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Autore: PurpleStarDream    27/09/2013    6 recensioni
Scritta per la Fluff Week di "All you can write" indetta per Sclero Stony.
Lungo un'autostrada deserta, nel cuore della notte, un attacco di panico porterà Steve e Tony ancora più vicini, fino al punto da condividere confessioni e caramelle in una stazione di servizio completamente isolata.
Stony.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Highway to heart.

 

 

 

Quando Steve Rogers decise di iniziare una relazione con Tony Stark pensò di avere trovato il fidanzato perfetto.

Contrariamente a quanto aveva pensato, Tony si era dimostrato un ottimo compagno. Sì, il suo lavoro lo impegnava moltissimo, e spesso passava in laboratorio più tempo di quanto a Steve sarebbe piaciuto, ma trovava sempre un modo per farsi perdonare. Tony poteva essere definito brusco e impacciato, in una relazione, ma aveva i suoi mezzi per scoprire cosa Steve desiderasse, e metteva a frutto quelle ricerche anticipando ogni sua richiesta in modo quasi fastidioso, come se si sforzasse di essere perfetto, di non fare nessun errore.

La cosa diventava ancor più irritante perché, se da un lato Steve non poteva davvero lamentarsi di Tony, dall’altro non poteva neppure dire di conoscerlo davvero, perché il miliardario non faceva mai trapelare nulla di sé, nemmeno per sbaglio.

A Steve pareva di venire trattato come un cucciolo di razza pregiata, i cui bisogni vanno assolutamente e con reverenza assecondati, ma a cui non è dato sapere come si possa sentire il suo padrone.
Il miliardario si preoccupava invece di conoscere i più intimi segreti, i gusti, i desideri e le paure del biondino, lo ascoltava quando gli parlava e lo consolava quando, nel cuore della notte, si svegliava tormentato dagli incubi. Era forse quella, la fonte del suo atteggiamento accondiscendente nei confronti di questo nuovo lato di Tony.

Durante quelle notti il capitano si svegliava immerso nel buio, col respiro affannoso, e cercava tastoni qualcosa, qualsiasi cosa che lo riportasse alla realtà. Accanto a lui, Tony era sempre sveglio, e trovava la sua mano anche se questa vagava alla disperata ricerca di un’ancora di salvezza dai suoi demoni; e poi Tony lo abbracciava, gli diceva che sarebbe passato, qualunque fosse quella sera il brutto ricordo che aveva messo le mani su di lui, e non smetteva di accarezzarlo e di baciarlo finché non era pronto a riaddormentarsi.

A Steve piaceva avere qualcuno che gli stesse vicino, che lo aiutasse come stava facendo lui. Tony sembrava sforzarsi di essere il più perfetto dei fidanzati.

Ecco perché Steve sopportava in silenzio tutte le imperfezioni che si sforzava di nascondere.

Probabilmente Tony credeva che lui non si accorgesse di tutte le volte che si alzava di notte e andava in cucina, per poi tornare a letto dopo ore e dargli la schiena perché lui non si rendesse conto, dall’odore che emanava, che aveva bevuto. Tony non sapeva che, per quanto cercasse di nasconderle, le bottiglie vuote Steve le trovava sempre.

Sapeva che per il suo stesso bene avrebbe dovuto parlargliene, ma non riusciva a rimproverarlo, non quando Tony sembrava mettercela tutta per essere un compagno modello. Steve sapeva che doveva esserci dell’altro, una delle molte cose che Tony non gli diceva, e gli sarebbe veramente piaciuto capire quale, perché, anche se Tony insisteva a trattarlo come una bambola di porcellana, anche lui voleva fare la sua parte in quella relazione, voleva far capire al suo ragazzo che poteva ricambiare tutto quello che gli veniva offerto.

Gliene avrebbe parlato, ovviamente, magari quella stessa sera, dopo il loro ritorno a casa.

Avevano acconsentito a partecipare ad una festicciola che Susan e Reed Richards avevano deciso di tenere in onore della loro nuova casa, fuori New York. Ci avevano messo quasi quaranta minuti buoni in moto, per arrivarci, una corsa lungo il nastro di un’autostrada sperduta in mezzo al niente, e il viaggio di ritorno sarebbe sembrato ancora più lungo, adesso che era buio.

In sella alla sua moto, Steve guidava lungo la Havestraw Road, con l’aria che sibilava attraverso la visiera semiaperta del suo casco, tagliando ritmicamente le pozzanghere di luce che lampioni sempre più rari lasciavano sull’asfalto. Dietro di lui, Tony si reggeva alle maniglie che sporgevano ai lati del sellino posteriore, probabilmente creati per chi, come lui, non si sentiva sempre a suo agio con manifestazioni di affetto, oppure per le coppie che avevano litigato. Steve sperò che loro non arrivassero mai ad una cosa del genere, ma il discorso dell’alcolismo di Tony, conclamato e mai guarito, prima o poi li avrebbe portati a scontrarsi, Steve ne era sicuro. Si sentiva male al pensiero di dover interrompere un rapporto idilliaco per affrontare un problema così spinoso. Ma sapeva che se non l’avesse fatto la loro relazione avrebbe avuto certamente lo stesso destino di un concerto suonato con strumenti rosi dal tempo: avrebbe suonato una musica meravigliosa finché, ad un certo punto, non si fosse irrimediabilmente distrutta.

Non voleva che la sua storia con Tony subisse questa sorte, soprattutto non voleva che il suo uomo continuasse a farsi del male pensando che lui non se ne accorgesse.

Parlando di questo, il capitano ricordò che Tony, prima che si decidessero a congedarsi, aveva alzato il gomito anche quella sera, con i cocktail offerti dai padroni di casa. Sperò ardentemente che non fosse troppo ubriaco e non cadesse dalla moto in corsa. Avevano già percorso un buon tratto di strada, ma Steve solo adesso pensò che forse avrebbe dovuto fermarsi e controllare che il suo compagno riuscisse a mantenere l’equilibrio, quando si sentì colpire la schiena.

Ovviamente si trattava di Tony, ma Steve pensò che si stesse semplicemente muovendo per recuperare un po’ di stabilità, e non ci fece caso. I colpi però si fecero sempre più forti e ravvicinati, finché la voce di Tony, cercando di sovrastare il ruggito del motore, gli gridò: -Fermati! Fermati subito!-

A quel punto Steve pensò che l’uomo si stesse sentendo male, sarebbe stata solo la logica conseguenza di tutto quello che aveva tracannato quella sera, e tuttavia sentiva che qualcosa non andava. Il tono concitato con cui Tony gli stava intimando di fermarsi decisamente non era da lui, nascondeva, con poco successo, una vena di… cosa poteva essere, paura? Da come continuava a picchiargli sulla schiena sembrava essere sconvolto per qualcosa, ma il capitano non riuscì a capire bene cosa potesse turbarlo, su quell’autostrada sperduta in mezzo al niente.

Quando fermò la moto Tony fu a terra in un baleno, e si levò il casco gettandolo a terra e sollevando una nuvola di polvere. Il miliardario si lasciò cadere in ginocchio tra i cespugli morti che contornavano la strada, iniziando a respirare affannosamente come un uomo sul punto di soffocare, e stringendosi spasmodicamente il petto.

-Tony?- chiese Steve, scendendo anche lui dalla moto. Si era aspettato di assistere ad una scena poco decorosa di lui che vomitava i cocktail di cui aveva abusato e i slatini del rinfresco, ma Tony era pallido, con gli occhi fuori dalle orbite e un velo lucido di sudore sulla fronte.

-Non adesso, non adesso, non adesso…- sentiva il moro mormorare pianissimo, talmente in fretta che diventava quasi difficile distinguere le parole.

Steve gli si avvicinò cauto. Assolutamente ignaro di quello che stava succedendo gli posò una mano sulla spalla e lo sentì sussultare e stringersi di più le braccia attorno al corpo. 

-Che succede? Ti senti male?- chiese, sconvolto dallo spettacolo che si trovava davanti.  Il capitano si inginocchiò accanto a lui, e lo vide tremare e respirare sempre più a fondo, sempre più in fretta… troppo.

-Ho… Ho paura…- sussurrò, talmente piano che Steve dovette fare uno sforzo per sentirlo.

-Paura? Paura di cosa?-

-Ho paura e basta! Sto avendo un attacco di panico!- gli gridò contro, restando senza fiato dopo aver sfruttato tutto il respiro che gli era rimasto per quello sfogo.

Steve spalancò gli occhi. Non era la prima volta che vedeva un attacco di panico, e per questo si chiese come non avesse potuto accorgersene prima. Lui era abituato a sperimentare quel genere di terrore ogni notte in cui un incubo cercava di uscire dal suo spazio mentale e prendere il posto della realtà, dove non avrebbe dovuto stare, ma non sapeva che anche Tony soffrisse di questo particolare disturbo da stress post traumatico. Nei mesi in cui erano stati insieme non ne aveva mai dato prova in nessun modo.

-Cerca di calmarti e ascoltami: quando è cominciato?- chiese il biondo, prendendolo per le spalle e cercando di calmare il tremore del suo corpo.

-Quando eravamo da Reed. Ho cercato di non pensarci, ci ho provato. Ma poi ce ne siamo andati, e non ho fatto in tempo a bere abbastanza da…-

Si bloccò, rendendosi conto, nella fretta di tirare fuori quello che Steve voleva sentirsi dire, di avere rivelato un particolare che non avrebbe mai dovuto uscire dalla sua bocca. Se possibile il suo viso divenne ancora più cereo.

-Che cosa? Dimmi che ho capito male…-

Strinse di più la presa sulle sue spalle, ma Tony piegò la testa e nascose gli occhi al suo sguardo indagatore.

Essi tuttavia rimasero spalancati, persi in un terrore quasi palpabile, attraverso cui non riusciva a vedere nulla. L’unico suo pensiero fu di prendere mentalmente a calci sé stesso.

Ecco, adesso Steve avrebbe scoperto quanto realmente fosse incasinato, quanti problemi avesse la sua vita e da quanti demoni si lasciasse possedere… Nessuno avrebbe mai voluto un uomo del genere al proprio fianco, Steve meno che mai: sarebbe stato solo una fonte di problemi.

Quei pensieri fatali alimentarono il suo crescente panico come benzina sul fuoco, inarrestabile e inestinguibile, il cuore gli batteva in modo incontrollato senza che lui riuscisse a fare assolutamente nulla; sentire quella massa di carne che continuava imperterrita a pompare sangue non richiesto in tutto il suo corpo era snervante: gli pareva di percepire la presenza di qualcosa di vivo, dotato di volontà propria, agitarsi nel suo petto.

Il respiro, cercando di stare al passo con il cuore, accelerava e accelerava, mandando i polmoni in iperventilazione e facendogli sentire la testa leggera e vuota, ma la cosa peggiore era il freddo. Un freddo talmente pungente da gelare le ossa gli si diffuse partendo dall’interno, come un’infezione che, invece di fargli bruciare la pelle gliela stesse raffreddando; un freddo da cui avrebbe voluto proteggersi, coprendosi il più possibile e raggomitolandosi su sé stesso. Iniziò a sudare, perché i brividi che percepiva erano tutti nella sua testa, ma lui, per quanto si sforzasse, non riusciva a placarli neanche un po’.

E poi, naturalmente, c’era il terrore. Non era l’incubo di qualcosa di definito a spaventarlo, bensì paura allo stato puro, paura di niente e allo stesso tempo paura di tutto, come se il panico avesse dato forma al peggiore dei sentimenti, quello che lascia impotenti gli uomini insinuandosi nel loro subconscio e spezzando il loro spirito.

Si sentì posare qualcosa di pesante sulla spalle, e un odore di pelle e profumo maschile gli invase le narici, distraendolo dall’attacco in corso.

-Tieni, mettiti questo- disse Steve, avvolgendolo con il suo giubbotto di pelle marrone. Il suo compagno se lo strinse forte, coprendo il suo corpo agitato al limite dell’ossessione e iniziando a sudare di più. Sapeva che la sua mente gli stava giocando brutti scherzi, continuando a fargli sentire freddo mentre il suo corpo bruciava di calore, avvolto in due giacche diverse, ma non se ne curò: il panico non era ancora scomparso. 

-Senti, qui vicino c’è una stazione di servizio. Se risaliamo in moto ce la fai ad aggrapparti a me senza cadere?- chiese Steve, posandogli una mano sotto il mento e alzandogli la testa, incontrando la sua fronte madida di sudore freddo e i suoi occhi dalle pupille innaturalmente dilatate.

-S.. Sì, credo di sì.-

-Bene. Se dovessi sentirti male di nuovo avvisami subito e ci fermiamo, ok?-

Tony annuì, facendo vagare i suoi occhi dappertutto per non incontrare lo sguardo dell’altro.

-Vieni, ti aiuto.-

Steve lo prese per le braccia e lo aiutò ad alzarsi. Tony riuscì a sostenersi sulle gambe barcollanti, la sbronza che aveva cercato di farsi venire completamente spazzata via dal panico che se lo era preso, e con mani tremanti si infilò il giubbotto di Steve, per non perderlo durante il tragitto in moto.

Dopo essere salito in sella, il capitano gli prese le mani fredde e le allacciò attorno alla sua vita, facendo in modo che Tony lo abbracciasse, sostenendosi in modo più efficace.

Appena sentì il calore del motore che veniva riavviato, l’odore penetrante di benzina pungergli le narici, il miliardario cinse più forte la vita di Steve, tastando gli addominali, le costole, il suo torace caldo, stringendolo ansiosamente come se la possibilità di lasciarlo andare anche solo per un istante avesse potuto consegnarlo alla fredda oscurità della notte.

Quando poggiò la testa sulla sua schiena, Steve sentì i battiti selvaggi del moro, i suoi respiri spezzati, i sussulti simili a singhiozzi senza lacrime, e gli strinse una mano prima di tornare ad afferrare i manubri della moto.

-Tienimi stretto- gli disse, prima di partire.

 

_________________________________ 

 

La stazione di servizio di cui Steve aveva parlato, effettivamente c’era davvero. Solo, non era proprio come Tony se l’era immaginata.

La pompa di benzina era deserta, illuminata da luci elettriche che perdevano colpi come un cuore con un pacemaker difettoso, e minacciavano di lasciare tutto il piazzale in balìa della sola luce lunare. Quella visione si era stagliata spettrale davanti a loro, come la lanterna di una nave fantasma che galleggiava sulla superficie nera dell’oceano, senza alcun segno di vita, e a Tony era parsa un’ancora di salvezza: l’aria gelida della notte rendeva il freddo che sentiva dentro ancora più intenso.

Al momento l’inventore se ne stava seduto sui gradini dell’ufficio della stazione di servizio, con il giubbotto di Steve stretto attorno al suo corpo talmente forte che le nocche delle mani erano diventate bianche, mentre il biondo si era fermato di fronte ai distributori automatici.

Il loro breve tragitto non era servito ad attenuare il panico che ancora serpeggiava in lui, e che Tony stava facendo sforzi enormi per controllare. Desiderò essere già a casa, con qualche bottiglia di roba abbastanza forte da ridare al suo corpo calore, da donare alla sua mente confusione, e pace, e respiro…

Quando sentì qualcosa di freddo contro la fronte, Tony si scostò bruscamente.

-Scusa, non volevo spaventarti.-

Steve si sedette accanto a lui, con in mano una lattina di cola presa dal distributore, e gliela offrì, con uno sguardo supplichevole, come a volersi accertare che la prendesse.

-Non ho sete…- disse sinceramente il moro, tornando a guardare il pavimento.

-Lo so, ma è meglio che tu beva qualcosa che non sia alcool in questo momento.-

Steve gliela spinse di nuovo contro, e stavolta Tony la prese, ma non la aprì, limitandosi a rigirarla tra le mani.

-Ti va di spiegarmi quello che hai detto in strada?- gli chiese Steve, molto gentilmente.

-Scusami, non ricordo esattamente cosa ho detto. Se devo dire la verità, ero troppo scosso per dire qualcosa che avesse un senso- mentì il moro.

-Bugiardo- disse Steve, con un tono che aveva un ché di… rassegnato. -Sei insopportabile quando fai così, lo sai? Sembra quasi che tu ti senta in diritto di trattarmi con i guanti anche quando non è necessario, però io non posso sapere nulla di te. Non ti fidi abbastanza, forse? Pensi che io non sarei in grado di prendermi cura di te come stai facendo tu con me?-

Alle parole di Steve, il miliardario sollevò il viso pallido, fissando gli occhi celesti traboccanti dell’unica emozione da cui Tony aveva sempre cercato di preservarli: tristezza. Tristezza per il fatto di essere tenuto all’oscuro della sua vita, per il fatto di vedere il proprio amante in quello stato senza poter fare nulla, per il fatto di sentirsi, in qualche modo, escluso.

-Non è così, Steve- ribatté Tony, le parole che suonavano strane attraverso le sue labbra ancora tremolanti.

-E allora com’è?- lo incalzò il biondino. –Forse non mi permetti di starti vicino perché così la nostra relazione sarebbe troppo impegnativa per te? E’ per questo che bevi, per darti il coraggio di gestirla?-

Gli occhi nocciola si accesero di nuovo panico.

-Chi te lo ha detto?-

-Non sei così bravo a nascondere le bottiglie vuote, Tony, credi che non le abbia trovate? Ora, voglio che tu mi spieghi perché ti comporti in questo modo, e cerca di essere convincente se vuoi continuare ad avere una relazione con me.-

L’ultima traccia di colore sul viso del moro sparì dopo quelle parole, e Steve si chiese se non fosse stato troppo duro, ma poi si rispose che, no, non poteva permettersi di essere accondiscendente, non dopo quello che aveva visto. Tony aveva avuto un attacco di panico come neppure il soldato ne aveva mai sperimentati, e, che lo volesse o no, Tony non lo avrebbe tagliato fuori anche da questo. Avrebbero parlato di quel problema e anche di tutti gli altri, già che c’erano, lì, in quel momento, in quella stazione di servizio deserta, su quell’autostrada dimenticata da Dio.

Vedendo che esitava, Steve lo incitò, più dolcemente, -Allora?-

Con un sospiro spezzato, Tony cominciò:

-Dopo l’attacco dei chitauri a New York io… Ho sofferto di attacchi di panico come questo; comparivano all’improvviso, e non c’era nessuno a cui potessi dirlo, niente che potessi fare per prevenirli e per evitarli. E poi c’è stata la vicenda del Mandarino, io e Pepper ci siamo lasciati… Ho imparato a gestirli da solo, in fondo dovevo solo aspettare che mi passassero, e bevendo passavano prima, riuscivo a stordirmi abbastanza da non pensarci. Steve, le sere in cui… Non ero con te, quando mi alzavo e me ne andavo in cucina… era perché stavo per avere un attacco di panico, andavo a bere per cercare di calmarli.-

Steve si allontanò da lui per poterlo vedere meglio, colpito nel profondo da quella confessione. Ogni volta che Tony faceva un raid notturno in cucina, Steve aveva pensato che si limitasse a soddisfare una dipendenza della quale godeva e non riusciva a fare a meno. Non avrebbe mai pensato che, tutte quelle notti, il suo compagno se ne stesse da solo, in preda a brividi e al terrore, attaccato ad una bottiglia perché gli passassero.

-Dio, Tony, ma perché non me ne hai parlato? Tu mi aiuti sempre quando sono io a soffrire di queste cose, perché non hai lasciato che facessi lo stesso?-

Il moro scosse la testa e guardò l’asfalto con occhi arrendevoli, come se la risposta fosse molto ovvia.

-Sto cercando di essere l’uomo adatto a te, Steve. Non sono perfetto, ma mi sto impegnando per diventarlo, per te, perché tu ti meriti il meglio. Non volevo che tu sapessi quanto sono incasinato, come mi faccio sopraffare da qualcosa che non riesco a controllare. Non potevo lasciare che tu soffrissi per me come io soffro per te, perché mi fa male guardarti mentre vivi i tuoi incubi e non riesci a vincerli, non volevo che tu dovessi preoccuparti anche di un altro problema. Alla fine è questo che io sono: un grosso, grossissimo disastro ambulante. L’ho fatto per te, perché non stessi più male di quanto stai già, e un po’ anche… anche per me: le cose vanno così bene tra noi, non volevo che tu mi lasciassi sapendo che non sono l’uomo perfetto che ti meriti.-

Decise che l’asfalto scuro e macchiato di olio per motori non valesse più la pena di essere guardato, e chiuse gli occhi.

Pochi secondi dopo, Tony sentì due braccia forti cingerlo e tirarlo da una parte, facendo cigolare la pelle del giubbotto. Sentì il respiro caldo di Steve sul suo collo, i capelli del biondo che si mescolavano ai suoi, il suo calore che lottava tenacemente contro il gelo che ancora gli circolava dentro.

-Sei veramente, veramente insopportabile quando fai così- mormorò Steve. Tony sentì un paio di labbra carnose muoversi sulla sua pelle, e si avvicinò per incontrare quell’estremità bollente. Steve lo strinse più forte. Non ricordava chi avesse detto quella frase, ma ormai capì che si trovava completamente d’accordo: La gente egoista è terribilmente capace di grandi amori. Anche se il fatto di essere egoisti li portava ad escludere dalle proprie vite la loro persona speciale. Non voleva che capitasse questo, tra lui e Tony.

-Mi sembrava strano che tu me le dessi tutte vinte, che ti dimostrassi così disponibile… Eri talmente perfetto che pensavo ti avessero sostituito gli alieni.-

Tony trovò la forza di sbuffare una risata e Steve fece altrettanto, contento di avere alleggerito la tensione, quindi continuò: -Io non voglio un uomo perfetto, io voglio quello che ho conosciuto sull’elivelivolo, quello che mi fa perdere la pazienza, che mi irrita fino allo sfinimento, ma che, sotto tutti questi difetti, si dimostra una brava persona. Voglio che tu sia te stesso, Tony, non che tu finga di essere qualcun altro. Io non ti lascerei perché mi sono innamorato di te, di te e basta.-

Lo lasciò andare quel tanto che bastava per prendergli il volto tra le mani e baciarlo sulla guancia, avvicinandosi, senza scostare le labbra dal viso, alla sua bocca, spingendo la lingua su quelle labbra sottili perché si dischiudessero e lo lasciassero entrare. Tony acconsentì, e il tremore venne bloccato dalla bocca di Steve, che pareva volerlo avvolgere come un attimo prima stavano facendo le sue braccia, con l’intento di bloccare i brividi, di trasmettere del vero calore, in modo da contrastare il gelo, ma soprattutto di calmarlo, facendogli capire che adesso non aveva più bisogno di affrontare i suoi attacchi di panico da solo.

Una volta separati, Steve gli passò una mano sulla fronte sudata, scostandogli delle umide ciocche che gli si erano appiccicate alla fronte.

-Va un po’ meglio?-

Tony accennò un sorriso. –Molto, il tuo giubbotto tiene veramente caldo, per essere un residuo della moda retrò.-

Steve gli mise una mano sulla nuca, avvicinandolo di più a lui. –Si dice vintage, Tony. Le cose vintage sono sempre le migliori.-

-Possiamo tornare a casa? Voglio vedere se il mio fidanzato vintage è veramente il migliore dei migliori.-

-Guarda che solo perché ti ho detto che voglio che tu sia te stesso non è che devi passare la vita a sfottermi. Ci sono alcuni limiti da rispettare.-

-Spiegami i limiti da rispettare- disse Tony, poggiando la testa su una spalla di Steve e restando a guardare il cielo notturno. Al di là dell’alone di luci elettriche della stazione di servizio, sull’autostrada deserta, brillava una lattiginosa mezzaluna circondata da una miriade di stelle. La via lattea passava giusto sopra le loro teste, e poi scompariva sul tessuto blu scuro dell’orizzonte notturno. A New York non avrebbero mai potuto vedere un simile spettacolo, pareva quasi che il cielo fosse occupato da un numero inverosimile di lucciole.

-Te li dico un’altra volta, i limiti da rispettare- gli sussurrò Steve, circondandogli la vita con un braccio e stringendolo a sé, inspirando l’aria della notte, profumata di fresco e di legno bruciato, della pelle del giubbotto che nel mezzo di quell’abbraccio avevano stropicciato, e del suo compagno, un odore che, istintivamente, sapeva avrebbe riconosciuto ovunque.

-Ti ho preso delle caramelle di menta. Pensavo ti avrebbero aiutato a riprenderti un po’- disse il capitano, infilando la mano in tasca e recuperando il suo ultimo acquisto ai distributori automatici: una confezione di confetti di zucchero al sapore di menta.

-Non vuoi continuare a fare quello che stavi facendo prima, per aiutarmi a riprendermi?- domandò Tony allusivo, con gli occhi nocciola lucidi di aspettativa.

-Che ne dici di un compromesso?- propose Steve, e senza una parola scartò la confezione, prese una caramella e se la mise in bocca. Poi, tornando ad afferrare Tony per tirarselo vicino, lo baciò serrando le labbra con le proprie, e muovendo la lingua in modo tale da passargli la caramella.

Questa scivolò oltre le sue labbra, e Tony l’afferrò con un movimento che fece incontrare le loro lingue in un abbraccio caldo come quello che si stavano scambiando ora, e quando il miliardario riuscì a cogliere il sapore di zucchero, la caramella si era già parzialmente sciola, e stava liberando il suo freddo aroma di menta.

-Mmmhhh…- mormorò il moro, trattenendo il suo ragazzo con una mano posata sulla nuca. Fu il bacio più bagnato di cui Steve ebbe esperienza, e allo stesso tempo anche il più giocoso. Continuarono a passarsi quella caramella di bocca in bocca, cercando di dissipare il brivido della menta con lunghe carezze reciproche sulle loro lingue, finché il confetto si assottigliò e sparì, lasciandosi dietro una granulosa scia aromatica. Solo allora Tony permise a Steve di allontanarsi.

-Potrei magiare in questo modo tutto il pacchetto- gli rivelò Tony, ammiccando e leccandosi le labbra.

-Lo vedi? Non sarai perfetto ma pensi sempre a me: sei disposto a dividere- lo prese in giro Steve, leccando dalle sue labbra gli ultimi rimasugli del sapore di menta.

-Le caramelle, magari. In realtà lo faccio perché ti voglio solo per me, sai che sono un egoista.-

-Non lo sai che la gente egoista è terribilmente capace di grandi amori?- gli confidò Steve, ripetendogli la frase che aveva pensato pochi istanti prima. –Ecco perché mi fido di te: sarai anche un egoista, ma so che mi ami, altrimenti non avresti fatto quello che hai fatto.-

Tony gli sorrise, ma abbassò gli occhi. Sembrava quasi imbarazzato all’idea di ricevere tutta quella fiducia da parte di Steve.

-Che ne dici di un’altra caramella?- propose il miliardario.

Nella notte, il silenzio venne rotto dal rumore di una carta stagnola che veniva strappata.

 

 

Fine.

 

 

N.d.A.

 

Scritta per la Fluff Week di All you can write, con le parole:

Panico
Vintage
Insopportabile
Autostrada
"La gente egoista è terribilmente capace di grandi amori"
(F.S. Fitzgerald)

 

Non mi sgridate, ma la storia non mi è venuta completamente fluff. Essendo io quella che sono ho dovuto per forza aggiungerci un momento angst, ma in mia difesa posso dire di averlo fatto quasi inconsciamente. Spero di avere rimediato con il finale. Questo era il mio primo tentativo fluff, perciò perdonate la sbandata nel territorio della malinconia, la prossima volta la farò meglio.

In realtà ero partita con un angst ancora più forte, ma poi l’ho riscritta daccapo all’ultimo momento perché mi sono detta: “Sforzati di fare una cosa dolce, sforzati di fare una cosa dolce…”

Forse ci ho pensato troppo e questo è il risultato. La prossima volta andrò d’istinto, e vedremo cosa salterà fuori.

 

  
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