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Autore: Black_Tear    26/09/2013    0 recensioni
Una uomo cammina solitario in mezzo ad una strada.
Sembrerebbe un mendicante,un ubriacone,un drogato.Ma non lo è.
Sa benissimo dove vuole arrivare, fino a che punto può arrivare la fame.
Genere: Dark, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La luna e le stelle si stagliavano alte nel cielo illuminando quel velo di tenebra. Il vento soffiava lieve tra le fronde degli alberi accompagnando le foglie in una danza aggraziata e leggera. Il viale era debolmente illuminato dalla luce dei lampioni: chiunque, trovandosi nel mezzo della strada, avrebbe pensato di trovarsi in un incubo, ma alla figura nera e solitaria che avanzava sicura in mezzo alle case sembrava più un sogno.
Qualsiasi persona che lo avesse visto lo avrebbe scambiato sicuramente per un poveraccio, un mendicante o un ubriacone che si era perso tra le villette bianche del quartiere. Muoveva la testa a destra e a sinistra, meccanicamente, come se stesse cercando qualcosa, ma non si era perso. Camminava con passo lungo e sicuro, osservando una ad una le case tutte uguali, cercando di distinguerle più nitidamente: non voleva rischiare di sbagliarsi. Immaginò per un momento come sarebbe stato se fosse entrato nella casa sbagliata, magari munita di antifurto. Sarebbe stato il caos e avrebbe mandato tutto a monte e non poteva permetterselo: erano mesi che aspettava quel momento, e niente e nessuno lo avrebbe fermato.
Arrivò alla fine della strada e svoltò a sinistra. Eccola. La Casa. La Sua Casa. La casa bianca da cui l’aveva vista uscire tutti i giorni alle 7.45, diretta a scuola e in cui rientrava tutti i pomeriggi alle 16.35, dopo la lezione di violoncello. Senza fare rumore scavalcò lo steccato verniciato di bianco che circondava un giardino perfettamente curato e si avvicinò alla porta che scassinò senza difficoltà. Era stata chiusa con solo un giro di chiave. Brutta cosa, la fiducia.
Senza un attimo di esitazione entrò nella villetta, attraversò il salotto e il corridoio fino ad arrivare davanti ad una porta decorata con una T di enormi dimensioni. Afferrò la maniglia della porta e si fermò qualche secondo, l’adrenalina che gli scorreva in corpo. Ogni volta è come la prima pensò. Aprì la porta e il bianco lo invase.
L’ambiente era maniacalmente pulito, non una cosa era fuori posto, e l’arredamento era costituito da un armadio, degli scaffali , una scrivania e delle tende bianche. Le uniche macchie di colore erano dei libri riposti ordinatamente sugli scaffali e delle penne e dei quaderni abbandonati sulla scrivania. E Lei era lì, distesa supina sul letto, con un espressione beata disegnata sul volto. I capelli creavano una nuvola bionda attorno al viso abbronzato della ragazza, mentre gli occhi chiusi catturavano bei sogni. L’uomo pensò che fosse bellissima. Senza emettere un suono, iniziò ad aprire i cassetti uno ad uno: ne tirava fuori delle magliette e altri indumenti che poi si portava al viso, annusandoli, riempiendosi le narici del Suo profumo dolce. Passarono una decina di minuti prima che si decidesse a svegliarla. Cauto, si sedette sul letto che profumava di lavanda e avvicinò il suo viso a quello della ragazza sussurrando “Tea”. La ragazza si mosse appena, così lui mormorò, lievemente più forte  -Tea- . Vide il Suo volto irrigidirsi, ma non aprì gli occhi. Evidentemente pensava ad un incubo. L’uomo sorrise e disse, accarezzandole il braccio  –Tea, tesoro, lo so che sei sveglia- La ragazza aprì gli occhi, i suoi bellissimi occhi azzurri, lentamente. Ci mise qualche secondo a capire cosa stesse succedendo, ma a quel punto era troppo tardi e il suo grido venne soffocato.
 
 
Si sentiva la testa pesante, come se avesse bevuto troppo la sera precedente. Aveva fatto un sogno assurdo: un uomo era in camera sua, seduto sul suo letto, che la chiamava e la guardava con un sorriso da psicopatico stampato in faccia. “Che cosa ridicola” pensò, alzandosi a sedere sul letto. Fu allora che ebbe un tuffo al cuore. Si trovava in un posto immerso nel buio più assoluto, non riusciva a distinguere nulla. Non poteva essere camera sua, sempre illuminata dalla luce della strada. Realizzò solo allora, inoltre, che il letto su cui era seduta, non era il suo. Non profumava di lavanda, ma puzzava di sudore e di urina e l’aria non era fresca come quella della sua stanza, ma un odore fetido e pesante impregnava ogni cosa. L’ansia iniziò a prendere il sopravvento. Non era a casa sua, era sicura che non stesse sognando e non aveva mai sentito una puzza del genere, mai. Sentì le lacrime scenderle lungo le guance e dopo pochi secondi fu sopraffatta dai singhiozzi, incapace addirittura di muoversi per la paura. Pensò ai suoi genitori, che probabilmente stavano ancora dormendo e cercò di ricordare i tratti dell’uomo che aveva sognato, sicura, ormai, che quell’incubo era diventato realtà.
Trascorse un tempo che sembrò interminabile prima di sentire un rumore regolare, attutito, come dei passi in lontananza, il cigolio e lo sbattere di una porta e di nuovo dei passi, questa volta più vicini. –Tea, tesoro!- esclamò una voce profonda, la stessa, constatò con orrore la ragazza, dell’incubo. Si strinse le gambe al petto con un gemito, come per cercare di proteggersi.
–Tea, cosa sono questi singhiozzi? Nono, non piangere, non volevo spaventarti- la voce ora giungeva dolce e amorevole
– Aspetta, cara, accendo una luce-. Tea sentì un cassetto aprirsi e chiudersi e il rumore di un fiammifero che veniva acceso. Alzò lo sguardo e vide, illuminato dalla luce tremolante dei una candela, l’uomo del sogno. Un gridolino uscì dalla sua gola senza che se ne accorgesse.
–Tea, andiamo, siamo amici, non devi aver paura – disse l’incubo sorridendo. –Adesso ti racconterò tutto, ma tu devi promettermi che ti calmerai. Allora, prometti?
La ragazza, paralizzata, non rispose. Il sorriso dell’uomo si spense improvvisamente. –Forse non hai capito- disse con tono più duro. – Non era una domanda a risposta libera. Puoi rispondere solo “sì”- Tea annuì. –NO! NON HAI CAPITO NIENTE!DEVI RISPONDERE “Sì”! NON-PUOI- ANNUIRE!! DEVI- RISPONDERE- “Sì”!- gridò l’uomo, in un moto d’ira improvviso. La ragazza, terrorizzata a morte, rispose gridando un “sì”, iniziando contemporaneamente a tremare come una foglia. Lo psicopatico si rilassò subito, riprendendo a parlare tranquillamente – Brava! Hai visto? Non era difficile!- e detto questo sembrò sedersi su una sedia, ma la luce era troppo debole per illuminare ciò che non fosse il viso dell’uomo.
– Allora, io sono Dave, ho quarant’anni, mi piace ascoltare musica classica…non ti dispiace se ne metto un po’ su, no?- Tea, temendo un altro scoppio d’ira, balbettò un “no” poco convinto.
Non appena partì la musica si irrigidì. Quella musica l’aveva suonata lei la settimana prima, a lezione di violoncello. Se si ascoltava bene si poteva sentire addirittura la voce del maestro che le dava dei consigli. Dave sembrò accorgersi di quello che pensava la ragazza e sorrise.
-Sei proprio brava. Non ho mai sentito una persona suonare così bene alla tua età. Sedici anni. Nata il 28 Agosto. Da Ella e Daniel Fallis. Hai frequentato una serie di scuole private, poi hai insistito per andare al liceo come tutti gli adolescenti normali. Hai avuto un cane di nome Todd, tre pesci rossi e un gatto, Mrs. Bella. La tua migliore amica si chiama Suzanne, il ragazzo che ti piace Josh. Suoni il violoncello da cinque anni. Hai fatto pattinaggio artistico per tre anni.- Il sorriso si allargò – So tutto di te
Questa frase fece accapponare la pelle a Tea che ricominciò a singhiozzare. David sbuffò.- L’unica cosa che non sapevo era che fossi una tale lagna. Ma come biasimarti, piangono tutte, arrivando a questo punto.-
Il sorriso dell’uomo diventò il sorriso del diavolo. Si mosse appena e un secondo dopo qualcosa  luccicò alla luce della candela. Gli occhi neri di David erano affamati. I singhiozzi di Tea erano diventati incontrollabili, tanto che la ragazza non riusciva quasi più a respirare.
La candela si spense improvvisamente.
Dolore.
Gridò.
La gamba, la sua gamba, bruciava da impazzire, non la sentiva più. Se la sentiva appiccicosa, non capiva più niente. Il dolore alla testa era diventato lancinante. Improvvisamente si trovò senza forze e fu costretta ad accasciarsi sopra il letto.
Una lampadina si accese.
Luce.
Vide un mobile  provvisto di un cassetto.
Vide una sedia mezza sfondata.
Vide delle macchie di ruggine sui muri e sul pavimento.
Vide delle ossa per terra.
Vide dei lembi di pelle e dei pezzi di carne.
Vide tanto sangue.
La vista iniziò ad annebbiarsi.
Riuscì a distinguere David con la bocca sporca di sangue che reggeva  ciò che sembrava una gamba in una mano e una mannaia insanguinata nell’altra. Le diceva – Mi sono dimenticato di dirti che il mio cibo preferito è la carne.
Vide l’uomo che iniziava a ridere.
Poi non vide più nulla.
  
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