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Autore: Sylphs    29/09/2013    3 recensioni
Irene Lancaster, protagonista della mia long "Follia d'amore e d'oscurità", ha rifiutato Raphael ed è fuggita a Parigi con il normale, anche se tiepido Stephan. Ma il futuro non si rivela sereno e pacato come si aspettava e ben presto di rende conto di essere incatenata, con l'anima e con la mente, al più piccolo dei Lawrence senza scampo...soprattutto se una notte, come in un delirio o in un incubo che in fondo incubo non è, lui torna da un passato lontano...
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Amore di sangue'
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Oltre le apparenze...troppo tardi



Fuori dalle finestre della sua stanza, le torri parallele di Notre Dame svettavano nella notte come fari in mare aperto, ma Irene aveva cessato ormai da tempo di far caso alla loro presenza. Erano divenute, anzi, un elemento così familiare, così scontato nella sua vita, da non causarle più quella meraviglia, quello stupore estatico che l’aveva riempita la prima volta che le aveva viste. Ne riconosceva naturalmente lo splendore, e non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse magnifica Parigi al chiaro di luna osservata dall’alto della famosa cattedrale, quando lo sguardo poteva vagare impunito per ogni vicolo, ogni edificio e quando ogni cosa, anche la più misera, appariva splendida e misteriosa. Quando forse persino lei, un’ombra destinata a svanire tra le altre ombre tutte uguali, un pallido esempio di essere umano, sarebbe potuta sembrare magica, imperscrutabilmente abbagliante…come lui.
Ma c’era troppa amarezza in quei pensieri, troppo rimpianto, e aveva preferito fondere Notre Dame al paesaggio circostante, tramutarla in nient’altro che un particolare insignificante, una chiazza candida che, coricandosi, osservava di sfuggita. Non poteva permettersi di collegarla a Quasimodo, uno dei più celebri mostri della letteratura, e da lì ricordare un altro mostro, assai più terribile e scolpito nella sua memoria, che alle volte le sembrava un sogno, o forse un incubo, e nulla di più. Tanto normale e monotona era diventata la sua esistenza.
Ma per quanto si sforzasse, per quanto si mostrasse serena e felice con Stephan, Raphael Lawrence non voleva saperne di lasciarla in pace, la perseguitava esattamente come aveva fatto ad Heather Ville, con la medesima, feroce pazienza. E quando calava la notte, quando il buio si stendeva sui tetti di ardesia e di mattoni come una coperta e le ombre s’ammucchiavano a frotte in ogni angolo, lo scorgeva dappertutto; avvertiva il peso del suo luccicante sguardo addosso mentre dormiva, con la coda dell’occhio le pareva di individuare la sua figura alta e magra rannicchiata in un’oscura alcova, addirittura, in certi momenti, le pareva di udire la sua voce, un’aspra melodia che continuava a farla fremere e palpitare, di terrore o…o…di qualcos’altro, qualcosa che non osava identificare.
Aveva creduto, ingenuamente, che partire per Parigi l’avrebbe liberata dalla traumatica esperienza da lei incorsa, si era illusa che cambiando città e abitudini avrebbe potuto frantumare i ricordi e gettarli via, sostituirli con una nuova vita, una vita calda, piatta e accogliente al fianco del suo fidanzato. Ma Raphael l’aveva seguita anche lì. Non fisicamente, certo, ma c’era. Irene lo percepiva accanto a lei, sempre. E il peggio era che aveva bisogno di sentirlo vicino, un bisogno disperato, lo stesso che ti impone di respirare o di nutrirti. Forse era proprio la sua presenza invisibile e opprimente a permetterle di andare avanti, di trascinarsi in quella sequela di sciocchi rituali che lei s’era scelta, di non soccombere all’insoddisfazione, al dolore, alla rabbia, e a quel rimpianto che si faceva di giorno in giorno più forte. Un rimpianto che non avrebbe mai immaginato di avvertire dentro di sé.
Si chiedeva, certe volte, come sarebbe potuto essere, se quell’ultima, tragica giornata a Heather Ville fosse stata diversa. Se, invece di fuggire nella luce con Stephan, abbandonando colui che per tanto tempo l’aveva protetta e cullata con la sua voce, fosse invece rimasta, se si fosse inginocchiata presso Raphael, distrutto come può esserlo solo un uomo morto, e lo avesse baciato su quelle labbra rovinate, se gli avesse concesso una possibilità, malgrado gli omicidi di cui si era macchiato, malgrado la prigionia a cui l’aveva costretta, malgrado il suo aspetto demoniaco che le aveva ispirato, allora, una repulsione totale e assoluta. Se, insomma, avesse avuto il coraggio di fare la differenza, di rinnegare la bellezza, la normalità, il sole, per immergersi nella voragine di disperazione, sete di vendetta e furore in cui Raphael era precipitato, aiutandolo ad uscirne, sostenendolo con il suo amore e la sua passione, accompagnandolo nel difficile e tortuoso cammino che l’avrebbe portato alla redenzione.
Non sarebbe stato, dopotutto, più encomiabile da parte sua? Non sarebbe stato un atto di gran lunga più atipico, forte e coraggioso dell’aggrapparsi in ogni cosa a Stephan, di seguirlo come la sua borsa, un suo oggetto personale inerte e incapace di opporsi? E che cosa c’era, in fondo, di bello, di luminoso, di normale nel suo ruolo di fanciulla accomodante e docile, di estensione del suo fidanzato? Lui, preso com’era dal lavoro, non si era mai accorto dell’insofferenza che lentamente l’aveva avviluppata in una morsa invincibile, non aveva mai scorto, nel fondo dei suoi occhi, l’immagine cupa e spaventosa di Raphael, né gli era passato per la mente che il passato fosse tornato a divorarla, a consumarla pian piano. Era sempre stato, ed era tuttora, un uomo estremamente razionale, e non aveva senso, per lui, rivangare un’esperienza che chiunque avrebbe definito terribile, desiderare un mondo marcio e corrotto, dunque mai avrebbe potuto supporre che la sua dolce e quieta Irene, dietro al suo sorriso tranquillo, celasse un simile rimpianto.
Né, del resto, Irene voleva metterlo a parte dei suoi sentimenti. Gli voleva bene dal profondo del cuore, anche se d’un affetto tiepido e platonico che non le aveva mai incendiato le vene, e desiderava che fosse felice, che si godesse l’esistenza rassicurante che s’era conquistato. Aveva messo a repentaglio la sua stessa vita per salvarla, per strapparla alla follia d’oscurità (ma anche di amore) in cui Raphael l’aveva precipitata, e non meritava di essere ripagato così. La ragazza si sentiva in colpa per ciò che provava, avrebbe davvero voluto dargli ciò che cercava, eliminare una volta per tutte i ricordi e concentrarsi anima e corpo su di lui, ma non ci riusciva. Raphael, il suo sguardo torbido e infuocato, le sue gesta folli ma passionali, i suoi sbalzi repentini d’umore, il suo mondo di ombre e corruzione, i suoi demoni, l’immenso e tormentato sentimento che le aveva posto ai piedi, avevano impresso un marchio di fuoco dentro di lei, l’avevano avvinta al mostro senza possibilità di salvezza. Era sua. Fisicamente, forse, apparteneva a Stephan, ma il suo cuore, la sua anima, il suo spirito erano rimasti ad Heather Ville, con l’essere che le incuteva ancora un orrore così assoluto da sconfinare quasi nel piacere, e una paura tanto forte da farla tremare di estasi sotto le fragili, delicate coperte.
Coperte che le furono strappate repentinamente di dosso, nella completa e insondabile oscurità della notte parigina, da una presenza fredda e familiare, presenza che le scagliò ad un lato del letto e che scoprì il pallido e indifeso corpo della fanciulla, rivestito unicamente da una bianca, leggera camicia da notte.
E gridò Irene, colpita all’improvviso da un gelo paralizzante che le trafisse come una lama la pelle esposta, si rannicchiò sul materasso in un inutile, infantile moto di terrore e trasalì fin nel profondo del suo essere quando incontrò due occhi chiarissimi che parevano brillare di luce propria, sospesi in alto sopra di lei come fari incendiati d’odio e di follia.
“Raphael” quel nome, quell’unica, breve parola passò faticosamente attraverso la gola ostruita, fluì in un gemito strozzato fuori dalle sue labbra tremanti e ghiacciate. Non era una domanda, ma un’affermazione ferrea, giacché non avrebbe mai, mai potuto confonderlo con qualcun altro, per nessuna ragione al mondo; era tornato, aveva attraversato intere nazioni per giungere da lei a prendersi la sua vendetta, e benché avvertisse pienamente il pericolo la giovane provava, per contro, una gioia selvaggia e incontenibile, l’impulso di scoppiare in singhiozzi inconsulti, versando lacrime non di dolore e dispiacere, ma di sollievo, il sollievo dell’attesa cessata. Era arrivato. Finalmente, era arrivato.
“Sorpresa!” la voce raschiante grondava scherno e quella sottile vena di sadismo che Irene conosceva tanto bene, eppure, benché il tono mettesse i brividi, il cuore le tremolò di commozione nell’udire nuovamente quegli accenti striduli, ma non scevri di una certa musicalità, che le avevano fatto compagnia durante tante notti, quando ancora lo credeva un tenebroso principe delle tenebre: “L’Uomo Nero è arrivato, piccolina!”
La ghermì per una spalla, affondando le unghie mal tagliate nel tessuto impalpabile della camicia da notte e penetrandole la carne soffice, e la scaraventò giù dal letto, in un vortice di lenzuola e di stoffa candida, sul duro pavimento di legno, una superficie spietata che le mozzò il fiato e le confuse i pensieri mentre vi rotolava sopra, ansante, ancora annebbiata dal sonno e dal ritorno del mostro. Urlò, coprendosi la testa con le braccia per difendersela da eventuali urti, incapace di pensare, di provare qualcosa di diverso da quell’incomprensibile miscuglio di orrore e piacere, paura e sollievo, e ripeté a fatica, attraverso la cortina di arruffati capelli biondi: “Raphael…”
I passi di lui erano impercettibili, il suo corpo attraversava, fendeva l’oscurità senza lasciarvi traccia, come se fosse fatto di aria, come se lui e il buio fossero un tutt’uno e si mescolassero insieme in un fantasma di tenebra invincibile e immortale.
“Sei felice di rivedermi, Irene?” fu un ruggito pieno d’ira quello che le rivolse, mentre lei strisciava freneticamente all’indietro, facendosi schermaglia al viso con un braccio, e muovendosi tutt’attorno in spirali sinuose: “Credevi di esserti liberata di me? Credevi che sarebbe bastato un trasferimento a tenermi lontano?”
“No” una smorfia le contorse le labbra, ma se fosse un’espressione di terrore o un sorriso non avrebbe saputo dirlo: “No…sapevo che mi avresti seguita…”
“E facevi bene a crederlo!” ringhiò Raphael, spostandosi alle sue spalle nella stanza invasa dalle ombre: “Non si dica mai che Raphael non mantiene le sue promesse!”
Per un attimo, lei lo vide, completamente nero contro il muro bianco. La sua cortina di arruffati capelli corvini, il suo sguardo ferale, i suoi lineamenti tragicamente devastati, penosi proprio come li ricordava. Chiuse gli occhi d’impulso. Perché non era mai stata coraggiosa abbastanza da sostenere la sua vista. Da comprendere quell’orrore e cercare di porvi rimedio. Non ce la faceva. Non era forte a sufficienza.
“Ti ispiro ancora repulsione, non è così?” sibilò Raphael, con una nota di amarezza nella voce che le fece salire le lacrime agli occhi, lacrime assolutamente ipocrite e insultanti. Se le strappò via, disperata: “Raphael, io…”
“Se provi a chiamare il tuo adorato Stephan giuro che ti ammazzo” la interruppe seccamente, strisciando lungo la parete: “E stavolta non mi fermerò, Irene. Stavolta andrò fino in fondo. Hai capito?”
La ragazza era terrorizzata, eppure allo stesso tempo avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, che Stephan, nonostante tutto, non venisse a salvarla, non s’intromettesse…per l’ennesima volta.
“Ho capito” soffiò, pianissimo.
Che cosa vuole da me?
“Sei venuto per vendicarti?” lo disse con voce così normale. Come se dalla risposta non dipendessero affatto la sua vita e la sua morte. Il cuore le pulsava affannosamente nel petto, ma non per la paura di ciò che lui le avrebbe fatto. Per l’emozione di saperlo reale, di non essersi inventata Heather Ville. Che lui esisteva, e faceva ancora parte della sua vita.
Lasciò trascorrere parecchi minuti in silenzio. Erano in piedi, uno davanti all’altra, lei bianca contro il nero della notte, lui nero contro il bianco delle pareti.
“No” rispose infine, atono: “Non sono qui per vendicarmi”.
Irene smise di trattenere il fiato: “E allora…”
“Mi credi davvero così disgustoso?” continuò Raphael, interrompendola, con una nota di duro dolore nella voce raschiante: “Davvero pensi che, dopo averti lasciata andare, dopo essermi privato della mia ragione di vita, io venga qui, a miglia e miglia di distanza dalla mia Heather Ville, per farti del male? Quando mi sarebbe bastato tanto così…tanto così! A trascinarti nelle ombre per l’eternità? Credevo che il mio sacrificio ti avrebbe fatto capire che non ero fatto solo di peccato…”
“Ma io non lo penso!” le parole uscirono da sole, quasi contro la volontà di Irene. E si rese conto, mentre le pronunciava, che erano sincere. Non stava cercando di salvarsi la vita, le sue mosse non erano dettate affatto dall’istinto di conservazione e dall’opportunismo. Per la prima volta, grazie alla presenza di Raphael, si accorgeva di aver sempre creduto in una vena di bontà presente in lui, e che era stato questo a spingerla a tornare un attimo da lui per donargli il suo anello e baciarlo su quel viso consumato …benché il buonsenso le gridasse di scappare il più lontano possibile dalla sua aura opprimente. Guardandolo con una tremenda disperazione, senza, tuttavia, ancora osare avvicinarsi, ripeté affannosamente: “Io non ho mai pensato che tu fossi fatto solo di peccato, Raphael…”
Tutto questo non sta accadendo…non puoi parlare di questo adesso, a mesi di distanza dalla vostra separazione, qui, a Parigi, nell’appartamento che condividi con il tuo futuro marito…
Scosse la testa con foga, respingendo la voce della sua coscienza.
Gli occhi cerulei di lui si dilatarono enormemente, le pupille che fagocitavano l’azzurro pallido delle iridi: “Stai dicendo sul serio?” mormorò piano: “Ad Heather Ville però…”
“Allora era tutto troppo grande per me” singhiozzò la ragazza: “Ma adesso…”
Adesso cosa? Cosa?!
Non lo sapeva neppure lei. Non sapeva niente.
Raphael le si accostò con un movimento agile e rapidissimo, annullando ogni distanza tra di loro, fisica o psicologica che fosse, e le afferrò le mani, pelle gelida contro pelle calda, portandola ad urtare con la schiena il muro per difendersi da quell’improvvisa prossimità: “Perché non me l’hai mai fatto capire prima, Irene?” sussurrò, con repentina, bisbigliata reverenza: “Saremmo potuti essere felici! E non è detto che non potremmo più esserlo…” soggiunse, quasi tra sé: “Heather Ville ha perso la sua anima nell’esatto momento in cui te ne sei andata. Lei non c’è più, lo comprendi? Non sento la sua anima che gronda dai muri e dalle pareti…ci sono solo spifferi, e polvere, e il tintinnio dei cristalli del lampadario…oh, ma se tu tornassi! Se tu tornassi, ogni cosa ritroverebbe il suo equilibrio! Perché, è evidente, io ti mancavo!”
“Sì…” ancora adesso non era capace di mentirgli, non lo era mai stata: “Sì… mi mancavi…”
Un sorriso storto, estatico, che pareva più una contrazione delle labbra vizze che un’espressione di gioia si allargò sul volto mostruoso di lui, un ghigno che, nonostante tutto, la spinse a rabbrividire (ma si obbligò a non distogliere lo sguardo, egli era fin troppo imprevedibile) e le strinse le dita così forte da arrestarle la circolazione, come se solo quel contatto lo tenesse in vita: “Ma lo vedi, Irene? Lo vedi che ci apparteniamo, che ci siamo sempre appartenuti? Senza di te, io non sono niente, solo un’inutile carcassa! E anche tu senza di me sei triste…e se questo non è amore, quell’amore che contemplavo dalla mia finestra…allora cos’è? Noi ci amiamo, Irene!”
Nella foga del discorso, le strattonava le mani, ansimava, sudava sotto quella foresta di capelli incolti. Irene era spaventata dal suo impeto che le risultava, tuttavia, piacevolmente familiare, ma al tempo stesso, in un atteggiamento totalmente incoerente, avrebbe voluto che quel fiume di parole deliranti non terminasse mai, che continuasse, ancora e ancora, a riversarla della sua fissazione ossessiva. Era pazza, forse? Solo un pazzo sarebbe stato lusingato d’essere l’ossessione di un mostro.
“Raphael…” soffiò, pallida, ma lui non la lasciò terminare.
“Ascoltami, Irene…sono molto cambiato in questi mesi, tu stessa, che mi conosci meglio di chiunque altro, stenteresti a riconoscermi. Non sono più quello di prima, non toccherei con un dito il tuo fidanzato! Sono diverso, amore mio! Se mi dessi una possibilità…non vivo più di inganni, non amo più le tenebre come una volta. Se la tua paura era di stare nell’oscurità, bene, non hai più motivo di provarla! Te lo giuro, se sono venuto, è perché adesso lo so, lo sento dentro, di essere degno di te! E perché dovresti voler trascorrere la tua esistenza con quel ragazzetto dal visino grazioso? Forse lui può offrirti quello che ti offro io? Non mi pare! Forse lui ha cancellato quest’ombra dai tuoi occhi, questa malinconia dal tuo volto? No! No! No! Mentre io, Irene…sì, forse il mio aspetto non è quello che hai sempre sognato, forse ho commesso degli errori, in passato…ma farei qualsiasi cosa per renderti felice, qualsiasi! Te la strapperei via, quell’ombra dallo sguardo…non lascerei mai che tu ti annoi, o che t’immalinconisca…con me, sorrideresti sempre! E sarei il marito migliore che uno possa desiderare, il più attento, il più disponibile! Non ho impegni, non ho un lavoro, tutto il mio tempo sarebbe tuo!”
“Raphael…” ripeté ancora una volta la fanciulla, immobile, incapace di articolare una parola diversa da quella, ma tuttavia non inorridita, non terrorizzata come sarebbe dovuta essere, com’era stata ad Heather Ville quando lui si esibiva in uno di quegli impetuosi scoppi di vaneggiamenti… perché a spingerlo era l’amore che nutriva per lei. E perché avrebbe dovuto disprezzare a priori il suo modo di amare, credendolo migliore di quello di Stephan che era sempre stato così sobrio, e tiepido, e pacato?
No, come posso pensare questo, come posso?!
“Oh, Irene…” con mano tremante, come se sentisse che ciò che si apprestava a fare fosse un onore troppo grande per lui, il più piccolo dei Lawrence le sfiorò una ciocca di capelli biondi, gliela portò dietro l’orecchio, senza che lei avvertisse il consueto ribrezzo, senza che la freddezza di quelle dita adunche l’atterrisse: “Io l’ho sentito, che avevi bisogno di me…l’ho sentito, che dovevo tornare a prenderti, che la mia piccola protetta soffriva…e l’idea che tu soffra…non mi da pace. Io voglio che tu sia felice! E se tutto questo non ti rende felice…oh, Irene, ti prego, abbandonalo, e torna a casa con me!”
“A casa…con te?” gli fece eco lei, con un filo di voce.
“Sì!” quasi gridò Raphael: “Non da prigioniera, non farei mai più una cosa del genere, non ti imporrei mai la mia presenza contro la tua volontà, come il peggiore dei mostri, il più ributtante dei demoni…ma da ospite! Perché sei tu a volerlo, perché non vedevi l’ora di tornare! Ed io ti renderò felice! Io sono disposto a diventare un povero animaletto, per te…a fare ogni cosa che ti dia piacere…” Irene captò, come era già accaduto, un inquietante doppiosenso, ma probabilmente Raphael nemmeno se ne rendeva conto, e non diede a vedere di essersene accorta: “Se tu solo mi accettassi…se solo tu…” esitò, alzando su di lei due occhi improvvisamente spaventati, perché in fondo era un ragazzo, nient’altro che un giovane adulto: “…andassi…oltre le apparenze…”
Oltre le apparenze…
La fanciulla ebbe l’impressione che qualcuno avesse appena camminato sulla sua tomba. In un attimo, ricordò il vecchio salone da ballo oscuro e polveroso, la luce tremula delle candele che creava macabri giochi di luce sulle pareti, e Raphael che la stringeva per la vita e la faceva volteggiare sul lurido pavimento, ingiungendole, con tono via via più imperioso, di andare oltre le apparenze, oltre le apparenze…finché qualcosa era capitato ed era riuscita a vedere la stanza come un magnifico tripudio di ori e di stucchi e lui non più come un lugubre morto vivente, ma come il bellissimo uomo che sarebbe stato, se il padre non lo avesse maledetto per il suo egoismo…finché Stephan era arrivato, ed aveva mandato in pezzi il sogno.
Ma in quel momento le parve di comprendere per davvero cosa significasse andare oltre le apparenze. Non trasformare Raphael in ciò che non era, non ostinarsi a vederlo bello, ma accettarlo così com’era, mostruoso, distorto e imperfetto, e tuttavia trovare in lui quel qualcosa che l’aveva ammaliata, e farne un ragione sufficiente a trascorrere il resto della sua esistenza al suo fianco. E una simile consapevolezza la terrorizzava, sì, ma il suo cuore irradiava un calore sconvolgente ora che finalmente tutto le era chiaro, ora che aveva trovato quel senso che allora le era sfuggito.
“Tu sei l’unica che può farlo, Irene…” proseguì Raphael, affannato, accarezzandole i capelli con disperazione: “Nessun’altra mai…oh, ti prego, vieni via con me perché lo vuoi! Ti prometto che saremo felici! Ti prometto che non ti mancherà mai nulla! Sono cambiato, mi sono pentito, non sono più sporco come prima…”
La ragazza respirava affannosamente, il petto minuto che si alzava ed abbassava ad un ritmo frenetico, ma era ancora così terribilmente indecisa. Se lui le avesse fatto una proposta simile solo pochi mesi fa, prima che incominciasse a spegnersi, a perdere ogni entusiasmo, a percepire una nostalgia sempre più forte e assoluta, avrebbe rifiutato subito e senza batter ciglio, giacché aveva scelto la normalità e raramente le succedeva di venir meno ad una decisione. Ma adesso…adesso quel mondo di luce, bellezza e monotonia, quel mondo in cui incombeva Stephan, con la sua distrazione e il suo pragmatismo, aveva perso ogni attrattiva, e al contrario, per assurdo, la tenebra e la perdizione di Heather Ville, la follia passionale di Raphael… esercitavano un richiamo irresistibile.
Le labbra rosee erano appena dischiuse, tremavano vistosamente senza riuscire a pronunciare una condanna o una grazia per quel mostro che l’amava, ma di fronte al prolungato silenzio, vide il suo volto di demone adombrarsi pericolosamente, i suoi occhi luccicanti prendere uno sguardo fosco, stravolto che la spinse a schiacciarsi contro il muro come se solo questo potesse difenderla, e il corpo di giovane uomo divenire immobile e rigido come un blocco di ghiaccio, i denti marci digrignare pericolosamente. Le aveva assicurato che non le avrebbe fatto del male, ma non c’era mai da fidarsi di ciò che Raphael diceva, Irene lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene.
“Ovvio” sibilò il mostro con un accento totalmente diverso da quello di pochi minuti prima, un accento ringhiante e imbevuto di malevolenza: “Lo sapevo che non saresti mai stata pronta. Lo sapevo che eri legata a quel piccolo imbecille, a quel bastardo…del resto, basta avere un bel visino e affermare sani principi morali per conquistarsi l’amore di una fanciulla come te…io sono troppo marcio, non è così”
Scoppiò in una risata che le gelò il sangue per la nota di allarmante follia che la pervadeva come un verme che striscia sulla corolla di un fiore, un cambiamento d’umore così assoluto che non seppe assolutamente come farvi fronte.
“Raphael” ansimò: “Io…”
“Shh!” lui le premette un dito sulle labbra, così forte da sbiancargliele, e accostò al suo viso il proprio, stravolto in un ghigno disperato: “Non dire niente, piccolina, non ce n’è bisogno! Ho già capito tutto da me…tu sei ancora convinta che io non sia cambiato, non è vero? Credi che non abbia la capacità di prendere il mio passato e buttarlo via, così, come uno straccio vecchio…”
“No” farfugliò la giovane: “No…”
“Tu credi che non diventerò mai puro come il tuo fidanzato!” proseguì lui in un ruggito, incombendo su di lei: “Credi che i demoni non possano trasformarsi in angeli, che io non ti ami, io, io, che morirei per te, che mi prostrerei ai tuoi piedi e diventerei un umile schiavo, pur di non vedere più il disgusto nei tuoi occhi! Credi che io non sarò mai buono!”
Stava ormai urlando, e ognuno di quegli urli rimbombava nella camera buia, rimbalzava sui muri e il soffitto e usciva dalle imposte, nella notte parigina, riverberando fino alle torri di Notre Dame. Le sue mani, dai capelli di Irene, si erano spostate sulla gola, chiudendosi ad anello intorno al bianco collo, e i pollici premevano spietatamente all’altezza della trachea, mozzandole il respiro e riempiendola di un qualcosa di strano, non paura, no, stavolta no, ma…
“Tu…” boccheggiò, disperando di riuscire a respirare ancora per molto, il sudore che le colava dalla fronte e dai seni palpitanti, schiacciati contro l’addome magro di lui: “Hai promesso…che non mi avresti fatto…del male…”
Raphael sghignazzò come un pazzo, un ridacchiare maligno che la pietrificò sul posto, e aumentò la pressione dei polpastrelli sulla morbida carne della sua gola, strappandole un lieve spasmo: “Oh, ma infatti non ti faccio niente, Irene, stai tranquilla” berciò follemente: “Non potrei mai, mai torcerti un solo capello…a chiunque ci provi gli caverei il cuore dal petto…ma è così che mi desideri, vero? È il mostro, l’assassino che hai sempre ricercato in me…”
Il senso di soffocamento, la bestia inquieta che le si agitava nello stomaco gridando sciagura erano insopportabili. Non poteva sapere se lui sarebbe arrivato a strangolarla, l’aveva quasi uccisa già due volte in passato, in preda ad un momento di incontrollata e bieca furia, fermandosi appena in tempo, ritrovando umanità, ragione sul filo del rasoio…e forse anche adesso ci sarebbe riuscito, forse voleva solo spaventarla, o esprimere in qualche modo il proprio rancore…ma, trattandosi di lui, poteva anche darsi che l’avrebbe veramente ammazzata, che non fosse cambiato come invece professava, ma avesse preferito trascinare entrambi nelle tenebre, anziché separarsi di nuovo da lei…
Quale che fosse la conclusione di quella follia, Irene non desiderava morire. No, nonostante tutto, lei voleva vivere.
Perciò fece l’unica cosa in grado di salvarle la vita, ma avrebbe mentito affermando che fosse solo questo, il motivo del suo comportamento. No, al di là di ogni indecisione o paura, aveva bramato di farlo fin da quando era fuggita da Heather Ville.
Fremendo sotto la camicia da notte per le lievi convulsioni che la squassavano, appoggiò le mani sulle braccia rigide di Raphael, e con la poca voce che le restava rantolò: “Mi sono allontanata da te…ma ben presto mi sono resa conto che…non posso fare a meno della tua presenza, Raphael”.
Un attimo di esitazione da parte di lui, un impercettibile allentarsi della morsa intorno alla sua gola, ed Irene ebbe tutto ciò di cui aveva bisogno per proseguire nella sua pazzia. Accostò il suo dolce volto di fanciulla nel fiore degli anni, bello e luminoso, a quello marcio e corrotto di lui, divorato da un male inestinguibile, e le loro labbra, tiepide e soffici nel caso di Irene, ruvide e screpolate in quello di Raphael, si incontrarono, senza che la natura, per questo, si ribellasse, o urlasse all’oltraggio, o li uccidesse per un’unione così sproporzionata e assurda, un legame che non avrebbe dovuto esserci.
In quel momento, era ciò che Irene voleva. Il resto poteva andarsene al diavolo.
Raphael emise un gemito dal profondo della gola quando lei lo baciò, un verso tanto di stupore quanto di piacere, e le mani che prima le avevano artigliato il collo sciolsero la stretta mortale per salire a circondarle dolcemente il profilo del viso, mentre si abbandonava a quella riconciliazione fisica e psicologica, sciogliendosi e rilassandosi come se per la prima volta si fosse liberato di un invisibile, tremendo fardello. La strinse a sé, facendo aderire completamente i loro corpi finché quasi non si fusero, pur nella loro totale diversità, e non fu un abbraccio delicato, non tenero, non casto, ma una stretta avvolgente e dolorosa, l’avvinghiarsi cieco e disperato del dannato all’anima pia, dell’annegato all’ancora di una nave, un bisogno feroce, aggressivo, a cui Irene non si ribellò, non stavolta, ma a cui anzi andò incontro, modellandosi al tocco delle mani di lui, mani inesperte e bramose come potevano essere solo quelle di un uomo che non ha mai sfiorato una donna, e non opponendo la minima resistenza. Era creta nelle sue dita, e dentro di lei ardeva un fuoco che le consumava le vene e gli organi, un misto di euforia, sfrenato desiderio, sollievo.
Finalmente.
Stava baciando un mostro, un assassino, un individuo che l’aveva fatta prigioniera e minacciata. Ma allora perché trovava tutto questo così assolutamente e perfettamente giusto? Perché non aveva la forza, né la voglia, di opporsi? Che la follia arrivasse, che la divorasse, se il risultato era quell’esplosione di gioia violenta.
Raphael sembrava aver perso ogni controllo su se stesso, dandole l’esatta dimensione di quanto poco avesse goduto di un contatto umano e amoroso, di come nessuno mai l’avesse abbracciato, o baciato, o accarezzato; fremeva nel sentire le mani della ragazza che s’immergevano nella sua chioma scarmigliata e pareva incapace di staccarsi da lei, di rinunciare al calore e al piacere che gli aveva concesso. Sospirava sulle sue labbra, mormorando di tanto in tanto il suo nome, e le sue dita percorrevano tremando il corpo di Irene, come se volessero memorizzarne ogni particolare. Quando le loro lingue s’intrecciarono, il senso di completezza, di perfezione raggiunse l’apice, e finalmente Irene trovò le parole, quelle che non le erano giunte in soccorso ad Heather Ville, quelle che avevano aleggiato nel suo inconscio a Parigi.
“Raphael, io ti amo!”
 
Si risvegliò madida di sudore e ansimante, con la camicia da notte fradicia che le aderiva al corpo e il volto arrossato, i capezzoli che pulsavano dolorosamente contro la stoffa bianca, le lacrime che grondavano copiose sulle guance, senza che lui fosse lì ad asciugarle con i suoi baci, con quel suo tocco goffo ma passionale al tempo stesso, con quei sussurri reverenti che l’avevano sciolta totalmente. Sola, disperatamente sola, nella fredda notte parigina, con le campane di Notre Dame che suonavano lugubri fuori dalle finestre.
Stephan, al suo fianco, si sollevò su un gomito, assonnato, e le regalò una carezza leggera e distratta sul volto: “Cos’hai, amore?”
La consapevolezza di aver sognato calò su Irene come un macigno, ma per quanto immaginaria, quella scena le aveva fatto comprendere, e per un attimo desiderò di urlare, scalciare e strapparsi la pelle dal volto con le unghie per punirsi dello sbaglio che aveva commesso, per il luogo in cui si trovava di sua volontà e il compagno che le riposava vicino e che non era quello giusto, per aver rinunciato ad un qualcosa che allora l’aveva disgustata ma che adesso finalmente capiva.
Ho imparato a vedere oltre le apparenze…troppo tardi.
“Niente” sussurrò con un sorriso forzato che assomigliava ad una smorfia di dolore e una sofferenza inaudita negli occhi azzurri, lontani e ormai irrimediabilmente persi nell’immagine di Heather Ville e dell’altro: “Era solo un sogno”.
“Un incubo?”
“No…non un incubo. Solo…un sogno”.
E a chilometri di distanza, in una residenza decadente e polverosa che aveva perso ogni attrattiva ora che non c’era più lei a condividerla, anche Raphael si destò di soprassalto nel suo sordido giaciglio accanto al camino spento, con un urlo disarticolato e straziante e il sapore della bocca di Irene ancora su di sé, afferrandosi la testa tra le mani e gemendo per la solitudine che gli parve ancora più opprimente del solito e per quel qualcosa che aveva perduto, lasciato andare, e che mai più avrebbe ritrovato.
Giacché il sogno era arrivato troppo tardi.
 
Angolo autrice: So che sto scrivendo una long in cui la coppia Raphael/Irene è bell’e che scomparsa…ma diciamo che sentivo il bisogno di scrivere questa shot. Per ritrovare i miei due personaggi, e calarmi nel loro rapporto torbido e ambivalente, per descrivere quello che secondo me è il futuro della fanciulla. Un futuro nient’affatto felice. L’idea del “sogno in comunione” mi attraeva, come se il destino avesse voluto mostrare loro, a lei soprattutto, cosa avevano perso…so già che, se passerà di qui, Homicidal Maniac rabbrividirà per tutti questi baci e toccamenti vari (sono stati difficili e sono sicura di aver fatto un casino, ma lasciamo perdere) però…ci volevano, secondo me. Ah, e dato che siamo sul tema racconti noir, tengo a consigliare quello di una mia carissima collega scrittrice e musa ispiratrice, Niglia, “Waltz into darkness” una storia che mi ha catturato fin dal primo istante e che consiglio a tutti gli amanti del genere di leggere : )
Bien, spero davvero che darete un’occhiata, mi sono divertita e commossa a scrivere codesto racconto, soprattutto mi è parso che Raphael ne uscisse fuori in tutta la sua follia, quindi non posso che ritenermi soddisfatta XD
Un bacione,
Sylphs

 
  
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