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Autore: Andromache    27/09/2013    0 recensioni
Dal testo:
"In un primo momento non realizzai che era lui, non lo realizzai mai, non lo vidi proprio, e gli andai contro mentre cercavo di far entrare il belvedere nella foto che cercavo di scattare. E quando cascai per via dell'involontario sgambetto che mi aveva fatto, rise e mi allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi. “Mi scusi signore,” iniziò lui, “non l'ho vista”. Io lo scrutai da capo a piedi alzando un sopracciglio e “Signore? Ti sembro così vecchio da chiamarmi signore?” gli chiesi mentre mi pulivo dalla polvere appiccicatasi ai pantaloni e alla maglietta."
[Larry]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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QUESTA dovrebbe essere una one-shot ma è venuta una cosa ripugnante e da malata mentale scritta da una schiappina come me. 
Sono Beatrice e sono completamente esaurita. 
A dir la verità la volevo pubblicare per il mio primo compleanno di EFP che era a maggio ma guess what?, la pubblico a settembre, a quasi un mese dopo il mio compleanno vero e proprio. Ma che importa.
Spero che vi piaccia, io la odio ma mi piace. È lo stesso effetto che mi fa il libro Lolita di Vladimir Nabokov, quindi penso sia una cosa buona. Sta a voi dirmelo!
Chiamate il 48182 e inviate SI se la storia vi è piaciuta, NO se vi ha fatto cagare. 
Okay, godetevela.
Xoxo, Beatrice.
PS: Sono 2735 parole x’D
 
ATTENZIONE, WARNING, ACHTUNG: I personaggi sono completamente OOC (out of character) e vivono negli anni '70-'80 anche se quelli veri hanno il piacere di vivere ai giorni nostri. Io non possiedo Harry Styles, Gemma Styles nè Louis Tomlinson. Non scrivo a scopi di lucro.
 
I
 
26 Ottobre, 1964. 
 
Io avevo quasi 12 anni quel giorno. Halloween si avvicinava, e io andavo con mia madre a scegliere il costume che avrei indossato il 31 di Ottobre.
Avevo pregato mia madre di vestirmi in un modo decente, da zombi o dal mostro di Frankenstein, e finalmente aveva esaudito il mio desiderio. Avremmo comprato il costume ai grandi magazzini, e io odiavo andarci. 
Ai tempi tra le ragazze andavano di moda i capelli cotonati. Non ho mai trovato nulla di bello in una ragazza con dei capelli pomposi e un ridicolo vestito azzurro con delle ciliegine rosse, e a quanto pare la cosa era reciproca, io non piacevo a loro. 
Solo due anni prima era uscito il film "Lolita" di Stanley Kubrick, e sfortunatamente quegli orribili occhiali a cuoricino non erano ancora stati sorpassati da qualcosa di più "fashion".
 
E così, accanto a mia madre passeggiavo in mezzo a questa folla di ragazze così spaventosamente uguali. 
Quando lo vidi. In un lampo, i miei occhi si scontrarono con i suoi. In quella frazione di secondo riuscii a vederli guizzare da una parte all'altra, incontrarmi per caso, e continuare a scrutare in giro, come dei pesciolini in una boccia. E in quel momento ricordo che mi immaginai una patetica scenetta di me e lui che chiacchieravamo. Niente di che. 
Se solo avessi saputo che era lui...
 
12 Settembre, 1972. 
 
Io oramai mi ero diplomato da un bel pezzo. Cercavo casa in una città americana per trovare lavoro e allontanarmi il più possibile da Doncaster e la mia famiglia che ci viveva. 
Così mia madre ripescò dai meandri della sua memoria la cugina Frances, figlia della oramai dimenticata zia Moira, e dai vari numeri della rubrica il suo, così da chiamarla e chiederle asilo da parte mia, organizzando la partenza per pochi mesi dopo, lei avrebbe pensato al letto per me a casa sua. 
La cugina Frances Montgomery era figlia di una coppia in origine ricca, ma il cui padre si giocò i soldi e la dignità a poker. Aveva più o meno la mia età, non ricordavo molto di lei, se non i bruttissimi e sempre raccolti in una acconciatura da vecchia signora capelli rossi. Da quello che la mia memoria riusciva a cavare dai ricordi che avevo di lei, non deducevo niente da come sarebbe stata ora, a vent'anni. Una semplice ragazzotta magra e la faccia dipinta o altro, non l'avrei mai indovinato da quello che sapevo di lei. Così sarebbe stato più eccitante, come aprire l'ultimo pacchetto regalo sotto l'albero di Natale, quando hai ricevuto quello che volevi e scopri l'ultima e insaspettata sorpresina. 
 
Quella sera cominciai a impacchettare i miei effetti. Ero già agitato allora per la partenza. 
Insomma, avrei cambiato vita. La mia solita vita monotona sostituita con una movimentata vita vissuta nella grande America, il paese libero, il paese dei sogni e dei desideri. 
 
30 Aprile, 1973. 
 
Era ovvio che mi sbagliavo. Da Doncaster a Flagstaff non cambiava che l'ambiente, ma la mia vita era sempre la stessa, quella da sfigato. 
Quando ero arrivato da mia cugina non potei che non riconoscerla. Alta, magra e sempre con la stessa acconciatura, assomigliava alla cara e defunta zia Moira, della cui storia parlerò dopo. 
Come ho detto, nonostante la somiglianza con sua madre, non l'ebbi riconosciuta e continuai a camminare diritto, finché, grazie al Dio in cui non credo, quella cara ragazza di Frances mi picchiettò sulla spalla chiedendomi se ero Louis, e perbacco se lo ero e lo sono. 
Mi portò a casa in macchina, una brutta ma pulita macchina, probabilmente un vecchio modello. Questo poteva significare che la fortuna che suo padre si era lasciato scivolare dalle mani non era mai rientrata nella cassetta di sicurezza della famiglia Montgomery. 
Tuttavia, mi ricredetti quando vi arrivammo, a casa. 
Una vera e propria Magione si estendeva a perdita d'occhio sotto il mio sguardo inebetito, e mia cugina mi tirò dentro a forza perché, come racconta tutt'ora lei, ero rimasto senza respiro davanti a cotanta grandezza. Tanto di cappello a te, Frances, per questa descrizione, anche se non descrive appieno lo scombussolamento che provai dentro. 
 
La storia della zia Moira è una storia semplice e monotona, ma tuttavia potrebbero svilupparci un film di gangster attorno, sapete, quelli che vanno tanto di moda. 
La cara zietta, dai capelli fulvi così simili a quelli di sua figlia, quando aveva qualcosa come 17 anni si innamorò di un uomo di 45 anni ricco sfondato, che prese al volo la prima occasione di mettere incinta la signorina Berridge e sposarsela, concedendole ogni comfort e ogni vizietto che ella desiderava. A 18 anni partorì una grassottella bambina, e quando Frances compiette 14 anni il padre era già alcolizzato e con un piede nella fossa per via delle questioni che aveva aperto con la mafia. Così, quando la "piccolina" ebbe 18 anni, il padre fu assassinato insieme alla madre dopo aver perso il patrimonio di famiglia, e lei si era trasferita dai nonni che, al contrario del padre, avevano saputo gestire la loro ricchezza e avevano costruito una casa con varie camere, tante quante le lettere dell'alfabeto greco e nelle quali sognavano vi vivessero i nipoti, ma la nipote era solo lei, la ragazzina sola al mondo e sfortunata, perché dopo due mesi morì sua nonna e dopo altri nove suo nonno.
 
La seconda volta che vidi quel diavolo fu in una gita in una città vicina di cui purtroppo non ricordo il nome ma con dei bellissimi monumenti. Era lì, e una ragazza che poteva essere sua sorella o la sua fidanzata gli stava scattando una foto. 
In un primo momento non realizzai che era lui, non lo realizzai mai, non lo vidi proprio, e gli andai contro mentre cercavo di far entrare il belvedere nella foto che cercavo di scattare. E quando cascai per via dell'involontario sgambetto che mi aveva fatto, rise e mi allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi. “Mi scusi signore,” iniziò lui, “non l'ho vista”. Io lo scrutai da capo a piedi alzando un sopracciglio e “Signore? Ti sembro così vecchio da chiamarmi signore?” gli chiesi mentre mi pulivo dalla polvere appiccicatasi ai pantaloni e alla maglietta. Lui sorrise ancora e mi porse la mano, aspettandosi che gliela stringessi. Io ero scettico, ma mia madre la buona educazione me l'aveva insegnata, e gliela strinsi. “Sono Harry O'Neil, per gli amici Harry Styles”. Immaginai che quel soprannome gliel'avessero dato in virtù del suo giacchino nero di pelle e quegli orrendi capelli impomatati. Al tempo adoravo quel tipo di capigliatura, la trovavo sexy, così ogni mattina mi riempivo i capelli di brillantina, ma ora la trovo ridicola, anche se devo ammettere che il suo fascino ce l'ha. “Louis.” risposi tirando la bocca in una smorfia che avrebbe dovuto assomigliare a un sorriso, fallendo miseramente. “Va bene Louis, come posso farmi perdonare per questa brutta caduta?”. Io lo guardavo estasiato dentro e pietrificato fuori. Era più alto di me nonostante avesse chiaramente meno anni, non aveva un solo pelo in faccia se non le sue bellissime sopracciglia, e portava delle brutte scarpe che mi ricordavano mio padre. “Vieni a cena da me sta sera, tu e la tua ragazza”. Dovevo aver detto una gran cavolata, ma per quanto analizzassi la frase che avevo pronunciato non vi trovavo niente di divertente, fin quando lui stesso non mi corresse dell'errore che avevo fatto: “Lei non è la mia ragazza, è mia madre”.
 
Quella sera venne veramente, ma con sua sorella, che, mi aveva spiegato, non era andata con loro quella mattina perché era in giro con le sue amiche. 
Sua sorella era una persona banale e noiosa, ma lui, Gesù Cristo, lui lo avrei lasciato parlare per giorni senza mai stancarmi di sentire ciò che diceva. Lo guardavo mentre parlava, lo guardavo mentre mangiava, mentre si puliva la bocca, mentre beveva, mentre si versava un altro bicchiere di Chianti nel calice e ne beveva appena un sorso, e non vi trovavo una sola imperfezione. Io parlai poco quella sera, mangiai ancora meno, e andai a letto sentendomi come se camminassi a quattro dita da terra. 
Quando arrivò il momento del congedo, gli lasciai il numero della villa e gli dissi che se avesse voluto chiamarmi avrebbe dovuto chiedere di Louis Tomlinson. Lui annuì, mi strinse la mano e mi disse che si era divertito, e se n'era andato con sua sorella, lui, Harry O'Neil, per gli amici Harry Styles. 
 
II
 
15 Novembre, 1973. 
 
Oramai io e Harry ci vedevamo spesso, ci sentivamo ogni sera e posso tranquillamente dire che avevo avuto la mia prima volta con lui, prima, seconda, terza e altre innumerevoli volte non degne di essere ricordate ma solo amalgamate al ricordo delle altre. 
Tutto questo non proprio di nascosto, ma neanche nella camera affianco a quella di Frances o di Gemma, nè in pubblico. Ci incontravamo, chiacchieravamo per un po' e ... tutto andava come andava. 
Il giacchino nero era sempre lo stesso, così i capelli impomatati di tutti e due, così comuni tra i ragazzi dell'epoca. E quello stesso giacchino nero lo guardavo cadere sulla sedia almeno due volte alla settimana nella camera BETA. A Frances apparteneva l'OMEGA, perciò eravamo abbastanza lontani in linea d'aria. E quei capelli come incollati tra di loro vedevo essere sistemati dopo la performance. Monotona la mia vita da sfigato, ma almeno non solo la mia lo era, e questo mi confortava. Rovinare gli anni migliori di qualcun'altro mi faceva stare meglio di ogni altra droga in circolazione in quegli anni, sentire il profumo della stessa stanza ogni giovedì mi ubriacava anche più della birra di bassa qualità che avevo nel frigorifero della mia, la DELTA. 
Tuttavia Harry mi amava, e io anche lo amavo, di un amore profondamente viscerale e intensamente mistico e religioso, casto e sporco nell'insieme. 
 
24 Dicembre, 1976. 
 
Io e Harry vivevamo insieme. La fase distruggi-quello-che-ami mi era passata da un pezzo ed ero pronto ad amarlo di un amore nuovo, appena comprato, puro come quello di un bambino. 
Passavamo le giornate libere nel grazioso salotto impolverato della nostra casa nella periferia di Palm Beach a leggere riviste e libri, ascoltare musica dalla radio e a mangiare cibo non sano per il nostro fegato, ma che importava allora, eravamo innamorati e avevamo un lavoro stabile entrambi, niente importava! Sbagliavo. Credevo male. Una relazione non è un francobollo, la saliva non tiene insieme un bel niente, un bacio non vale quanto una parola, il sesso meno di niente, solo uno dei piaceri. 
Così cominciai la caduta verso il basso, senza accorgermi, vedendo solo ciò che volevo vedere: il mio ragazzo che mi guardava con gli occhi pieni d'amore, solo questo, i miei sguardi erano tutti rivolti a lui, e non mi curavo di altro. 
I giorni passavano in una monotonia straziante, mi si lacerava il cuore ad alzarmi la mattina, andare a lavorare e poi tornare, vedere il mio compagno che preparava pollo al curry, uova, arrosto di maiale, copulare con lui in un posto a caso della villetta e poi andare a letto. Ma era così, e cosa avrei dovuto fare?
 
16 Gennaio, 1980. 
 
Eravamo ad un punto morto. Io ero quasi trent'enne, ed erano gli anni '80. Gli sguardi che volavano in casa erano taglienti come coltelli e acuti, da gelare il sangue nelle vene. 
I nostri corpi non si sfioravano più. Quel corpo, che io avevo tanto amato, tanto adorato come fosse quello di un Dio, mi lasciava solo ogni notte, dormiva sul divano o ci dormivo io. Mai una carezza, una pacca amichevole sulla spalla. 
 
Ricordo in particolare la sera del 16 Gennaio 1980. Eravamo a cena; io non dormivo da due giorni e Harry aveva smesso da anni di usare il giacchino di pelle che ora stazionava nell'armadio, e ne aveva preso il posto un'elegante giacca sopra un'altrettanto sobria camicia. Aveva cambiato lavoro, io anche. Come al solito non parlavamo, ma mangiavamo in silenzio e lo sguardo chino sul piatto. Mi domandavo per quanto questa storia sarebbe andata avanti, quanto ancora saremmo resistiti senza esplodere l'uno contro l'altro, andando poi ognuno per la sua strada. 
Harry battè un pugno sul tavolo, mi guardò storto e continuò a tagliare la bistecca dura con più veemenza. “Mi fai schifo,” disse, “guarda come sei diventato”. Io gli avrei dato ragione, qualsiasi cosa che Harry diceva andava aggiunta nella Bibbia, ma non dissi nulla, perché, insomma, lo aveva appena detto, ero un rammollito, il solito sfigato.
Così si alzò da tavola, si sistemò gli occhiali e si avviò su per le scale. Io non lo inseguii, non gli corsi dietro, non gli urlai niente, semplicemente continuai a mangiare la mia bistecca, rassegnato; non era che l'inizio della fine. 
 
23 Giugno, 1980. 
 
E avevo ragione a pensare che sarebbe finita, prima o poi. 
Quando avevo 23 anni non pensavo che al mio caro e adorato Harry, al mio piccolo furetto che sgusciava per i corridoi di casa Montgomery mentre lo conducevo alla BETA, invidioso delle sue movenze fluide e perfette. Ma come scoprii in seguito, non era lui che bramavo, non era a lui che pensavo, ma a ciò che aveva da offrirmi, a ciò che mi dava e che mi spettava di natura, date Louis ciò che è di Louis. 
Così non potei fare altro che accettare il decadimento del nostro rapporto, sempre che ce ne fosse mai stato uno. Avevo perso il lavoro e guardavo ogni giorno i passanti dalla veranda, osservavo giorno dopo giorno la rovina della nostra casa, i pezzi di intonaco staccarsi e le sedie scolorirsi, i tavoli graffiarsi e i mobili scheggiarsi. Fino a quando Harry non prese la sua decisione.
Piccolo, povero, ingenuo, Louis. Credevi davvero che un giorno la passione si sarebbe riaccesa, che lo sguardo di Harry si sarebbe posato di nuovo su di te e ne avesse riscoperto ciò che ne aveva dimenticato, che se ne sarebbe innamorato come se n'era innamorato anni prima. Che tutto sarebbe tornato al suo posto. 
Se tornassi indietro nel tempo, starei attento a dove metterei i piedi prima di scattare una foto, e non andrei mai a comprare il mio costume di Halloween il 26 ottobre. 
Perché, poi? Perché se non era fatto per essere, è stato? Perché ci siamo innamorati, se non sarebbe durato? Perché soffrire se non ottieni quello che vuoi? 
Lo scalatore suda sette camicie per arrivare in cima alla montagna e ci arriva. Il pittore le sporca le sette camicie per poter dipingere un quadro e lo fa. Perché io mi debbi spezzare il cuore se mai Harry mi amò? 
 
13 Agosto, 1980. 
 
Se io non potevo avere Harry O'Neil, almeno avevo avuto i suoi giorni migliori. Io l'ho posseduto e lo possiedo ancora, risiede ancora in me una parte di lui, ancora le nostre anime si tengono le mani. Lui mi lascerà, ma io lo seguirò, in sogno e in ogni specchio che guarderà, si troverà una vecchia polaroid che ci ritrae in uno dei suoi libri. Le vittime perseguitano i loro carnefici e io sarò destinato ad andargli dietro per sempre, mai toccherà qualcun'altro se non me nei nostri incubi più macabri e oscuri. 
E Harry non tornò dal lavoro. Quella mattina l'avevo lasciato andare, l'avevo liberato, e io lo sapevo. Lui era volato via, aveva lasciato quello che anni prima era stato il nostro nido d'amore. Le ultime parole che mi rivolse furono: “Ti ho amato”, e vivranno per sempre, mi amerà per sempre, anche quando sarà stanco, anche quando non vorrà più, io sarò lì con lui e lui anche, ad amarmi, sempre, sempre nei secoli a venire. 
 
Quando rapinai un negozio e ne uccisi la cassiera, fui rinchiuso in un manicomio, giudicato depresso e incapace di ragionare. Depresso non lo ero, mai avrei tentato di suicidarmi, volevo godermi i circa cinquant'anni di vita che mi rimanevano ascoltando quel "Ti ho amato" in ripetizione nelle mie orecchie, volevo vivere per essere perseguitato dal fantasma del ricordo dell'unica persona che io abbia veramente amato in tutta la mia vita. 
Non solo non c'era più, non era più con me, ma mai la sua immagine mi apparve davanti agli occhi se non in sogno, dove mi riempiva di brutte parole e di insulti, mi uccideva ma io lo guardavo mentre mi sventrava, e per me, all'epoca, non c'era visione più bella dei suoi occhi impazziti di ferocia mentre mi facevano del male.
   
 
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