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Autore: Unusualize    26/03/2008    2 recensioni
Spoiler: non legga chi deve leggere il romanzo di Sweeney Todd.
Un sogno sconvolgente, agghiacciante, che ha dato da riflettere molto ad un uomo, soprattutto per quanto riguarda il suo unico amore. Ma è troppo tardi per rimediare.
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Rosicrucian e Nami, assistenti amministratrici.
Genere: Romantico, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Builet Prison: due prigionieri sono portati nelle loro rispettive celle.
Che caso: una in fronte all’altra. Solitamente non si ha questo trattamento con due complici. Di solito vengono portati in due ale diverse della prigione, così che non possano parlarsi, o avere qualsiasi altro tipo di contatto. Ma questa volta era diverso: gli era concessa questa grazia fino al processo, poi entrambi sarebbero finiti in due carceri diversi. Era come un ultimo desiderio prima di dividersi per sempre.
Si era così disponibili solo per il fatto che erano onorati di ospitare i due più famosi assassini di, si diceva, tutto il secolo: Sweeney Todd e Sarah Lovett si guardarono intorno sconcertati. Già dall’inizio delle loro malefatte sapevano che a loro, come a chiunque altro, sarebbe capitata questa sorte; ma era vaga: per più di otto anni erano riusciti a fuggire, ridendo della stupidità londinese, di come nessuno riuscisse a capire cosa capitasse in realtà nella famosa bottega del barbiere di Fleet Street, di come la gente sparisse improvvisamente e di come nessuno sapeva spiegarselo.
Ma tutti i nodi vengono al pettine. Ed era stato annunciato che ora l’intera capitale poteva dormire sonni tranquilli, ironizzando la cosa scrivendo sui giornali “L’intera città può permmettersi di curare la propria immagine senza paura di finire tritato in un pasticcio di carne da due penny”.
Una grande festa imperversava nella piazza della chiesa di S. Paul: Todd riusciva a vedere, dalla sua minuscola finestrella sprangata, i giovani che ridevano spensierati, le vedove che si aciugavano gli occhi nei fazoletti di pizzo, sperando che, con la cattura, i mariti e gli amici, avessero trovato la pace e la giustizia.

Sweeney passo lo sguardo su tutti i mobili presenti nella cella: era minuscola, massimo un metro quadrato, forse uno e mezzo; alla sua sinistra un sudicio letto col materasso di paglia, dall’aria alquanto scomoda e fredda, e, a destra, un lavabo. L’unica fonte di luce era la piccola finestrella, dalla quale entravano deboli raggi che illuminavano timidi il letto, in quella particolare ora pomeridiana di dicembre.
Erano le feste natalizie: una delicata neve scendeva candida dal cielo, posandosi dolcemente sui davanzali della chiesa e sui visi arrossati di quelli che, lì vicino, facevano festa.
Non sarebbe più stato un felice Natale per Todd e Lovett: non ci sarebbe più stata Parigi, come nei loro piani di fuga dalla legge; non ci sarebbe più stato il caldo appartamento di campagna, con un grande letto a baldacchino da dividere con l’amata, come voleva lui; non ci sarebbe più stato il leggero rumore dei passettini di bambini, che sarebbero cresciuti nell’amore, come voleva lei.
Era un bel sogno, è vero, ma fatto di fumo: quando pensavano di averlo raggiunto, si dissolse davanti ai loro occhi ingenui, lasciandoli da soli.
Una candela fatta di illusione: per quanto possa essere bella, luminosa e felice, si spegne sempre lasciandoti nel buio più totale, e quando smetti di fissarla ti fanno male gli occhi, perché ti rendi conto della crudele realtà in cui ti ritrovi. E così accadde.
Da canto suo, Sweeney, non era molto dispiaciuto della sua sorte: stava tutto diventando più pesante negli ultimi periodi, e non vedeva l’ora finisse. Ma Sarah, attaccatissima alla vita, non riusciva ad accettarlo.
Si voltò verso di lei:- Bhè, la volevamo una vita nuova- tentò di sdrammatizzare la situazione, riuscendo solo a deprimerla ancora di più. Nonostante non la vedesse che di spalle, capì che stava piangendo; un singhiozzo confermò la sua teoria.
-Non dire una parola.- più che un ordine sembrava una supplica di una donna spaventata a morte.
Voleva abbracciarla per farla calmare, stringerla a sé per sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, sentire le sue lacrime calde scorrergli sul collo e sul petto, ma non poteva: queste barre di ferro freddo sembravano impedire persino il pasaggio alle parole con un campo di forza.
Era così indifesa, come un povero topolino intrappolato tra migliaia di gatti voraci.
Tese un braccio fuori dalla cella, distruggendo l’immaginario campo di forza delle sbarre, tentando di raggiungerla. Sarah se ne accorse e fece lo stesso, un po’ tremante.
Erano troppo lontani per tenersi per mano, ma abbastanza vicini da potersi sfiorare delicatamente le dita.
-Andrà tutto bene, amore mio-
Sweeney sussurrò queste parole riuscendo a strapparle un debole sorriso tra le lacrime.
-Oh, ma che cosa romantica!- esclamò un secondino saltando fuori dal buio, inducendo i due a lasciarsi.
-Mi commuovono sempre le storie d’amore- aggiunse con finta commozione, facendo finta di aciugarsi una lacrima dagli occhi, per poi scoppiare a ridere. Il suo sguardo pervertito si posò su Sarah che, impaurita, si allontanò, immergendosi nella parte più cupa della cella. Sweeney voleva colpirlo, per fargli perdere i sensi, sgozzarlo per stare a vedere il suo sangue scorrere sul pavimento: strinse convulsamente le barre tra le mani. La guardia se ne accorse e cambiò direzione, dirigendosi verso di lui, capendo che lo stava adirando:- Che c’è? Non ti va che ti tocchi la ragazza, eh? Ma non preocuparti non lo farò davanti ai tuoi occhi- gli si avvicinò e gli sussurrò, in modo che potesse sentirlo solo lui- Ti addormenterai prima o poi-
Accecato dalla rabbia, Sweeney fece per colpirlo, ma il secondino si allontanò di colpo e tirò fuori il manganello. Non fece in tempo a fiatare che arrivò il superiore:- Cosa succede? Vattene subito!-
Guardandolo in cagnesco e borbottando sotto voce, il secondino se ne andò seguito dal superiore.
Sarah ringraziò l’amato con un sorriso, che ricambiò dolcemente.

La mattina del processo, Sarah e Sweeney vennero svegliati di buon’ ora, in modo che giudice e giuria potessero chiudere il caso senza tanta preoccupazione. Le prove erano molte e schiaccianti: i due non avevano via di fuga. Il processo, per alcuni, sembrava anche inutile: quella piccola visita in tribunale serviva solo per timbrare il biglietto per il patibolo, un punto di non ritorno, la fine di una galleria che era la loro vita.
Quando le porte delle due celle si aprirono cigolanti, i due amanti stettero a scrutarsi per alcuni secondi, per poi scoppiare in lacrime e abbracciarsi. Sweeney lo potè definire come il momento più bello di tutta la sua vita: lei era lì, stretta a lui, che le accerezzava i lunghi ricci rossastri, sentendo il profumo della sua pelle, mentre Sarah stringeva le unghie sulla sua schiena, come una bambina impaurita, che cerca conforto nelle braccia sicure del padre.
-Andrà tutto bene- gli ripetè lui, qualche secondo prima che venissero separati e ammanettati, ignaro di quale sorte il destino gli stesse riservando.
Circa tre ore dopo, Sweeney venne riportato nella sua cella. Il processo volgeva a suo sfavore: non aveva trovato un avvocato, e, sinceramente, non aveva intenzione di averne uno, e le prove indiscutibilmente dimostravano la sua colpevolezza.
Volgeva al termine quando lo fecero uscire, abbandonando Sarah che avrebbe dovuto affronatare l’intera giuria sola.
-Chissà cosa dovranno mai chiederle?- si mise a pensare Todd, sdraiandosi sul letto di paglia- Si sono concentrati solo su di me, al processo, menzionandola di sfuggita. Magari hanno pensato di parlarle senza di me per paura che avrei potuto influenzarla, inducendola a storcere la realtà. Povera Sarah, era pallida come uno spettro, sembrava una statua di cera per quanto il suo sguardo era vitreo-.
Il tempo passò in fretta e, in un batter di ciglia, il processo era bello che finito e Sarah stava lentamente tornando nella sua cella. Aveva l’aria afflitta e preoccupata, si straziava le mani stringendole in grembo, gli occhi erano rossi e gonfi; Sweeney non potè fare a meno di non notare questi particolari e di domandarsi cosa era accaduto all’interno di quella stanza, ma la realtà la sapeva solo lei e nessun altro, e già si stava tormentando di sensi di colpa: troppe erano le accuse che aveva pronunciato contro Todd, ne era consapevole.

Una volta che Sweeney lasciò l’aula, la povera donna rimase sola davanti all’intera corte, come un’isola in mezzo ad un mare in burrasca.
-Bene, Mrs. Lovett- il giudice sembrava addirittura gentile con lei, atteggiamento che aveva solo con le donne dell’alta borghesia- E’ stata accusata di pluri omicidio, e questa corte la ritiene colpevole. Pensiamo che lei sia al corrente di cosa significhi e di quali saranno le conseguenze-
Sarah, rigida sulla sedia degli imputati, annuì leggermente senza parola aggiungere. Il suo viso era pitturato di un rosso violento, sulle gote, e aveva un’espressione tesa. Più che altro era imbarazzata: una donna di alta classe sociale come lei, chiusa nella gabbia degli imputati, davanti a decine di persone.
“Oh, se il mio desiderio per il denaro non fosse così alto, sicuramente mi sarei risparmiata una simile umiliazione!” si mise a pensare, mentre il giudice elencava i suoi diritti e le pene.
-Ma- aggiunse dopo aver esposto le varie norme giuridiche- ci potrebbe essere uno sconto sulla pena capitale, se lei ci da qualche prova in più contro il suo complice Sweeny Todd-
A quelle parole le gelò il sangue nelle vene: incastrare Todd per uscire da donna libera. Di certo era allettante come proposta, ma lei non aveva intenzione di mollarlo.
-Abbiamo bisogno di sapere come, nonostante tutto, i cadaveri riuscivano…. – quasi disgustato non completò la frase, lesciando capire, però, cosa intendesse.
Sarah non parlò.
-Qui risulta- un avvocato dell’accusa sfogliò velocemente alcuni fogli di pergamena, fino a trovare quello che desiderava, per aiutare il giudice- risulta che voi avete un negozio a Bell Yard, e Todd ha la bottega a Fleet Street. Com’è possibile che i cadaveri venissero trasportati in due aree della città diverse senza che nessuno sospettasse di nulla?-
Ancora una volta, non parlò.
-Mrs. Lovett, le ricordiamo che è sotto giuramento e che possiamo aiutarla- il giurato la stimolò a parlare.
Strinse convulsamente la stoffa della sudicia gonna tra le dita, tentando di mettere a tacere quella voce nella sua testa che le diceva di parlare, e serrando la mandibola, in modo che neanche una parola indesiderata potesse uscire dalle sue labbra.
-Mrs. Lovett- chiamò di nuovo il legale- non deve… ci dica….-
-Va bene!- esclamò la donna irritata a morte- parlerò. Vi dirò tutto ciò che so-
Tutta la corte tese le orecchie mentre la signora Lovett cominciò con la sua versione dei fatti.
  
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