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Autore: ChiiCat92    27/09/2013    2 recensioni
La Morte non si è mai chiesta il perchè della sua esistenza, ha sempre e solo svolto il suo compito attraverso i secoli.
Guardando finire le vite degli Umani ha capito che nella sua non-esistenza manca qualcosa, e che può trovarlo solo nel veloce passaggio di una vita mortale.
La Morte ha tre giorni per trovare un sostituto, se riuscirà nel suo intento potrà vivere sulla Terra, altrimenti sarà costretta per l'eternità alla dannazione del suo compito...
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Giorno 1 -

 

Lui stava di fronte ad un’immensa vetrata da cui si vedevano mille e più luci colorate, il suo sguardo era lontano nella notte.

Dietro le sue larghe spalle, una ragazzina con un lungo vestito nero lo fissava accorata torcendosi le mani.

- Credo che sarebbe inutile…tentare di dissuaderla, vero? -

Provò, con la voce che era un sussurro di disperazione.

- Proprio inutile. -

La ragazzina allora abbassò il capo, una cascata di capelli castani le ricoprirono il viso minuto.

- Posso almeno sperare che non si farà…vedere? -

Lui si voltò; era appena un ragazzo.

Aveva gli occhi color cremisi e capelli corti nerissimi, tanto da sembrare una macchia d’inchiostro denso, indossava una camicia candida che la lasciava intravedere il fisico sottile e pantaloni neri.

- No, nessuna speranza. -

- Perché mi fa questo? - si lagnò lei scuotendo la testa come una bambina - Perché se ne vuole andare? -

Il ragazzo rise.

La sua risata profonda e graffiante le risuonò nel petto e la fece rabbrividire.

Lei non si lasciò scappare il movimento leggero delle sue mani che afferravano un’enorme Falce.

La lama a mezzaluna brillò, sfavillando per un attimo, e lei ci si poté riflettere.

- Oh Freya, non è colpa tua. - disse, suadente, sorridendole - E’ una decisione che non ha a che fare con nessuno. Adesso spostati. -

Freya rabbrividì, la voce del suo padrone le incuteva un profondo terrore.

Non era la voce di un giovane, era profonda e scura come gli abissi dell’oceano, vibrava di mille sfumature, era volubile come aria, poteva essere trillante quanto grave; rispecchiava esattamente la sua natura.

Sebbene il ragazzo dimostrasse appena diciassette anni, era vecchio come l’universo, forse come il tempo stesso.

Tra gli uomini era temuto, fra gli Angeli rispettato; per Freya…per Freya era tutto, aveva passato la vita a servirlo, era nata a quello scopo, lui l'aveva creata per quello scopo: non riusciva ad immaginare un solo giorno senza di lui.

- Pa-padrone… - balbettò lei, andando contro il buon senso che le urlava di ubbidire al volere del Padrone - La prego…non se ne vada…senza di lei io non esisto! -

Gli occhi rosso fuoco del ragazzo brillarono come braci ardenti; per un istante Freya fu fulminata dal pensiero che l’avrebbe uccisa.

- Se non sbaglio avevi detto che era inutile tentare di dissuadermi: togliti di torno. Sai bene che non sono un essere misericordioso, sai bene cosa sono, non ti risparmierò. -

Freya ebbe un tuffo al cuore e cominciò a tremare da capo a piedi.

La sua vita sarebbe finita in quella sala, quella notte; lo sapeva, lo sentiva.

- Sì…sì lo so… - si inginocchiò a terra e si fece ancora più piccola nel lungo vestito nero, gli occhi, uno di un azzurro brillante, l’altro di un profondo verde, si riempirono di lacrime - Farò ciò che desidera… - si alzò piano e si mise di lato alla grande stanza scura, le uniche luci che l’illuminavano erano le lucette irregolari oltre la vetrata che occupava tutta la parete.

- Brava piccola Freya, in questi lunghi anni mi sei stata così fedele… -

Il ragazzo si avvicinò a Freya che ancora tremava, le prese il viso con una mano e lei si trovò a specchiarsi in quegli occhi color fuoco, color sangue.

- No… - mormorò lei, ma ormai era caduta nella trappola, non riusciva a muovere un solo muscolo e le parole le sfuggirono dalla bocca con grande fatica - No…mio Signore…la prego… -

Il volto del ragazzo si illuminò con un gran sorriso.

Paura e Terrore, due compagne che lo avevano da sempre accompagnato adesso stavano impregnando l’anima, o quello che ne rimaneva, della sua Freya.

Una sua creatura, creata con pazienza dilaniando le giovani anime che aveva mietuto nel silenzio oscuro del suo Palazzo Nero, di nascosto come il ladro che era.

Pezzo dopo pezzo aveva ricreato il suo corpo, il suo aspetto esteriore, il suo bellissimo viso.

Ma non era lei, non avrebbe mai potuto esserlo.

Chi però avrebbe potuto biasimarlo?

Lui era la Morte, la Fine, l’Eterno Oblio, poteva fare ciò che più l’aggradava, ne aveva piena autorità.

E se ucciderla, adesso, poteva mascherare la profonda solitudine che lo attanagliava, allora l’avrebbe fatto, anche se la sua creatura gli era costata anni e anni di ricerca.

- Freya, Freya. - le passò una mano fra i capelli accarezzandoli con calma, gustandosi la sensazione di morbidezza tra le dita. Erano come seta che scivolava sulla sua pelle; una sensazione così vera, reale, che avrebbe potuto ingannare chiunque, ma non lui. - Tu sei mia ed io ho bisogno del tuo sangue. -

Strinse la mano fra i suoi capelli immobilizzandole la testa, la ragazza ebbe appena il tempo di vedere la lama brillare sopra di lei.

Si era sempre immaginata come potesse essere morire per mano sua.

L’aveva visto tante volte prendere le anime e condurle dove dovevano andare e, a volte, aveva desiderato che lui venisse a prenderla, perché l’aveva creata e lui e solo lui avrebbe potuto toglierle quella vita.

Sapeva che un giorno sarebbe successo, che lui non avrebbe più avuto bisogno di lei.

Anche ai suoi occhi inumani appariva chiaro che era solo di ostacolo.

Gli impediva di dimenticare, di rimarginare le sue ferite, gli impediva di essere libero.

Eppure aveva sempre cercato di ignorare il rancore che covava nei suoi occhi, aveva sempre cercato di godere dei pochi momenti di dolcezza che lui voleva riservarle, consapevole che non era con lei che avrebbe voluto dividerli.

Non aveva nessuno rimpianto se non quello di non essere perfetta.

Adesso che vedeva la lama della Falce cadere sul suo collo, il desiderio di perdere la vita crebbe; desiderava vedere gli occhi del suo Padrone brillare di gioia folle, desiderava morire.

Perché per sua mano era dolce andarsene, perché così avrebbe potuto espiare la sua colpa.

Il suo sangue nero come la pece schizzò sulle pareti confondendosi con l’oscurità che regnava sovrana, la sua testolina castana rotolò fino ai piedi della Morte.

 

*

 

La mattina era fredda e brillava di rugiada nonostante il Sole cercasse di riscaldare la Terra.

Un ragazzo minuto camminava sulla strada asfaltata e ancora deserta con la sua camicia bianca di lino leggero e gli occhi che brillavano.

Non temeva il freddo; non sentiva neanche il vento che ogni tanto si alzava contro di lui, non poteva provare nessuna sensazione.

Era un’ombra in mezzo alle ombre, intangibile, insensibile, senza peso né consistenza.

Per troppo tempo aveva raccolto le anime degli Uomini, per troppo tempo li aveva visti cadere per mano sua.

Aveva strappato i figli alle madri, aveva infranto cuori innamorati, aveva portato via la vita a uomini, donne, bambini.

Aveva fatto ciò per cui era stato creato, e cosa aveva ricevuto in cambio?

Odio, astio, paura, rancore, rabbia, tristezza.

Che ci provassero loro, allora, a svolgere il suo compito, che ci provassero loro ad essere imparziali e insensibili anche quando il cuore vacilla e l’anima urla.

Non era una creatura malvagia, era stata costretta a diventarlo e adesso ne aveva abbastanza.

Aveva smesso di scendere sulla Terra, di camminare tra gli Uomini, di ascoltare le loro continue invettive contro di lui.

Avrebbe calato la sua Falce inesorabilmente, ma non si sarebbe più avvicinato agli Umani.

Aveva creato Freya per puro capriccio, a almeno così voleva convincersi che fosse.

A immagine di quell’anima pura che non aveva avuto il coraggio di condurre alle porte del Paradiso, dove l’avrebbe persa per sempre.

Il suo corpo era andato distrutto da anni e anni, ma lei, la sua essenza, era ancora sulla Terra grazie a lui.

Quello forse era il suo più grande peccato, quello era il motivo per cui aveva deciso di ritornare in quel luogo a lungo odiato.

Chi si sarebbe occupato del suo compito una volta che l’avesse abbandonato non gli interessava.

Gli Uomini non agognavano forse a vivere per l’eternità?

Bene, gliene avrebbe dato la possibilità.

Il suo adorabile gemello avrebbe trovato un modo.

La Vita, quella che tutti amavano, era solo un ragazzo spocchioso e superbo.

Si credeva migliore di lui solo perché la Sorte gli aveva affidato il potere di creare.

Mentre a lui era toccato il sangue, il dolore, la sofferenza di mille anime spaventate.

La Morte aveva sempre e solo fatto ciò per cui era nato e tutti, nonostante questo, lo detestavano.

Camminava ancora sulla Terra quando quella ragazza, bella, pura, entrò nella sua esistenza millenaria sconvolgendola.

La consapevolezza di stare per rompere il più terribile dei tabù rese l’impresa solo più eccitante.

Doveva durare solo l’arco della sua vita Umana, doveva essere lo svago di millenni passati a vivere senza vivere realmente.

Ma quando era sceso per prendere la sua anima non ci era riuscito.

I suoi occhi avevano avuto il potere di farlo vacillare e in quell’istante decise: avrebbe distrutto il suo corpo ma avrebbe salvato la sua anima portandola nuovamente in mezzo agli Uomini.

Non poteva fare di più per lei, non poteva regalarle un corpo immortale per portarla al suo fianco. Poteva solo guardarla nascere e morire.

Vita dopo vita avrebbe conservato per lei i loro ricordi, l’avrebbe sfiorata senza mai osare toccarla.

Perché la paura delle conseguenze gli attanagliava lo stomaco.

Quella volta aveva distrutto ogni barriera, non poteva permettere che accadesse di nuovo.

Solo, in quella strada, la pensava e il suo pensiero gli fece male come una coltellata gelida alla schiena.

Scosse la testa con vigore per scacciare il suo sorriso dalla mente.

Mancava poco al luogo dove era nata per l’ennesima volta.

Aveva deciso ormai da un pezzo: sarebbe rimasto con lei per sempre e forse un giorno avrebbe avuto il coraggio di portarla via e lasciarla con gli Angeli Bianchi della Vita, sempre che il suo intervento non le avesse precluso l’entrata al Paradiso.

Rimase davanti al suo portone fino a che la strada non si popolò di uomini imbacuccati fino al naso. C’era chi andava a lavoro, chi usciva il cane, chi correva per prendere il bus per andare a scuola. Erano numerosi come formiche si muovevano laboriosi già nelle prime ore del mattino.

Nessuno poteva vederlo ed era molto meglio così: un ragazzo dritto come un fuso davanti ad una porta con un’enorme Falce argentata tra le mani e con occhi di un rosso uguale solo al sangue, avrebbe terrorizzato chiunque.

Sorrise, quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe usato i suoi poteri, e per fare cosa?

Per crearsi una vita in mezzo agli Uomini.

Alzò la Falce e tagliò l’aria con la sua lama affilata, davanti a lui si creò uno squarcio come se l’aria fosse fatta di stoffa morbida.

La Morte allungò una mano nello strappo e recitò una lente litania in una lingua conosciuta solo a lui, poi, con un altro colpo di Falce, lo richiuse come l’aveva aperto.

Accanto al portone che aveva davanti si materializzò un altro portone quasi identico al primo.

Sulla porta una targhetta dorata brillava con la scritta “Verlassen” incisa al centro.

Sorrise ancora e alzò la mano su di sé ripetendo quella litania, il suo corpo cominciò a cambiare.

Gli occhi ardenti si spensero e divennero di un blu profondo; cominciò a sentire freddo sulla pelle accapponata e i suoi vestiti cambiarono con lui adattandosi al clima: un jeans nero pesante, una felpa grigia e un giaccone.

Rimase in quella posizione finché non sentì che il suo corpo ebbe acquistato peso, poi, con un altro gesto della mano, fece scomparire la Falce che si ripiegò su se stessa diventando sempre più piccola fino ad avvolgersi sotto forma di un bracciale di cuoio nero intorno al suo polso.

Soddisfatto e sicuro infilò la mano nella tasca del giaccone e ne uscì un mazzetto di chiavi che usò per aprire la porta.

L’interno della sua nuova casa era buio; su un lungo corridoio si aprivano quattro porte che mostravano un bagno, una cucina spaziosa, un soggiorno ben attrezzato e una stanza da letto.

Era già da molto che preparava il tutto.

Aveva lanciato un incanto su tutta la popolazione della città in modo che un certo Tod Verlassen comparisse nei loro documenti, aveva modificato le loro menti in modo da crearsi una piccola identità cercando di non esagerare per evitare possibili ripercussioni sul loro modo di vivere.

Una vita normale, voleva solo quello.

Non gli spettava forse dopo tutti quei millenni?

Non aveva forse diritto di riposare dopo quello che aveva fatto?

Ma sapeva meglio di chiunque altro che non poteva essere così, per questo era scappato.

Era nato per mietere anime e non c’era altro che avrebbe potuto fare.

Aveva voglia di lasciarsi andare, di chiudere gli occhi, e chissà forse la sua anima nera avrebbe lasciato quel mondo e sarebbe morto anche lui…

Era ancora appoggiato alla fredda parete dell’ingresso quando sentì bussare.

Sapeva già chi fosse e non poté reprimere un moto di stizza.

Aprì la porta e con sua grande irritazione trovò sulla soglia un Angelo Nero.

Le lunghe ali da pipistrello scendevano fino al pavimento, lunghi capelli corvini le incorniciavano un viso di giovane ragazza, sulla fronte aveva un piccolo gioiello rosso incastonato nella carne pallida.

- Credevo che i miei Angeli non usassero le porte. -

Disse sorridendo, l’Angelo davanti a lui era uno dei suoi messaggeri più fidati, oltre che uno dei suoi preferiti.

- Ed io credevo che la Morte non si abbassasse a vivere come un Essere Umano qualsiasi. -

L’Angelo accostò la porta e nel corridoio scese il buio.

- Non credo che tu sia venuta qui solo per fare una brutta fine. Dimmi che cosa vuoi. -

Il ragazzo sapeva fin troppo bene che il corpo di Freya era stato ritrovato, aveva fatto lui stesso in modo che lo trovassero così che fosse di monito per tutti coloro che si fossero messi fra lui e il suo obbiettivo.

L’Angelo abbassò la testa, intimorito.

Sebbene avesse un aspetto più umano era sempre la Morte, il suo Padrone, e gli stava mancando di rispetto, poi…aveva visto Freya e tutto il suo sangue sparso nella stanza.

Si portò una mano al collo, automaticamente.

Non si era ma chiesta se un Angelo potesse morire, ma qualcosa le diceva che non le sarebbe piaciuto scoprirlo.

- Mi perdoni, mio Signore, ma non può lasciare così su due piedi l’Incarico. - cercò di parlare con calma, ma sentiva la paura che le alitava sul viso - Mio Signore… -

Il ragazzo fece un movimento con il braccio e la Falce ricomparve esile ma robusta fra le sue mani, e dire che non avrebbe mai più voluto usarla…lei e i suoi malefici poteri.

- Basta con questo “Mio Signore”! - disse con calma anche se l’Angelo sentì la rabbia nella sua voce - Tu qui non sei mai venuta, sparisci e fai in modo che nessuno di voi si faccia più vedere. -

Fu difficile per il ragazzo trattenersi.

Nessuno, nessuno aveva più potere su di lui, uno dei suoi Angeli men che meno, la tentazione di farla a brandelli fu forte ma la represse; le uniche cose che tradirono la calma che voleva simulare furono gli occhi: molto velocemente avevano cambiato colore, la pupilla era tornata verticale ed intorno ad essa il blu si spense per far posto al rosso sangue.

- Sai bene che non posso andarmene senza di te. -

L’Angelo aveva preso il coraggio a due mani, sentiva che presto avrebbe sentito la lama della Falce trapassarla da parte a parte, ma non poteva e non voleva lasciare la Morte sulla Terra anche a costo di lasciarci la pelle - Questo Mondo non può andare avanti senza la Morte… -

La Morte batté la Falce sul pavimento, il rumore rimbombò per tutta la casa.

- Va' via Angelo Laila, questo Mondo può andare all’Inferno anche senza il mio aiuto. - batté ancora, onde di energia scossero le pareti che tremarono, come se fossero fatte di gelatina - Ultimo avvertimento: va’ via adesso. -

Laila annuì, spaventata, e sparì nel nulla.

Quando lui si ritrovò solo, si guardò la mano destra, quella con cui teneva la Falce; aveva stretto così forte il legno della sua arma che le unghie si erano piantate nelle venature, guardò il fluido argenteo che gli usciva dalle dita ferite.

Non sentiva alcun dolore, anche se avrebbe voluto.

Il suo sangue ultraterreno colò sul pavimento lasciando piccoli cerchi tondi.

Strappò le unghie dal legno e gettò un urlo di rabbia.

 

*

 

Alle 08:00 del mattino la Morte, o meglio, il ragazzo, correva a perdifiato per le strade ancora addormentate della città.

Aveva dimenticato completamente l’incontro con l’Angelo: non gli importava altro che vedere il volto di lei.

Come ogni ragazzo della sua età a quell’ora sarebbe dovuto essere sui banchi di scuola, e lui non faceva eccezione.

Era più che altro curioso di sapere cosa fosse questa Scuola.

Ne aveva sentito così tanto parlare che la curiosità era terribile; proprio non riusciva a pensare ad un luogo tanto terrificante da essere associato a lui stesso.

Aveva ascoltato così tante volte espressioni come “la odio da morire”, “quella l’ammazzerei” o “sto morendo non ce la faccio più” che era intenzionato a scoprire cosa ci fosse di così terrificante.

Sì, la Morte era proprio curiosa.

Era un sentimento che si agitava informe nel suo petto, indeciso se invaderlo o meno.

La sua nuova identità era quella di Tod Verlassen, un ragazzo tedesco trasferitosi nella bella Roma; aveva diciassette anni e i genitori perennemente assenti per via del lavoro.

Tod non poteva creare un corpo che si potesse definire tale, anche Freya era solo un ammasso di parti che si reggeva in piedi solo perché lui la riforniva di energia.

Poteva preservare un’anima e farla reincarnare, poteva dare una forma alle anime e trasformarle in Angeli Neri, ma nulla di più che non riguardasse il suo corpo o la sua essenza.

Per cui non aveva potuto creare quelli che chiamavano “genitori”, gli sarebbe costato del tempo prezioso che non poteva perdere.

Gli Esseri Umani erano sufficientemente condizionabili da fargli credere alla storiella che aveva montato.

Con lo zaino sulle spalle correva verso la scuola.

Era un liceo classico che aveva scelto solo perché c’era lei, nella sua sezione, nel posto vuoto accanto al suo.

Il colpo gli arrivò sulla spalla e per poco non gli cadde lo zaino.

- Attento imbranato! -

Gli disse un ragazzo robusto che l’aveva spinto con una manona grassoccia.

- Non ti capisce Salvo, non vedi che è straniero? -

Solo allora Tod si accorse che anche i suoi capelli avevano cambiato colore.

Un meraviglioso effetto collaterale che non aveva previsto: era solo la seconda volta che applicava i suoi poteri su di sé.

Sicuramente appariva come un perfetto ragazzo tedesco con gli occhi blu acceso e una zazzera scompigliata di un bellissimo biondo lucido.

Le parole dei ragazzi, in ogni caso, lo incuriosirono.

- Imbranato? -

Chiese. Non si era mai soffermato sul modo di parlare degli Umani; quelle erano parole che per lui non significavano nulla.

Lui non aveva mai avuto bisogno delle parole: bastava un suo sguardo e gli Uomini capivano.

Era lui adesso a non capire, un simpatico scambio di ruoli, dal suo divertito punto di vista.

- Hai ragione! È un bastardo tedesco…anzi deve essere proprio quello… -

Il ragazzo grasso lanciò uno sguardo all’amico che era alto, con il naso aquilino che spuntava dal giubbotto lungo nero.

- Proooprio quello! -

Disse completando la frase dell’amico.

- Bhè ci sarà da divertirsi. - disse l’altro guardandolo Tod dalla testa ai piedi - Direi che Riccioli D’Oro ci farà divertire davvero molto. - Tod, vedendo gli altri ragazzi scoppiare a ridere, sorrise affabile senza capire veramente quello che avevano detto.

Si stupì di se stesso.

Lui, la Morte, che si faceva prendere in giro da due Umani, che ignorava il significato di certe loro parole.

Tirò dritto senza pensarci troppo, voleva godersi a pieno ogni sfaccettatura di quella nuova vita.

Gli sembrava di riuscire a respirare dopo aver trattenuto il fiato per troppo tempo.

L’aria aveva un sapore tutto nuovo, poterne aspirare a pieno ogni aroma lo elettrizzava.

Prese a girare per i corridoi in silenzio rallegrandosi della vita dei giovani che si muovevano intorno a lui.

Sentiva tutto, i loro pensieri, i loro dispiaceri, i giorni che mancavano perché lui andasse a prenderli.

Non gli ci volle molto per sentire quello che voleva sentire.

Fu come essere attraversati da un lento brivido di piacere, la sensazione della sua vicinanza lo faceva impazzire.

Si voltò e dietro di lui c’era lei.

Era come l’ultima volta che l’aveva vista.

Minuta con i suoi capelli castani che scendevano morbidi intorno al viso magro, gli occhi azzurri, vispi e sereni, le labbra rosse che si piegavano meravigliosamente all’insù quando sorrideva.

Sì…era lei…adesso poteva toccarla, poteva parlarle, poteva fare ciò che voleva.

Si preparò mentre lei si portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli lanciava uno sguardo di sbieco che lo fece sussultare.

Lei, però, gli passò accanto senza neanche degnarlo di una parola, imboccò la porta e sparì nella classe.

Tod rimane interdetto nel bel mezzo del corridoio mentre gli ultimi ritardatari sparivano nelle loro classi.

Si sarebbe immaginato di tutto, ma non quella fredda indifferenza.

Scosse forte la testa, era ovvio che l’aveva ignorato: lei non poteva riconoscerlo, la sua memoria era sopita nei recessi della sua anima.

Entrò in classe anche lui e trovò quattordici Umani che chiacchieravano allegri.

Non c’era nessun adulto come Tod s’immaginava di trovare, così ne approfittò per guardarsi un po’ intorno.

C’erano sei ragazzi che facevano gruppetto compatto seduti sui banchi, tra loro si trovavano anche i due che aveva incontrato fuori dal cancello, il resto erano tutte ragazze.

Conosceva già i loro nomi, conosceva i nomi di tutti; si avvicinò ad un ragazzetto magro e pallido, Anthony Inastasi.

Era sulla sua lista da parecchio tempo, mancava appena una settimana perché lui andasse a prendergli l’anima; era seduto al suo posto e mordicchiava nervosamente una matita, sul viso il segno evidente di una malattia passata da poco.

Tod poggiò una mano sul suo banco e lo fissò dritto negli occhi.

Lui ricambiò lo sguardo impaurito: chi ha la Morte vicina se ne accorge subito.

Rimase immobile mentre gli sussurrava all’orecchio:

- Sto vendendo a prenderti Anthony, aspettami. -

Poi alzò lo sguardo e tornò a percorrere con occhi avidi il resto della classe; Anthony intanto era impallidito ed una ragazza gli si era avvicinato scuotendolo forte.

- Guarda! -il ragazzo grasso, (Salvatore Bancato, gli disse immediatamente la sua mente) diede una spallata all’amico che sobbalzò leggermente, tanto era impegnato a parlare con un altro ragazzo - C’è Riccioli D’Oro! L’hanno messo proprio nella nostra classe, avevi ragione Giò, ci divertiremo. -

Giò, Giovanni, gli si avvicinò e gli affondò una mano nei capelli biondi scompigliandoli con forza.

- Benvenuto nella IV C Ricciolino, io sono il più grande, portami rispetto e non ti succederà nulla.-

Gli amici intorno a lui scoppiarono in una risata piuttosto forzata.

Tod lo lasciò fare.

Quando le risate si placarono, afferrò per il braccio Giò e torcendolo glielo portò dietro la schiena facendolo gemere e piegare leggermente in avanti.

- Portami tu rispetto moccioso irriverente, non hai la minima idea contro chi tu ti stia mettendo. -

Sibilò con tono minaccioso abbastanza forte da farsi sentire dagli altri ragazzi.

Giovanni, imbarazzato e irritato da quel ragazzino che l’aveva sfidato, tentò di divincolarsi ma la sua stretta era d’acciaio, così tentò con le parole:

- So benissimo chi sei tu: sei il prossimo sulla mia lista nera! -

Lista nera?” pensò sorridendo Tod “pensa che le persone scritte sulle mia, di lista, muoiono.” Decise di non rispondere, lasciò il braccio del ragazzo e, recuperato lo zaino che aveva abbandonato sul pavimento, si sedette all’ultimo banco, l’unico ad essere libero.

Giò era rimasto a fissarlo massaggiandosi il braccio dolorante.

Ormai aveva puntato il Ricciolino; per tutta la sua permanenza in quella classe non gli avrebbe dato tregua, avrebbe fatto in modo che quello fosse il peggior viaggio di studio che avesse mai fatto.

Tod era rimasto piacevolmente colpito da quel ragazzo; anche se gli aveva afferrato il braccio con forza, procurandogli sicuramente un forte dolore, non aveva abbandonato la sua aria ostile e aveva continuato a guardarlo con quegli occhi castani rabbiosi come quelli di un cane bastonato dal padrone.

Sorrideva ancora mentre il suo sguardo scivolava in giro per la classe e si soffermava sulla cattedra.

- Che palle. - Tod si voltò di scatto, lei si era seduta accanto a lui e sbuffata irritata - Proprio a me è toccato lo straniero! Giulia non ti perdonerò mai per non essere venuta oggi! -

Lei gli lanciò un’occhiataccia arrabbiata e distolse lo sguardo subito dopo, senza aggiungere altro.

Ora che l’aveva accanto, Tod si sentiva stranamente intimorito; non sapeva cosa fosse giusto fare.

Per la prima volta dopo lungo tempo avrebbe potuto avere un contatto fisico con lei.

Sentiva il suo calore invadergli il corpo freddo, sentiva la sua vita scorrere accanto alla sua immobile nel tempo e nello spazio.

Avrebbe potuto scavare nei suoi pensieri, avrebbe potuto violare l’intimità della sua mente, ma non lo fece, non con lei.

Si limitò ad osservare ogni piccolo particolare del suo viso, del suo corpo.

Osservò come si torceva le mani per l’imbarazzo, osservò come si mordicchiava le labbra, osservò come i suoi occhi cadevano forzatamente su di lui.

Qualche istante dopo entrò un omone che invitò i ragazzi al silenzio.

Era alto e piuttosto grasso; il suo nome sfuggì alla mente di Tod, che ancora vagava tra i giochi di luce tra i capelli castano miele di lei.

Con un colpo di registro sul tavolo, l’uomo richiamò l’ordine poi, con la sua voce piatta ma profonda, chiamò Tod che si alzò di malavoglia per raggiungerlo.

Dovette presentarsi alla classe come un bambinetto, con tutti gli occhi dei presenti puntati addosso.

- Bene Tod. - disse gracchiando l’uomo quando ebbe finito - Puoi andare a sedere. Io insegno latino e greco, spero che tu possa partecipare alle nostre lezioni e imparare qualcosa. Vai, vai, siediti. -

Tod conosceva fin troppo bene quelle due lingue. A dirla tutta, conosceva ogni lingua della Terra, passata o presente, senza eccezione alcuna.

- όλα αυτά οι Έλληνες θα μπορούσαν να διδάξουν, αγαπητέ Καθηγητής, έχω ήδη μάθει. -

Rispose, con tranquillità e assoluta freddezza, al professore; in perfetto greco antico.

In italiano, doveva suonare come una specie di minaccia: “tutto quello che i greci potevano insegnare, caro professore, io l'ho già imparato.”

Ma, ovviamente, che uno studente rispondesse parlando correntemente una lingua morta, era troppo sconvolgente, a prescindere da quello che aveva detto.

Infatti, il professore lo guardò sbalordito, come anche tutti i compagni.

- Oh…oh, oh, oh! γνωρίζετε τον Έλληνα! Conosci il greco! Se non ti avessi qui davanti agli occhi, non ci avrei potuto credere. Dove hai imparato così bene? -

Tod si strinse nelle spalle, fingendo modestia.

- Ho vissuto per un periodo in Grecia. -

Fu la sua sola risposta.

Il professore lo squadrò dalla testa ai piedi, non ben deciso se fosse il caso di credergli o meno.

Lui non aveva di certo detto una menzogna: aveva davvero vissuto per un periodo in Grecia, più o meno per un millennio. Lì, lo conoscevano e lo pregavano con il nome di Tànato, o Ade.

Gli piacevano, i Greci. Avevano rispetto per gli Dei.

- Bene, bene, sono contento, andremo d’accordo. -

Concluse, dopo una lunga riflessione, lo sconcertato professore. Poi aggiunse “va’ a sederti” e Tod non se lo fece ripetere.

Le due ore di lezione con quel professore passarono più lente di quanto Tod si fosse immaginato; quando l’uomo rivolgeva delle domande alla classe, nessuno rispondeva a parte lui, così alla fine aveva ottenuto la simpatia dell’insegnante e l’odio dei compagni.

Anche Ayra, la sua Ayra, lo guardò male e lo apostrofò con “razza di secchione tedesco”.

 

Alle dieci, finite le due interminabili ore di greco, Tod stava alla finestra per osservare il mondo placido in cui si trovava quella scuola.

Non era per niente il luogo terribile che aveva immaginato.

Niente torture, niente fiamme, niente urla di dolore: non era proprio come se l’era aspettato.

Poggiò la testa sul vetro e chiuse gli occhi.

Con la mente si ritrovò nella Stanza.

Il sangue di Freya ricopriva ancora le pareti nere, qualche goccia macchiava la vetrata.

Laila cercava di ripulire invano il pavimento, sembrava che il sangue della ragazzina si fosse cristallizzato.

Dietro di lei comparve all’improvviso un ragazzo alto, magro, con gli stessi occhi rosso fuoco di Tod che però esprimevano calma e dolcezza; i capelli nerissimi erano in contrasto con la candida tunica bianca che indossava, nella mano destra stringeva uno Scettro d’oro con una sfera di cristallo blu in cima.

Vita, quello era Vita, suo fratello, nella sua Stanza.

Sicuramente era stato informato di quello che era accaduto; sorrise osservando la finta tranquillità con cui girava per la stanza, consapevole del fatto che dentro bolliva di rabbia e impotenza…

- Ragazzo! - sobbalzò, la sua mente venne violentemente strappata dal suo Mondo e provò una fitta alla testa mentre una donna, che gli arrivava appena al petto, si avvicinava minacciosa a lui - Sono entrata da cinque minuti e tu sei ancora lì! Torna subito al tuo posto! -

La voce della donna era insopportabilmente rauca.

Tod annuì e tornò a grandi passi a sedersi accanto ad Ayra.

- Bravo secchione, quella è la puttana: insegna filosofia. Se te la metti contro ti odia per tutto l’anno. - gli disse lei sussurrando per non farsi sentire - Cerca di non farla arrabbiare. -

Poi si voltò dall’altra parte.

Tod le diede una gomitata leggera e la invitò a guardarlo; mise una mano sul banco e un foglio di carta si materializzò istantaneamente.

- Wow! - esclamò lei accorgendosi subito del troppo entusiasmo che aveva dimostrato. Si schiarì la gola, adorabilmente rossa per l’imbarazzo e l’orgoglio ferito. - Non vuol dire che mi hai stupito Biondino, è un bel trucco ma niente di che. -

Tod le sorrise e scrisse sul foglio:

Mi sembrava di averti stupita”.

Con una calligrafia ondeggiante e morbida che rasentava la perfezione.

Le passò il foglio e lei ingoiò un altro “wow” di stupore per la bellezza della sua scrittura.

Hai una bellissima calligrafia”.

Lui lesse e non riuscì a reprimere un sorriso.

Non è bella quanto te”.

Le passò di nuovo il foglio e lei, dopo aver letto, gli rivolse il primo sorriso dopo tanto tempo.

Se avesse avuto un cuore, un cuore umano, avrebbe avuto un tuffo e avrebbe cominciato a battere furiosamente nel suo petto.

Ma quello che sentì fu solo un desolato silenzio e la sensazione incalzante di volerle sfiorare il viso, le mani, il collo.

La professoressa parlava di Socrate, un uomo veramente interessante che Tod aveva conosciuto e accompagnato al posto che gli era stato riservato.

Era stato così stupido da parte sua togliersi la vita da solo quando aveva ancora del tempo da spendere sulla Terra.

Credeva così di prendere in giro la Morte, ma si era semplicemente ucciso prima del tempo.

Tod sapeva tutto ciò che c’era da sapere su di lui e sentire quella donna che ne parlava in modo tanto vago lo irritò.

Sbuffò dietro l’ennesimo “non abbiamo notizie precise su Socrate” dell’insegnante. Quanto erano sciocchi e ignoranti gli Esseri Umani.

Quando suonò la campanella della ricreazione si sedette di nuovo alla finestra.

Ayra era uscita dalla classe con le sue compagne; a parte Anthony e Serafina, una ragazza cicciottella che consumava in silenzio la sua merenda, non era rimasto nessun altro.

Poteva essere il momento giusto per tornare un attimo nel suo Mondo.

Fischiò in direzione di Anthony; quello si voltò come se fosse stato richiamato da Satana in persona (e non era forse così, in un certo senso?) e rispose con un flebile “sì?”.

- Mi addormento per un paio di minuti, chiamami quando ritorna la professoressa, grazie. -

Anthony annuì solennemente e distolse lo sguardo poco dopo.

Adesso Tod poteva concentrarsi.

Se con il corpo era sulla Terra, con la mente, forse con la sua “anima”, era nel suo Mondo.

Il buio avvolgeva ogni cosa, poi una luce accecante lo costrinse a socchiudere gli occhi.

La Porta del Paradiso.

Non era riuscito a materializzarsi nella sua Stanza; sicuramente per colpa degli Angeli della Vita che avevano messo un qualche Sigillo.

La porta dorata ed enorme se ne stava sospesa sulle nuvole che si avvolgevano intorno ad essa in riccioli valorosi intorno agli stipiti intagliati.

Seduto sulla soglia c’era un Angelo.

Era una visione davvero celestiale, con le sue splendide ali piumate e i suoi brillanti occhi azzurri contornati da una cascata di capelli dello stesso colore dell’oro colato.

Le si avvicinò; non era più Tod, era semplicemente la Morte con la sua lunga tunica nera e la sua Falce portatrice di sventura.

L’Angelo lo guardò truce.

Come lui aveva il suo Angelo prediletto, anche Vita ne aveva uno, ed era lei: Sasha.

- Ti manda il mio fratellino? - disse con tono di scherno - Oppure qualcuno di più importante? -

Sottolineò la parola “importante” indicando il cielo stellato che si estendeva immobile su di loro.

L’Angelo scattò in piedi e si avvicinò a lui puntandogli il dito contro.

- Tu! - urlò, con la voce limpida e cristallina nonostante si preparasse a gridargli contro - Tu! Brutto essere riuscito male! Cosa ti è saltato in mente?! Non puoi lasciare il nostro Mondo come se non fosse nulla! Hai degli obblighi! -

Morte rise, non riusciva a capire come poté permettere a quella ragazza a urlargli in faccia così, ma d’altronde poteva capire: aveva causato un bel trambusto e in fondo…quella situazione gli piaceva.

- Sasha, la Morte ti ha fatto una domanda, rispondi Angioletto. -

Sasha si morse nervosa il labbro inferiore, il suo Padrone le aveva dato ordine precisi: doveva convincere la Morte ad andare da lui…solo che infuriarsi con quel ragazzo, che tutto sembrava tranne che un mietitore di anime, le faceva venire i brividi.

- Sì, mi manda tuo fratello. - disse, tentando di mantenere un tono altezzoso e di nascondere la rabbia, che non si addiceva ad un Angelo - Vuole vederti, subito! -

- Vuole vedermi? - un sorriso sarcastico si dipinse sul viso della Morte - Oh…vuole vedermi. Dov’è? -

Sasha gli disse controvoglia dove doveva andare e la Morte si congedò fulminando la ragazza con uno sguardo di fuoco.

Dove avrebbe potuto aspettarlo se non nella sua Stanza Nera? La Stanza che lui si era scelto per rimanere solo e guardare gli Uomini da lontano?

E il Sigillo che vi era stato imposto…suo fratello voleva che si sentisse convocato, che si sentisse inferiore, come sempre.

Quando vi arrivò, nella Stanza non c’era nessuno a parte le solite lucine delle stelle, la solita vetrata ampia e le nuove macchie di sangue sulle pareti.

Dovette attendere a lungo prima che il suo adorato gemello arrivasse.

Era il solito, avvolto nella sua sgargiante tunica bianca, con il grande Scettro e quell’irritante sorrisetto stampato sulle labbra.

- Ma guarda un po’ chi è sceso negli Inferi a trovare la Morte, il mio fratellino preferito. - gli puntò senza indugi la Falce contro. Si era sempre chiesto perché poteva distruggere le anime degli essere viventi ma non poteva torcere un capello a lui. Perché? Magari poteva provare. Chissà cosa sarebbe successo all’Universo se la Morte e la Vita fossero scomparse per sempre. - La tua tirapiedi mi ha detto che mi volevi, bhè: eccomi. -

Fece un inchino e fissò gli occhi, identici ai suoi, del fratello.

- Fai poco lo spiritoso. - ribatté la Vita - Ho sopportato a lungo il suo comportamento, non ho interferito e ti ho lasciato fare con quell’Anima anche quando hai rubato vite Umane per farla reincarnare prima del tempo. Ma questo è davvero troppo. Ti vieto categoricamente di stare sulla Terra. -

La Morte aveva provato una spiacevole sensazione quando il fratello aveva accennato all’Anima pura sua prediletta; era più che sicuro che nessuno sapesse quello che aveva fatto, era più che sicuro che per la prima volta fosse riuscito a fare qualcosa solo per lui, un segreto che era noto solo ad Ayra, e a lui stesso.

Si riscosse e fissò una goccia di sangue rappreso sul muro, per sfuggire agli occhi di brace del fratello.

- Mi vieti di stare sulla Terra? Non sei contento che io voglia provare l’ebbrezza della vita? -

Vita sorrise.

- Sì, sono contento, ed è anche per questo che ti ho convocato caro Tod. Non puoi mollare tutto così, non ti pare? - prese una pausa e abbassò lo Scettro, come per dire alla Morte che voleva solo parlare amichevolmente - Ti offro un patto. -

La Morte alzò gli occhi incuriosita.

Un patto?

Un patto…

Molto interessante” pensò “ma ne varrà la pena?”

- Non è da te scendere a patti con me. Che cosa mi offri? Cosa perdo io e cosa guadagni tu? -

- Se pessimista fratellino: ci guadagniamo entrambi. -

Le due creature si guardarono in silenzio per un lungo attimo, poi la Morte abbassò la Falce come aveva fatto il fratello con il suo Scettro.

- Sentiamo. -

La Vita sorrise soddisfatta e puntò lo Scettro sulla vetrata.

Il vetro, prima cristallino, si annebbiò per poi mostrare Tod Verlassen addormentato in classe.

- Ti propongo questo: diventerai un Essere Umano. - inutile dire che le parole della Vita irretirono la Morte come la luce fa con le falene. Quello che aveva sempre desiderato era a un passo da lui, avrebbe dovuto solo uccidere l’orgoglio e sottostare al fratello e avrebbe ottenuto ciò che voleva. - Ovviamente ci sono delle condizioni. -

Disse con un sospiro la Vita.

Non avrebbe dovuto fare un patto del genere con la Morte, ma qualcuno di più grande di lui aveva scelto e non poteva fare altro che obbedire.

Forse provava un po’ di malinconia a separarsi da quell’essere che era se stesso e l’esatto contrario.

- Che cosa devo fare? -

Fu la risposta secca della Morte.

- E’ molto semplice: trova qualcuno che possa sostituirti e rinuncia ai tuoi poteri. -

La Morte poggiò la schiena sulla parete, quello che gli chiedeva era troppo.

Rinunciare ai suoi poteri…bhè, quello poteva farlo.

Ma quale Uomo sulla Terra sarebbe stato disposto a diventare la Morte?

Doveva trovare la persona giusta.

Sapiente, corretta, che non abusasse di tutto quel potere…impossibile trovare qualcuno così.

- E’ una richiesta assurda, i miei Angeli potranno sostituirmi egregiamente. Sai meglio di me che gli Uomini non sono adatti a svolgere questo compito. - poggiò anche la testa sulla fredda lastra di marmo nero e incrociò le braccia al petto - Per quanto riguarda i miei poteri…fanne quello che vuoi, non mi servono. -

- Non è una richiesta assurda. Se non trovi qualcun altro che possa prendere il tuo posto, gli Angeli Neri spariranno nel momento in cui mi consegnerai i tuoi poteri: devo essere io a toglierteli. -

Scese il silenzio e la Morte prese a passeggiare nervosa per tutta la Stanza.

Se quello che gli aveva detto la Vita era vero non poteva fare altro che trovare un sostituto…ma chi?

Qualcuno in procinto di morire?

Qualcuno che aveva vissuto abbastanza da non aspettare altro che la Morte?

Un’anima del Paradiso?

Un’anima degli Inferi?

Chi?

- E chi mi consigli di scegliere, fratello? illuminami, perché non trovo nessuno che possa essere adatto a prendere il mio posto. -

La Vita sorrise, un sorriso che la Morte conosceva molto bene: lo stava beffeggiando, si prendeva gioco della sua rabbia, del suo desiderio, di tutto il suo essere.

- Dovrai trovarlo tu, Tod. È questo il prezzo per la vita Umana che tanto desideri. Se vuoi pagarlo devi solo tornare sulla Terra e metterti a cercare la persona giusta. Hai tre giorni per farlo, se non troverai nessuno riavrai i tuoi poteri e dovrai rimanere qui a fare ciò che è giusto. -

Morte si bloccò di colpo.

- Che significa? Che significa “riavrai i tuoi poteri”? -

- Significa che se accetti ti rispedisco sulla Terra come un normale Essere Umano. -

- E se non accetto? -

Vita alzò lo Scettro e il vetro tornò a mostrare il cielo stellato, poi riprese a parlare.

- Se non accetti sarai costretto a rimanere con la forza, e sai bene che Lui non aspetta altro che metterti le mani addosso. Una bella catena e da qui non ti muovi. -

Certamente, non potevano fare altro che lasciare che se la sbrigasse lui…oppure sarebbe dovuto rimanere e lavorare come uno schiavo.

- Mi legate come un cane. - disse ironico - Potrei andare a far compagnia a Cerbero giù nel locale caldaie. - sorrise sarcastico e aspettò la risposta del fratello.

I suoi occhi rossi si erano tinti di rabbia, non sopportava l’insolenza del fratello, questo era troppo anche per lui.

Gli puntò lo Scettro contro e recitò una formula che alla Morte parve incomprensibile.

Lui si accasciò a terra, un fascio di luce l’aveva colpito in pieno.

Non riusciva più a distinguere le forme, il viso della Vita gli apparve sfocato.

- Ho cambiato idea: non puoi scegliere. - si avvicinò al fratello steso a terra che gemeva - Hai tre giorni di tempo fratellone, se vuoi che il tuo desiderio si avveri datti da fare. -

Finì di parlare e poggiò una mano sul petto della Morte.

Una luce bianca cominciò a fuoriuscire dal suo corpo e si raccolse in una piccola sfera brillante tra le mani della Vita: erano i poteri della Morte, li avrebbe custoditi lui e avrebbe fatto “quel che era giusto” fino a che suo fratello non avesse messo la testa apposto.

Nessuno sulla Terra poteva sostituirlo, quello che gli aveva dato era un incarico impossibile.

Sapevano entrambi come sarebbe finita: la Morte avrebbe vissuto quei tre giorni sulla Terra e, non trovando nessuno alla sua altezza, si sarebbe acquietato e sarebbe tornato al suo posto.

Guardò soddisfatto il corpo della Morte che abbandonava le sue sembianze per trasformarsi nell’Umano Tod Verlassen.

Ciò che aveva voluto essere adesso lo sarebbe stato, l’identità che aveva creato per se stesso sulla Terra adesso sarebbe stata reale per tre giorni.

I suoi capelli neri diventavano biondi e gli occhi spalancati stemperavano il rosso ultraterreno nel normalissimo blu.

Quando la trasformazione finì il piccolo petto della Morte, ormai Tod, si alzava e si abbassava frenetico alla ricerca di aria che in quella stanza mancava quasi del tutto.

- Buona permanenza Tod, cerca di non cacciarti nei guai, stavolta non ci saranno i tuoi poteri a salvarti la pelle. - lo canzonò la Vita mettendolo in piedi di forza, gli tremavano così tanto le gambe che non riusciva a tenersi su da solo - Ci vediamo tra tre giorni. -

La Vita passò due dita sugli avambracci di Tod e lui urlo per il dolore bruciante che gli prese la carne, i muscoli, le ossa.

 

Si sveglio madido di sudore sul davanzale della finestra.

Anthony lo scuoteva con forza chiamandolo; lui riuscì ad aprire gli occhi quel poco che bastava per vedere che la professoressa era rientrata.

La luce che entrava da fuori gli feriva gli occhi, la testa gli pulsava dolorosamente e le braccia…sembravano bruciare dall’interno.

Tornò al suo posto trascinandosi, si sedette e cominciò ad analizzarsi.

Sentiva il suono sordo di un cuore che batteva furiosi al centro del suo petto.

Era un rumore più che un suono, rimbombava nella testa che già gli doleva e gli riempiva le orecchie; sentiva il gusto ferroso del sangue là dove si era morso la lingua, chissà quando.

Come facevano gli uomini a sopportare tutti quei rumori interni?

Tutti quei gusti, quei fastidiosi odori e i colori che sembravano essergli esplosi davanti agli occhi?

Erano sensazioni assurde e contrastanti.

- Ehy? Ti senti bene? Hai una faccia… -

Gli disse Ayra, passandogli una mano sul viso pallidissimo.

- S…sì. -

Rispose lui balbettando con voce insicura.

Stava per continuare quando sentì il basso ventre che gorgogliava rumorosamente, Tod vi poggiò subito le mani sopra e sentì il viso che s’infiammava.

- Per tutte le fiamme dell’Inferno! Che mi prende?! -

Esclamò a mezza voce il ragazzo.

Allora Ayra rise e si mise una mano sulla bocca per non farsi sentire.

- Hai fame scemo! Perché non hai mangiato in ricreazione. -

- Fame…? -

La ragazza alzò gli occhi al cielo.

- Ma sei scemo o cosa? Sì, fame! Quella cosa che viene se non si mangia niente per tanto tempo, hai presente? -

Tod abbassò lo sguardo sulle sue mani giunte sullo stomaco che ancora rumoreggiava.

- Fame…sì…ho fame. -

Non si dimenticò di stupirsi per quella nuova sensazione.

Fame…quanti morti di fame aveva portato con via con sé?

Era per quello che erano morti?

Le fitte allo stomaco peggiorarono e lui fece una smorfia.

“Quella cosa che viene se non si mangia niente per tanto tempo”, l’inizio dell’Universo era tanto tempo…

Ayra fissò la professoressa, stava ancora spiegando con la sua voce rauca e petulante, poi puntò lo sguardo sulla porta.

- Facciamo così, adesso fingo di star male e tu chiedi alla prof se puoi accompagnarmi in infermeria. -

- Stai male? -

Le chiese, già preoccupato; lei sbuffò.

- Sì, devi essere davvero scemo. Non sto male, è una scusa così possiamo andare a mangiare qualcosa, no? Forza, muoviti. -

- Oh…sì… - qualcosa di simile all’imbarazzo si diffuse sul viso di Tod - …ma cosa…cosa devo dire? -

Ma la ragazza si era già piegata in due sul banco simulando dolori allo stomaco; lui scattò in piedi e disse tutto d’un fiato:

- Professoressa, Ayra si sente male possiamo uscire?! -

Poi trattenne il fiato, giusto in tempo per sentire il rombare del suo nuovo cuore che gli trottava in petto come un cavallo imbizzarrito.

La donna guardò entrambi, Ayra che si lamentava con la testa sul banco e Tod tutto rosso in volto, diede loro il permesso scuotendo una mano in direzione della porta.

Appena furono fuori la ragazza ricominciò a sorridere e lo precedette di qualche passo volteggiando contenta nel corridoio.

Gli Esseri Umani sono proprio strani” pensò Tod rincorrendo Ayra.

- Ehi! Aspettami! -

Aumentò il passo e la raggiunse.

 

Nel corridoio che avevano imboccato c’erano tre distributori automatici; uno pieno di snack dalle confezioni colorate, uno per le bevande e l’ultima per cambiare le monete.

Ayra infilò due monete in quella della bevande fischiettando contenta.

- Ti va una cioccolata? -

- Sì…va bene tutto…purché faccia smettere di brontolare il mio stomaco. -

- Come sei simpatico. Tira fuori sessanta centesimi che la merenda non è gratis. -

Tod annuì.

Aveva con sé una marea di monete terrestri; giusto per andare sul sicuro ne aveva create a sufficienza per poter vivere in qualsiasi posto avesse desiderato.

Porse ad Ayra le monete richieste e lei gli diede un bicchierino di plastica colmo di liquido marroncino che faceva un ottimo profumo e un sacchetto di patatine.

Mangiarono e bevvero seduti sui gradini della scala interna che portava al secondo piano.

Il silenzio era sceso su di loro lento e inesorabile.

La bevanda che aveva preso era dolce e calda e Tod si sentì decisamente meglio; in fondo aver perso i suoi poteri e ritrovarsi con lei su quelle scale era più che piacevole, era più di quanto avesse mai desiderato.

Finì la cioccolata e sospirò di piacere.

Si stiracchiò gettando le braccia in alto.

La ragazza lo osservò di sottecchi e poi, all’improvviso, gli afferrò il braccio destro scoprendogli l’avambraccio.

Marchiate sulla pelle aveva tre strisce nere numerate da un numero romano.

Tod deglutì a fatica vedendo i segni: era un Sigillo, suo fratello gli aveva imposto un Sigillo per poterlo avere sotto controllo.

Ogni striscia rappresentava un giorno, la prima aveva già cominciato a sbiadire.

- Potevi dirmi che aveva un tatuaggio. Che significa? -

Il ragazzo fu preso decisamente alla sprovvista.

Non aveva pensato neanche per un momento che Vita gli imponesse un Sigillo.

- Ah ecco… - balbettò - …non significa nulla in particolare…mi piaceva e l’ho fatto, tutto qui. -

- Oh, capisco. -

Disse lei, tutto l’entusiasmo di poco prima era svanito nel nulla.

Quel ragazzo era strano davvero; le sembrava in continuazione di averlo già visto eppure più lo guardava più si convinceva di non conoscerlo affatto.

Era come cercare a tutti i costi di ricordare un sogno che era stato così vivido un attimo prima di svegliarsi da non poter credere che fosse soltanto un sogno.

Le sfuggiva qualcosa…ma cosa?

Vederlo sorridere ingenuo le ispirava un moto di tenerezza; sentiva una voce dentro di sé che le intimava di stare attenta e di non cedere alle sensazioni che la invadevano, ma un’altra voce le sussurrava che lui era la persona che andava cercando da molto, molto tempo.

Ma cosa pensi Ayra” si disse distogliendo lo sguardo dagli occhi color zaffiro di Tod.

- E tu…invece…hai dei tatuaggi? -

Le chiese, fingendo disinteresse.

Ayra gli sorrise.

- Sì, qui. - si toccò la spalla destra - Fiori di ciliegio. Sai, sono tipici in primavera qui in Italia, e io sono nata il 26 Marzo, in una bella giornata di Sole. -

Gli indirizzò uno sguardo che ebbe il potere di fargli saltare il cuore in gola.

I capelli castani le incorniciavano il viso con dolcezza, arrivandole fin sotto le spalle dove si arricciavano in morbide volute; le labbra rosse, sorridenti, lo imploravano di strappargli un bacio, uno solo, uno…

- Direi che è meglio tornare in classe. -

Disse lui alzandosi di scatto e raccogliendo i bicchieri e i sacchetti vuoti.

Ayra fissò la sua figura longilinea che si avviava verso il cestino della spazzatura; qualcosa in quel ragazzo continuava a sfuggirle e quando stava per sapere cosa, le scappava nuovamente lasciandola con mille domande.

Tod, per un lungo attimo, fu certo che lei avesse ricordato tutto.

L’aveva fissato così intensamente che il mal di testa, le braccia doloranti, tutto quanto era passato in secondo piano, scomparsi davanti agli occhi azzurri della ragazza.

Le nuove sensazioni umane che provava lo sbalordivano; aveva vissuto con la consapevolezza di sé e del suo ruolo ma adesso si rendeva conto che quella consapevolezza era solo frutto della sua ignoranza.

Ignorava il pulsare del cuore, era estraneo alla sensazione del cioccolato caldo che scendeva per la gola, non aveva mai sentito l’aria che gli pizzicava le narici: per lui era qualcosa di cui conosceva l’esistenza ma che non lo riguardava.

Riusciva a capire meglio quelle creature ora che era uno di loro.

Tornati in classe Tod si sedette al suo posto con la testa confusa e pesante.

L’insegnante di filosofia era andata via da un pezzo e lui ebbe tutto il tempo di riassettare le idee che gli intasavano il cervello.

Anche lei era nata il 26 Marzo, anche lei era nata in una giornata di sole.

Ricordava ancora quel giorno tanto lontano che un normale Essere Umano non avrebbe mai potuto neanche immaginarlo.

Quella piccola creaturina che aveva spalancato gli occhi sul Mondo e l’aveva fissato.

Perché lui era lì, lì per sua madre che sarebbe morta dandola alla luce.

Così piccola, tremante, con le mani strette a pugno contro il minuscolo petto che non faceva altro che prendere rapide boccate d’aria.

Qualcosa in lei l’aveva affascinato, forse fu proprio il suo sguardo fisso nel suo, come se potesse davvero vederlo mentre tutti coloro che le stavano intorno lo sentivano solo come aria gelida sulla pelle.

Lo guardava con tanto ardore che aveva dimenticato persino di piangere e non l’avrebbe fatto neanche dopo quando lui, di malincuore, si era preso sua madre ed era sparito.

Erano passati gli anni e lui non aveva smesso di seguirla da lontano, fingendo di essere solo incuriosito e nulla di più.

E adesso, dopo tutti quei secoli, la sua Ayra era esattamente com’era allora.

- Ciao! -

Il filo dei suoi pensieri fu spezzato di netto da un ragazzo alto e bruno che gli si era avvicinato di soppiatto, frapponendosi tra lui e Ayra.

Si prese una sedia e s’infilò nello spazio tra i loro due banchi.

- Io sono Alarico. Prima che tu possa dire qualcosa: si, lo so, è un nome orribile, ma mio nonno si chiamava così. Tu comunque puoi chiamarmi Al. -

Gli sorrise e gli porse la mano dalle unghie laccate di nero.

Vestiva di nero, con jeans aderenti che il suo fisico magro gli permetteva e una maglia adornata con teschi e figure spettrali; ai polsi aveva una miriade di braccialetti e catenelle di metallo.

Rimase in mezzo a loro anche nell’ora di arte dicendo all’insegnate che Tod aveva bisogno di aiuto.

Ayra e quel ragazzo andavano decisamente d’accordo.

Sembravano conoscersi da una vita, mancava solo che l’uno completasse la frase dell’altro.

Tod passò tutto il tempo ad osservarli; Al aveva i capelli castano scuro lunghi sulle spalle e gli occhi altrettanto scuri tanto da sembrare tutt’uno con la pupilla, le spalle larghe proporzionate alla sua altezza di un metro e novanta circa.

Era quello che sicuramente le femmine Umane avrebbe definito un “bel ragazzo” e per un attimo Tod sentì uno spiacevole tuffo al cuore.

- Sei un tipo di poche parole, eh? Bhè, caschi male, perché io parlo un sacco! - gli disse il nuovo “amico” sorridendo - Racconta qualcosa di divertente alla signorina, altrimenti si stancherà subito di te. -

- Oh smettila idiota! -

Lei gli diede una gomitata ridendo.

- Che succede qui? -

Urlò la professoressa e Tod si girò di scatto; non l’aveva neanche sentita avvicinarsi dato che si era messo ad ascoltare i monologhi di Al, che si credeva molto interessante quando era solo un ciarliere senz'arte né parte.

- Nulla professoressa non si preoccupi! -

Rispose il brunetto reprimendo una risata.

La professoressa annuì e continuò a fare quello che stava facendo.

- Ah, per poco non si sgamava! - bisbigliò Al con la mano davanti alla bocca - Bhè, in ogni caso, che fate stasera? -

- Io esco con il mio ragazzo… - fece Ayra maliziosa, avvicinandosi un po’ ad Al. Bastarono quelle poche parole perché il cuore di Tod prendesse a battere impazzito. Ragazzo? Che ragazzo? Intendeva quel genere di ragazzo? La sua Ayra aveva un ragazzo? - Che per altro sei tu, brutto scemo. -

Concluse Ayra prendendo la mano ad Alarico che arrossì leggermente.

Tod rimase interdetto.

Ecco perché quel ragazzo si infilato tra loro.

Il suo istinto di uomo, di maschio, gli aveva suggerito che era meglio intervenire per preservare il legame.

In termini Umani: era geloso.

Li aveva visti insieme e si era infastidito e aveva fatto di tutto perché la discussione si spostasse quasi naturalmente per poter far dire ad Ayra “esco con il mio ragazzo”.

Il cuore impazzito di Tod batteva davvero troppo forte ed ebbe voglia di saltare addosso ad Al e picchiarlo.

Si trattenne solo perché lo stupore per la sensazione di rabbia bollente era più forte e perché la campanella stava suonando e aveva salvato il giovane umano.

Alarico si alzò e prese con sé Ayra trascinandola fuori dall’aula e urlando un “ciao Tod!” a dir poco irritante.

Il ragazzo rimase al suo posto fin quando la classe non si svuotò.

Se sentiva amareggiato e non aveva alcuna voglia di tornare a casa, anche perché sul tragitto avrebbe incontrato sicuramente Ayra e il suo spiacevole accompagnatore e non voleva assolutamente che succedesse.

Era stato così certo che lei non avesse pensiero che per lui che l’idea che potesse essersi costruita una vita, un’altra vita, non l’aveva sfiorato neanche per un secondo.

Non aveva indagato, non aveva osservato, aveva dato tutto per scontato.

Si era fatto fregare, incredibile.

Lui, la Morte, si era fatto prendere in giro così.

Era un colpo basso a cui non era preparato; per scaricare la rabbia colpì con forza il banco, facendolo traballare.

- Ti diverti?! - urlò al cielo, a se stesso, ma soprattutto a Vita, a Lieben - Ti diverti eh?! Ti stai divertendo?! Rispondi! Rispondi! - colpì nuovamente il banco con il solo risultato di farsi male al piede.

- Sì. - la voce del fratello lo raggiunse da lontano, una flebile eco nella sua mente - Sì, mi sto proprio divertendo. -

Tod si afferrò la testa, sentire la sua voce così lontana eppure così vicina lo faceva impazzire.

- Dove sei?! Vieni fuori codardo! Vieni fuori! -

Lieben comparve seduto sulla cattedra, le braccia incrociate, la gamba comodamente a cavallo e un’espressione soddisfatta sul volto.

- Eccomi Tod, hai chiamato? -

Tod si lanciò su di lui con tutta la rabbia di cui era capace il suo nuovo corpo umano, ma Lieben si limitò a fare un gesto placido con la mano e lui fu scagliato all’indietro contro la parete opposta.

- Non che prima fosse diverso, ma come Umano sei piuttosto deboluccio. Mi fai pena. -

La Morte, scagliata dritta contro il muro, si accartocciò su se stessa per il dolore, la schiena urlava letteralmente pietà, il colpo era stato tremendo.

Sentì di nuovo il gusto ferroso del sangue in bocca, si asciugò il muso con il dorso della mano ritirandola coperta di gocce rosse.

- Sei un gran bastardo. - disse con il fiato mozzato. Si alzò lentamente con le gambe che traballavano, e fissò Lieben ancora seduto composto sulla cattedra. - Puoi distruggere questo corpo, ma non potrai mai uccidermi. -

- Ti sbagli. Adesso io ho i tuoi poteri. Se non fosse che un potere tale non può rimanere nelle mani di una sola creatura ti farei fuori, la tentazione è forte. -

- Rimani un bastardo di prima categoria. - Tod sputò una boccata di sangue sul pavimento - Tu sapevi tutto…sapevi tutto fin dall’inizio, sei un bastardo! -

Lieben rise e lo fissò con i suoi occhi ardenti.

- Vedo che cominci ad abituarti alla Terra. Ricorda che mancano poco più di due giorni. Ma se vuoi continuare a sentire quello che senti adesso, se vuoi continuare a vedere la tua amata appartenere ad un altro uomo, fa’ pure; altrimenti, sono qui: chiedimi pure di ritornare indietro e tutto questo non sarà mai successo. -

Tod si avvicinò di nuovo a lui.

I loro visi erano ad un nulla l’uno dall’altro.

- Scordatelo. - sibilò tra i denti - Non mi arrendo, questo è tutto quello che ho sempre desiderato, tu non me lo porterai via! Sappi solo che se non troverò un sostituto scopriremo insieme se la Vita può morire. E non m’importa delle conseguenze, mi basta che tu scompaia. -

La Vita sorrise, un sorriso di scherno che Tod avrebbe tanto voluto cancellargli dalla faccia.

Lieben gli poggiò una mano sul petto; una scossa elettrica percorse tutto il suo corpo e non riuscì più a muoversi.

- Allora aspetto con trepidazione il momento in cui le tue inutili minacce diventeranno realtà. Buona giornata Tod. -

E scomparve, lasciando Tod senza fiato in piedi davanti alla cattedra.

Riuscì a riprendere sensibilità solo dopo diversi minuti.

Minuti in cui la rabbia e l’impotenza lo divorarono vivo.

Raccolse le sue cose con mani tremanti e corse via.

 

Non avrebbe mai pensato che le cose si sarebbero potute complicare così.

Sembrava tutto perfetto, tutto perfettamente calcolato nella sua infinita mente immortale.

Invece si era lasciato prendere, aveva agito come un Umano e come tale adesso era costretto a vivere.

Il suo sogno, il suo più grande desiderio, era stato perverso e violentato in modo che gli si rivoltasse contro; niente era come avrebbe dovuto essere.

Aveva osservato il brulicare degli Umani senza mai interessarsi, convinto di conoscere tutto ciò che era necessario conoscere, invece si sbagliava.

Il mondo intorno a lui era molto più complesso di quando avesse mai immaginato, la mente degli Umani gli era sembrata semplice, invece era contorta e profonda come un oscuro labirinto; e adesso si chiedeva cosa li spingesse ad andare avanti, cosa spingesse quella donna a correre verso quella strada, cosa spingesse quell’uomo ad aspettare fermo all’angolo, cosa spingesse quel bambino a piangere…e cosa spingesse lui stesso a camminare a passo sostenuto verso casa.

Quando arrivò alla porta la spalancò con tanta forza che quella sbatté rumorosamente contro il muro.

Gettò lo zaino in un angolo del salotto e si lasciò cadere sul divano, affondando la testa in un cuscino.

E’ assurdo, è un vicolo cieco” pensò.

Si mise a fissare il soffitto con la testa tra le mani.

La luce che entrava dalle finestre lo infastidiva, la schiena era ancora dolorante e le braccia formicolavano.

Si alzò le maniche: su entrambi gli avambracci era disegnato il Sigillo.

La prima striscia stava ormai scomparendo, ma le altre erano nitide sulla pelle.

Due giorni ancora e poi tutto sarebbe scomparso.

Ma come poteva trovare un sostituto in quelle condizioni?

Neanche con i suoi poteri sarebbe stato semplice, ma adesso era praticamente impossibile.

E Lieben lo sapeva bene.

Era solo uno stupido Essere Umano adesso, debole e inutile.

Si passò le mani sul viso con rabbia, e rimase così, sdraiato sul divano.

Si addormentò senza neanche accorgersene.

 

Nel sogno si trovava in un lungo corridoio buio.

Non aveva mai sognato, dal momento che non aveva mai potuto dormire prima, così, nell’incoscienza del sogno, pensò di essere sveglio in un qualche luogo accuratamente scelto da Lieben per farlo impazzire.

Arrabbiato come non mai cominciò a correre per il corridoio e lì, in fondo, vide una luce bianca.

Corse a perdifiato fin quando non arrivò a tuffarsi nella luce.

Dall’altra parte c’era Ayra, stesa a terra in una pozza di sangue.

Tod avrebbe voluto urlare, ma non aveva più voce; avrebbe voluto correre da lei, ma le gambe erano inchiodate sull’asfalto.

Rimase a fissare quella scena senza poter fare nulla.

Dietro di lui comparve la Vita o forse…no…lo guardò meglio…non era la Vita: era la Morte.

Con la sua Falce si avvicinò alla ragazza e le prese l’anima, sogghignando, poi con un colpo della lama la distrusse, senza dargli il riposo del Paradiso né la dannazione dell’Inferno.

 

Tod si svegliò sobbalzando con il cuore che batteva dolorosamente nel petto e nella testa.

Un incubo” si disse passandosi una mano sul viso madido di sudore “uno stupido incubo…”

Si rigettò sul cuscino respirando profondamente.

Non avrebbe mai detto che sognare potesse essere così terribile; ora capiva i racconti degli Uomini che aveva ascoltato quando ancora camminava sulla Terra e andava di persona a prendere le anime, racconti di incubi orribili e sogni meravigliosi.

Capiva, ora capiva.

- Ti è piaciuto il sogno? -

Riconobbe immediatamente la voce.

Rimase immobile senza voltarsi, anzi socchiuse gli occhi per obbligarsi a non vedere.

- Sei stato tu? -

Bisbigliò, consapevole che lui poteva sentirlo perfettamente.

Lieben si avvicinò scivolando nell’aria come se non avesse peso, e si sedette accanto a lui.

- Potrebbe anche essere. -

Tod, con gli occhi chiusi, ripercorse le immagini del sogno.

Il sangue di Ayra sparso sulla strada, la Morte che andava a prenderla e distruggeva la sua anima…avrebbe voluto avere la sua Falce.

- Perché l’hai fatto? -

- Perché ho tutta l’intenzione di mostrarti il lato peggiore della vita. -

- E sarebbe la morte il lato peggiore? -

Chiese allora Tod, con una sfumatura d’ironia nella voce.

- No. - rispose con calma Lieben scuotendo la testa - E’ perdere qualcuno a te caro. -

Tod si alzò di scatto.

- Vuoi dire che vuoi portarmela via?! -

Lieben sospirò.

- No Toddy, non lo farei mai. -

Ma c’era qualcosa nel tono della sua voce contrita che diceva tutto il contrario.

Tod fissò il fratello in silenzio; avrebbe voluto poter dire qualcosa ma la bocca secca aveva come ancorato la lingua al palato.

Non riusciva a capire perché Lieben gli avesse fatto una cose del genere.

Non…non riusciva neanche più a pensare.

Lentamente due grosse lacrime gli scesero sul viso e lui si toccò la parte umida con confusione crescente.

Sentiva un peso che gli occludeva la gola e gli occhi umidi che non chiedevano altro che un singhiozzo per cominciare a piangere.

- Suvvia Tod! Non mi sembra il momento per piangere! Era solo un avvertimento. -

La Vita si avvicinò a Tod e gli cinse le spalle con un braccio come a volerlo consolare.

- Perché mi fai tutto questo? Io voglio vivere, tu per primo dovresti aiutarmi. Voglio stare sulla Terra: è sbagliato? È sbagliato desiderare la vita? -

Quel singhiozzo arrivò e Tod prese a piangere ripetendo in continuazione “perché?”.

- Trova le tue risposte da solo, io faccio solo quello che mi è stato ordinato di fare. Questa, per il momento, è la tua vita e tu devi viverla in tutto e per tutto. Ricorda: hai ancora due giorni. -

- Non ti stanchi mai di ripeterlo?! - esclamò tra i singhiozzi Tod - Lo so che ho ancora due giorni! Ma cosa vuoi che faccia ridotto in questo stato?! Non posso fare nulla! - si asciugò le lacrime con entrambe le mani e tirò su col naso - Non posso fare nulla… -

Lieben strinse il fratello con freddezza.

Per quanto potesse patire aveva degli ordini da seguire, e doveva ignorare il suo dolore perché derivava solo dalla sua insubordinazione.

- Mi dispiace Tod, questi erano gli accordi. Ci vediamo. -

E sparì, lasciando Tod nello sconforto.

Lui si gettò come un corpo morto sul cuscino e si lasciò andare alle lacrime.

Quelle gocce facevano male, scendevano sul viso e gli bruciavano la carne, eppure…più ne cadevano più lui si sentiva leggero e sollevato.

Troppe emozioni tutte in una volta, troppe cose che lui non riusciva a comprendere, amore, dolore, rabbia, in lui erano mischiate e amorfe; lo invadevano lasciandolo attonito.

 

Passarono diverse ore prima che riuscisse a calmarsi.

Andò in bagno per sciacquarsi e si vide rifletto nello specchio.

Gli occhi blu scuro erano arrossati e gonfi e i capelli biondi arruffati e bagnati.

Riempì il lavandino d’acqua calda e vi tuffò dentro la testa.

Rimase sott’acqua finché non sentì il bisogno di immergersi completamente, come se l’acqua avesse mai potuto lavare via tutto il dolore.

Si riscosse, non poteva continuare così; Ayra era sua e di nessun altro, l’avrebbe riconquistata in due giorni, sì, in due giorni.

Poggiò la testa sulle mattonelle bagnate e aspettò che i sensi si calmassero.

Quanto poteva durare d’altronde?

Per quanto ancora avrebbe sentito il dolore nel petto?

Poco…poco perché era pronto a scattare come una molla caricata già da tempo.

Forse era un Umano, ma aveva ancora le sue conoscenze, la sua intelligenza, la forza fisica e l’agilità: cose che non c’entravano con i suoi poteri ma solo con la sua esperienza personale.

Alzò un pugno e colpì con forza la parete, sebbene il dolore che gli venne alla mano fu atroce, il muro si frantumò in piccole schegge rivelando tubature e un’armatura in calcestruzzo.

Perfetto” pensò massaggiandosi la mano dolorante “nonostante il dolore ho ancora la mia forza, a saperlo prima avrei picchiato Lieben”.

Testò ad una ad una tutte le sue capacità, era ancora agile e flessibile e si muoveva silenzioso come un assassino.

Poteva farcela, si convinse che ce l’avrebbe fatta.

L’unico e ultimo tassello che mancava era il suo Quaderno, quello su cui vi erano scritti tutti i nomi di tutti gli esseri viventi che abitavano nell'Universo, quello che aveva cominciato a usare quando non aveva più la forza e la voglia di scendere sulla Terra di persona per compiere il suo lavoro. Era molto più facile spuntare un nome sulla lista, che andare dal condannato e convincerlo a venire via con lui: nessuno amava molto la figura di un uomo incappucciato con una falce affilata.

Un movimento agli angoli del suo campo visivo lo costrinse a voltare la testa.

Laila.

Il suo Angelo.

Aveva il volto rosso e gli occhi lucidi e gli si era parata davanti come se avesse voluto lanciarsi su di lui e stringerlo forte.

- Padrone! -

Disse lei e lasciò perdere il consueto rispetto che doveva portargli e gli si gettò addosso abbracciandolo.

Tod rimase immobile mentre le braccia gelide dell’Angelo lo avvolgevano.

Aveva la consistenza di nebbia umida, sembra essere pronta a scomparire da un momento all’altro.

La scostò quel tanto che bastava per guadarla negli occhi.

- Che cosa ci fai qui Laila? -

- Padrone! So quello che ti è successo! Non potevo permettere che tu rimanessi solo! Rimarrò qui sulla Terra e ti aiuterò! -

La voce dell’Angelo era sicura e Tod non poté fare a meno di annuire, ancora un po’ confuso.

D’altronde un po’ d’aiuto gli avrebbe fatto decisamente comodo.

- Ti ringrazio Laila, sono felice che tu sia qui. -

Si morse il labbro consapevole di quello che le aveva detto quando era arrivato sulla Terra (“sparisci…vai via, ultimo avvertimento”).

- Ti ho portato il Quaderno! -

Tod provò una gioia immane nel riavere fra le mani il suo Quaderno, solo che, quando lo aprì, era completamente bianco.

- Dannazione. - bisbigliò sfogliando le pagine identiche l’una all’altra - Non posso più leggerlo! - lo chiuse di scatto e lo diede a Laila - Devi farlo tu. -

- Va bene. - disse sorridendo l’Angelo - Lo leggerò io! D’ora in poi sarò i tuoi occhi. -

Tod sentì il sorriso di Laila sincero e convinto, le sorrise anche lui in risposta.

- Perfetto. - le rispose mentre si asciugava i capelli - Allora cominciamo. -

Laila annuì contenta e insieme uscirono dal bagno.

 

Anche con l'aiuto dell'Angelo, Tod avrebbe avuto non pochi problemi.

Frugò nella casa alla ricerca di un mantello o qualcosa che gli somigliasse per coprirsi; non gli piaceva dover andare in giro con la testa scoperta specie adesso che aveva i capelli biondissimi.

Quando riuscì a trovarlo, non riusciva a crederci; era un mantello nero con il cappuccio quasi uguale a quello che indossava per “lavorare”.

Lo indossò e l'Angelo cominciò a dargli una serie di nomi che, secondo lei, appartenevano a uomini in grado di prendere il suo posto.

Così cominciarono sul serio.

Grazie ai poteri di Laila poterono far visita ad una decina di uomini e donne.

Tutti reagivano allo stesso modo: urlavano, lo cacciavano via, poi credevano alle sue parole e ascoltavano attenti.

Nessuno però andava bene.

Avevano dimostrato di desiderare solo il potere per vendicarsi dei politici, degli “amici”, di un membro della famiglia.

- Possiamo cercare ancora. -

Disse speranzosa Laila quando tornarono a casa.

Tod si alzò la manica destra: la prima striscia era diventata bianca e se ne scorgevano solo gli sbiaditi contorni.

Fuori il sole aveva cominciato a sorgere, avevano cercato tutta la notte senza risultati.

- No, per questa volta basta, sono distrutto. -

Le rispose Tod, buttandosi sul letto.

L'Angelo lo guardò preoccupato.

- Sei stanco? Ma...è normale? Tu non sei mai stanco... -

Tod fece un gesto con la mano.

- Sì, sì è normale, sono un Umano adesso... - sospirò, guardando il quadrante di un grande orologio appeso alla parete. Erano le 5 del mattino. - Fammi un favore... - le disse indicando le lancette nere - Devi chiamarmi quando sono le sette, ho bisogno di dormire un po'. -

Laila fissò l'orologio, aveva imparato a leggerlo insieme a Freya qualche tempo prima; memorizzò l'ordine e si sedette ad aspettare in un angolo.

Tod invece si tirò le coperte fin sul naso, sicuro che quelle due ore scarse di sonno non l'avrebbero “ricaricato”.

Chiuse gli occhi e in pochissimo si addormentò.


The Corner

Salve a tutti,
comincio subito col dire che questa è una storia a cui tengo molto,
risale al 2008 e sono riuscita a renderla "digitale" solo da poco.
Pubblicherò il prossimo capitolo lunedì 30 Settembre,
e l'ultimo giovedì 3 Ottobre.
Spero che abbiate voglia di darmi un parere,
grazie in anticipo!
Chii
   
 
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