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Autore: Jo_March_95    29/09/2013    0 recensioni
"He told me I'd taste the pain, but I taste it every day"
Ennesima Gallavich, che ci possiamo fare?
E' ambientata in un ipotetico incontro intermedio tra i due, dopo il matrimonio ma prima dell'annuncio dell'arruolamento.
Ian che è come un tornado in quella casa, due minuti per sconvolgerne l'equilibrio, troppo tempo per riuscire a buttar via i cocci.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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You win, I’m sadder than you

‹‹He told me I’d taste the pain
but I taste it every day››




Ian Gallagher aveva fatto la sua comparsa in casa Milkovich troppo in fretta, quella mattina.
Come un fottuto criceto che si affaccia alla finestrella e scompare un attimo prima che le tue dita si possano avvolgere attorno al suo collo peloso.
Mickey, infatti, era rimasto con la mano a mezz’aria, graffiando atomi di nulla con le unghie incrostate di terra e chissà quale altra schifezza, con i pantaloni che odoravano di prostituta russa e la bocca ancora abbandonata al ricordo del suo ultimo vero bacio.La lingua era riuscita ad intrappolarne le molecole di invisibile presenza, un mix di sapori, odori e consistenza. Viaggiavano insieme unendosi in sublime piacere, arrivando a pizzicare le corde assopite del cervello e scuotendo il giovane Milkovich da capo a piedi.

Flash di immagini deturpate dagli eventi gli spaccavano le pupille in un’emicrania di rimpianto ..
/Ian che lo implora con le lacrime agli occhi in un cliché di amante già visto e rivisto, che azzarda un sorriso laterale che ha più l’aspetto di una cicatrice lasciata dal rifiuto, che si allontana senza fare rumore, che già barcolla prima di aver bevuto

Quel cazzone di Ian che si fa trovare in sala il giorno del matrimonio, che nemmeno non lo guarda mentre prende per mano quella succhia cazzi a pagamento, che non riesce a mandar giù le parole non dette e allora prova ad allentare la morsa con l’alcool/.

Aveva passato i giorni seguenti senza avere notizie del cucciolo di Gallagher ferito, se lo immaginava a crogiolarsi nel dolore e piangere come una femminuccia senza curarsi di quello che /lui stesso/ stava provando.
Eh già.
Era stato facile per Ian puntare il dito contro le azioni di Mickey, guardarlo dall’alto in basso in ogni sua scelta, correre a casa a piagnucolare sul cuscino quando i colpi della realtà non erano a senso unico.
Era stato facile agire da primadonna e accaparrarsi l’esclusiva del dolore solo perché la sua lingua non era intrappolata da catene, solo perché suo padre non tornava a casa puntandogli una pistola alle palle.
Non che il padre di Ian, Frank, fosse migliore di Terry ma almeno passava il tempo ad evitare la propria famiglia facendo un favore a tutti.
I Gallagher non erano cresciuti imparando a misurare le parole (che l’unico modo per sopravvivere, a conti fatti, era quello di avere un vocabolario ristretto, anzi meglio se sapevi solo il tuo nome e qualche bestemmia innocente con cui purgarti), a correre più veloci della frustrazione del genitori, a schivare pugni e a volte pallottole.
Frank da ubriaco faceva schifo, Terry faceva paura.
Più paura.
Nonostante lo squallore, la vita era stata comoda con Ian, aveva avuto il tempo di coltivare sogni e sentimenti, era riuscito ad imparare a sorridere in modo sincero, a parlare d’amore senza essere risucchiato dalle sue stesse parole.
Cazzo, sapeva come farti sentire importante, ti guardava negli occhi e tu non potevi fare più niente perché eri già suo, incatenato alle sue efelidi rosse e alle sue promesse suadenti formulate con grammatica scadente e battiti di ciglia.

Come un animale in cattività Mickey all’inizio non aveva voluto arrendersi, scalciando, tenendo lo sguardo basso benché gli occhi dall’altra parte del filo rosso lo avessero già intrappolato.
A nulla era servito tutto quell’agitarsi, come un boomerang difettoso, tornava sempre dal proprio padrone, ma andando a sbattere contro ogni ostacolo sul proprio cammino.
Mickey non riusciva proprio ad evitarne nessuno, mentre Ian continuava la propria scivolata sulla vita come un cazzo di bambino in un parco giochi.
Quando lo sentiva parlare - le poche volte che glielo concedeva - di lieti fine del cazzo, di piani futuri, previsioni dolceamare, invidiava quella voce mielosa e sicura, odiava quella nota di scherzosa serietà, quelle lentiggini così maledettamente attraenti, quella purezza inventata.
Avrebbe volturo scrivere un testamento di peccati non trasferibili su ogni lembo libero di pelle, mordendone le lettere impresse a fuoco con l’inchiostro indelebile delle promesse disperate.
In cuor suo (quella profondità nera e poltigliosa che riempiva lo spazio purulento tra la gabbia toracica e lo sterno ossuto), Mickey sapeva di non meritarlo, di non poterselo concedere, di stare sbagliando tutto.
Sapeva che appena il gioco fosse diventato duro avrebbe mandato tutto al diavolo, che una relazione seria non faceva proprio per lui perché la merda che si accumulava sotto il letto e tra le serrature di ogni porta, il casino di quella vita sottovalutata, era l’unica cosa rimastagli e nessuno poteva avvicinarsi.
L’avrebbe contagiato, avrebbe reso Ian insicuro.
Un bel giorno sarebbe tornato a casa e avrebbe visto il mondo, il /suo/ mondo, il suo Ian.
L’avrebbe visto fermo sul letto, con i contorni ben delineati e non sfasati dal tremolio convulso della testa che accompagnava Mickey sin dal primo incontro con il rosso. Si sarebbe avvicinato con la mano tatuata a toccargli una spalla e avrebbe capito di aver contaminato anche lui, di averlo trascinato nel buco nero della propria esistenza, destinato ad essere fuori posto e fuori tempo, a vedere attraverso la lente distorta della paura, della paura di se stessi.
Sarebbero rimasti in quella stanza a mettere radici in quel letto testimone dei peccati dell’amore puro, come foglie secche disintegrate dalla brezza primaverile, avrebbero perso i pezzi uno dopo l’altro, avrebbero perso se stessi.

“E allora sì, Ian, lavati pure dal viso la mia presenza, con quelle lacrime verdi di smeraldo, quella sintesi di perfetto sentimentalismo liberale mentre io resto a farmi mangiare vivo dalle mie stesse viscere, dal cemento armato delle emozioni cristallizzate che credevi fossero diamante da rispolverare e far brillare e in realtà sono solo comune mina da matita che lascia macchie sporche di fuliggine che non lavi più via.
Corri a casa a farti dire quanto sei speciale da quella tua sorella dagli occhi giganti e le mille risorse.
Lip ti sputerà in faccia un te l’avevo detto di funzioni algebriche e limiti aritmetici e bollerà come impossibile il delta della nostra equazione.
Per lui siamo meno di zero.
Poi ci sono gli altri, così piccoli e così migliori di me.
Come faresti a guardarmi in faccia ogni giorno e sopportare la mia voce fastidiosa distorta dal ricordo di Terry che preme su ogni razionalità?
Mi odieresti, mi odieresti così tanto da auto convincerti che desiderarmi morto sia una forma speciale di amore, che voler rincasare e farmi ingoiare tutti i denti a suon di pugni sia l’apoteosi del sentimento.
Mi odieresti per come mi guardo allo specchio la mattina e mi trovo rivoltante, per come mi specchio nei tuoi occhi e trovo te rivoltante per aver solo provato a farmi star bene.
E il giorno del mio matrimonio, mentre tu te ne stavi lì a purificarti da ogni traccia di me, io ero costretto a sopportare la stretta di quella puttana antinazista tra le mani, il suo anello che mi brucia le dita e quel bambino che preme nel suo utero e pretende cose da me che non saprò mai dargli.
E mentre le prime sorsate di birra ti scendevano giù per la gola e nella mente ideavi il discorso perfetto da recitare nell’incoscienza della sbronza, io sceglievo lei per non dover rinunciare a te. „

Ian Gallagher aveva varcato decisamente troppo in fretta la soglia di casa Gallagher, Mickey aveva le orecchie otturate di silenzio da quando il rosso si era sbattuto la porta alle spalle.
Era stata pura vendetta, quella di Ian, la sua rivincita sul dolore.
Mickey se lo immaginava già soddisfatto a scoppiare in lacrime di piacere e rimpianto, credeva di avergli dato una lezione, minacciandolo.
He told me I’d taste the pain. But I taste it every day.
Aveva giurato sotto malcelati linguaggi di segreto rimorso di farlo soffrire. Ebbene, Mickey Milkovich e il dolore erano coinquilini da tempo, ma questo la principessa Gallagher non voleva accettarlo.
  
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