
si tratta di un manga qualunque, bensì del primo numero pubblicato su Shonen Jump nel 1982.”
“Il primo numero,” gli fece eco
la ragazza mentre sfogliava le pagine del fumetto in perfetto stato. “Aveva
ragione” aggiunse alzando su di lui uno sguardo meravigliato, “basta un attimo
per tornare indietro di vent’anni.”
Chissà quanto costava. Sarebbe stata felice di portare
quel cimelio con sé, ma dubitava che il prezzo fosse alla sua portata.
“Se vuole posso prestarglielo per un po’.” L’inattesa
proposta la colse del tutto impreparata.
Myriam lo guardò con curiosità. Quell’uomo sembrava
leggerle nel pensiero. “Vuole prestarmelo?”
“Esattamente. Nel caso se lo fosse chiesto non è in
vendita ma, al momento, sembra averne più bisogno di me.”
Averne bisogno? Si chiese per un attimo se non
fosse vittima di una candid camera.
“Non mi guardi con quella faccia” continuò lui con fare
enigmatico, “so benissimo di cosa parlo.”
Di nuovo quel bagliore negli occhi. Non avrebbe dovuto saltare
il caffè.
“Lo porti pure con sé. Le terrà compagnia
in aereo.”
Era tentata di accettare la strana offerta, ma quel tipo
sembrava un po’ svitato. Per non parlare del fatto che accettare prestiti dagli
sconosciuti non faceva parte delle sue abitudini.
“Se lo perdessi, o mi dimenticassi di restituirglielo?”
L’uomo baffuto non fece una piega. Richiuse con calma la
vetrina e si diresse verso il bancone. Prese una bustina da sotto la cassa e la
porse alla ragazza che, non sapendo bene cosa fare, l’aveva seguito in
silenzio.
“Ci metta dentro il fumetto, così in valigia non si
rovinerà.”
La cosa non aveva alcun senso, ma prese la busta e vi
infilò il prezioso albo.
“Non si preoccupi” sorrise nuovamente lui, “quando sarà
giunto il momento troverò il modo di rientrarne in possesso. Ora
si sbrighi o perderà il suo volo.”
Myriam lanciò un’occhiata distratta, poi sbigottita,
all’orologio. Non era possibile che fossero già le otto e trenta.
“Signore la ringrazio molto, in un altro frangente non
avrei accettato,” farfugliò mentre si dirigeva verso
la porta. “La prossima settimana devo tornare a Milano e passerò a trovarla.”
Non ricevette risposta, ma non aveva tempo per sincerarsi
se il negoziante avesse udito o meno le sue parole.
Come poteva essere passata già un’ora? L’area shopping pullulava di passeggeri
e l’imbarco per il suo volo era iniziato da almeno quindici minuti.
Porca miseria, si rimproverò fra sé dirigendosi
di corsa verso il gate.
Fortunatamente nella sala d’aspetto c’erano ancora un paio di ritardatari che,
data l’attesa forzata, si erano sicuramente assopiti.
C’è mancato un pelo, pensò percorrendo il finger (1) a grandi falcate. Un’hostess
l’attendeva sorridente per assegnarle il suo posto.
Una inizio di giornata quanto meno surreale
considerò tra sé, mentre le porgeva la carta
d’imbarco e si avviava verso il
sedile indicatole. Dopo aver inviato un sms in ufficio per avvisare del
ritardo, spense il cellulare e sistemò il bagaglio sotto il sedile di fronte al
suo.
A dir poco incredibile. Conosciuta per la sua precisione e
puntualità, stava per perdere l’aereo. Il tutto per colpa di un bizzarro
signore e di un fumetto giapponese.
Notò con stupore che il volo era quasi vuoto. Il lunedì
mattina erano soliti accalcarsi uomini d’affari alle prese con quotidiani di
alta finanza, computer portatili e palmari di ultima generazione. Era stata
persino spostata in business class.
Forse sono partiti
su Malpensa,
pensò con gratitudine.
Sprofondò nella comoda poltrona e un sorriso le si dipinse
in volto. Si sentiva stranamente felice. La vita frenetica che aveva scelto le
faceva spesso dimenticare le piccole cose importanti, in grado di farla sentire
ancora una ragazzina.
Allacciò la cintura di sicurezza e tirò fuori l’albo di Shonen Jump. L’aereo cominciò a
rullare sulla pista. Non vi fece caso, intenta com’era a decifrare qualche
ideogramma giapponese qua e là. I personaggi li conosceva sin troppo bene –
come dimenticarli? – ma non capiva nulla di quanto riportato nelle vignette.
Potrei farne una
copia prima di restituirla, considerò tra sé mentre prendevano quota. La colpiva il forte
contrasto le emozioni evocate da quelle immagini e il numero di anni trascorsi
da allora. Rievocò il ricordo dei pomeriggi trascorsi a giocare con i suoi amici
a Holly e Benji e non poté contenere
un sorriso carico di nostalgia.
Litigavamo sempre
per il ruolo di fidanzatina di Holly ridacchiò fra sé mentre, una decina di minuti dopo,
riponeva il fumetto nella borsa. Appoggiò la testa all’indietro e scivolò
dolcemente nel sonno, l’aspettava una lunga giornata.
“Stiamo per iniziare la procedura di atterraggio: i
signori passeggeri sono pregati di tornare ai loro posti e spegnere ogni
dispositivo elettronico”, annunciò improvvisamente una voce all’altoparlante.
Myriam sussultò: quanto tempo era passato? Aveva l’impressione di aver dormito
per ore, sentiva i muscoli del collo e della schiena più indolenziti del solito.
“L’arrivo all’aeroporto di Narita è previsto fra dieci
minuti circa. Siamo in perfetto orario e le condizioni a terra sono buone.”
Narita? Aveva sentito bene? Myriam si guardò intorno con
fare confuso e intorpidito. L’assistente di volo doveva aver commesso un
errore. Le era già capitato di sentire annunci di
benvenuto sbagliati, tra città italiane poteva capitare. Confondere Milano con
Tokyo era quanto mai bizzarro, eppure nessuno sembrava averci fatto caso.
Fece spallucce, limitandosi a richiudere gli occhi. La
conferenza prevista a Como il mese seguente la stava mettendo a dura prova. Le
sue giornate erano ormai un susseguirsi ininterrotto di incontri e riunioni. Oggi
sarebbe stata la volta delle procedure di sicurezza. L’ospitalità di ministri e
segretari di Stato richiedeva un minuzioso studio del cerimoniale, e un forte
coordinamento logistico fra le parti coinvolte nel progetto.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, l’aereo atterrò
dolcemente e si mise a rullare sulla pista fino a fermarsi del tutto. “Alitalia
vi da il benvenuto all’aeroporto di Narita,” riprese
la voce femminile addetta alle comunicazioni di volo. Myriam inarcò un
sopracciglio. Possibile che nessuno le facesse notare l’errore?
“La temperatura esterna è di 22 gradi e sono le quattordici e venti ora locale,” proseguì. “Vi auguriamo
un piacevole soggiorno e arrivederci a presto sulle nostre linee.”
Come potevano essere le due passate se erano decollati da Roma
poco prima delle nove? Slacciò la cintura di sicurezza e allungò il braccio per
recuperare il suo bagaglio. Meglio sbrigarsi e scendere da quella gabbia di
matti.
Il corridoio si era misteriosamente affollato, e dovette
aspettare un paio di minuti prima di raggiungere l’uscita.
Passando di fronte alla cabina di pilotaggio, non poté
fare a meno di lanciare un’occhiata in tralice al personale in piedi vicino al
portellone. Sorridevano candidamente, come se nulla fosse accaduto.
“Sayonara signora” la salutò uno steward biondo dall’aria
simpatica, “buon soggiorno a Tokyo.”
La ragazza preferì non rispondere. Con quell’equipaggio era
fortunata di essere giunta a destinazione sana e salva. Strizzò gli occhi per
abituarsi alla forte luce esterna e per poco non cadde dalla scaletta. Di
fronte a sé non vi era il terminal di Linate, bensì quello che,
presumibilmente, era l’aeroporto di Tokyo.
L’imponente insegna Narita
Airport seguita dall’equivalente giapponese non
dava adito a equivoci. E il bello era che nessuno sembrava aversene a male.
Fece immediatamente dietro front
per chiedere spiegazioni.
“Mi scusi, temo che questo non sia il mio aereo,” disse rivolgendosi allo steward che l’aveva salutata poco
prima. Il ragazzo la guardò meravigliato, non doveva accadere spesso che un
passeggero si lamentasse di aver raggiunto una destinazione imprevista.
“Come dice signora?” le chiese mentre cercava nervosamente
il proprio biglietto nella borsa. “Questo è il volo AZ786 Roma Fiumicino - Tokyo
Narita, è impossibile che sia salita a bordo dell’aereo sbagliato.”
“Le assicuro che è andata proprio così” ribatté lei decisa
a dimostrare il proprio, seppur irragionevole, punto di vista. Finalmente trovò
il biglietto e glielo porse come avrebbe fatto un impiegato di banca con una banconota
falsa da cento euro.
“Mi scusi se insisto signora, ma non
vi è alcun errore.
Il volo corrisponde” confermò lui dando una rapida scorsa al
documento di viaggio, prima di restituirlo con un sorriso divertito.
Myriam fissò prima il ragazzo e poi il biglietto con occhi
sgranati. Si trattava effettivamente di un volo per Tokyo, il nome scritto a
lettere scarlatte sulla ricevuta di viaggio era il suo. Potevano essersi sbagliati
all’agenzia di viaggi? Eppure quella mattina si era imbarcata alla volta di Milano,
impossibile dubitarne.
Sospirò, dirigendosi a passi lenti verso la navetta passeggeri
che l’attendeva, troppo scioccata per formare un pensiero razionale. Senza
passaporto né cambio per la notte, era atterrata in Giappone come una profuga
colta da temporanea amnesia.
C’era molta gente agli arrivi e non le restò che mettersi
in fila. Cosa avrebbe detto quando le avessero chiesto i documenti? La patente che
aveva con sé non era sufficiente per varcare i confini nipponici. Frugò nella
borsa alla ricerca del portafogli quando – perché stupirsene? – si ritrovò fra
le mani il passaporto che lasciava sempre a casa, chiuso a chiave in un
cassetto.
Non le restò quindi che affermare all’ufficiale
dell’immigrazione di essere in Giappone per motivi di lavoro. Un sorriso, un
timbro e via. Solo mentre si dirigeva verso l’uscita si rese conto di aver
appena sostenuto, con la massima naturalezza, una breve conversazione in
giapponese.
Sto delirando considerò fra sé, cercando di
mantenere la calma. Oppure è solo un incubo
e tra poco mi sveglierò. Sembrava tutto così reale, ma era certa che non vi
fosse nulla di cui preoccuparsi. Quel sogno assurdo sarebbe stato interrotto
non appena l’avessero svegliata sul suo volo per Milano.
Mentre si faceva largo fra la folla, chiedendosi se fosse
meglio restare in aeroporto o
raggiungere una qualche meta a caso, la sua attenzione fu
attirata da un forte vociare presso l’area del ritiro bagagli. Un nutrito
gruppo di persone si stava accalcando intorno al
primo nastro trasportatore, lo stesso assegnato al suo volo. Alcune ragazzine
urlavano in preda all’isteria, e una mezza dozzina di ragazzi firmavano
autografi lasciandosi immortalare da cellulari e
macchine fotografiche.
“Chissà chi saranno” si chiese Myriam avvicinandosi, per un
attimo dimentica delle sue disavventure.
“Non li riconosce?” Si stupì un ragazzo che aveva udito le
sue parole. “Non c’è ragazza in Giappone che non darebbe un
braccio per uscire con un titolare della nazionale di calcio. Mia
sorella è quella con la maglietta rosa che saltella in preda all’eccitazione,” aggiunse indicando un punto poco lontano da loro.
Un sorriso sgomento le si dipinse in volto. Non solo
continuava a comunicare in una lingua della quale conosceva solo i primi
rudimenti ma, lanciando un’occhiata più attenta ai giocatori, nessuno sembrava
avere sembianze asiatiche.
Qualcuno mi spieghi
cosa sta succedendo
pregò fra sé, sforzandosi di mantenere il respiro regolare.
“Guarda Toshi!” urlò la
ragazzina in rosa in preda alla frenesia. “Sono riuscita ad avere l’autografo
di Oliver Hutton e di Benjamin Price, le mie amiche moriranno
di invidia!”
Per un attimo credé di aver udito male, e sentì la terra
mancarle sotto ai piedi. Doveva assolutamente svegliarsi. Come un automa, si
diresse verso i ragazzi della nazionale. Il drappello che li aveva circondati
fino a qualche secondo prima si stava diradando, e loro conversavano
allegramente aspettando gli ultimi bagagli.
Erano alti, slanciati e uno di loro portava un cappellino
rosso calato sugli occhi.
“Bruce, sei sempre il solito” esclamò un ragazzo molto
carino, dando al vicino una pacca amichevole sulla
spalla. “C’era bisogno di portarsi una valigia tanto ingombrante per una
trasferta di due giorni?”
“Ti stupisci ancora Holly? Dovresti
sapere che Harper è il testimonial ufficiale dell’eleganza Made in Japan” scherzò il ragazzo con il
cappellino, provocando l’ilarità generale.
Bruce? Holly?
Myriam sentì un vago ronzio nelle orecchie e le gambe che
cedevano sotto il suo peso... poi il buio.
Note:
(1) Corridoio di collegamento con il terminal, attraverso il quale i passeggeri scendono/salgono sull’aereo.