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Autore: vikvanilla    30/09/2013    2 recensioni
"L'Apocalisse degli Zombi è ufficialmente cominciata. Questa è la storia di come le Nuove Direzioni sono riuscite a sopravvivere, e di chi non ce l'ha fatta, a seconda dei casi. FABERRY, Brittana, Samcedes, Klaine, Tike, Wilma e ogni altro tipo di romance o bromance mai immaginata."
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuove Direzioni, Quinn Fabray, Rachel Berry, Sue Sylvester, Will Schuester | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: La seguente storia è frutto del talento di di your.kat, che mi ha dato il permesso di tradurla circa due mesi fa. Better Run rappresenta una sorta di trilogia, di cui "Outrun My Gun" costituisce il primo capitolo. Mi sono presa la libertà di dividere il lavoro in tre parti, di ampiezza quasi uguale, per comodità mia e vostra. Spero soltanto che questa versione riesca ad appassionarvi almeno la metà dell'originale, che vi invito naturalmente a leggere qui : http://www.fanfiction.net/s/7375980/1/Better-Run-Outrun-My-Gun.
Oltre che ascoltare i Foster The People che l'hanno ispirata. Credetemi, sono fantastici ;)
Buona lettura!

PRIMA PARTE

25 aprile 2012, Lima orientale, quartiere commerciale, ore 14.39

Il padre di Mercedes è stato un dentista. A quanto pare, è stato davvero un gran dentista.

Ma ciò non lo ha reso immune al contagio zombificante che aveva preso a devastare l’intera superficie del pianeta, apparentemente nel corso della notte. E quando uno di quei non morti che avanzavano a rilento gli aveva lacerato il tendine di Achille da parte a parte mentre strisciava fuori dall’auto, tirandolo sull’asfalto e sfregiando completamente la sua carne con lui che gridava in preda all’agonia, il dentista si era trasformato soltanto nell’ennesimo caso.

Un altro caso su scala mondiale nell’apocalisse degli zombi. E Mercedes non lo avrebbe nemmeno mai saputo.

25 aprile 2012, da qualche parte a sud, Ohio, ore 15.22

Fu in un caldo pomeriggio di fine Aprile che il mondo precipitò letteralmente all’inferno.

Quella mattina, le Nuove Direzioni del liceo McKinley erano partite presto per una specie di gita scolastica: una visita all’Ohio State University, dove avevano osservato diversi gruppi artistici dell'istituto dar prova del proprio talento. La maggior parte dei ragazzi era all’ultimo anno, e aveva già fatto richiesta e ottenuto conferma da vari college. Perciò quella gita era stato il saluto finale di Schuester ai suoi, per così dire, diplomandi, i ragazzi che lo avevano aiutato a tramutare in realtà le sue idee per le Nuove Direzioni.

E mentre il cameratismo, l’amicizia, erano venuti col tempo, nessuno aveva previsto quest’epica prova delle loro forze. O delle loro debolezze…

Beh, forse una sola persona ne aveva avuto il presentimento.

Sul pullman che nel giro di tre ore li avrebbe ricondotti a Lima, il signor Schue stava sparando con piacere i pezzi di una stazione di rock classico che rimbombavano a tutto volume dagli altoparlanti. Finn, naturalmente, aveva preso l’iniziativa.

E tutti avevano preso parte, cantando in coro, crogiolandosi nella presenza degli altri. Ma poi i Doors si spensero con un scricchiolio improvviso, e al loro posto la voce terrorizzata, disperata di un deejay fece capolino dagli altoparlanti del pullman.

“zombi, insomma. Fottuti zombi! Questo non è uno scherzo. Ripeto: questo non è un fottuto scherzo, gente. Sta succedendo qualcosa di assurdamente schifoso, proprio adesso. Trovate le vostre famiglie, i vostri bambini, proteggetevi! Attualmente la polizia sta cercando di…”

Il deejay proseguì ancora e ancora, squarciando il pesante silenzio che era disceso sul glee club.

Il padre di Mercedes era già un morto vivente. Non che lei sapesse o altro.

“Ma che cazzo…” mormorò Puck tra sè e sè, facendo vagare lo sguardo sino ad incrociare quello del suo migliore amico.

Finn mise su la sua tipica espressione stoica, deglutì rumorosamente e annuì in direzione di Puck. In silenzio, riconobbero di essere l'uno la salvezza dell'altro fino alla fine della giornata, non importava da cosa.

Tina scoppiò immediatamente in singhiozzi, gettandosi tra le braccia di Mike e gloglottando in modo incoerente di sua madre e di suo padre, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Mike non potè fare altro che avvolgerla a sé e depositarle rassicuranti baci sulla fronte. “Va bene…” Kurt lo sentì sussurrare. “Andrà tutto bene."

Ma Kurt non ne era così sicuro. Si passò distrattamente le dita tra le onde dei capelli. Quando ritornarono al loro posto, come previsto, si sentì stranamente rinfrancato. Uno dei suoi primi pensieri andò a Blaine, il suo ragazzo da quasi un anno intero, ormai. E poi a quel pensiero seguì un senso di colpa, per non aver pensato subito a suo padre e a Carole piuttosto. Però Kurt sapeva che Burt avrebbe protetto la moglie. Blaine, d’altro canto… Blaine era a casa da solo, quel giorno, oppresso dalle coperte e malato. Debole. Privo di protezione.

Mercedes era seduta tra le prime file. Sam le stava accanto, la chitarra acustica adagiata mollemente in grembo. A un certo punto il suo plettro era caduto a terra ed era rimasto lì da un bel po’. “Sta scherzando, giusto?” chiese disinvolta Mercedes, ridendo. Era sull’orlo dell’isteria, e tutti quelli attorno a lei potevano avvertirlo. “Signor Schue” domandò di nuovo. “Sta scherzando…vero?”

La maggior parte dei ragazzi sul pullman si voltò a guardare in direzione del signor Schue. La sua bocca si aprì e si chiuse un paio di volte. I suoi occhi guizzarono sul lungo specchio retrovisore, lanciando qualche sporadica occhiata ai ragazzi di cui doveva aver cura. Ma non rispose. E le auto che a un tratto avevano cominciato a scorrergli intorno come impazzite lo spronarono ad accellerare. “Torniamo semplicemente a casa” annunciò finalmente, girarandosi, come se quella fosse la risposta a tutti i loro problemi.

Con uno scatto veloce del pollice, spense la radio.

Artie giocherellava con le sicure delle sue ruote. Si chiedeva se quella sedia avrebbe finito col costituire un vantaggio o uno svantaggio per lui. Iniziò ad immaginarsi catapultato sull’asfalto, con un’ orda di zombi inferociti alle calcagna. Ottimisticamente, decise di considerarla un vantaggio.

“Pensi che domani non ci sarà scuola?”

Santana si voltò a guardare la sua ragazza. “Penso di sì, B”. Allungò la mano e strinse quella della bionda. “Non siamo a Sunnydale. Dubito che ci riprenderemo da un'eventuale apocalisse notturna”. A questo punto, Santana non era molto sicura di poter far qualcos’altro oltre a tranquillizzare la ragazza che le stava accanto. I pensieri le stavano già affollando la testa mentre con il pollice accarezzava il palmo di Brittany e i suoi occhi, ridotti a due fessure, guardavano in lontananza attraverso il finestrino.

Tuttavia, l’unica persona che tutti si aspettavano si mettesse a ciarlare a ruota libera sulla situazione attuale era rimasta, quasi curiosamente, in silenzio per tutto il tempo. Mentre la maggioranza ne stava già venendo a capo, Rachel si stava rosicchiando il labbro inferiore a occhi completamente serrati. Le sue labbra si muovevano freneticamente in mormorii raccolti, e le sue dita si muovevano come se stesse compilando una lista mentale.

Cosa che effettivamente stava facendo.

E mentre Rachel era intenta a ideare e programmare, come se avesse previsto questo momento, Quinn stava seduta a contemplare il mondo fuori con un’espressione gelida in viso. Era una statua. Era dura, fredda, irremovibile. Quinn Fabray si stava preparando. Tanto tempo fa, così pareva, la sua famiglia l’aveva abbandonata. E, al suo posto, questo club eterogeneo aveva riempito quel vuoto enorme con amore e conforto e accettazione.

Le era bastato ascoltare quel tipo alla radio che stava sudando del suo stesso terrore soltanto per tre secondi per far sì che Quinn prendesse la sua decisione.

Li avrebbe protetti lei, queste persone.

Li avrebbe protetti, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua.

25 aprile 2012, verso i confini della città di Lima, ore 17.58

Il signor Schue slittò lungo la rampa di uscita e i suoi studenti si tennero stretti agli schienali per restare dritti. Quindici minuti dopo, stava scansando le auto abbandonate e le donne e gli uomini ugualmente isterici, in una disperata corsa per raggiungere la scuola.

“Signor Schue, aspetti!"

Il professore azionò i freni nel mezzo di un incrocio generalmente trafficato e si voltò a guardare attraverso lo specchio la figura di Rachel Berry che camminava piano per il corridoio. La ragazza si avvicinò alla sua spalla destra e disse, “Per favore, svolti qui a destra. Dobbiamo andare a casa mia.”

“Per fare cosa?” domandò adirata Mercedes, alzandosi in piedi e affrontando la piccola diva. “Far visita alla tua famiglia? E noialtri? La casa di Sam è più vicina. O anche quella di Artie!”

“Ma loro non hanno provviste” rispose semplicemente Rachel, in tono perfettamente calmo. Fissò Mercedes per un paio di istanti prima di rivolgersi di nuovo a Schuester. “Svolti a destra, signor Schue.”

Il signor Schuester per poco non ribaltò il pullman due volte quando tentò di scansare la folla: persone con abiti trappati, che si trascinavano senza fretta e con palese disorientamento giù per le strade.

Nessuno si prese il disturbo di commentare riguardo la possibilità che fossero zombi o meno.

Quando accostarono davanti casa di Rachel, la ragazza lasciò che il suo cuore cedesse per un unico istante non appena si accorse che nessuno dei suoi padri sembrava essere in casa.

Nonostante tutto quello che aveva fatto per i ragazzi del glee club durante gli ultimi tre anni, Rachel veniva ancora fortemente disprezzata dalla maggior parte di loro. Persino Finn aveva sprecato le sue occasioni, tutte e sette, o qualunque altro numero avesse totalizzato nel corso delle vacanze invernali.

Veniva disprezzata, tutto qui, finchè non mostrò al club che la sua pedante e maniacale attenzione per i dettagli includeva come prepararsi a una apocalisse zombi.

“Mi stai prendendo per culo” sibilò Puck in soggezione dopo che lui, Finn, Mike e Sam ebbero raggiunto lo scantinato di Rachel sotto la guida della ragazza. Quattro grossi recipienti di metallo erano addossati lungo le pareti, e l’arredo era decisamente cambiato dall’ultima volta, quasi un anno e mezzo fa, in cui erano stati a casa Berry. Il piccolo palco era sparito e il bar era stato unificato a una raffinata libreria in un angolo della zona.

“Che?” domandò Rachel, aprendo la prima cassa ed estraendo munizioni in successione. “Pensi che non abbia preso appunti mentali mentre guardavo te e Finn giocare a Resident Evil?” Lo schernì palesemente prima di indicare l’altra parte della stanza. “Sam, prendi quelle fondine. Ci possiamo caricare le pistole. Presto, per favore.”

E nel giro di novanta minuti, Rachel aveva trasformato il glee club in una forza armata.

Non che la maggior parte di loro avesse mai tenuto in mano un qualsiasi tipo di pistola prima d’ora, figuriamoci fare fuoco. Ecco perchè alcuni scelsero delle mazze da baseball in metallo. Adatte ai neofiti.

Salirono di nuovo tutti sul pullman, Puck con una cassa extra piena di whisky e vodka e qualunque altro liquido fosse stato in grado di arraffare (perchè i superalcolici ovviamente sarebbero stati essenziali), e ciascuno dei ragazzi con diversi foderi legati alla schiena e attaccati alle loro braccia robuste.

E poi accadde qualcosa di strano.

Il signor Schuester si voltò verso Rachel e le chiese, “E adesso dove si va, Rachel?” E se già quello era strano, la cosa più stramba di tutte fu che nessuno mise in dubbio la sua scelta di affidare il comando a Rachel anziché assumerlo autonomamente.

E davvero, a questo punto, non si sarebbero dovuti sorprendere della risposta di Rachel. La ragazza si rivolse a Mercedes e disse, “A casa dei Jones."

Mercedes sembrò leggermente colta alla sprovvista, ma informò Schuester su come arrivarci senza fare domande.

“Perché casa di Mercedes?” chiese Kurt a Rachel una volta che il pullman ebbe ripreso il suo cammino. Un trasalimento collettivo colpì i presenti non appena un cadavere rianimato balzò in avanti nella loro direzione. Il tonfo sordo, segno che Schuester non era riuscito a evitarlo, li spaventò leggermente. Tina ricominciò a piangere.

Rachel fissò la strada che portava a casa di Mercedes finché ne fu capace. Infine, si rivolse a Kurt con un un’espressione insolita in viso. “Hai visto casa sua, giusto?”

“Certo” rispose Kurt, agitando con impazienza una mano per aria. “Lei è una delle mie migliori amiche, lo sai. E ci siamo anche andati assieme. È praticamente un palazzo –“

“Sì” lo interruppe Rachel. “Esattamente. È enorme. E l'anno scorso, suo padre lo ha fatto circondare con uno steccato in ferro battuto, ricordi?” Kurt sgranò gli occhi e capì, momentaneamente terrorizzato dalla piccola donna che gli sedeva di fronte. “Per certi versi non è perfetta” disse Rachel dolcemente, quasi rivolta a se stessa, di nuovo. “Ma servirà allo scopo."

Il pullman si arrestò davanti a casa di Mercedes. Il benessere economico di suo padre si rifletteva nell’aspetto, nella struttura imponente, e nella costosissima barriera alta due metri che accerchiava il palazzo.

Il cancello rimase immobile mentre il signor Schue si avvicinava. “Un momento” disse Mercedes, additando la porta del pullman. “Fatemi digitare il codice di accesso per aprirlo”. Le sue mani tremarono quando si aggrappò al quadro comandi del bus.

Il signor Schue le aprì la porta e il glee club, trattenendo il respiro, osservò Mercedes che si avventurava giù per la scaletta del pullman. Prima che i suoi piedi toccassero il marciapiede, comunque, Quinn strappò via la mazza dalle mani di Tina e seguì Mercedes senza fiatare.

Digitando la sequenza numerica, Mercedes premette più volte il tasto ENTRA. Il sudore le imperlava la fronte. Il cuore le batteva convulsamente in petto.

Finalmente, il cancello si aprì, con una lentezza quasi opprimente.

Poi il suono di un lamento relativamente prossimo gelò il sangue nelle vene di tutti.

Tutti eccetto Quinn.

“Torna nel pullman, ‘Cedes” disse pacatamente Quinn prima di voltarsi verso lo zombi che, grossomodo, stava correndo loro incontro lungo il margine dello steccato. Mercedes a momenti inciampò nel risalire sul pullman, crollando tra le braccia di Sam che l’attendevano.

La creatura indossava un completo, e la sua testa letteralmente esplose sotto l’impatto della spessa coda della mazza di Quinn.

Fu quello il momento che, in concreto, definì la loro futura convivenza. Molti di loro per qualche tempo non lo compresero, ma non cambiava nulla: perchè mentre l’addestramento di Rachel avrebbe permesso a quel gruppetto di terrorizzati-fin-dentro-le-mutande di sopravvivere, divenne chiaro alla svelta che l'aggressività di Quinn, finora ben celata, avrebbe concesso loro di vivere.

Quinn tornò sul pullman, la mazza da baseball ancora stretta con tenacia tra le dita della mano destra. Appariva surreale in quel momento, con il prendisole rosa chiaro e il cardigan bianco sulle spalle, la mazza grondante di appiccicosi resti zombi e un’espressione severa sul volto. “Andiamo,” disse passando accanto al loro insegnante leggermente stupefatto. Con uno scatto, il signor Schuester raddrizzò la mascella spalancata. Premette l’accelleratore, percorrendo l’innocuo tragitto che conduceva a casa dei Jones.

“Hai del…” la voce di Brittany si affievolì, indicando la spalla di Quinn mentre la ragazza andava a sedersi tra gli ultimi posti. “Proprio…lì.” Si chinò in avanti e con la punta della mazza gettò via un pezzo di tessuto cerebrale dalla maglietta di Quinn.

“Grazie Brit,” replicò con calma Quinn, appoggiando la fronte contro il finestrino fresco del pullman.

Rachel osservò lo scambio in silenzio. Tuttavia, sapeva per istinto di aver appena trovato una potente alleata. Rachel riusciva a immaginare cosa stava probabilmente accadendo all’infuori del suo piccolo mondo in questo momento, ma la maggior parte degli altri di sicuro non ci era ancora arrivata. Quinn, comunque, aveva dimostrato di essere disposta a farsi avanti. Si trattava proprio di quel genere di gesto che Rachel si aspettava da qualcuno.

Dopo che furono usciti in massa dal pullman, Mercedes schiacciò un bottone vicino a una delle porte del garage. Il cancello metallico del cortile cominciò a richiudersi in lontananza. Come un sol uomo, si voltarono tutti a guardarlo. E quando sì serrò completamente con un tintinnio e li bloccò all’interno, il gruppo sospirò all'unisono.

Nessuno era a conoscenza della morte del dottor Jones. I ragazzi non sapevano che ora lui era uno di quei cadaveri che camminano, che incespicava nella drogheria tra la Terza e la Principale, intento a masticare rumorosamente il braccio proteso della signora Cohen-Chang, e cercando nel contempo di agguantare il più giovane dei suoi figli, Tim.

Sapevano soltanto di essergli grati per aver fatto il dentista. Poiché quella dannata e costosa recinzione era molto più confortevole di quanto la maggior parte di loro fosse disposta ad ammettere.

22 luglio 2012, Base Madre, ore 8:52

Questo accadeva cinquantotto giorni fa.
Cinquantotto giorni potranno non sembrare chissà quanti, ma diventano un autentico scazzo quando ti tocca lottare per la tua vita ventiquattr'ore su ventiquattro per sette giorni alla settimana.

Quinn se ne stava comodamente appoggiata alla ringhiera del balcone sotto i suoi gomiti. Era tarda mattina, e una fresca brezza accarezzava la sua pelle. Le corte ciocche bionde le ricadevano sul viso, ma non lei non le spinse indietro. Soltanto, chiuse le palpebre e prese un profondo respiro.

“Quinn!”

Inclinò la testa a sinistra, gli occhi ancora chiusi. Se fosse stato importante, Santana le avrebbe gridato contro un’altra volta prima di minacciare di andare a farle il culo.

“Q, ora non sto proprio scherzando!”

Un microscopico sorriso compiaciuto le ingentilì le labbra, dopodiché Quinn si voltò e dalla camera da letto principale scese giù per le scale. Le ci volle meno di un minuto per arrivare in soggiorno, Il Quartier Generale, se vogliamo, ma Santana roteò gli occhi comunque non appena Quinn fece il suo ingresso.

“Che succede?” domandò Quinn, prima di sistemarsi alle spalle di Artie. Il ragazzo era diventato l’esperto a cui si rivolgevano quando si trattava di tecnologia. E, nel corso delle ultime settimane, erano riusciti a scovare un po’ di attrezzature abbandonate per la città. Non era stato facile, e non lo avevano sempre fatto nel più brillante dei modi. Però ora Artie sedeva di fronte ad una collezione piuttosto formidabile di computer,GPS, sistemi di pedinamento, e una fila lunghissima di walkie talkie sotto carica.

Artie sollevò un dito e indicò il ricevitore per le comunicazioni importanti da cui attendeva una risposta decisiva.

E poco dopo, la voce gracchiante di Puck giunse ai canali. “Confermato” disse. “Si trova sicuramente da qualche parte nel suo ufficio. Per entrare bisogna prima effettuare una validazione. Pare che lei possedesse quasi un’intera documentazione a riguardo.”

“Ha senso,” mormorò tra sè e sè Artie. “La Sylvester è sempre stata una donna previdente." Arricciò le labbra prima di schiacciare il pulsante di trasmissione e dire “Grazie Puck. Aggiornerò Quinn sulla situazione. Passo e chiudo.”

“Ricevuto,” replicò Puck.

Artie si allontanò dal tavolo e ruotò direttamente verso Quinn. “Puck e Finn hanno rinvenuto alcune informazioni preziose durante il raid di stamattina a casa della Sylvester.”

Quinn annuì solenne. Sapeva che sarebbero usciti. Lei invece aveva preferito restare a casa di Mercedes, malgrado l’avessero ribattezzata Base Madre da diverso tempo ormai, sopratutto per evitare di pronunciare il nome della ragazza. Quinn aveva voluto restare accanto ad Artie e all’impianto di comunicazione nel caso in cui Rachel e Kurt si fossero trovati in difficoltà durante la loro missione. “Che genere di informazioni?” domandò, cercando di farlo arrivare subito al punto.

Il ragazzo le ruotò attorno per fissare la mappa di Lima che avevano attaccato al muro un paio di giorni prima. Era abbastanza bassa perché Artie riuscisse leggerla senza sforzo. “Il tuo obiettivo,” disse, muovendosi in avanti per afferrare una puntina da disegno “è il liceo”. Artie conficcò la puntina nella destinazione di Quinn. Si voltò per averla di fronte mentre la ragazza fissava la puntina rossa sulla mappa. “A quanto sembra, la Coach Sylvester è in possesso di un qualche tipo di computer centrale ad alta tecnologia che tiene nascosto in ufficio. Parte del suo sistema include un dispositivo per le segnalazioni ad alta frequenza.” Fece una pausa, probabilmente per creare suspance e di certo non per scoglionare Quinn, sebbene ci stesse andando molto vicino. “Potrebbe farci uscire fuori da questo buco, Quinn, se potessimo usarlo per attirare l’attenzione delle persone giuste."

Tina era nella stanza, e Quinn la sentì smorzare un singhiozzo. Santana, ad ogni modo, fu la prima a prendere parola. “Non sono l’unica a chiedersi dove diavolo sia finita la coach, giusto? È un po’ preoccupante, se uno ci pensa...” Per tutta risposta, la camera fu invasa dal silenzio. Persino Quinn corrugò la fronte più del solito: si trattava decisamente di qualcosa che l’aveva tenuta sveglia per diverse notti. Quando comprese che nessuno le avrebbe risposto, Santana proseguì: “Quindi è nascosto da qualche parte nel suo ufficio?”

Artie fece un cenno di assenso. “Sì. Pare che abbia una stanza segreta edificata da qualche parte nella scuola, presumibilmente collegata al suo ufficio. Se i suoi diari sono esatti, e dobbiamo supporre che lo siano, allora quella stanza ospita il tipo di tecnologia che ci permetterà di metterci in salvo."

“Va bene,” disse Quinn, afferrando un apparecchio radiofonico dalla stazione di espansione, già sul punto di lasciare la stanza. Si fermò sul telaio della porta e si voltò verso Artie un’ultima volta, “C’è altro che devo sapere, Abrams?”

Il ragazzo si morse l’interno della guancia, spingendo la mascella di lato in una sorta di tic nervoso. “Solo…” Lei sollevò un sopracciglio, esortandolo a non sprecare il suo tempo. “Sai in che condizioni era la scuola l’ultima volta che ti sei avvicinata”. La ragazza annuì appena. “Dobbiamo ipotizzare che si sia ridotta ancora peggio a questo punto. È probabilmente il posto più pericoloso di Lima, Q."

Quinn ne era al corrente. Si ricordò di quelle prime, poche settimane in cui perlustrava il vecchio liceo con Sam a guardarle le spalle. Avevano visto una disgraziata avvicinarsi troppo alla scuola. La tizia era in sella a una bicicletta, e i raggi delle ruote erano arrugginiti tanto da produrre un acuto rumore metallico, che era valso come richiamo per i nonmorti. Sam aveva cominciato a gridare alla giovane donna di scappare, ma Quinn gli aveva menato un rapido ceffone sulla bocca. I cadaveri le si erano gettati addosso come un’onda, tagliando la sua carne fino a scoprirne le ossa, consumando allo stesso modo membra e organi. La ragazza non si rianimò nemmeno dopo che gli zombi, a tentoni, rientrarono a scuola, emettendo lamenti chiassosi nella loro ormai familiare cacofonia.

Sam si era mostrato coraggioso durante il sopralluogo. Tuttavia, a notte inoltrata, Quinn lo aveva sentito urlare nel sonno.

“Comprendo i rischi,” disse Quinn, adottando il pacato, freddo, imperturbabile tono di voce che aveva perfezionato nel corso degli ultimi cinquantotto giorni. Pensò alle persone che erano in questa stanza insieme a lei, le persone lì fuori per le strada di Lima, cosa restava delle Nuove Direzioni, il gruppo di individui che aveva finito con l'amare. Le persone che doveva proteggere. E pensò al maledetto dispositivo di segnalazione o qualunque altra cosa Artie necessitava che lei recuperasse. “La ricompensa è più importante del rischio. Di gran lunga.”

Si voltò e abbandonò la stanza, e al suo passaggio udì a malapena Tina augurarle, in un sussurro delicato, “Buona fortuna.”

Ore 8.59

Santana le stava quasi alle calcagna mentre Quinn si dirigeva verso la spaziosa lavanderia situata lontano dalla cucina. Col tempo, la cucina era divenuta l’ultima stanza che la maggior parte di loro attraversava uscendo dall’edificio, e la prima stanza a essere varcata una volta tornati felicemente alla Base Madre.

“Mi lascerai venire con te stavolta?” le chiese Santana.

Quinn poteva percepire l’esasperazione contenuta a stento nella voce impetuosa della latina. Sin da quando Mercedes…Sin da quando Quinn aveva fallito nel mantenere la promessa fatta a se stessa (soltanto una volta, soltanto una fottuta volta non era riuscita a proteggere le persone attorno a lei) aveva smesso di farsi accompagnare da chiunque durante le sue uscite. E, da vera ipocrita, non aveva mai permesso a nessuno di lasciare la Base Madre senza un compagno. “Dovete avere qualcuno che vi guardi le spalle,” aveva detto con calma a Rachel quando la piccola diva aveva contestato la nuova regola imposta da Quinn a seguito dell’Incidente Mercedes. “E per quanto riguarda le tue di spalle, Quinn?” aveva obiettato con furia Rachel. Quinn non aveva esitato nel risponderle, “Le mie spalle sono a posto così."

“La prossima volta magari." Era classica risposta di Quinn.

“Fottiti, stronza,” replicò Santana. Ma a questo punto, il suo tono era semplicemente rassegnato. Quinn era consapevole che la ragazza non si aspettava chissà cosa da lei. Quinn era anche consapevole del fatto che Santana si sarebbe distratta troppo facilmente se le avesse concesso di venire: mentre loro due erano via, non avrebbe fatto altro che preoccuparsi per Brittany, nonostante Brittany fosse al sicuro alla Base Madre. “Vediamo di renderti presentabile,” disse l’altra ragazza, già agguantando le armi da fuoco attaccate alle pareti.

“Non dimenticare le mie piccole,” disse Quinn infilandosi gli anfibi, allacciandoseli stretti e saldando le stringhe sopra la punta.

“Non me lo sognerei mai." Santana afferrò l’arma preferita di Quinn, due pistole silenziatrici La France RSB in nero smaltato. Di solito i ragazzi optavano per fucili e doppiette. Ma le armi preferite di Quinn erano leggere, come pure le cazzo di pistole silenziose più pericolose del loro arsenale.

Quinn si domandava sempre come Rachel avesse fatto a procurarsele. Ma non si era mai sentita in dovere di chiedere.

In meno di quindici minuti, Quinn era del tutto “presentabile”, con le pistole agganciate alla vita e alla schiena, pugnali favolosamente lunghi nelle custodie annesse agli anfibi, e con addosso più munizioni di quante sperava le sarebbero mai servite. Indossava dei pantaloncini kaki che mettevano in mostra le sue lunghe cosce toniche. Del materiale in eccesso avrebbe prodotto solo un eccessivo baccano: Quinn aveva sviluppato un’eccezionale capacità di muoversi furtivamente e senza fare rumori. Inoltre indossava una canotta verde scuro, e si godeva la confortante sensazione del freddo metallo delle armi contro le scapole.

Quando Quinn si girò verso la porta a lato, Santana le afferrò il polso. Quinn si voltò a guardare la sua amica, la sua migliore amica da quando avevano quattordici anni. “Sta’ attenta,” le disse Santana, in tono forte e deciso.

I loro occhi si incontrarono: due paia nocciola e due profonde pozze marrone scuro. Quinn le donò un sorriso raro. Sul serio, era poco più di un minuscolo ghigno. Ma Santana annuì ferma, fece voltare Quinn tenendola per le spalle e le diede uno schiaffo sul culo mentre la ragazza usciva dalla porta, diretta al garage adiacente. Santana chiuse la porta dietro Quinn prima di correre a cercare Brittany.

Ore 9.06

A quanto pare, il fratello maggiore di Mercedes era stato un patito di motociclismo. Puck aveva rapidamente scelto per sé una Ducati nera, ma Quinn non faceva caso alla sensazione del modello verde tra le gambe. Mike le aveva insegnato a guidare un paio di settimana (le personalità di Quinn e Puck assieme stridevano troppo perché lui le fosse di una qualche utilità nell’apprendere i trucchi del mestiere). Lei aveva imparato in fretta, come se fosse la sua seconda natura.

Quinn stava imparando un sacco di cose come fossero la sua seconda natura, dopo che il mondo era precipitato all’inferno.

Infilò il casco verde chiaro sopra le ciocche rosa dei capelli. Il casco era stato il suo…compromesso, così per dire, con Rachel. “Se hai intenzione di uscire di casa, rischiando la tua vita a destra e a manca mentre noi ce ne stiamo qui a scaldarci le chiappe, il minimo che puoi fare è indossare un dannato casco!”

Perciò Quinn aveva iniziato a mettere il casco. Dopotutto, sarebbe stato da cretini fare di tutto per non trasformarsi in zombi solo per finire in un grumo di sangue sull’asfalto.

Quinn avviò con un calcio il motore. Schiacciando un pulsante sul quadro della sua motocicletta rombante, accellerò e sfrecciò via dal garage che si stava ancora alzando.

Mike sostava presso il cancello d’ingresso della proprietà. Aveva cominciato ad aprirlo non appena aveva avvistato il garage sollevarsi. Mentre attraversava lo stretto che dava sul vialetto dove il cancello si stava aprendo lentamente, Quinn lasciò cadere la mano e gli offrì un segno di pace, due dita alzate in un saluto di ringraziamento. Lui la salutò a sua volta e immediatamente richiuse il cancello.

L’ultimo pensiero di Quinn, formatosi in modo straordinariamente ironico, considerando dov’è che lei stessa si stava dirigendo, andò a Kurt. Sperò che stesse bene. Perché se Kurt stava bene, allora Rachel stava bene.

Con un calcio scalò la marcia e sfrecciò tra i sobborghi deserti verso il liceo William McKinley.

Ore 9.08

La Base Madre era dotata di una gigantesca veranda che la circondava completamente. E non appena il lampo verde meglio noto come “Quinn In Missione” sfumò in lontananza, il rombo del motore che svaniva con lei, Sam, Santana, Brittany, Artie e Tina rimasero a fissare la sua scia con espressione solenne.

“Secondo voi quand’è che Quinn è diventata così figa?” chiese Artie, spingendo gli occhiali su per il setto nasale e coprendo con le mani il walkie talkie sulle ginocchia.

Dopo aver corso per il cortile Mike saltò in veranda. Immediatamente allungò la mano e afferrò quella di Tina. Artie non diede alcun segno di averlo notato, o di fregarsene alcunché. Quando si verifica la fine del mondo, alcune cose, semplicemente, smettono di infastidirti.

La voce di Sam, quando prese parola, era mesta, calma, timida, proprio com’era sempre stata da quando avevano perso Mercedes. “Penso di conoscere il momento esatto…”

30 aprile 2012, Lima centrale, ore 15:33

Il sole aveva già superato il suo punto più alto nel cielo. Stava per calare verso ovest, e tuttavia Finn sosteneva che quello sarebbe stato il momento migliore per avvistare e sparare agli zombi.

Tiro al bersaglio.

Quinn e Rachel erano state le uniche ragazze a voler imparare a usare il fucile, perciò si erano accodate ai ragazzi. Santana le aveva sminuite con un arrogante “Che cosa? Non vi serve un certificato per tenere in mano una fottuta doppietta." Ma Quinn sapeva che si era tirata indietro soltanto perché quella mattina Brittany aveva avuto un incubo ed era ancora piuttosto sconvolta.

Tuttavia, arrivati questo punto, anche loro erano alquanto sconvolte, dannazione, a volerla dire tutta. Però Quinn aveva bisogno di fare qualcosa. Erano passati un paio di giorni da quando aveva fatto fuori il suo primo zombi, e la sua pelle era ancora un formicolio. Era un sentimento bizzarro, ma Santana aveva le aveva detto che si trattava della Fame e Voglia che assale tutte le cacciatrici di demoni, e di non preoccuparsene troppo.

“Allora…” la voce di Mike assunse un tono scettico. “Quanti di voi hanno mai usato un fucile nella vita reale?”

Alzò la propria mano, e così fecero Sam, Puck, e Rachel. Rachel che sollevava la mano avrebbe dovuto sbalordirli. Ma la maggior parte di loro aveva smesso di stupirsi di lei già da un pezzo.

“Immagino che le partite a Halo non contino, giusto?” domandò Finn.

Mike scosse la testa, e per una manciata di minuti lui e Sam illustrarono ai compagni le precauzioni base che dovevano prendere. Poi ciascuno dei sette ragazzi e delle due ragazze sul tetto abbracciò il suo fucile personale. “Il mio si chiamerà Betty” disse Puck, lisciando il fianco dell’arma.

Rachel sospirò e roteò gli occhi. “Sei così scontato, Noah.”

“Benissimo, come si chiamerà il tuo?” la sfidò il ragazzo.

“Melchiorre.”

“Oddio…”

“Ok ragazzi,” li interruppe Sam. “Guardate…” Alcuni zombi gironzolavano per strada. Un brivido collettivo attraversò le loro spine dorsali. “Prendete la mira con il mirino. Tenete entrambi gli occhi aperti. E poi premete con forza il grilletto. In questo…modo." E così Sam abbatté il primo zombi del gruppo a buona distanza.

I ragazzi fecero a turno per congratularsi, dandogli pacche sulle spalle. Finn gli dedicò uno schiamazzo, ma Quinn li zittì velocemente. “Sssh,” sibilò. "Più creiamo baccano, più ci rendiamo visibili. Guardateli adesso."

Infatti, una dozzina di zombi in più (come minimo) aveva già preso a muoversi per le strade, guardandosi intorno alla muta ricerca della fonte del baccano. Per fortuna, lo sparo risuonò da alcuni edifici alti nel centro cittadino. La loro posizione non era stata compromessa.

“E’ necessario che vi esercitiate ancora un po’ prima di andare," interloquì Mike “Su. Sceglietevi tutti un bersaglio.”

“Io prendo il tizio di fronte al negozio di ciambelle.”

“Io quella vecchia barbona su Phelps Street che sembra la signora Brady.”

“Ooh, io sparo al signore con quell’adorabile vestito vintage!”

E così via eccetera eccetera.

Sam, dal fondo alla fila, quasi ordinò: "Puntate alle teste."

E poi, prima che chiunque altro avesse modo di mettere pienamente a fuoco il proprio bersaglio, Quinn aveva premuto il grilletto.

Il nonmorto che stava attraversando le strisce pedonali a cinquanta iarde di distanza si afflosciò al suolo. Poi la sua testa esplose all’altezza delle spalle. Sei paia di occhi balzarono su Quinn e la guardarono. Alcuni con curiosità, altri con rispetto.

Un paio di occhi con qualcosa di pericolosamente vicino al desiderio.

Quinn non aveva nemmeno distolto lo sguardo dal mirino. Passò al prossimo bersaglio e gli fece saltare la faccia con un’altra pallottola ben direzionata.

Certo, tutti loro stavano provando un sacco di cose. Ma l’unico sentimento che li accomunava era la speranza.

22 giugno 2012, Base Madre, ore 9.29

Quando Sam finì il racconto, Mike approvò con la testa. “Già,” aggiunse. “Fu piuttosto intenso."

Tina scosse la sua, di testa, le lunghe ciocche che le ricadevano sugli occhi. Se ne portò una dietro l’orecchio sinistro e disse, “Penso sia stato quando venne da me per farsi aiutare col nuovo look. Quando modificò finalmente il suo aspetto esteriore perché fosse in sintonia con ciò che era diventata dentro. Ecco quand’è che ha abbracciato la sua figaggine…”

17 maggio 2012, Base Madre ore 12.16

“Ehi Tina,” fece Quinn lasciandosi cadere con un leggero tonfo accanto alla ragazza sul bancone della cucina.

“Ehi Quinn,” rispose Tina. “Che succede?”

Le mani di Quinn giacevano in grembo, mentre le dita giocherellavano con l’orlo sfilacciato dei jeans strappati. “Ti sei tagliata i capelli da sola, T?” Tina annuì con un piccolo sorriso sulle labbra. “Pensi di poter tagliare i miei?”

“Certo! Hai qualche richiesta?”
“Sì”, disse Quinn. “Stavo pensando di imitare la cresta di Puck, ma non voglio sconfinare nel suo territorio.” Strizzò l’occhio a Tina per farle capire che stava scherzando, un pochino. “Qualcosa di corto comunque, poco ma sicuro. E, mm, che ne dici di colorarli? So che ti sei tinta alcune ciocche di recente.”

“Oh sì è vero. In effetti, la mia sorellina è davvero brava con…” e poi la voce di Tina si affievolì. Per lei, l’argomento più delicatoi era la propria famiglia.

Quinn si sentì male dall’imbarazzo. Non aveva intenzione di scombinare Tina. “Bene, credi di potermi aiutare a tingere i miei?” Da dietro la schiena tirò fuori una scatola per il colore. “L’ho rubata l’ultima volta che sono andata con i ragazzi in cerca di provviste." Non appen videro il colore, le lacrime di Tina si asciugarono quasi all’istante. “D’accordo” disse, “facciamolo.”

E un’ora più tardi, Quinn stava scuotendo i suoi nuovi, increspati, luminosi capelli rosa con un sorriso che Tina non vedeva da tantissimo tempo. Aveva le lacrime agli occhi quando Quinn l’abbracciò e lasciò la stanza, ma per una volta le sue erano lacrime di gioia. Semplicemente, Quinn irradiava qualcosa di…ottimistico. E Tina ne aveva piuttosto bisogno.

Diavolo, tutti loro ne avevano.

22 giugno 2012, Base Madre, ore 9.35

Non appena Tina prese a raccontare del makeover di Quinn, Santana la derise all'istante ed espresse la sua opinione. “Col cazzo, stronzi. Sono tutte scemenze. Usare un fucile per la prima volta, o uscire dal paradiso della tintura conciata come una bulletta macha e favolosa non è abbastanza per cacciare fuori un’aggressività così occulta. Credetemi, è successo quando Quinn ha avuto a che fare con quel bastardo di suo padre…”

3 maggio 2012, Lima orientale, quartiere commerciale, ore 10.14

Brittany, Santana, Quinn, Sam e Mike procedevano con lentezza lungo una delle vie principali di Lima. Nel retro del pickup guidato da Mike vi erano stipate diverse taniche colme di benzina, ma i ragazzi possedevano altri due veicoli pronti a trasportare il prezioso liquido. Il giorno prima, Puck e Finn erano tornati alla Base Madre con tre massicci generatori nel retro furgone. E, a quanto pare, ce n’erano altri in zona.

Perciò avevano bisogno di carburante.

La radio crepitò dal quadro comandi della Jeep di cui Quinn era al volante. “Dobbiamo fermarci alla pompa di benzina sulla sinitra." Lei non si prese il disturbo di rispondere.

Santana era seduta sul sedile per i passeggeri e Brittany era protesa verso la spalla destra di Quinn, standosene appoggiata con i gomiti su entrambi i sedili. Con la coda dell’occhio, Quinn osservò Santana stendere una mano all'indietro e intrappolarla con delicatezza in quei capelli biondi.

Entrarono alla pompa di benzina. Quinn e Brittany afferrarono le due taniche vuote che avevano nel bagagliaio. Sam aveva già cominciato ad aspirare la benzina dal distributore abbandonato. Quando l’ultima tanica fu riempita, Sam e Mike iniziarono a trascinarla verso il veicolo delle ragazze.

“San…” disse ad un tratto Brittany, smarrendo la voce e afferrando il polso di Santana tra le lunghe dita affusolate.

I ragazzi scaricarono la benzina nel bagagliaio della Jeep prima di agguantare i fucili che portavano in spalla.

Avevano cercato tutti di essere silenziosi il più possibile. Ma il loro silenzio non era stato silenzioso a sufficienza.

Quinn provò un senso di sollievo nell'accorgersi che i nonmorti che avanzavano verso di loro erano soltanto dieci, uno che si muoveva a scatti, due che ciondolavano goffamente, e il resto che camminava senza fretta o trascinandosi pietosamente indietro. Si sbarazzò di quattro di loro con le pistole, Santana abbattè quello veloce con un colpo ben piazzato della sua doppietta; Mike e Sam finirono il resto.

Ma poi un ultimo camminatore spuntò all’angolo. “Aspetta!” gridò Santana non appena Mike lo prese di mira col fucile. Aveva riconosciuto il nonmorto, e anche Brittany. E così Quinn.

Quinn contemplò la figura zombificata di Russell Fabray mentre le si avvicinava sempre di più. Una parte di lei si meravigliò di come apparisse schifosamente decente, persino nel suo attuale stato di cadavere. I suoi capelli erano leggermente scompigliati a sinistra, la sua cravatta era sciolta attorno al collo, i suoi mocassini non erano più lucenti e ciononostante lui stava avanzando verso Quinn, sollevando lentamente le braccia nella sua direzione, e lei si si sentì come se avesse di nuovo quindicini anni e fosse incinta e sola, ad aspettare che il timer del microonde trillasse.

Avanzò di qualche passo per affrontarlo. Il nonmorto era concentrato su di lei, lo era stato per tutto il tempo. Quinn gli permise di fare dieci passi prima di sollevare la pistola e annientare il cadavere rianimato di quel bastardo di suo padre.

L’apocalisse degli zombi significava un mucchio di cose schifose, terribili e odiosamente drammatiche per l'assetto mondiale.

Ma quando i suoi compagni la guardarono spiaccicare la materia grigia di suo padre su tutto il marciapiede, quella scena diede loro la speranza che forse…

Forse era ancora possibile un nuovo inizio.

22 giugno 2012, Base Madre, ore 9.46

“E questo, mezze seghe, è la storia di come Quinn Fabray è diventata una figa pazzesca.”

Brittany, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo del racconto, seduta sugli scalini della veranda con i gomiti sulle ginocchia, prese finalmente parola. “Non penso che si tratti solo di figaggine."

Tutti si voltarono a guardarla, muti. Santana le andò a sedersi accanto, mantenendosi sulle mani e aspettando che Brittany raccontasse loro quando, secondo lei, Quinn era cambiata. “Il modo in cui si comporta Quinn… ha che fare con qualcosa di più che con l’essere semplicemente figa o tosta o usare un fucile o tagliare gole. Ha che fare col proteggerci.”

Nell’ascoltare le sue parole di eccezionale saggezza gli altri ragazzi annuirono.

Brittany proseguì: “Penso che Quinn abbia deciso tempo fa di prendersi cura di noi. Ma credo che stesse seriamente per dare i numeri quando Rachel per poco non finì morsa. E da allora, non è stata assolutamente più la stessa…”

16 maggio 2012, Base Madre ore 8.59

Mercedes stava sdraiata sul divano del Quartiere Generale. Brittany stava giocando a solitario sul tappeto, con i piedi sopra la testa. Artie era posteggiato, come al solito, davanti alla scrivania dove c'era l’attrezzatura che il gruppo era riuscito a metter su. Possedevano un sistema informatico abbastanza decente e della strumentazione GPS. Però avevano davvero bisogno di radiotrasmittenti portatili. Forse, l'indomai avrebbe potuto convincere i ragazzi a farsi un giretto alla stazione di polizia...

Quinn entrò nella stanza. La sua espressione era tranquilla. I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una stretta coda di cavallo che rievocava i tempi in cui era capocheerleader. Dopo aver percorso la stanza a grandi falcate depositò entrambe le mani sullo schienale della sedia di Artie. “Che succede?” domandò.

Era diventato il loro botta e risposta abituale.

Una volta terminati i suoi impegni, Quinn si presentava da Artie e gli chiedeva di aggiornarla. E allora lui le forniva le posizioni di tutti i membi delle Nuove Direzioni. Mentre gliele elencava, Artie decise che sarebbe stato molto utile possedere un’ampia mappa di Lima appesa alle pareti.

“Il signor Schue è in contenimento –“ Quinn annuì, nulla di nuovo.

“Santana e Tina stanno facendo il bucato –“ Le labbra di Quinn si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto: era certa che quel giorno toccasse a Brittany.

“Finn, Puck, Sam e Mike si trovano sul fianco orientale, alla ricerca di sopravvissuti nei quartieri di Lima meno popolati." Quinn annuì un'altra volta. Non era preoccupata per i ragazzi, specialmente quando uscivano in gruppo. Erano in grado di badare a loro stessi, e se non lo erano, li avrebbe presi a calci in culo.

“E Kurt è andato con Rachel a casa sua.”

Per poco il cuore di Quinn non smise di batterle in petto. “Cosa hai appena detto?”

Artie ruotò per poterla vedere in viso. “Kurt e Rachel, sono andati a casa Berry.”

Si sentì lo stomaco sottosopra. Qualcosa non quadrava. Qualcosa non quadrava, cazzo, e doveva recarsi a casa Berry proprio in quel momento oppure non se lo sarebbe mai perdonata.

Senza neppure attendere che Artie spiaccicasse un’altra sillaba, Quinn era già fuori dalla stanza, diretta in garage. Brittany saltò in piedi e la seguì senza fiatare.

I peggiori timori di Quinn vennero confermati non appena la ragazza si fermò di botto davanti a casa Berry, gettandosi fuori dal furgone senza nemmeno preoccuparsi di spegnere il motore. Brittany afferrò le chiavi, e la mazza da baseball, prima di seguire Quinn fino alla Jeep dove Kurt era seduto.

Da solo.

“Dove diavolo è Rachel?” gli gridò Quinn avvicinandosi. I piedi di Kurt scivolarono giù dal quadro comandi quasi per caso. Quinn represse l’impulso di ringhiargli contro per la noncuranza e l’apatia che il ragazzo ostentava standosene seduto all’aperto.

“Dentro,” rispose. Quinn stava già correndo lungo il marciapiede e verso l’entrata principale, estraendo nel frattempo una delle sue RBS dalla fondina. “Ha bisogno di farlo da sola, Quinn! È il suo addio!” Kurt urlò l’ultima frase in direzione della bionda figura arretrante, ma lei non gli prestò alcuna attenzione.

Brittany si appoggiò al lato del furgone e calciò l’estremità della mazza con la punta del piede. “Che le prende?” chiese Kurt.

“Tu sai cosa si prova a perdere la persona che ami”, disse Brittany senza la benchè minima dolcezza. Kurt le rivolse uno sguardo sdegnato, ma lei lo ignorò. “Quinn non vuole provare la stessa cosa, Kurt, perciò è solo preoccupata per Rachel.”

All’inizio, Kurt pensò che Brittany fosse matta. Sebbene molti di loro lo pensassero spesso. In questo caso, trovò particolarmente bizzarro mettere “Quinn,” “Rachel” e “persona che ami” nella stessa frase.

Ma poi qualcosa scattò nel suo cervello, e si trovò nuovamente accanto al letto di Blaine il giorno dopo che le loro vite erano cambiate, per prima la volta, in peggio. Quel giorno, in cui il mondo stava ancora sgretolandosi sopra le loro teste, era riuscito a portarsi dietro Rachel perchè gli guardasse le spalle. Avevano scoperto che assieme formavano una squadra abbastanza accettabile, e non soltanto quando si trattava di emulare Barbra e Judy. Quando trovarono casa Anderson completamente vuota, e nient’altro che lenzuola macchiate di sangue sul letto di Blaine, Rachel lo aveva tenuto a sé mentre piangeva.

“Hai ragione, Brit. Sarei dovuto andare con Rachel, eh?” La sua voce si incrinò, e si spinse avanti con il sedile.

Brittany annuì. “Già. Ma ora Quinn è dentro. Andrà tutto bene.”

Quinn entrò nella residenza dei Berry, vedendoci ancora rosso per via della totale mancanza di cervello di Kurt. E quando udì un debolissimo piagnucolio dal secondo piano, salì le scale tre gradini alla volta.

La porta era aperta in cima alle scale, e Quinn poteva distinguere la gigantesca figura di uno dei padri di Rachel. E, tra le cosce, Quinn riconobbe la figura tremante della figlia ancora viva. Il nonmorto gravava su di lei, e Quinn sapeva che la ragazza era terrorizzata oltre ogni misura.

Confusa. Spaventata. Così fottutamente pura e innocente. E tutto ciò che Quinn voleva era salvarla.

Salì in fretta gli ultimi gradini e gli piantò una pallottola nel cervello.

La creatura si accasciò in modo lento e sciatto al muro. Quinn la scavalcò e si tuffò letteralmente ai piedi di Rachel.

“Rach,” sussurrò. Ma la ragazza era ancora intenta a fissare, cieca, impassibile, il cadavere di suo padre. “Rachel,” disse nuovamente Quinn, stavolta in tono più severo. Finalmente, la mora incrociò gli occhi della sua salvatrice. “E’ finita. Sei salva ora. Prometto di non farti accadere mai niente.”

“Lui…papà”, fece l’altra tra i singhiozzi, con le lacrime che improvvisamente le rigavano il viso in un’esplosione liberatoria e piacevole.

“Lo so, Rachel”, disse Quinn, aggrappandosi alla schiena di Rachel e spingendo la ragazza dentro di sé. E a suo modo, sapeva. Aveva riammazzato suo padre. Ma mentre i ricordi che Quinn aveva di Russell erano tutt’altro che dolci e confortanti, Rachel era stata molto fortunata ad avere due genitori così amorevoli e premurosi.

E Quinn aveva appena fatto saltare fuori dal cranio le cervella di uno zombi proprio in faccia a Rachel.

Dopo un’ora e mezza di afflizione, o di lutto per il morto e morto-bis, Quinn aiutò Rachel a rialzarsi. Con le braccia le avvolse le spalle, e la ragazza più piccola si strinse alla maglietta di Quinn appena sopra la vita. Una volta fuori, alla luce del sole, Rachel sollevò lo sguardo su lineamenti duri e forti di Quinn Fabray.

/ E nonostante avesse appena perso l’ultimo legame con il mondo prima dell’apocalisse, Rachel era meno preocupata del dovuto. Perchè aveva tentato per anni, per anni, di convincere Quinn che avrebbero potuto essere amiche. E forse sì, Rachel aveva perso la sua famiglia, i suoi padri. Ma aveva anche trovato un’amica in Quinn Fabray, in quei momenti di solitudine con il cadavere di suo padre ad appena sei metri di distanza, con le labbra di Quinn che le percorrevano la fronte e le mani premute sul suo dorso in maniera rassicurante.

Rachel salì sul sedile dei passeggeri accanto a Kurt, e i due seguirono Quinn e Brittany alla Base Madre. E Rachel si ricordò di quel primo giorno, quando fra loro era stata proprio Quinn la prima a far fuori uno zombi, quando Quinn era diventata una sorta di alleata emotiva nella battaglia che Rachel sapeva di combattere.

Quinn era diventata un simbolo di speranza.

E così Kurt e Rachel avevano seguito quella coda di cavallo bionda e ondeggiante fino a casa, scontrando le mani sulla leva del cambio.

22 luglio 2012, Base Madre, ore 9.57

Il silenzio discese sulla veranda non appena tutti ebbero assimilato le parole di Brittany.

Lei aveva ragione. Ma anche Sam. E anche Tina. E anche Santana.

Ciascuno di loro, a suo modo, era riuscito a catturare un frammento della trasformazione di Quinn Fabray.

Fissarono in lontananza. Ma la scia di polvere della Ducati di Quinn era sparita da un pezzo ormai. E tutto ciò che potevano fare era starsene seduti. E ascoltare il silenzio della radio.

E sperare per il meglio.

22 giugno 2012, Residenza di Sue Sylvester, ore 9.58

“Sai cosa potrebbe significare questo, vero?” domandò Puck di spalle a Finn, gettando i diari rilegati in cuoio nella borsa e rimettendosela a tracolla.

Finn stava esaminando un altro archivio, le dita che sfioravano velocemente i nomi degli studenti passati, presumibilmente dei Cheerios. Accortosi che nulla di ciò poteva aiutarli a sopravvivere, richiuse il cassetto con una spinta che risuonò per la stanza con un soddisfacente clic. “Già,” rispose infine a Puck. “Se Quinn lo trova, potremo metterci in salvo.”

Puck annuì quando Finn guardò nella sua direzione. Mosse di scatto la testa verso l’uscita. “Andiamocene da qui. Torniamo alla Base Madre e passiamo da Artie. La scuola non è certo il tipo di posto dove Quinn ha bisogno di rinforzi.”

“Sì, ma…Solo il pensiero di lei, lì, da sola…”

“Lo so, bello.” Si alzò sulle punte e strinse la spalla di Finn sotto le dita callose. “Ma lei è quella attrezzata meglio. E noi abbiamo capito che il segreto è la furtività, specialmente quando si tratta di vedersela con masse di zombi. E sfortunatamente, è proprio quello che dovrà affrontare all’interno del McKinley. È un lavoro per una donna sola.”

Finn annuì prima aprire la porta dell’ufficio e dirigersi in corridoio.

La dimora di Sue Sylvester era inspiegabilmente inquietante. Forse aveva qualcosa a che fare con la maniera in cui l’allenatrice sembrava essere svanita nel nulla.

Forse aveva a che fare con la tranquillità dell'aria o la persistenza di un debole cigolio del pavimento che li accompagnava di tanto in tanto.

Erano sollevati di essere usciti a quest’ora, quando il sole era ancora alto e le finestre permettevano alla luce fresca di riversarsi all’interno. Altrimenti, l’intero viaggio nel mondo esterno sarebbe stato terrificante. Non che uno dei due duri con le doppiette legate in spalla lo avrebbe mai ammesso.

Camminando cautamente per il corridoio, con gli occhi che lanciavano sguardi alle camere al loro passaggio, Finn notò un oggetto posizionato su un tavolino. “Ehi!” gridò a Puck che gli stava avanti di qualche passo. “Guarda un po’ qua!”

Puck si voltò indietro e seguì l’amico nella stanza. Al centro del pavimento, sistemato lì come se li avesse aspettati, c’era il piatto di un giradischi. “Assolutamente no,” disse Puck. Sollevò la teca e ghiocherellò con la puntina. “E’ super sciccoso."

Finn camminava per la stanza, mangiando con gli occhi gli scaffali contenenti centinaia (forse migliaia) di registrazioni. Guardò indietro incrociando Puck. Con un piccolo ghigno disse: “Scommetto che il signor Schue ne andrà matto.”

27 aprile 2012, Base Madre e centro settentrionale di Lima, nei pressi del McKinley, ore 8.04

Più di uno studente aveva cercato di dissuadere il signor Schue. Finora avevano trascorso due notti al sicuro dentro casa di Mercedes, con qualche sporadica complicazione e senza andare nel panico quasi mai. Perchè dovevano andarsene? Quale motivo avevano? Bisognava starsene al riparo, per adesso. Non dovevano avventurarsi all’esterno.

Ma lui aveva un disperato bisogno di trovare la signorina Pillsbury.

I due avevano finalmente fatto quell’imbarazzante passo avanti e si stavano preparando alla futura convivenza. L’unanimità degli allievi di Schuester preferiva semplicemente non pensarci. Due professori che ci danno dentro era già strano di per sé, ma unito al'insolita predisposizione del signor Schue per la break dance e l’(innegabile calo) di orrore per il contatto umano della signorina Pillsbury, il fatto diventava fin troppo assurdo da comprendere per i loro gusti.

Il signor Schue era uscito fuori e stava avviando uno dei furgoni del dottor Jones quando Puck alzò le braccia in aria. “Benissimo! Vieni, Finn. Dobbiamo seguirlo e assicurarci che non si faccia ammazzare.” I ragazzi attraversarono la lavanderia e il garage per raggiungerlo. “O peggio,” borbottò Puck sottovoce. Durante il tragitto presero delle doppiette, perchè Finn non aveva ancora imparato a sparare e Puck non voleva farlo sentire inadeguato, e saltarono sul retro del pickup nero mentre il signor Schue usciva dal garage.

Fu strano vedere la signorina Pillsbury. Era quasi come se lei li stesse aspettando.

Il liceo distava tre blocchi a est rispetto alla loro posizione attuale. Eppure si erano imbattuti nella Pillsbury che correva per questa fortuita stradina secondaria, con uno dei tacchi che quasi le penzolava dal piede, i capelli stropicciati, e il viso sudicio. Forse il signor Schuester e la signorina Pillsbury erano anime gemelle. Forse era per questo che lui sapeva esattamente dove cercarla. Ci era voluto così tanto perchè si mettessero ufficialmente insieme, forse questo era il modo che il cuore di lui aveva di rimediare, conducendoli l’uno nelle braccia dell’altra nel momento più esasperante di tutti.

A cento iarde di distanza da lei, il signor Schue schiacciò i freni del veicolo e si precipitò fuori. “Emma!” le gridò.

Lei si cristallizzò per un attimo, stordita, come se non potesse credere a ciò che i suoi occhi le stavano mostrando. E forse non ci credette. Ma in quegli ultimi brevi momenti, non ci credeva che il suo ragazzo-amante-promesso sposo le stesse correndo incontro. Forse pensieri di speranza e di protezione e di salvezza e di meraviglia e di amore eterno non le attraversarono la mente.

Piuttosto, un guizzo indefinito le percorse il volto. Un piccolo sorriso iniziò ad illuminarle gli occhi. Perciò forse, ci credeva.

Adesso correvano entrambi. Le distanze si stavano accorciando. Finn e Puck saltarono giù dal furgone per seguire i movimenti dei loro professori. Potevano sentire la risata della signorina Pillsbury, e potevano vedere le spalle del signor Schuester abbassari per il sollievo mentre correva verso l’amore della sua vita.

E poi udirono gli zombi.

“Signor Schue!” strillò Finn. “Faccia attenzione!”

Ora entrambi i ragazzi stavano galoppando verso di loro, doppiette alla mano.

Ma c’era quasi mezzo campo da football a separare Schuester da Emma. E le frenetiche creature erano vicine.

Balzando fuori dal vicolo le si gettarono addosso e iniziarono a ridurla in pezzi prima che Schuester potesse fare qualcos’altro a parte boccheggiare il suo nome in disgusto.

Finn e Puck gli arrivarono ai lati in tempo per guardare tre zombi che finivano di squarciare la gola di Emma Pillsbury. Del sangue sgorgò sull'asfalto caldo e nero sotto i loro piedi. Brandelli di carne ormai inutile e sbriciolata volarono nell’aria. Finn strinse una mano sulla spalla del professor Schuester, cercando di tirarlo indietro.“Forza, signor Schue," disse agitato, e ancor più disturbato dalla scena raccapricciante che stava avendo luogo sotto il suo sguardo. “Dobbiamo andare.” Il signor Schuester non rispose, pertanto Finn dovette scuoterlo e gridargli in faccia, “Signor Schue! Forza, dobbiamo andarcene da qui!”

Tuttavia, le urla di Finn servirono soltanto ad attirare l’attenzione dei tre cadaveri su i tre umani nelle vicinanze. Puck gridò a Finn di trasportare Schuester al furgone. Ma mentre Finn era alto e forte, il signor Schuester era totale peso morto. Il professore cadde sulle ginocchia, e Puck si voltò per combattere gli zombi che adesso si stavano muovendo rapidamente nella loro direzione.

Puck fece saltare di netto la testa di uno e invece Finn ne colpì un altro nella zona tra petto e spalle. E se gli zombi avessero potuto incazzarsi, probabilmente quello lo avrebbe fatto. Al contrario, continuò a camminare verso di loro, inesorabile e terrificante nei lamenti che emetteva dalle labbra marce, grondanti sangue di consulente scolastico.

Entrambi spararono un altro colpo. Ed entrambi gli fecero saltare cranio e cervella. E così, a pochi metri tra la vita e la morte, i tre zombi furono soltanto un ricordo.

Voltandosi, i ragazzi tornarono da Schuester, in ginocchio sull’asfalto. Lo presero ciascuno per un braccio e, issandolo fisicamente in piedi, lo condussero al furgone. Potevano sempre sopraggiungerne altri.

“Emma.” Il suo nome scappò dalle labbra di Schuester in modo così curioso che i ragazzi non poterono fare a meno di fermarsi.

Puck lasciò il braccio del signor Schue, ma ora l’insegnante stava ritto da sé. E aveva una luce fiduciosa negli occhi. “Emma,” ripetè. A questo punto Finn e Puck si voltarono completamente e seguirono lo sguardo fisso del professore.

E la signorina Pillsbury gli stava venendo incontro, braccia distese e camicetta bianca crivellata del suo sangue e delle sue budella: la perfetta visione di una sposa cadavere. “Santa merda,” bofonchiò Finn. Nessuno di loro aveva mai assistito alla rianimazione di un cadavere. Avveniva rapidamente. Il virus era disgustosamente efficiente.

Puck avanzò, drizzò l’arma sopra la spalla e fece schizzare le cervella della signorina Pillsbury da dietro la testa.

“Andiamo,” disse, riafferrando nuovamente il signor Schue per il braccio e trasportandolo al furgone con l’aiuto di Finn.

Il viaggio di ritorno a casa era stato silenzioso. Erano tutti disturbati, come minimo.

In ogni caso, da quel giorno il signor Schue era diventato poco più di uno scheletro.

22 giugno 2012, Residenza di Sue Sylvester, ore 10.14

“Voglio dire…” la voce di Finn si affievolì; il ricordo del giorno in cui avevano perso il direttore del loro club gli balenava ancora nella mente. “Forse può aiutarlo. In qualche modo…”

“Già”, disse Puck. “La musica è il cibo dell’anima eccetera.” Fece spallucce e cominciò ad agguantare dischi a casaccio dalle pareti. “Provare non costa nulla.”

Con il borsone di Finn pieno di LP, e le sue braccia salde attorno al registratore, Puck si lasciò sfuggire un grido di terrore quando la governante di Sue gli piombò di colpo in faccia.
Ed era decisamente una zombi.

“Cazzo!” urlò, indietreggiando verso Finn non appena la governante, grassa e fuori forma, ma chiaramente agile per essere una nonmorta, scattò nella sua direzione, a braccia distese e denti scoperti. Stava sbavando copiosamente, e Puck temeva sinceramente per la propria vita.

Puck si passò una mano per la schiena ma non sembrò riuscire ad afferrare l’arma. Finn spostò con successo il peso del piatto nelle braccia manovrandolo senza farlo cadere mentre acciuffava la sua doppietta, la puntava alla testa di Imelda, e premeva il grilletto. La testa della cosa esplose sulla vetrina dei trofei della Coach Sylvester, emettendo una specie di strillo indecifrabile. Avrebbe potuto trattarsi del classico lamento zombi, oppure di un’incomprensibile parola spagnola, non che Puck o Finn fossero particolarmente bravi con la lingua, per cui non avrebbero mai saputo riconoscere la differenza.

Finn armeggiò con il piatto ancora una volta, rimettendosi la doppietta a tracolla. “Uao,” espirò. “Per un pelo. Vero, bello?”

Puck si voltò ad occhi sgranati. “Ehi, Finn, per un fottuto pelo!”

“Ooh” fece Finn, “che ti urli? E sì, è tipo quello che ho appena detto.”

Puck corrugò la fronte prima di rispondere finalmente, “Sì bello, penso che tu mi abbia fracassato il timpano.”

Spalancando gli occhi in un’espressione colpevole, Finn gli diede una goffa pacca sulla spalla. Dopodiché proseguirono la marcia in direzione della Jeep che avevano preso quella mattina. Finn salì al posto di guida. E quando Puck gli si sedette accanto, disse “ Ehi, mi dispiace molto, sai, per aver sparato proprio vicino al tuo orecchio. È solo che mi piace averti intorno, e non voglio che diventi uno zombi.”

Puck se ne stava seduto con il sopracciglio alzato in un’espressione del tipo “ma-che-cazzo” prima di rispondergli, “Cazzo, amico, non riesco a leggerti le labbra. E non ho idea di cosa hai detto.” Finn tornò al volante e girò le chiavi, ridacchiando un po’ goffamente. “Cazzo, vediamo di sgommare via di qui."

22 giugno 2012, Centro settentrionale di lima, a mezzo miglio dal McKinley, ore 10.10

L'asfalto era bollente contro le suole di gomma dei suoi stivali. Quinn spense il motore della Ducati e la sistemò addosso ai mattoni rossi dell’ufficio postale. Avrebbe proseguito a piedi fino alla scuola. In quel modo sarebbe stata più silenziosa. Più furtiva.

Nel giro di pochi minuti, la maestosa struttura del liceo McKinley emerse d’improvviso nel suo raggio visivo. Rallentò fino a camminare, consentendo al suo battito cardiaco leggermente alterato di stabilizzarsi ancora una volta. Prima dell’epidemia, la scuola era stata a suo modo oppressiva: la presenza della Coach Sylvester che alitava perennemente sul collo dei ragazzi del glee, le aspettative di sua madre che ormai Quinn poteva soltanto presumere fosse morta (o magari nonmorta), l’attesa di risposte positive (o negative) da parte dei college, esami di fine corso…Ma adesso l’oppressione era diversa.

L’enorme porta principale, scardinata all’indietro, ciondolava superficialmente per l’ingresso della scuola. C’era un silenzio totale e assoluto dalle parti di Quinn, e con ogni probabilità era quella la cosa più inquietante di tutte.

La popolazione di Lima non era mai stata incontenibile e d’altronde, bastava soltanto un morso. E Quinn sapeva che la scuola straripava di cadaveri vaganti, i tizi che un tempo risiedevano da vivi a Lima, Ohio. Lo sapeva perchè lo aveva visto in prima persona. E tuttavia, eccola lì, mentre si prepava per una gita tra le bolge dell’inferno. Un’autentica trappola mortale. E perchè? Per nessun’altra ragione se non Schue. E Sam. E Kurt e Puck e Finn. Santana e Brittany e Tina. Mike e Artie.

E Rachel…

E quelli che avevano perso. Mercedes, che Qunin non era stata in grado di proteggere. E Blaine e la signorina Pillsbury, solo un altro paio di persone che non le sarebbe mai stato concesso di salvare.

Quinn alzò gli occhi al cielo. Il sole stava raggiungendo pian piano il suo picco, ed era sollevata del fatto che fosse ancora mattina. Avevano appreso che gli zombi normalmente reagivano con più lentezza durante le ore diurne. E lei non aveva idea di quanto ci avrebbe messo. Qualunque vantaggio era ben accetto.

Mani leste afferrarono la radiotrasmittente, portandola alle labbra. “Artie,” disse dopo aver schiacciato il pulsante laterale. Il volume era basso: sarebbe stato da matti farsi scoprire di già.

Ci vollero tre secondi prima che la voce di Artie riuscisse a raggiungerla tra le interferenze.
“Quinn, qual è il tuo stato?”
“Mi sto preparando per entrare a scuola, e ho intenzione di spegnere il walkie talkie. Non posso rischiare di fare casino. Lo riattiverò quando sarò fuori." Era importante parlare per certezze. Non c’era spazio per i dubbi. “Augurami buona fortuna”. Spense la radio senza nemmeno attendere una risposta e la manopola in cima al congegno emise un piccolo clic. Aveva dovuto spegnerlo prima di avere l’occasione di chiedergli se Rachel e Kurt fossero riusciti a tornare felicemente a casa.

Quinn non aveva bisogno di distrazioni.

Con un’ultima occhiata al sole soffocante che ribolliva in alto, Quinn si concentrò su quello che aveva davanti. Rivolse la mente al suo futuro e a quello dei suoi amici, la sua famiglia. E con determinazione, estrasse dalla fondina tutte e due le sue RBS e si diresse a grandi falcate all’interno della lugubre scuola superiore.
  
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