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Autore: CassandraBlackZone    26/09/2013    3 recensioni
Paura? No, lei non aveva affatto paura. Ed era proprio questo quel qualcosa in più.
Correre per lei non era mai stato un modo per scappare, anzi: correre per lei era l’unico modo per superare la monotonia e anche se stancante, era lo svago che più la soddisfaceva. Persino più del contare le statue del Duomo.
Emily amava correre. Da sempre.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Con o senza tacchi, Gemma faticava ugualmente a correre.
Quella dannata pioggia la faceva scivolare ogni volta che tentava di percorrere almeno cinquanta metri, e solo dopo una ventina di cadute si era finalmente decisa a togliersele definitivamente.
Con le scarpe in una mano e la borsa nell’altra, la donna aveva corso per più di due chilometri completamente bagnata fradicia e senza sosta, voltandosi di tanto in tanto con il terrore negli occhi.
La donna si maledisse più volte per non aver fatto il pieno alla macchina il giorno prima. Avrebbe sicuramente evitato quell’assurda situazione.
Restavano ancora tre isolati da superare prima di ritenersi veramente al sicuro e Gemma aveva paura di non farcela: era stanca e col fiatone ormai all’estremo delle sue forze.
“Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Vi prego!”
L’intero quartiere taceva mentre lo scrosciare della pioggia aumentava d’intensità sempre di più. Nessuno sembrava aver sentito il suo richiamo d’aiuto, poiché neanche una luce si era accesa.
Gemma era sola. Da sola con quella cosa.
Per un attimo lei pensò ai suoi due figli, Tommaso e Andrea, che l’aspettavano assieme a suo marito Antonio per la cena. Pensò ai loro volti sorridenti al suo arrivo e alla voce profonda di Antonio che le diceva: ben tornata, tesoro.
Ed eccolo di nuovo. Quell’orribile rantolo, quel respiro affannoso che tormentava la donna da quando aveva finito il suo turno in ufficio.
Con un ultimo sforzo, Gemma raggiunse il lampione più vicino e in preda alla disperazione lanciò a vuoto prima una e poi l’altra scarpa.
Quasi come se contemplasse il cielo, allargò le braccia e si guardò attorno con il cuore che le batteva a mille.
“Vieni se hai il coraggio! Vieni fuori!”
A pieni polmoni la donna urlò a testa alta ormai stanca di fuggire, ma solo dopo quel silenzio inaspettato si accorse di aver fatto un gravissimo e fatale errore che le costò il suo arrivo.
Tutto quel coraggio che era riuscito a raccogliere svanì in un attimo quando un brivido di freddo le percorse la schiena.
Un tuono coprì il suo ultimo urlo disperato, mentre qualcosa l’afferrava saldamente le caviglie per trascinarla nel buio.
 
 
Anna si arricciava nervosamente una ciocca bionda piastrata. Fare da palo dietro ad una colonna di marmo non era mai stato il suo forte e sperava con tutto il cuore che Emily si sbrigasse a preparare lo zaino.
“Emily… ne hai ancora per molto? Non so perché, ma ho come la sensazione che stiano per arrivare”
“No, non sbagli. Questa è sempre l’ora della loro caccia quotidiana”
“ Ma… è parecchio stressante!”
“Benvenuta nel mio mondo. O quasi…”
Accortasi della scarsa collaborazione di Anna, Emily cercò di infilare il più veloce possibile nello zaino gli ultimi libri rimasti, chiuse la cerniera con uno strattone e al volo raccolse i capelli in una coda di cavallo: un’ultima stretta ed era pronta.
“Bene Anna. Come al solito tu terrai i miei libri fino a domani e passerò poi dopo scuola a prenderli. Afferrato?”
“A-afferrato…”
“Perfetto”
“M-ma… se J.C. ti prende?”
“Jeremy testa-a-caschetto non è mai riuscito a prendermi. Figuriamoci se oggi cambierà qualcosa”
“E… sei sicura di farcela?”
Come se cercare di non farsi prendere dai bulli non fosse abbastanza, anche sopportare le continue finte preoccupazione di miss cheerleader Anna Carpi era diventata una routine quotidiana.
“Senti, Anna… Così non mi sei d’aiuto. Smettila di fare la carina con me, perché sappiamo entrambe come va a finire. Tu limitati a fare ciò che ti ho detto”
Anna sbatté tre/quattro volte le palpebre con la bocca aperta portandosi una mano al petto: era la classica espressione da perfetta finta tonta, che agli occhi di Emily pareva più falsa delle sue ciglia e delle sue extension bionde. Ancora di più lo era la sua voce da civettuola.
“Sono scioccata! Questo significa che non siamo amiche?”
Emily inarcò un sopracciglio e roteò gli occhi.“Senza offesa Anna, ma no. Non siamo amiche. E preferisco di gran lunga che tu continui ad essere la ragazza super-popolare amata da tutti e io una tua semplice tutor di matematica, che si fa pagare facendoti portare i miei libri. Intesi?”
Un discorso diretto ,freddo e con una punta di arroganza o in poche parole: l’unico modo che Emily conosceva per far stare zitta Anna.
Popolare, tu. Non popolare, io. Ricordi?”
“ Si, ma… se mi starai vicina ti assicuro che tutti cambierebbero idea su di te”
“Oh, ti prego… preferisco di no”
“Ma…”
“Niente ma. Ora pensa a dirmi se arriv-”
“Ah! Stanno venendo da questa parte!”
Avvicinatasi alla colonna di marmo, Emily adocchiò un ragazzo biondo campeggiato da due coetanei al suo fianco. D’impulso sbottò un sorriso divertita.
“Ma tu guarda. Tipico di Jeremy Calvatori. Il gorilla alfa con le sue bertucce da passeggio”
“E adesso… che cosa farai?”
“Semplice. Faccio quello che faccio ogni giorno: corro”
“Ah, aspetta!”
Prima che Emily potesse fare un passo, Anna la prese per un braccio “Dai, Anna! Stanno per arrivare, che cosa c’è?!”
“Fai… attenzione”
Emily rilassò il braccio e fissò incredula Anna che cercava di non incrociare il suo sguardo. Così di punto in bianco non sapeva se essere sorpresa o archiviare quelle due parole assieme alle altre finte preoccupazioni dell’anno. Mai avrebbe pensato che miss cheerleader le dicesse una cosa del genere.
Emily sorrise e sperò vivamente che per la prima volta nella sua vita avrebbe finalmente detto qualcosa di carino a qualcuno che non fosse nel suo girone di popolarità, qualcosa tipo senz’altro o contaci  per poi finire con un bell’occhiolino.
“Pensa a difendere il tuo titolo di ragazza popolare, Anna” e corse via verso l’entrata della scuola.
Purtroppo per lei non finì come tanto sperava e imprecò tra sé a sé, mentre tre scimmioni la rincorrevano urlando, come se fosse l’ultima banana rimasta nella giungla.
 
Ciao, vecchio amico.
Ed Eccoci qui, io e te, all’ultima pagina.
Quando leggerai queste parole, io e Rory ce ne saremo andati da un pezzo.
Quindi sappi che abbiamo vissuto bene e siamo stati molto felici.
E soprattutto: sappi che ti ameremo sempre.
 
Ancor prima di aver attraversato l’immensa piazza del Duomo, una nuvola di piccioni si alzò in volo lasciando così libero il passaggio. Emily seguì per un attimo la traiettoria dello stormo per poi ritornare  concentrata nella corsa, ma si concesse un minuto per sorridere davanti al suo monumento preferito.
Avrebbe tanto voluto rimanere lì ad ammirare la maestosità del Duomo di Milano e per contare ciò che le rimaneva delle statue sui pinnacoli o rasenti al muro di marmo sui vari doccioni, guglie e contrafforti. L’ultima volta si era fermata a 907. Ci aveva messo davvero un sacco a contarne così tante e per fortuna si ricordava ancora l’ultima statua da lei contata: la statua di San Giovanni Battista sul diciannovesimo contrafforte, al centro dove stava l’abside.
“Fermati Creek! Non ci scappi!”
Ma con rammarico Emily non aveva tempo da dedicare al suo hobby.
Incrementata di poco la sua velocità, cercò di evitare di colpire a bracciate turisti intenti a fare foto-ricordo. Abbassava la testa o si copriva il volto in caso capitasse accidentalmente davanti a un qualsiasi obiettivo fotografico.
Inutile parlare del branco di gorilla alle sue spalle: i tre inseguitori si scontrarono almeno sei volte, sia con turisti che con venditori di souvenir senza nemmeno scusarsi, lasciandosi alle spalle una scia di urla e insulti in almeno tre lingue diverse.
La voce di Jeremy era così alta che attirava l’attenzione di tutti, che di conseguenza attirava occhi increduli e cellulari che ripresero la corsa estrema, convinti che fosse una qualche scena cinematografica in corso.
Nell’enorme Galleria le cose si fecero tremendamente complicate. Emily dovette fermarsi un attimo sotto l’enorme cupola per decidere dove andare. Non avendo molta scelta, prese la via verso il teatro La Scala.
Emily cominciò a sentirsi stanca, ma notò con piacere che non era l’unica. I tre ragazzi avevano rallentato drasticamente, quasi come se fossero sul punto di fermarsi. Volti stravolti dal sudore e deformati dalla stanchezza, che  cambiarono subito espressione non appena videro Emily scendere giù per un sottopassaggio della metropolitana.
“Ehi… Jeremy… non è meglio… lasciar perdere?”
“Già… io non ce la faccio più…”
Jeremy ignorò totalmente le lamentele dei due tirapiedi lasciandoli indietro e partì spedito sulle scale.
Emily passò velocemente la sua tessera magnetica della metropolitana. Per sua fortuna arrivò giusto in tempo per l’arrivo del treno. Lanciato uno sguardo verso le scale, si allarmò alla vista del caschetto biondo e fiondò in un vagone a suon di mi scusi e permesso.
Alla chiusura delle porte, Emily tenne d’occhio nascondendosi dietro a tre uomini davanti a lei, una giacca gialla fluorescente e due occhi verdi che scrutavano arrabbiati in tutte le direzioni.
Era completamente bagnata di sudore, con il cuore in gola e con il fiato corto che stando lì schiacciata tra la folla non faceva che peggiorare la situazione più di quanto non lo fosse già.
Emily alzò lo sguardo per controllare dove fosse finita. Un po’ si sorprese di ritrovarsi davanti la mappa della metro gialla, poiché non la prendeva quasi mai, ma non ci diede troppo peso. Si limitò a rimanere calma, ad andare a memoria e decise di fermarsi all’unica fermata che conosceva leggendo la mappa: CENTRALE.
Da MONTENAPOLEONE mancavano solo tre fermate, ma per quei pochi minuti che le rimanevano chiuse gli occhi, giusto per riposare un po’, riprendere fiato e non pensare a niente.
Prima, durante e dopo scuola: era una continua corsa contro il tempo, un tran tran, un loop temporale infinito che Emily doveva sopportare ogni giorno.
Due fermate.
Il come sia passata a vivere così non se lo ricordava proprio. Forse perché fin da quando era piccola si era sempre isolata, forse perché era leggermente scontrosa e introversa verso ogni singolo bambino e insegnante. O semplicemente era fatta così.
Una fermata.
In poche parole, Emily Creek viveva il classico cliché di un film scolastico americano. Lei era la sfigata che di conseguenza doveva stare sotto i ragazzi e ragazze popolari. Termini che lei aveva sempre detestato, ma gli unici che potessero rispecchiare la sua - se poteva definirla così- vita, ma con qualcosa in più.
 
CENTRALE. Fermata CENTRALE.
 
Tre secondi. Emily ci mise poco più di tre secondi ad uscire dal treno,  usando le braccia per farsi un varco tra la folla, mentre a Jeremy ci vollero sette secondi netti.
Quattro secondi di distacco equivalevano a circa una decina di passi di distanza, un pensiero che aumentava drasticamente l’adrenalina in ogni parte del corpo di Emily.
Paura? No, lei non aveva affatto paura. Ed era proprio questo quel qualcosa in più.
Correre per lei non era mai stato un modo per scappare, anzi: correre per lei era l’unico modo per superare la monotonia e, anche se stancante, era lo svago che più la soddisfaceva. Persino più del contare le statue del Duomo.
Emily amava correre. Da sempre.
Come la piazza del Duomo, anche la stazione centrale brulicava di milioni di persone, tutte munite di carrelli, valigie e trolley: decisamente non facile da superare, soprattutto sul tapis roulant in movimento.
Sei persone più in là Jeremy squadrava minaccioso Emily.
Quest’ultima sbuffò per l’assurda perseveranza del ragazzo.
“Accidenti… ancora non molla”
Emily diede un’occhiata veloce al suo orologio: 15 e 14. Era passata più di un’ora da quando uscirono da scuola e sperava tanto che suo padre non fosse già ritornato dall’ufficio.
Finalmente Emily poté uscire da quella trappola mortale e corse più veloce che poteva verso l’uscita della stazione. Un forte odore di umidità riempì le sue narici e la freschezza del vento autunnale alleviò la stanchezza sul suo volto.
“Creek!”
Arrivata al centro della piazza Duca d’Aosta, Emily si piegò in due per riprendere fiato. Sotto il portico dell’entrata della stazione, c’era Jeremy che faceva lo stesso.
“Cosa c’è J.C.? Ti arrendi già?”
“Va al diavolo Creek!”
Per Emily era una soddisfazione immensa vedere Jeremy testa-a-caschetto arrendersi. Era la prova inconfutabile che nonostante si rincorressero dalla seconda elementare era sempre rimasto un idiota patentato: di nome e di fatto.
“E’ meglio finirla qui” urlò Emily.
“Nel caso te ne fossi dimenticato, domani ci aspetta un’interrogazione sulla Divina Commedia”
“Non finisce qui! Sappilo!”
“Si, certo. Come al solito”
Finalmente un altro giorno era finito ed Emily poteva godersi un bel bagno caldo, studiare il X canto del Purgatorio e passare due ore a leggere i suoi fumetti preferiti.
“Creek!”
“Basta Jeremy. Falla fin-“
“Stai attenta!”
“Cosa?”
Emily si girò verso a un Jeremy spaventato, con gli occhi spalancati e un dito che indicava in alto dietro di lei.
Un po’ esitante la ragazza rivolse lo sguardo in direzione del dito e a sua volta strabuzzò gli occhi per ciò che si ritrovò sulla sua testa.
Un rumore simile ad un treno che si fermava a tratti si stava avvicinando alla piazza assieme a quella che sembrava un’enorme sfera azzurra incandescente.
“Creek!! Spostati da lì!”
Gli occhi di Emily non riuscivano a staccarsi da quella sfera; le sue gambe erano incollante all’asfalto incapaci di muoversi, eppure... dentro di sè gridava aiuto affinché qualcuno la spostasse.
Nessuno si fermò. Dal terrore tutti quelli che erano nella piazza corsero urlando verso la stazione.
La voce di Jeremy ormai non la raggiungeva più perché coperta da quel assordante rumore. Ed eccola lì, a un metro e mezzo di distanza da Emily. La palla di energia si schiantò al suolo con un forte boato.
Poi ci fu solo silenzio.
 
A volte però mi preoccupo per te.
Credo che quando ce ne saremo andati non tornerai più qui per un po’ e potresti essere solo, cosa che non dovrebbe mai succedere.
 
Non stare da solo, Dottore.


 
   
 
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