Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Elder    29/09/2013    0 recensioni
"In più Arathrorn era l’ultimo mondo. L’ultimo da attraversare.
Questo fu il primo pensiero di Qwerty quando ci mise piede. Il Gioco dei mondi stava per finire, e lui avrebbe potuto vincere. Il Gioco dei mondi si teneva ogni cinquant’anni; quattordici partecipanti, uomini e donne, adulti e bambini, venivano selezionati tra i tanti volontari di ogni mondo conosciuto.
Lo scopo: arrivare al centro prima degli altri e vedere realizzato il proprio desiderio. Qualsiasi desiderio.
Qwerty, un ragazzo di sedici anni dai capelli neri e gli occhi ambrati, aveva deciso di partecipare per trovare una cura alla malattia che da qualche anno affliggeva la madre, costretta ormai a letto. Ma, di desideri, ce n’erano tanti altri."
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Arathrorn era un mondo all’apparenza vasto, ricco di vegetazione e dai numerosi ecosistemi. Boschi di conifere multicolore si ergevano subito dopo fitti labirinti di bambù; laghi ghiacciati si tramutavano in torrenti poche centinaia di metri dopo; colline e montagne crescevano una a ridosso dell’altra.
  In più Arathrorn era l’ultimo mondo. L’ultimo da attraversare.
Questo fu il primo pensiero di  Qwerty quando ci mise piede. Il Gioco dei mondi stava per finire, e lui avrebbe potuto vincere. Il Gioco dei mondi si teneva ogni cinquant’anni; quattordici partecipanti, uomini e donne, adulti e bambini, venivano selezionati tra i tanti volontari di ogni mondo conosciuto.
Lo scopo: arrivare al centro prima degli altri e vedere realizzato il proprio desiderio. Qualsiasi desiderio.
  Qwerty, un ragazzo di sedici anni dai capelli neri e gli occhi ambrati, aveva deciso di partecipare per trovare una cura alla malattia che da qualche anno affliggeva la madre, costretta ormai a letto. Ma, di desideri, ce n’erano tanti altri.
  A gioco iniziato, in uno dei primi mondi del Centro, un uomo dell’Est aveva confessato a Qwerty che il suo desiderio era possedere un mammut addomesticato. Desiderio bizzarro e, pensò Qwerty, piuttosto inutile, visto che i mammut vivevano nei mondi del Nord. Quell’uomo era morto poco dopo, trafitto dalla lancia di un Cruento.
Nel gioco non c’erano regole; diceva questo G, l’organizzatore, quando veniva a prenderti per portarti al mondo di partenza. E molti partecipanti lo prendevano come un “uccidete, mutilate, distruggete”.
  Per questo venivano chiamati i Cruenti. Avevano incendiato il mondo delle Querce secolari e ucciso diversi partecipanti. Una donna dell’Ovest aveva anche tentato di mangiarne uno. Era stata fermata subito e uccisa a sua volta. Era un gioco pericoloso, il Gioco dei mondi. Ma per un desiderio valeva la pena di tentare.
  Il Gioco era proseguito con i soliti ritmi: uccisioni, saccheggiamenti e via al mondo successivo. Era una fortuna, forse, che i mondi che costituivano il Centro fossero disabitati.      Ormai erano rimasti soltanto in sei giocatori, Qwerty compreso, e uno era diventato un suo alleato.
  Root aveva quasi diciotto anni e veniva dai mondi dell’Ovest, come lui. Aveva i capelli ramati e gli occhi blu come il mare di casa sua, l’arcipelago delle Isole Rocciose. Si erano alleati a metà del gioco, quando lei lo aveva salvato da una vecchia uscita di senno.
Si era chinata su di lui e aveva teso una mano.
  -Alleati?- aveva detto.
  Così, attraverso tanti altri mondi, erano arrivati ad Arathrorn.
Quando il varco che li portò in mezzo a un prato si chiuse, Root storse il naso e starnutì.
-Non mi piace- disse dopo un po’.
   A Qwerty non dispiaceva così tanto. Gli alberi molto alti e il bambù gli ricordavano i giardini pensili di casa sua, il mondo degli Ingranaggi.
-Dovremmo trovare un riparo dove accendere il fuoco- rispose il ragazzo. -Credo che la notte potrebbe fare freddo-.
   Il prato in cui erano arrivati era riparato da un tetto fatto di viticci e rami, da cui pendevano fiori esotici dai colori sgargianti e frutti dall’aria invitante. Root si avvicinò a un ramo colmo di mele e ne strappò una.
Stava per addentarla quando Qwerty la fermò.
-Cosa c’è?- chiese stizzita.
-Potrebbe essere velenosa- le fece notare il ragazzo.
-Non credo- ribatté Root.
-Come fai a dirlo?-.
-Istinto … siete tutti così diffidenti, voi degli Ingranaggi?-.
   Qwerty rimase colpito da quella affermazione. Loro non erano diffidenti! Tutto il cibo, nel mondo degli Ingranaggi, era controllato dalle macchine a vapore che loro costruivano. Le macchine, i Raccoglitori, coglievano la frutta e gli ortaggi buoni e ignoravano quella cattiva, così gli uomini non rischiavano di contrarre una intossicazione.
-Noi non siamo diffidenti …- iniziò a dire.
Root addentò la mela e si diresse verso una delle tante uscite del prato.
-Sì che lo siete. Adesso sbrigati!-
 
La seconda peculiarità di Arathrorn si mostrò quando Qwerty e Root furono usciti dal bosco. Il cielo di quel mondo non era azzurro, né rosso come quello del Sud. Era iridescente, in continuo mutamento, come se fosse occupato da un’immensa aurora boreale.
-Ho sentito che anche alcune parti del cielo del Nord sono così- disse ammirata Root.
-Solo in alcune stagioni, e non sono così grandi- rispose Qwerty con gli occhi al cielo.
-Sei stato al Nord?-.
Qwerty annuì. -Mio padre era del Nord, ci lavorava-.
Root staccò gli occhi dal cielo e lo fissò. -Lavorava?-.
-E’ morto quando ero piccolo- rispose atono Qwerty.
-Oh … scusami, Qwerty.  Non dovevo …-.
-Fa nulla, non ti preoccupare-.
  Caddero in un silenzio piuttosto imbarazzante; decisero di tacito accordo di cercare un buon nascondiglio in cui riposare, per poi dare un’occhiata in giro.
  Dopo circa un’ora, trovarono una piccola caverna tra due colline. Non era spaziosissima, non era comoda come l’hotel abbandonato nel mondo dei Detriti, ma era un buon riparo. Posarono i loro zaini e stesero le stuoie per riposare. Come al solito, Root si rialzò qualche minuto dopo e imbracciò la cerbottana, arma tipica delle Isole Rocciose.
-Vado a trovare qualcosa da mangiare-. disse, sparendo subito dopo.
  Qwerty non provò nemmeno a fermarla. Da quando erano arrivati ad Arathrorn non aveva né visto né tantomeno sentito nessun animale, ma ormai aveva capito che i sensi della ragazza erano molto più allenati dei suoi.
Pensò che doveva essere così, per sopravvivere in un mondo come le Isole Rocciose.
Lui aveva la tecnologia, Root le rocce.
Si chiese cosa avrebbe potuto desiderare la sua alleata. Era l’unica  giovane, insieme a Qwerty. Tutti gli altri avevano dai venti anni in su. Root aveva una famiglia, i suoi genitori stavano bene, il cibo non mancava. Allora perché era lì con lui? Cosa voleva davvero la ragazza delle rocce?
Si trovò a pensare che, di lì a breve, avrebbero dovuto competere per arrivare al Centro dei mondi. Solo uno poteva arrivarci. Mentre Qwerty si rialzava e scavava una piccola buca in cui accendere il fuoco, decise che non le avrebbe fatto del male. Avrebbe vinto lealmente.
  Quando Root tornò con due strani animali simili a pollame alla cintura, il fuoco era già acceso. Cenarono chiacchierando come al solito, poi la ragazza andò a dormire, mentre Qwerty si preparò per il turno di guardia; non sapevano quanti Cruenti ci fossero ancora in giro. Quando Root lo scosse per dargli il cambio, si distese sulla stuoia e si addormentò quasi subito.
 
Sognò il giorno in cui si iscrisse ai Giochi. Nel mondo degli Ingranaggi erano molto conosciuti, visto l’alto numero di partecipanti originari del luogo che erano riusciti a vincere.
 Quella mattina, di ritorno dalla ennesima  visita dal farmacista, aveva incontrato uno dei pochi vincitori ancora in vita, un’arzilla anziana di nome Clangh. Era una persona molto socievole, sempre pronta a condividere le sue esperienze e i suoi pensieri con qualsiasi essere vivente le capitasse a tiro.
  Fu lei che gli suggerì di partecipare.
  -G può esaudire ogni cosa- aveva detto.
Non era difficile contattare G. Bastava imbucare una lettera bianca, senza indirizzo, e lui suonava poco dopo alla porta. Era un personaggio singolare, insolito.
  Aveva i capelli ben pettinati, molto corti, e un’eccentrica bombetta. Il suo abito elegante era quasi del tutto coperto da un impermeabile blu alaska. Ma la cosa che lo contraddistingueva di più era la sua sciarpa. Era molto lunga, avvolta intorno al collo dell’uomo almeno tre volte, e sembrava rappresentare l’universo. Non aveva un colore ben preciso. La base era nera, ma sfumava in tutte le tonalità del grigio fino ad arrivare al bianco, con toni caldi a contrassegnare le nebulose e tocchi d’argento per le stelle.
G faceva poche domande, poi andava via. La prima era quale fosse il proprio desiderio. Ascoltava e, sempre con il suo sorriso educato e composto, si avviava verso la porta. Prima di andarsene, si voltava e diceva:
  -Ogni cosa ha un prezzo. Il tuo desiderio non è da meno-.
Qwerty non l’avrebbe mai dimenticato. Si chiedeva continuamente quale fosse il prezzo; molto probabilmente, aveva concluso, era il rischio di perdere la vita.
Si rigirò continuamente sulla stuoia, e quando il sole emerse piano dalle colline aveva dormito ben poco.
 
Come la maggior parte dei pianeti del Centro, Arathrorn appariva deserto, fatta eccezione
degli animali e delle piante. In alcuni avevano trovato tracce umane (macerie, macchinari, vestiti), ma l’ultimo regno sembrava incontaminato. La natura regnava sovrana.
  Forse era proprio per l’egemonia della flora e della fauna che Root appariva così guardinga. Qwerty ci mise un po’ prima di ricordare uno dei dettagli fondamentali del mondo di Root.
  Le isole Rocciose non avevano piante. Fiori, alberi, cespugli erano cose completamente sconosciute per lei. Il suo mondo assorbiva parte dell’ossigeno prodotto dagli altri, “parassitismo” che, molto tempo prima, aveva portato perfino ad una guerra. Col tempo, nell’Ovest appartenere alle isole Rocciose era diventato una sorta di sinonimo per  parassita.
Ancora una volta, Qwerty  si chiese quale fosse il suo desiderio.
  La mattinata trascorse con l’esplorazione delle parti più esterne dei boschi e con la raccolta di frutta e radici. La prima volta che Root le aveva viste, aveva fatto una smorfia di disgusto. Ma, una volta assaggiate, si era ricreduta parecchio.
Poco prima di pranzo, Root decise di addentrarsi di più nella foresta, seguendo una linea retta e facendosi strada a furia di coltellate.
  -E’ inutile- continuava a dire Qwerty. -Qui non c’è niente-.
  Allora dopo ti chiederò scusa. Adesso zitto e cammina-.
  Root continuò a falciare le piante ancora per mezz’ora, con Qwerty che le copriva le spalle guardingo; ogni movimento sarebbe potuto essere un Cruento.
Quando la ragazza emise uno squittio, lui sussultò. Si voltò e vide che la foresta non era fitta e senza fine come pensava.
Erano entrati in un prato a ridosso di un colle, circondato da abeti e roveti. L’intero luogo era presidiato da monoliti e detriti di pietra scura, simile ad ossidiana o onice nera.
C’erano anche delle tavole, alte almeno tre metri, coperte di rampicanti e muschio, o attraversate da una ragnatela di crepe.
Qwerty si avvicinò ad una delle gigantesche steli e grattò via i licheni e l’edera. Venne alla luce una scritta, divisa in tre righe, composta da strani simboli e figure geometriche.
Root si avvicinò ad un’altra tavola e la pulì, scoprendo la stessa incisione.
-Sai leggerla?-chiese.
Qwerty scosse la testa.
-Allora conviene andarcene … - disse Root mesta.
  Trovarono una radura vicino al sottobosco, un posto all’ombra dove passava una piacevole brezza,  e si sedettero per mangiare. Dal loro arrivo non avevano ancora visto nessuno, sia pacifico che Cruento. Qwerty pensò fosse dovuto al numero ridotto di giocatori; oramai saranno stati in quattro, massimo cinque.
Mentre mangiavano della carne essiccata e delle mele dalla polpa azzurra, il ragazzo  non disse quasi una parola.
  -Cos’hai?- chiese Root dopo un po’.
  -Nulla- rispose subito Qwerty. Troppo in fretta, forse.
  -Su, parla! Non ti mangio mica-.
  -Qual’é il tuo desiderio?- chiese piano lui.
Root lo fissò un attimo e rimase in silenzio. Poi si avvicinò a lui e gli disse sottovoce.
  - Vorrei portare la natura nel mio mondo-.
Cosa?  Rimase spiazzato da quella affermazione. Aveva sentito di mondi in cui cercavano di debellare la natura, in quanto macchina inefficiente, eppure aveva davanti a lui una ragazza che voleva l’esatto contrario.
Una ragazza così forte e tenace con un desiderio così delicato.
  -Oh … bello- riuscì a dire.
  -Tu non lo puoi capire- rispose lei piccata.
  -No, io … io capisco benissimo!-.
   -Sdraiati, Qwerty- disse piano Root.
Lui rimase un po’ colpito da quelle parole, ma si sdraiò lo stesso. La ragazza lo imitò, stendendosi vicinissimo a lui.
   -Immagina casa tua- disse.
   - Ok … -.
   -Ora cerca di eliminare le cose, come se avessi una gomma. Togli i fiori- iniziò la ragazza.
La visione della sua città senza fiori non lo colpì particolarmente. Forse era un po’ triste, ma il cambiamento era minuscolo.
 -Ora togli gli alberi- Continuò Root.
Quello fu molto più difficile. Gli alberi del mondo degli Ingranaggi erano immense sequoie che svettavano perfino sui palazzi. La tristezza del luogo parve triplicarsi.
  -Ora togli il prato-.
Devastazione, tristezza, desolazione. Il suo mondo appariva più cupo, ostile. Probabilmente gli si leggeva in faccia, perché Root disse:
  -Quello è il mondo in cui vivo. E voglio cambiarlo. Voglio che i miei figli possano ripararsi sotto l’ombra di un albero; voglio che si arrampichino sugli alberi; voglio che vivano in un mondo verde e giochino su un prato, non sulle rocce appuntite-.
  -E’ molto nobile- riuscì a dire Qwerty dopo un po’.
   -Sono pronta a  tutto pur di realizzarlo- rispose lei in un soffio.
   -Anche io lo sono-.
   -Allora combatteremo per arrivare fino alla fine, poi il migliore vincerà-.
Un rumore insolito attirò la loro attenzione e li fece alzare. Qwerty fece appena in tempo a vedere il muso peloso di una strana creatura, poi quella schizzò via nel folto della foresta, portando con sé un fagotto.
Root scattò subito in piedi.
   .Dobbiamo prenderlo!- gridò -Ha preso la sacca delle provviste!-.
 Mentre il ragazzo si alzava, la sua alleata era già partita verso il folto della foresta. Qwerty si affrettò a seguirla.
    -Cos’era quello?- chiese, riuscendo a stento a tenere il passo di Root.
    -Un Abbhit! Conigli di cenere giganti!-  spiegò frettolosa l’altra.
 L’Abbhit procedeva rapidissimo nonostante il peso della bisaccia. Il suo pelo grigiastro, coperto da uno spesso strato di cenere, macchiava le foglie, rendendo molto più facile l’inseguimento. Quando si fermarono un secondo per prendere fiato, Root lo avvertì.
    -Non toccare la sua cenere! E’ velenosa e irritante- poi ripartì verso il sottobosco.
Arrivarono fino a una biforcazione naturale, dove una quercia lasciava trasparire un altro passaggio. Root gridò a Qwerty di andare a destra, mentre lei avrebbe proceduto da sinistra per prenderlo di sorpresa. Qwerty urlò un “sì” e si affrettò ad accelerare.
Svoltarono nello stesso istante; l’Abbhit, come aveva previsto Root, era andato a destra. Il povero animale era stato sfortunato: si era impigliato in un rovo e non riusciva a liberarsi.
Qwerty si chinò e, cercando di tranquillizzare il coniglio, lo liberò. Prese la bisaccia e lo osservò andare via.
   -Root!- chiamò. -Root! L’ho preso!-
Dall’altro sentiero, nessuno rispose.
    -Root!- ripeté.
Tornò sui suoi passi e prese la strada a sinistra della biforcazione.
-Root?- chiese mentre avanzava con passo incerto.
  La trovò qualche metro più avanti, in ginocchio sul cadavere di una donna. Una delle partecipanti, Qwerty la ricordava abbastanza bene.
Stava per dire qualcosa, ma la sua alleata gli fece cenno di tacere; si fece da parte per far vedere al suo alleato.  Il ventre della donna era stato squarciato da numerose coltellate, che si propagavano sul resto del corpo come una brutta epidemia.
Tutta quell’ira poteva dire solo una cosa. I Cruenti.
Istintivamente, Root e Qwerty iniziarono a correre.
 
Li sentirono arrivare non appena scapparono. Qwerty li sentiva muoversi furtivi intorno a loro, pronti a prenderli con le loro armi sadiche e dentellate. Iniziò a temere per la sua vita e obbligò al suo corpo di accelerare, di metterlo in salvo da quei depravati.
Perché, quando ti trova un Cruento, tutto quello che puoi fare è correre e pregare di essere più veloce.
Il suono dei rami spezzati fece capire loro che uno degli inseguitori aveva lasciato il suo nascondiglio.  Qwerty lo guardò con la coda dell’occhio, prima di tornare ad accelerare.
Era un uomo grosso, più muscoli che altro, dalle braccia coperte di segni tribali. I suoi tatuaggi percorrevano tutto il petto nudo e ricco di cicatrici fino a solcare il collo e unirsi in un medaglione sulla sua fronte.
Brandiva due coltelli seghettati, ancora grondanti il sangue della donna che Qwerty e Root avevano trovato.
Sembrava non stancarsi mai, il Cruento. Non faceva che correre, e ogni volta sembrava più vicino.
Quando li raggiunse, il cuore di Qwerty parve fermarsi. Il loro inseguitore lo spinse a terra e fermò Root contro un albero. Qwerty fece per rialzarsi, ma il Cruento gli puntò un coltellaccio contro.
-Non interrompermi. Scappa se vuoi, sarà più divertente dopo-.
La sua mano sinistra si chiuse attorno al collo di Root e la sollevò. La ragazza annaspò, terrorizzata.
-Root!-.  gridò Qwerty, terrorizzato da quella vista. Si scagliò contro quel colosso e cercò di bloccarlo, ma quello gli ferì il braccio con il coltello e lo fece ripiombare a terra.
-Penserò anche a te, piccoletto. Così l’Ovest perderà i suoi giocatori in un batter d’occhio-.
Rimise il coltello nel fodero e strinse il collo di Root con entrambe le mani; Qwerty rimase inorridito dal sorriso sadico che aveva sulla faccia.
Root iniziò a dimenarsi e annaspare, terrorizzata.
-Sì, continua così …- squittì il Cruento. -Implorami, chiedi piet …-.
Non riuscì a finire la frase.
La freccia aveva fenduto l’aria e si era conficcata nel suo cranio prima. Una seconda e una terza la raggiunsero quasi subito, conficcandosi nel cuore e nel basso ventre, ponendo fine alla sua vita.
Dal fogliame emerse un ragazzo sulla ventina, con i capelli biondi rasati.  Brandiva ancora il suo arco.
-Alleati?-.
 
Si chiamava Clive. Veniva dall’Est, aveva ventitré anni. Voleva che il cielo dei suoi mondi fosse azzurro, e non rosso. Fu così che si presentò la sera, davanti al fuoco e con una coscia di Abbhit nella mano sinistra.
Sembrava apposto. Questo aveva pensato Qwerty non appena si era avvicinato.
A Root era piaciuto subito.
Clive chiese com’erano diventati alleati, e Qwerty raccontò di come Root l’avesse salvato da quella donna pazza.
-Un incontro tranquillo, non c’è che dire …- commentò poi. Root accennò una risata.
Era la prima volta che la sentiva ridere. La sua risata era pacata, ma ricca di emozioni. Si trovò a volere che ridesse più spesso.
-E’ bello l’Est?- chiese Root.
Clive annuì.
-Ci sono mondi fatti di sabbia, così deboli da poter essere spazzati via con un soffio. Mondi così aridi da non permettere la vita. Ma ci sono anche le piramidi e i loro giardini pensili, oasi grandi quanto nazioni che si affacciano su fiumi in piena. E poi … abbiamo i draghi-.
-Non esistono, i draghi- disse scettico Qwerty.
-Sì invece. Draghi che con le loro ali possono oscurare il cielo, che con le loro fiamme possono distruggere mondi, che con le loro scaglie possono illuminare a giorno la caverna
più buia-.
Root lo ascoltava incantato.
Anche Qwerty, dovette ammettere, era rimasto affascinato. Decise che, dopo il gioco, avrebbe visitato alcuni dei mondi dell'Est.
-Siamo rimasti in quattro, giusto?- chiese Clive.
-Sì- rispose Root. -Manca un solo Cruento-.
-Navitia. Manca lei-.
-Navitia?-.
Clive annuì.
-L’unico partecipante del Sud. La donna più bella che abbia mai visto, con la pelle scura e i capelli rosso fiamma. Ci sono molte voci su di lei-.
-Ad esempio?-chiese Qwerty.
-C’è chi dice che Navitia si possa trasformare in una belva selvaggia, altri sostengono che la natura sia sua amica, e che la aiuti a vincere il gioco. Altri ancora dicono che Navitia sia un drago. Ma io so la  verità-.
La voce di Clive era ridotta a un sussurro mentre parlava.
-Navitia è un elfo-.
Stavolta anche Root dovette sforzarsi per non ridergli in faccia.
-Gli elfi non ci sono più da … tanto tempo. Troppo. Navitia non può esserlo-.
-Fidatevi di me. Ho visto le sue orecchie. E conosce ogni lingua-.
-Ogni lingua?- Lo sguardo di Root trovò subito quello di Qwerty.
Clive annuì.
-Stamattina abbiamo trovato un gruppo di steli, tutte con la stessa scritta- spiegò poi al ragazzo.
-Che genere di scritta?-
Qwerty cercò di spiegare alcuni dei simboli che avevano trovato.
-Sembra alfabeto dell’Est-.
-Sul serio?-
-Dovrei vederlo per esserne certo-  rispose Clive.
-Ti ci possiamo portare- propose Root, ignorando lo sguardo di disapprovazione di Qwerty.
Clive accettò volentieri, poi chiese di poter dormire per primo. Qwerty si offrì di fare il primo turno di guardia. Prima di sdraiarsi, Root si avvicinò e chiese se ci fosse qualcosa che non andava.
-Tutto a posto, tranquilla- rispose, ma in realtà si sentiva in trappola.
 
Trovare la strada per la piazza delle steli non fu affatto facile. La natura di Arathrorn sembrava infatti rigenerarsi a una velocità sorprendente, nascondendo così il percorso che Root aveva tracciato il giorno prima.
Ci misero mezza giornata per arrivarci; ovunque i tre si voltassero, sentivano la presenza di Navitia.
Ora, la compagnia di Clive non era più molto gradita.
-Siamo in quattro- pensava Qwerty -e due sono miei alleati-.
Quando finalmente le steli comparvero, erano stanchi e affamati. Clive mangiò pochissimo, poi si avvicinò alle steli e cercò di leggere.
-E’ lingua dell’Est?- chiese Root.
Clive annuì.
-Dice: Posto Finale, Armi, Due mondi diversi-.
Qwerty guardò una tavola vicino a lui. La seconda frase, quella che voleva dire “Armi” era molto lunga. Decise di non dire nulla, per vedere dove voleva andare a parare.
-Cosa significa, secondo te?- chiese piano.
-Non saprei … è come se questo luogo fosse una porta. Manca solo la chiave-.
-E se … -ipotizzò Root - La chiave fossero le armi-.
-Da tre mondi diversi!- esclamò Clive. -Root, sei geniale-.
Ma Qwerty non ci credeva. Era paranoico, o la reazione di Clive sembrava programmata.
-Pensi che usando le nostre armi si aprirà un altro portale-  Dopotutto, noi veniamo da due mondi diversi”
-Possiamo provare! Qwerty, passami il tuo coltello!-
Senza dire una parola, il ragazzo passò a Root la sua arma. Non le disse però che aveva uno stiletto nella tasca posteriore, pronto a scattare.
Clive prese i coltelli di Root e Qwerty e una sua freccia, si chinò per posizionarle come se fossero un triangolo. Fu allora che Qwerty lo vide: una lama, molto sottile, era riposta nella tasca dei suoi pantaloni.
Stava per gridare a Root di correre, ma Clive aveva già preso fuoco.
 
Clive si era circondato di fiamme all’improvviso, prima di congiungere le armi. Aveva iniziato ad urlare, e Root si era salvata appena in tempo. Avevano provato a spegnere le fiamme con l’acqua, con la terra, ma era stato tutto inutile.
Clive continuò a bruciare fino alla morte.
Fu allora che Navitia uscì allo scoperto. Clive aveva ragione, era davvero bellissima, con la pelle ambrata e i capelli intensi come le fiamme.
Root voleva lanciarsi contro di lei, ma Qwerty la bloccò.
-Perché l’hai fatto? Mostro!- gridò.
Ma Navitia non fu minimamente toccata da quella affermazione.
-Chiedi a Qwerty. Lui lo sa-.
Root si voltò spaesata, chiedendo spiegazioni. Con calma, scegliendo le parole giuste, Qwerty gli spiegò della parola troppo corta, del ragionamento forzato, del coltello nei pantaloni.
-Ci avrebbe ucciso, Root-.
La ragazza annuì, ancora sotto shock. Navitia rimase ferma.
-Vuoi ucciderci?- chiese Qwerty.
-Se lo avessi voluto lo avrei già fatto, non credi?- rispose quella.
-Sei davvero un elfo?-.
-Giudica tu- Navitia scostò una ciocca di capelli dal viso, mostrando un orecchio a punta. Root si portò la mano alla bocca.
-Come hai fatto ad ucciderlo? Era … magia?-.
-Non hai idea di cosa sia la magia, ragazzino. La magia può fare qualsiasi cosa. Qualsiasi.  Ma la magia è morta da tempo, non c’è più. Uccisa da questi giochi. Questo dicono le steli. Il Gioco è una menzogna. Fidatevi di Navitia-.
-Fidarci?-.
-Di quello che sto per dirvi. Uno di voi arriverà alla fine. Uno di voi esprimerà il desiderio. Scegliete con cura, perché da esso dipenderanno le sorti del mondo. Per colpa dei giochi la magia è morta, gli alberi sono spariti dal mondo delle Isole Rocciose, il cielo dell’Est si è tinto di rosso. Per colpa dei giochi il mondo è così. Chiunque arrivi alla fine, faccia la scelta giusta-.
Mentre Navitia parlava, un portale bianco, come quelli che Root e Qwerty avevano attraversato più di una volta, si aprì.
-Insieme?- chiese Root.
Qwerty annuì.
Presero la rincorsa tenendosi per mano. Corsero, con la mano di lui in quella di lei. Toccarono il portale insieme. Poi Root lo lasciò e lo spinse oltre, facendolo vincere.
 
Si trovò una stanza bianca, asettica. Si accasciò sul pavimento, chiedendosi perché Root lo avesse lasciato solo. Per un attimo batté anche la mano sul pavimento, come se lei fosse dall’altra parte.
Però ce l’aveva fatta. Era arrivato al centro dei mondi. Aveva vinto, sua madre sarebbe guarita.
Un rumore di passi echeggiò per la stanza, annunciando l’arrivo di G. Era identico a come ricordava, dalla sua bombetta al suo cappotto alla sua sciarpa come l’universo. O forse come una Galassia.
-Quale piacere provo in questo momento, Qwerty. Ben arrivato, ben arrivato al centro del mondo. Perché non facciamo due passi, mentre mi spieghi nei dettagli il tuo desiderio?-.
Tese una mano al ragazzo per aiutare ad alzarsi. Qwerty l’accettò senza pensarci su. Si fidava di G ciecamente.
Entrarono in un altro corridoio bianco, sterile come la stanza precedente.
G camminava con passo svelto, ben allenato, e poneva le sue domande con garbo, ascoltando attentamente le risposte. Il suo sorriso non cessava un attimo di esistere, anche quando Qwerty chiese:
-Root è al sicuro, vero?-.
-Certo. Completamente al sicuro-.
Superarono il corridoio e si trovarono davanti a una porta laccata di bianco.
-Lascia che ti mostri il prezzo del tuo desiderio- disse G, aprendo la porta ed entrando. Qwerty si sbrigò a tenere il passo. La camera in cui erano entrati era circolare, molto ampia.
Al centro si trovava un tavolo apparecchiato, pieno di cibo e bevande invitati.
Ma fu un’altra cosa ad attirare la sua attenzione.
Intorno alla sala  si trovavano delle cabine circolari, piene di liquido trasparente. E immersi in quella strana soluzione, dormivano i tredici compagni di Qwerty nel Gioco dei mondi.
La donna che lo aveva assalito, il Cruento lo aveva ferito al braccio, Clive. Anche Root.  Galleggiavano tutti inerti, apparentemente addormentati, e i loro corpi apparivano intatti.
Qwerty notò che una delle cabine era vuote.
-Navitia scappa sempre- Commentò mesto G. -Partecipa al Gioco da sempre, e cerca di avvertirvi, perché esprimiate il desiderio giusto. Ma nessuno ha ancora capito quale sia-.
-Cosa ci fanno loro qui?- chiese Qwerty.
-Muoiono per te- rispose semplicemente G. -Offrono la loro vita ed energia per far avverare il tuo desiderio. L’energia che resta va all’Universo-.
-Cosa? Non capisco-.
-L’universo è come una macchina, Qwerty. Una macchina perfetta, che ha bisogno di carburante. E il carburante siete voi. Le vostre scialbe vite servono all’Universo perché possa continuare ad esistere, e per lui realizzare un desiderio è una bazzecola. Per cui, Qwerty, dimmi il tuo desiderio-.
Qwerty rimase spiazzato. Quelle tredici persone stavano morendo per lui. Per l’universo.
Tutti gli avevano mentito. Nessuno aveva detto che sarebbero morti comunque; nessuno. Qwerty ripensò alla vecchia che lo aveva invogliato a partecipare. Anche lei sapeva? Anche lei era stata lì, al suo posto, cinquant’anni fa?
Ripensò a quello che era successo. A Navitia.
La magia può fare tutto. Qualsiasi cosa.  Ma la magia è morta da tempo, uccisa da questi giochi.
-Posso desiderare qualsiasi cosa?- chiese Qwerty piano.
-Qualsiasi cosa. Desidera un mondo e io te lo darò-
Il desiderio giusto.
-Io … io desidero che il Gioco dei Mondi non sia mai esistito-.
 
Nel momento in cui le parole lasciarono la sua bocca, il pavimento tremò. La stanza parve sgretolarsi, il bianco asettico venne sostituito dal nero delle tenebre.
-Cosa?- chiese sconcertato G mentre il pavimento sotto i suoi piedi crollava.
-Voglio che il Gioco non sia mai esistito. Mai, e non solo questa edizione. Voglio cancellarli dalla faccia della terra-.
-Ragazzino, hai idea di cosa stai desiderando? Stai riscrivendo la storia del mondo. Persone morte torneranno in vita, il mondo sarà completamente diverso!-.
-E la magia tornerà- continuò Qwerty. -E con loro gli elfi. La magia guarirà mia madre, porterà la natura da Root, riporterà i compagni di Navitia in vita. Adesso fai avverare il mio desiderio!-.
Le tenebre avvolsero completamente la sala. G gridò ancora una volta, prima di scomparire, sgretolandosi come il Centro dei mondi. Qwerty continuò a vagare in quel buio privo di sostanza, fino a non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia.
 
Si svegliò nella sua camera da letto.
Si guardò intorno, controllò le sue mani e le braccia. Le ferite erano sparite, le cicatrici andate. Era a casa.
Urlò dalla gioia e corse giù per le scale. Dalla cucina veniva un ottimo profumo. Entrò facendo una curva tutt’altro che sicura e trovò sua madre armeggiando con i fornelli, preparando la colazione.
-Buongiorno!- salutò lei con un sorriso. -Hai fame? Sto facendo le frittelle-.
Qwerty superò il tavolo e la abbracciò, trattenendo a stento le lacrime.
-Mi sei mancata- riuscì a dire dopo un po’.
-Oh .. anche tu, tesoro- rispose la madre, un po’ sorpresa.
Mangiarono e poi uscirono.
Il mondo degli Ingranaggi non era cambiato molto, dopo il suo desiderio.  Erano gli abitanti ad esserlo.
Ora, oltre agli umani, elfi con la pelle scura o chiari come la luna camminavano tranquillamente per le strade, perfettamente integrati. Qwerty riuscì a stento a trattenere la gioia. Quando sua madre gli disse che forse un giorno avrebbero dovuto vedere i giardini delle Isole Rocciose, rinomati in tutto l’Ovest, quasi urlò di nuovo.
Quella mattina, dopo varie commissioni, andarono al mercato. Quel luogo brulicava di voci, suoni, colori.
I tendaggi variopinti del Sud si mescolavano alle spezie dell’Est; i cibi del Nord venivano cucinati sul momento, cantando canti tipici del Centro. Ma fu un banco in particolare ad attirare la sua attenzione.
Vendeva Abbhit, i conigli di cenere.
Era presidiato da una ragazza, con i capelli ambrati e gli occhi blu. Root appariva più felice che mai, mentre consigliava a una giovane mamma il cucciolo più adatto per suo figlio. Mentre la madre pagava, Root alzò lo sguardo, notandolo.
Si guardarono per quella che parve una eternità, ma quando Qwerty accennò un saluto, Root lo guardò in modo strano e tornò ad occuparsi della sua cliente.
Sua madre, che aveva notato tutto, guardò Root e chiese:
-La conosci?-.
Qwerty sorrise. -E’ una vecchia amica-.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Elder