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Autore: Grifen    28/09/2013    0 recensioni
Cosa significa per un Grifone, che ha dedicato la sua vita al volo, perdere le ali?
Cosa significa tornare a volare?
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vita è crudele.
Se sei un Grifone e senti di essere nato per volare, perdere le tue ali ti fa impazzire.
Subii un incidente tempo fa, una ferita mi mandò in cancrena l'ala destra e furono costretti ad amputarne mezza. Non avrei più volato per il resto della vita. Passai giorni orribili: mi ero dedicato una vita al volo, per venire costretto ad una permanenza forzata a terra che lentamente mi soffocava. Poi Erin, un Grifone femmina dalla pelliccia grigia e piumaggio bianco, la mia migliore amica, mi portò da un Unicorno, specializzato in chirurgia, che si dedicava alla creazione di protesi, non semplici imitazioni ma veri arti meccanici. Egli usò la sua magia fondendo legno e metallo alle ossa e ai muscoli, unendo il rimpiazzo meccanico a ciò che restava della mia ala.
Dovevo solo provarla.
Mi sarei lanciato da una torre cittadina: c'erano altri metodi più sicuri per decollare, ma se era vero che avrei volato di nuovo, dovevo farlo come un tempo: per sapere davvero cosa significa volare, bisogna buttarsi nel vuoto e fidarsi di sé stessi.
Mi avvicinai al bordo della costruzione, priva di merli e con due travi di legno ai lati per sostenere il tetto a spiovente. Quel giorno tirava un forte vento, penne e pelliccia venivano scomposte dalle folate irregolari che sbattevano su di me; splendeva il sole, anche se densi cumuli di nuvole occupavano il cielo. Erin era alle mie spalle, e non capivo se mi guardasse preoccupata o contrariata per come volessi alzarmi in volo: non avrei dovuto esagerare essendo fuori allenamento da molto tempo.
Presi un profondo respiro: indietreggiai di qualche passo, balzai in avanti, chiusi gli occhi, mi gettai. Mi lasciai cadere per qualche momento, l'aria mi frustava il volto e tirava le piume, poi roteai su me stesso e dispiegai le ali. La mia spalla malata ebbe uno strattone, per un momento ebbi paura che la protesi si staccasse, e invece mi fermai dolcemente nel vuoto. Ero sospeso a mezz'aria.
Non riuscivo a crederci. Mi misi a piangere.
La città sotto di me appariva un intricato mosaico di tetti, di ogni forma, dimensione e altezza, costruiti sulla montagna che scendeva fino a valle, e continuava ad estendersi oltre ai suoi piedi; in mezzo ad essi, centinaia di piccole figure che volavano da una parte all'altra, ognuna troppo indaffarata a pensare ai propri problemi per preoccuparsi che qualcuno in quel momento le stesse guardando.
Iniziai a fare delle evoluzioni: mi avevano detto di evitarle perché l'ala non era costruita per le acrobazie, ma non potevo trattenermi. I miei movimenti si fecero sempre più complessi e articolati, manovre a forma di otto, giri della morte, rapide inversioni, il repertorio di base di qualsiasi volatore; però dovevo fare qualcosa di speciale.
Mi alzai di quota, raggiunsi i primi strati di nuvole e non mi fermai, spingendomi sempre più nella profondità del cielo blu, per arrivare al mio limite; quando l'aria si fece fredda, difficile da respirare, e i miei sforzi non bastavano per salire oltre, mi buttai in picchiata. Scesi prendendo una velocità folle, perforai uno strato di nuvole come un proiettile, sentii l'umidità raccogliersi sulle mie piume e scivolare via strappata dall'aria.
Il cuore mi rimbombava, il respiro affannoso non riusciva a sostenere la gioia che provavo... mi sentivo libero dalle mie paure e angosce che mi avevano soffocato fino ad allora... erano andate.
Ora dovevo fermarmi rapidamente: questa manovra serviva a saggiare resistenza e abilità, ma poteva essere pericolosa se svolta male. Iniziai lentamente a stendere le ali secondo la giusta tecnica. Ad un tratto sentii una scossa nell'ala destra, la velocità la amplificò in un violentissimo strattone che mi slegò la spalla facendomi strillare dal dolore, subito dopo la mia protesi si spaccò del tutto e i suoi pezzi si sparsero ovunque.
Con solo mezza ala non potevo restare in aria, e con la spalla fuori posto non potevo muoverla e planare fino a terra.
Andai in panico.
Caddi passivamente, avvitandomi su me stesso e sballottato a casaccio dall'aria, inerme e apatico; tutto sembrava succedere lentamente che mi stupii di quanto tempo ci volesse per precipitare. Il mondo vorticava senza che facessi niente per reagire: ero terrorizzato dall'idea di rimanere incapace di volare di nuovo, non avrei passato il resto della mia vita in quella maniera. Piuttosto... la avrei fatta finita.
All'improvviso sentii una botta spingermi di fianco, e un attimo dopo mi trovai con degli artigli stretti al mio corpo. Poi mi accorsi che erano di un Grifone bianco e grigio, e che riconoscevo la voce che mi rimproverava «Dannazione!»
Esclamai stupefatto «Erin?»
«Sei uno stupido, dannazione!» mi gridò arrabbiata. Doveva avermi visto cadere senza controllo e mi aveva preso in volo.
Il Grifone femmina atterrò oltre le mura cittadine e mi lasciò ruzzolare dolcemente sull'erba, mentre lei scese poco lontano da me, mi si avvicinò e poi mi diede un sonoro schiaffo in faccia «Cosa pensavi di fare? Stavi per ammazzarti!»
Sospirò «Ti avevano detto di non sforzare l'ala perché non avrebbe resistito. Perché lo hai fatto?»
Mi massaggiai lo zigomo bruciante: non avevo davvero scuse, perciò annuii «Già... mi sono lasciato prendere la mano.» La guardai negli occhi azzurri «Mi puoi perdonare?»
Lei rispose preoccupata «Promettimi che non lo farai mai più.»
La abbracciai, e lei mi lasciò appoggiare la testa sulle sue spalle «Promesso.»

L'ala si poteva riparare.
Sarei tornato di nuovo a volare.
Solo questo contava.

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